CAPITOLO I
Analisi storica: l’intervento
straordinario nel mezzogiorno italiano
1.1 - La ricostruzione post-bellica e il Piano Marshall
Alla fine della seconda guerra mondiale il Mezzogiorno si mostrava come un’area forte-
mente indebolita, con riguardo sia alle città, semidistrutte dai bombardamenti, sia alle
campagne, i cui abitanti vivevano in condizioni di indigenza. La struttura economica era
basata su un’agricoltura tradizionale e poco produttiva, appena sufficiente per l’auto so-
stentamento mentre l’industrializzazione non aveva quasi toccato queste aree del paese.
Se si escludevano i centri industriali di Napoli, Taranto, Bari e Catania, il “il Sud d’Italia”
aveva tutti i caratteri di un’area sottosviluppata, con bassa produttività del lavoro, forte
disoccupazione, basso reddito procapite, condizioni di vita molto disagevoli, ed un
drammatico squilibrio tra risorse e popolazione. Agli alleati angloamericani sbarcati in
Sicilia, il Meridione apparve anche caratterizzato da un intenso stato di conflitto sociale,
giacché i disagi dovuti alle distruzioni belliche si univano alle continue mobilitazioni dei
contadini, che rivendicavano l’assegnazione delle terre incolte. Il decollo del Mezzogior-
no appariva loro, quindi, un passaggio inevitabile per difendere dalla minaccia comunista
la neonata democrazia e il capitalismo in Italia, sicché a Washington si decise di sostene-
re il processo di ricostruzione post-bellica tramite appositi aiuti istituendo l’United Na-
tions Relief and Renhabilitation Administration (UNRRA), formalmente controllata dal-
le Nazioni Unite, ma in realtà sostenuta dagli Stati Uniti. Il problema dell’industria-
lizzazione del Mezzogiorno è dunque posto dall’Associazione per lo sviluppo dell’in-
dustria nel Mezzogiorno (SVIMEZ) al centro della politica economica nazionale, nella
convinzione che da esso non possa prescindersi, se si vuole ridurre progressivamente, e
alla fine eliminare, il divario con il resto del paese. Tale impostazione è presente sin
dall’inizio - la SVIMEZ fu istituita il 2 dicembre del 1946, a sostegno di una politica
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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d’industrializzazione furono chiamate a collaborare forze imprenditoriali, scientifiche e
finanziarie dell’ intero paese in un ente che fosse espressione associativa di idee e di ini-
ziative presenti nella società nazionale e che si assumesse il compito di condurre ricerche
e di elaborare proposte in collaborazione con le autorità di Governo ma in condizioni di
piena autonomia
25
. Erano queste le idee che, ancor prima della fine del conflitto, furono
oggetto di riflessione principalmente tra gli uomini dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione
Industriale) - Benedice, Monachella, Giordani, Cenato, Saraceno - e che ad essi deriva-
rono da una concreta esperienza che appunto l’IRI aveva compiuto, a partire dal 1936, a
sostegno di aziende operanti nei settori meccanico, siderurgico e cantieristico ubicate
nell’area napoletana; un’esperienza che introdusse di fatto il principio dell’esercizio diret-
to di industria da parte dello Stato in funzione di sviluppo e non solo di risanamento.
Finita la guerra, fu Saraceno - distaccato dall’IRI ad uno speciale ufficio del Ministero
dell’ Industria incaricato di definire le iniziative da prendere per la ripresa industriale - a
mettere in contatto Menichella con Rodolfo Morandi, che era il Ministro dell’Industria;
ed è da questo incontro che nasce l’idea della SVIMEZ, di cui Morandi fu il primo pre-
sidente. Tale orientamento va collocato, in primo luogo, nel contesto del lancio del Pia-
no Marshall
26
, avvenuto nel giugno 1947, cui fece seguito la creazione dell’Economic
Cooperation Administration (ECA) nel 1948.
25
Cfr. Aliberti G., La “questione di Napoli” nell’età liberale (1961-1904), in Storia di Napoli, vol. X, Società
editrice Storia di Napoli, Napoli 1971, pp. 221-271.
