«In the future the question will not be,
“Are people credit-worthy”, but rather,
“Are banks people-worthy?”»
Muhammad Yunus
INTRODUZIONE
A partire dalla fine della seconda guerra mondiale l’attenzione delle
grandi potenze politiche si concentra essenzialmente sul problema della
povertà e del sottosviluppo di alcuni paesi orfani dei grandi imperi coloniali;
è proprio in questo periodo che possiamo collocare la nascita dell’economia
dello sviluppo. L’origine di questa branca dell’economia ha comportato la
netta distinzione tra paesi sviluppati e sottosviluppati e ha indotto molti
studiosi a ritenere che i metodi utilizzati fossero adatti solo per questi ultimi.
Uno dei punti cardine dell’economia dello sviluppo è il concetto di
sistema economico che, come spiega Franco Volpi, è una struttura
complessa di istituzioni, norme, comportamenti, modi di pensare; lo studio
di un sistema economico deve analizzare tutte queste componenti e nel
corso degli anni, purtroppo, molte teorie dello sviluppo hanno dimenticato
questo aspetto. Alcuni dei programmi di sviluppo portati avanti da nazioni
impegnate nella lotta alla povertà hanno avuto la presunzione di sapere già
quali fossero le esigenze delle popolazioni da aiutare o i meccanismi per
avviarle, senza analizzare il contesto socio-culturale o geografico nel quale
sarebbero state inserite, portando a un inevitabile fallimento.
Senza l’ascolto, senza la condivisione dei bisogni non vi può essere uno
sviluppo duraturo e benefico per l’economia del paese in questione e proprio
da questo punto è partita la rivoluzione operata dall’economista Muhammad
Yunus attraverso il microcredito.
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Il microcredito è uno strumento di microfinanza che ha come obiettivo
l’inserimento nel circuito economico di soggetti che ne sono esclusi.
L’esclusione non avviene puramente sulla base del credito a disposizione,
ma in alcuni paesi in via di sviluppo avviene per motivi sociali e culturali:
un esempio è il Bangladesh e l’esclusione delle donne dal mercato del
lavoro. L’obiettivo di questo strumento, quindi, è quello di creare
un’economia alternativa a quella tradizionale favorendo lo sviluppo di tutti
quei soggetti definiti “non bancabili”, dando valore ai loro bisogni, alle loro
capacità e abilità. Le esperienze maturate nel corso del tempo e in svariati
contesti territoriali hanno dato notorietà a questo strumento rendendolo, a
partire dagli anni ’70, una delle risposte più efficaci alle esigenze finanziarie
dei vari individui che ne hanno usufruito e continuano a farlo.
Lo scopo del presente lavoro è quello di porre l’attenzione sull’utilizzo di
questo strumento nei vari contesti socio-economici, sui suoi successi e sulle
sue potenzialità non ancora espresse tracciando un quadro del microcredito
dalle sue origini sino a oggi. È stato esaminato un caso studio con
l’obiettivo di verificare le reali potenzialità del microcredito inserito in un
contesto locale e afferente alla problematicità dell’esclusione delle donne
dal contesto socio-economico.
L’elaborato si compone di tre capitoli.
Nel primo capitolo si espongono le origini del microcredito che partono dal
1400 con le prime forme di aiuto mutualistico sino agli anni ’70 del
Novecento, che vedono il suo consolidamento a opera dell’economista
Muhammad Yunus; si delineerà, quindi, l’iter che ha condotto alla
costituzione della prima banca etica indipendente, la Grameen Bank.
Il secondo capitolo tratta il tema del microcredito nel contesto italiano.