26
Cfr. Sori E., L’emigrazione italiana dall'Unità alla Seconda guerra mondiale, Il Mulino, Bologna,1979.
Piano Marshall: Piano di aiuti economici all’Europa (conosciuto anche sotto la sigla ERP, European Re-
covery Program) che prese il nome del Segretario di stato americano George C. Marshall il quale, in un
discorso tenuto all’università di Harvard il 5 giugno 1947, invitò i paesi europei a presentare un program-
ma di ricostruzione economica che gli Stati Uniti si impegnavano a finanziare. La proposta intendeva fa-
vorire, con reciproco vantaggio, una ripresa dei sistemi economici e quindi degli scambi commerciali nei
paesi colpiti dal secondo conflitto mondiale. Altro obiettivo era quello di porre un freno alla minaccia
rappresentata dall’espansione sovietica. Nella conferenza di Parigi del 12 luglio 1947 sedici paesi europei,
con l’esclusione dei paesi dell’Est, aderirono all’invito. Nell'aprile 1948 il Congresso americano approvò il
piano varando un programma di finanziamenti quadriennale che operò sino al 1952. Il piano riuscì a rea-
lizzare molti dei suoi obiettivi. In Italia, in particolare, più che in impieghi direttamente produttivi, i fondi
furono utilizzati per far fronte al forte disavanzo della bilancia commerciale e di quella dei pagamenti.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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L’associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, si prefisse l’obiettivo di orientare gran
parte degli aiuti statunitensi verso il Mezzogiorno, attraverso la presentazione di pro-
grammi e progetti adeguatamente impostati. Infatti, nel 1947 Saraceno lavorò al pro-
gramma di utilizzo dei fondi ERP (che fu tradotto nel “Piano a lungo termine” conte-
nente la posizione del governo italiano presso L’OECE), mentre poi la SVIMEZ pro-
dusse il piano di investimenti per l’Italia meridionale (che fu presentato alla Banca inter-
nazionale per la ricostruzione e lo sviluppo - BIRS, fungendo da base di decisione di
questa di favorire un programma straordinario di interventi a favore del Mezzogiorno,
riguardanti non soltanto le infrastrutture ma anche aiuti all’industrializzazione).
L’approccio metodologico della SVIMEZ è di tipo statistico-economico, l’utilizzo della
statistica è per l’associazione non solo uno strumento di conoscenza ma anche uno dei
criteri di localizzazione degli interventi attraverso l’elaborazione di “indici di depressio-
ne”, messi a punto sin dal 1948. Sul piano economico, gli studi della SVIMEZ partono
dal concetto di “area depressa”, elaborato dalla cultura economica anglosassone negli
anni trenta, adattandolo alla situazione del Mezzogiorno che è caratterizzata non da una
depressione “ciclica” ma da una depressione “permanente”. Nel 1952 uscì il primo nu-
mero del “Supplemento” alle “Informazioni SVIMEZ”, un bollettino di documentazio-
ne che si pubblicava sin dal 1948. Il “Supplemento” era dedicato ai problemi dei paesi
economicamente sottosviluppati e fece conoscere, per primo in Italia, la pubblicistica
economica internazionale sull’argomento. In tal modo, attraverso l’attività di studio e di
ricerca, il meridionalismo acquisiva strumenti di governo dell’economia che la situazione
culturale del dopoguerra aveva reso disponibili, anche se le indicazioni che provenivano
dall’associazione per lo sviluppo del meridione si concretizzarono solo parzialmente in
provvedimenti governativi. Negli anni successivi al 1950 il tema dell’indu-strializzazione
del Mezzogiorno costituisce il punto di attacco di una riflessione che si allarga alla con-
siderazione della necessità di una politica economica generale che, modificando il qua-
dro di convenienze presentato dal mercato, si ponesse l’obiettivo della unificazione eco-
nomica del paese tenendo conto della diversità strutturale dell’area arretrata e condizio-
nando anche lo sviluppo dell’area esterna al Mezzogiorno
27
. Questa impostazione collo-
cava la politica di industrializzazione del Mezzogiorno all’interno di un sistema nazionale
di politica economica e conduceva quindi al tema della programmazione economica. Nel
27
Cfr. Scirocco A., Il mezzogiorno nella crisi dell’unificazione, (1960-1961), Sen, Napoli 1981.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
24
1953 e nel 1954 l’attività della SVIMEZ
28
si concentrò in questa direzione, procedendo
alla elaborazione degli studi che costituirono la base dello “Schema Vanoni”
29
, approva-
to dal Consiglio dei Ministri nel dicembre del 1954
30
.
1.2 - La Cassa per il mezzogiorno
Il tassello meridionale del miracolo italiano fu messo 60 anni fa, il 10 agosto, quando
nacque la Cassa del Mezzogiorno. Da un’idea del meridionalista Pasquale Saraceno, la
legge 646 del 1950 fu lo strumento dell’ intervento straordinario voluto dal governo di
Alcide De Gasperi per modernizzare un Sud rimasto pericolosamente indietro, su cui
pesava una fortissima disoccupazione. La Cassa può essere descritta attraverso tante
28
Svimez. Accanto ai Rapporti, la SVIMEZ svolge un’attività di ricerca nel campo della politica di svilup-
po, dell’economia del territorio, della demografia e della statistica economica, dell’economia e della politi-
ca agraria e dei problemi giuridico-legislativi. Si ricordano in particolare: la costruzione del modello eco-
nometrico Nord-Sud, fondato sull’assunto che l’industria riveste una funzione motrice per l'intera econo-
mia; le ricerche sulla struttura industriale delle regioni meridionali; le analisi relative agli investimenti indu-
striali agevolati; le elaborazioni relative al mercato del lavoro (forze di lavoro, occupazione, disoccupazio-
ne, cassa integrazione, ecc.); le indagini sull’assetto urbano e territoriale delle regioni meridionali, affronta-
te nella consapevolezza che sviluppo industriale e sviluppo urbano sono processi che si condizionano re-
ciprocamente e che richiedono la contestualità della politica di industrializzazione e della politica del terri-
torio.
29
“Schema Vanoni” - che costituì il primo tentativo di inserire gli indirizzi e le scelte di intervento nel
Mezzogiorno in un preciso contesto di politica economica generale - è il documento che meglio caratte-
rizza l’attività della SVIMEZ negli anni 50, volta, come detto, ad una considerazione globale
dell’economia italiana quale presupposto per risolvere, nell'ambito di una politica di programmazione, il
problema degli squilibri territoriali. Lo “Schema” non era un piano ma un documento che, in vista di
obiettivi di interesse generale e in base ad alcune ipotesi sull’andamento delle principali variabili macroe-
conomiche, intendeva offrire l’impianto logico di un possibile piano cui fossero tenute a conformarsi le
decisioni di politica economica di volta in volta adottate. Le sue indicazioni, peraltro, non ebbero mai se-
guito e restò senza riscontro reale il suo motivo ispiratore, lo stesso che era alla base della posizione della
SVIMEZ: che dovesse cioè essere responsabilità del Governo promuovere un modello di sviluppo
dell’intera economia nazionale coerente con l’obiettivo del superamento del divario Nord-Sud. L’obiettivo
meridionalistico restò pertanto sostanzialmente affidato al solo intervento straordinario.