Questo strumento, infatti, non è utilizzabile solo ed esclusivamente in paesi
in via di sviluppo, ma trova larga applicabilità in paesi industrializzati come
il nostro, andando a sopperire a mancanze istituzionali. Sono esposti dati
relativi alla situazione occupazionale italiana e vi è un’analisi sui
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programmi di microcredito attuati sino al 2013, attraverso l’utilizzo di
rapporti di monitoraggio a cura dell’economista Carlo Borgomeo
(commissionati da parte del Ministero dell’Economia e del Tesoro) e di dati
raccolti dall’Ente Nazionale per il Microcredito. L’ultima parte del capitolo
è dedicata all’aspetto giuridico: vi è un excursus sulle varie modificazioni
del Titolo V del Testo Unico Bancario, che hanno portato alla normativa
vigente in materia.
Nel terzo e ultimo capitolo si esamina il caso studio di un progetto di
microcredito avviato da un’associazione del comune di Lecce.
L’associazione, denominata Casa delle Donne, ha rimesso in circolo dei
fondi avuti da un programma di rigenerazione urbana, trasformandoli in un
bando di microcredito per finanziare tre progetti di imprenditoria femminile.
L a Casa delle Donne, infatti, ha tra gli obiettivi l’autodeterminazione
economica delle donne e la possibilità di fuoriuscire da una situazione di
esclusione socio-economica che, spesso, non permette di riconoscere
l’importante ruolo delle donne nella società contemporanea.
Il microcredito, attraverso i fondi per creare impresa, supera dunque
l’ottica assistenzialistica e si incammina sulla strada di un’autonomia
personale, mai facile, che comporta una consapevolezza e una responsabilità
personali.
Il caso è stato studiato attraverso l’analisi di quattro interviste semi-
strutturate
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somministrate, rispettivamente, a una delle promotrici e ad
alcune vincitrici del bando. Si dimostrerà come questo strumento sia stato
necessario per l’attuazione di attività che, altrimenti, non sarebbero mai
state avviate.
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In appendice, le tracce d’intervista.
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PRIMO CAPITOLO
LA NASCITA DEL MICROCREDITO
1.1 Premessa
Sin dagli anni ’70, il microcredito rappresenta uno dei più diffusi strumenti
di sviluppo economico in grado di fornire la possibilità di trasformare la
propria vita (in primis), l’accesso al credito e ai servizi finanziari a tutti
coloro che non rientrano nelle categorie concepite dal sistema economico.
L’aspetto rivoluzionario del microcredito sta nell’aver messo al primo posto
il riconoscimento di capacità e abilità, il senso di responsabilità e di
comunità di coloro che hanno aderito nel corso degli anni ai vari progetti
creati e finanziati; uomini ai limiti della povertà, donne escluse dalla
comunità di appartenenza, individui assoggettati agli usurai: sono questi i
primi soggetti che hanno utilizzato il microcredito.
Come già specificato, il microcredito si diffonde a partire dagli anni ’70
grazie alla creazione della Grameen Bank ad opera di Muhammad Yunus. Il
suo progetto, dal principio, si è scontrato con le critiche di quanti temevano
la non sostenibilità del microcredito nel lungo periodo o la possibilità che
esso sottraesse risorse a programmi più importanti come quelli a favore
della salute e dell’istruzione. Nel corso degli anni, la Grameen Bank ha dato
prova di come quelle opposizioni fossero infondate, creando filiali anche nei
paesi più industrializzati del mondo.
In realtà, il microcredito ha origini ben più lontane: è infatti a partire dal XV
secolo che si pone l’accento sulla condizione dei poveri. Dai Monti di Pietà
e le cosiddette tontine in Italia, all’Irish Loan Fund System in Irlanda sino
alla Banca del Popolo di P.J. Proudhon
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, si è sempre cercato di rispondere ai
bisogni finanziari di coloro che non possedevano le dovute risorse e si è
cercato di farlo con forme di finanza informale.
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Si approfondirà l’argomento nel paragrafo 1.2.
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Dopo aver esaminato le prime forme di microcredito nel seguente paragrafo,
si passerà a delineare il percorso di formazione e consolidamento di quella
che è considerata l’esperienza più riuscita di microcredito: la Grameen
Bank.