30
http://www.svimez.it/
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
25
immagini: l’acqua che arriva finalmente nelle case e lascia per sempre nel passato le don-
ne con i secchi sulla testa, che camminavano per chilometri fino al pozzo. Le fogne, i
ponti e le grandi bonifiche, con la sconfitta della malaria, il lavoro, i contadini che la-
sciano la terra, e diventano operai. Le strade che piegano l’asprezza dell’entroterra: an-
che se l’economista Vera Lutz sostenne che poi servirono alla gente soltanto “per ab-
bandonare i paesini del Sud”. Ma ci furono anche dighe inutili che hanno fatto ritirare le
spiagge: costruite a tutti i costi, per arricchire imprenditori e amministratori corrotti. Ci
furono coste avvelenate dall’industria, a Gela, Taranto, Brindisi, che non ha mai genera-
to l’indotto atteso. I contrasti contraddistinguono la storia della Casmez
31
, nella quale ci
sono meriti ma anche aspetti negativi che caratterizzarono questo periodo storico. Nel
1984 fu il governo di Bettino Craxi a deciderne la soppressione: la Casmez fu però so-
stanzialmente convertita in una erede, l’Agenzia per la promozione dello sviluppo nel
Mezzogiorno, che durò ancora fino al 1993, quando chiuse i battenti sotto il governo di
Giuliano Amato. A questa data l’investimento complessivo per il sud è calcolato in
279.763 miliardi di lire (vale a dire 140 miliardi di euro). Nella prima fase la Cassa del
Mezzogiorno ebbe meriti indiscussi, modernizzando il Sud con grandi opere e investi-
menti sull’agricoltura uno studioso dell’economia meridionale come Augusto Graziani,
ad esempio, ha messo in evidenza come la missione industriale non sia stata affrontata
subito nel Mezzogiorno per una malcelata intesa fra politica e industria del nord, che
non voleva doppioni nel Paese. Proprio in quella modernità senza “vero sviluppo”, con-
tinua la storia della mai risolta “Questione meridionale”. Cosicché, dopo tanti anni, c’é
chi come il ministro Giulio Tremonti - parlando di Sud, ha invocato lo scorso anno, il
ritorno ad una nuova “Casmez”.L’intervento pubblico a favore nel Mezzogiorno ha po-
sto sempre notevoli problemi di politica legislativa ed amministrativa: non c’è periodo
della nostra storia unitaria in cui la produzione legislativa o l’organizzazione amministra-
31
Cfr. La Spina A., La politica per il Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 2003.
La Cassa del Mezzogiorno (Casmez) è stata un ente pubblico italiano creato dal governo di Alcide De Ga-
speri per finanziare iniziative industriali tese allo sviluppo economico del meridione d'Italia, allo scopo di
colmare il divario con le regioni settentrionali. Nata nel 1950 dalla mente del meridionalista Pasquale Sara-
ceno, e alcuni suoi collaboratori quali Menichella, Giordano, Cenzato, Morandi e Novacco, già fondatori
della Svimez, la cassa intendeva ricalcare le agenzie di sviluppo locale avviate negli Stati Uniti durante
il New Deal. Essa subì una profonda modifica nel 1984, con l'istituzione dell'AgenSud, per cessare total-
mente la sua attività solo nel 1991.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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tiva non siano, state, per così dire, “complicate” dalla presenza massiccia dei problemi
della depressione meridionale e dall’esigenza, sempre urgente, di avviarli a soluzione.
Dal punto di vista legislativo ed amministrativo, la storia di una lunga serie di tentativi
per rendere l’apparato pubblico capace, da una parte, di stimolare, dall’esterno, la cresci-
ta economica delle regioni depresse e, dall’altra di dare agli organismi locali maggiore ca-
pacità operativa. Questi tentativi si sono conclusi nel secondo dopoguerra, con la istitu-
zione della “Cassa” per le opere straordinarie di pubblico interesse nell’ Italia meridiona-
le (Cassa per il mezzogiorno), che ha rappresentato, certamente, il punto più alto e più
organico di differenzazione delle strutture amministrative rispetto all’intervento delle
aree sottosviluppate
32
.