1.2 Le origini del microcredito
Cercare le origini del microcredito significa andare molto indietro nel
tempo, in periodi storici in cui l’economia era affare di pochi e il reddito era
a livello di sussistenza.
Le prime forme di credito a favore di soggetti economicamente deboli si
trovano nel Quattrocento quando, per contrastare l’azione degli usurai (e per
una propaganda anti ebraica), la chiesa cattolica istituì i Monti della Pietà.
Erano istituzioni finanziare senza scopo di lucro che erogavano credito a
condizioni favorevoli rispetto a quelle di mercato. Il prestito veniva
concesso in cambio di un pegno: i clienti dovevano presentare una garanzia
equivalente ad almeno un terzo in più della somma richiesta. La durata del
prestito era di circa un anno e al termine del tempo stabilito, qualora il
credito non fosse stato restituito, il pegno veniva venduto all’asta.
Chiaramente, questa abbozzata garanzia restringeva il campo dei richiedenti
credito agli abitanti della città in quanto gli agricoltori o chi viveva nelle
campagne non aveva nulla da impegnare: i loro beni consistevano in
sementi, bestiame ed attrezzi che erano fondamentali per il lavoro e che
quindi non potevano essere impegnati.
Alcuni Monti richiedevano un rimborso delle spese pari ad un interesse del
5% della somma richiesta, ma molti dei sostenitori della politica economica
dei Monti non erano d’accordo in quanto poteva apparire una richiesta
paragonabile a quella degli usurai. Uno dei fondatori, Bernardino da Feltre,
sostenne al contrario che bisognasse operare in modo razionale, senza
intaccare il capitale iniziale, chiedendo un piccolo rimborso spese. A partire
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dal Cinquecento, quindi, tutti i Monti adottarono questo “pensiero
razionale”.
Come detto, il campo dei richiedenti credito era ristretto di per sé in quanto
non tutti potevano impegnare un bene come garanzia. Unitamente a ciò, i
Monti non prestavano a tutti e non erogavano qualsiasi somma; essi
accettavano come clienti solo i residenti della città nella quale vi era il
Monte o in località stabilite dallo statuto e concedevano somme modeste
finalizzate a proprie necessità e «per usi moralmente ineccepibili» .
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Fu così che i Monti di Pietà si diffusero rapidamente in tutta Italia anche se
alcuni chiusero presto per una non limpida ed incapace amministrazione (è
il caso del Monte di Perugia, del Monte di Macerata e del Monte di Siena).
Fu papa Leone X a dettare le normative per la regolamentazione dei Monti
di pietà.
Con il passare del tempo i Monti si trasformarono in Casse di Risparmio.
Ebbero un brusco arresto a causa dell’arrivo in Italia di Napoleone il quale
si appropriò di tutti i beni religiosi; dopo la scomparsa dell’imperatore dal
territorio italiano, i Monti riacquistarono la loro autonomia, ma fu
comunque tardi in quanto tutto l’operato passò definitivamente alle Casse di
Risparmio.
È nel Seicento che si ha un nuovo strumento di aiuto per le esigenze dei più
poveri; si tratta di uno strumento di finanza informale
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chiamato tontina
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nella quale diversi soggetti mettevano insieme una certa somma e la
destinavano a vantaggio di uno di loro a turno. Il funzionamento era
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http://fondazionedelmonte.it/centro-studi-monti-di-pieta/storia/i-monti-di-pieta-le-origini/.
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È il settore finanziario costituito da associazioni di risparmio o credito e associazioni di
mutuo soccorso che non è soggetto a restrizioni, e si affianca al settore della finanza
formale il quale però è sottoposto al controllo delle autorità per il mantenimento dei tassi
d’interesse.
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Il termine Tontine deriva da Lorenzo de Tonti, banchiere italiano di origini napoletane e
governatore di Gaeta.
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