L’istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridio-
nale meglio nota come Cassa per il Mezzogiorno, avvenuta con la legge 10 agosto
646/1950, segnò una svolta nella politica di intervento nell’area meridionale. Nei primi
anni cinquanta, quando l’intervento straordinario ebbe inizio, infatti, il Mezzogiorno
continuava ad essere un’ area arretrata, peraltro caratterizzata da un forte divario rispetto
al resto del paese. La spesa lorda procapite raggiungeva il 62% del livello del Centro-
Nord, il reddito lordo pro-capite ( escluse le importazioni ) il 57 % ; mentre la produtti-
vità globale il 64% . Prevalevano imprese di piccole dimensioni, a bassa capitalizzazione,
di orientamento tradizionalista e caratterizzate da scarse capacità manageriali. La disoc-
cupazione, così come l’emigrazione, erano elevate, mentre ben inferiore rispetto al cen-
tro – Nord
33
La bozza del disegno di legge fu preparata, tra il 1949 ed il 1950, da Dona-
to Menichella allora governatore della Banca d’ Italia, e da Francesco Giordano, i quali
erano previamente riusciti ad assicurarsi l’intervento finanziario della BIRS
34
La Banca
32
Cfr. Annesi A., Claroni A., L’intervento straordinario: diversificazione o uniformità organizzativa (a cura di), La
nuova disciplina dell’intervento straordinario nel mezzogiorno, il Mulino, Bologna, 1990.
33
Cfr. Marangiu G., La democrazia come problema, vol II, Politica, Società e Mezzogiorno, il Mulino, Bolo-
gna, 1994.
Cfr. Elias N., La società di corte, il Mulino, Bologna, 1980, pp.153.
Cfr. Briquet J-L, Clientelismo e processi politici, in “Quaderni storici” 1998, fascicoli 1, pag 16
34
BIRS è un organismo internazionale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, istituito il 27 dicembre
1945, insieme con il Fondo Monetario Internazionale, a seguito dell'entrata in vigore degli accordi della
conferenza di Bretton Woods (tenutasi tra il 1 ed il 22 luglio del 1944) con sede a Washington (USA), il
cui scopo originario era quello di finanziare la ricostruzione e lo sviluppo nei paesi coinvolti nella seconda
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
27
Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo o BIRS (meglio nota come Banca
Mondiale o World Bank nella dizione inglese) con prestiti pluriennali che andassero al di
là della fine degli aiuti del Piano Marshall. L’obiettivo della Cassa espressamente dichia-
rato nella relazione dei deputati tenuta da De Gaspari, riguardava quindi fondamental-
mente la reindustrializzazione di una area “depressa”, cioè scarsamente produttiva di
reddito “ non per effetto della guerra ma per complesse ragioni strutturali che da decen-
ni hanno esercitato la loro influenza”. Nella sua prima fase di vita la Cassa si occupò
quasi esclusivamente di opere pubbliche e di agricoltura, cui fu destinato il 77 %, mentre
11,5 % andò ad acquedotti e fognature, il 9% alle strade ed il 2’5 al turismo. Gli aiuti
all’industria, come si è detto, non erano inclusi tra le previsioni. A favore dell’ industria
si ebbe per la legge 298/1953, concernente la riorganizzazione o la creazione di tre isti-
tuti a favore delle imprese localizzate nel Mezzogiorno : L’ ISVEIMER (Istituto per lo
sviluppo economico dell’ Italia meridionale), l’IRFIS (Istituto regionale per il finanzia-
mento delle piccole e medie industrie della Sicilia ) e il CIS ( Credito industria sardo).
Questi ricevettero una dotazione a carico della Cassa. Mentre da una parte del “nuovo
meridionalismo” si valutavano come modesti i risultati raggiunti nella prima fase, e si
premeva per attribuire alla Cassa quelle funzioni di aiuto all’industria non incluse nella
legge 646/ 1950, l’aperta ostilità contro l’industrializzazione del Sud manifesta in am-
bienti confindustriali si modificò, non tanto nel 1955, dopo l’adozione dello “Schema
Vanoni” bensì nel 1957, in coincidenza con la stipula del Trattato di Roma.
35
in vista
guerra mondiale. Successivamente lo scopo è stato allargato al finanziamento dei paesi in via di sviluppo
tra gli stati membri, solitamente in cambio dell’adozione di politiche liberiste.
In base all’atto istitutivo, la Banca Mondiale favorisce la ricostruzione e lo sviluppo dei territori dei paesi
membri facilitando l'investimento di capitale a scopi produttivi; promuove l’investimento privato estero,
fornendo garanzie o partecipando a prestiti; integra l’investimento privato, erogando, a condizioni più fa-
vorevoli di quelle di mercato, risorse finanziarie da destinare a scopi produttivi.
Il funzionamento operativo della banca è assicurato dai versamenti delle quote a carico dei paesi membri.
Attualmente, le attività della Banca Mondiale sono focalizzate sul finanziamento dei paesi in via di svilup-
po in campi quali l’educazione, l’agricoltura e l’industria; la BIRS chiede in contropartita, ai paesi benefi-
ciari, l’attuazione di misure politiche tese, oltre che alla limitazione della corruzione ed al consolidamento
della democrazia, alla crescita economica in termini di PIL ed all'apertura di canali commerciali stabili con
l’estero.
35
Cfr. Casetta E., Manuale di Diritto Amministrativo, Giuffrè Editore, ultima edizione. Il trattato di Roma,
che istituisce la Comunità economica europea (CEE), firmato a Roma il 25 marzo 1957 ed entrato in vi-
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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delle scadenze del mercato comune, dopo un “impetuoso e non inflazionistico sviluppo
dell’economia italiana negli anni cinquanta”, consentito da “ un elevato volume di inve-
stimenti intensivi, che accrebbero la produttività piuttosto che l’occupazione
nell’industria esistente, e cioè sostanzialmente nell’industria del Nord”. Successivamente
con la legge 634/1957 si introdussero alcune novità molto rilevanti, che evidenziano la
scelta di un industrializzazione per poli, la durata della Cassa viene prorogata di ulteriori
cinque anni, fino al 1965. Successivamente con le leggi n.555/1959 e 1462/1962 : è stato
previsto la localizzazione degli investimenti in zone industriali ampliamento degli inter-
venti della Cassa a sostegno dei poli di industrializzazione mentre la legge “svolta” è la
n. 717/1965 che proroga l’attività della Cassa fino al 1980, ampli le sue competenze e
disponibilità finanziarie ; potenziando il Ministro per il Mezzogiorno.
1.3 - La fine della cassa e la crisi dell’intervento straordinario
La Cassa avrebbe dovuto concludere le proprie attività il 31 dicembre 1980. Cosi non fu,
perche tale termine fu reiteratamente prorogato, trascinandosi per otto decreti legge e
due leggi. Vi era ormai concordia sulla necessità di porre fine a tale esperienza. Alcuni
esponenti del mondo cattolico e di Confindustria erano invece più inclini alla trasforma-
zione della cassa in Banca di sviluppo. Nel 1983 con la legge 651, viene praticata una
svolta rispetto i precedenti di proroga, poiché effettuata una ricognizione dei contenuti
dell’intervento e, sempre in via provvisoria, lo circoscriveva a tre ambiti ( interventi or-
ganici, incentivi, assistenza tecnica e formazione), e lo sottoponeva ad un programma
triennale, definito dal Cipe su proposta del Ministro per il Mezzogiorno, sentita la
Commissione parlamentare
36
. Nel 1984 un dei tanti decreti legge di proroga (volto a
estendere l’operatività della Cassa venne soppressa e posta in liquidazione a far data dal
1° agosto 1984, con la conseguente nomina di un commissari liquidatore. Si dovettero
gore il 1 gennaio 1958, è stato firmato contemporaneamente al trattato che istituisce la Comunità europea
dell’energia atomica (Euratom). Si fa pertanto riferimento ai due trattati come ai trattati di Roma.
Cfr. Angelone C., Compendio di Diritto Amministrativo, Libreria Universitaria, Chieti, 2006.
36
Cfr. Barucci P., Ricostruzione, pianificazione e mezzogiorno. La politica economica in Italia dal 1943 al 1955, il
Mulino, Bologna, 1978.
Cfr. Bevilacqua P., Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento ad oggi, Donzelli, Roma 1997.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
29
attendere ancora due anni per una nuova normativa che reimpostasse l’intervento
straordinario. Nel contempo sul finire degli anni settanta cominciano ad essere messe in
circolo, soprattutto, alcune valutazione e previsioni ottimistiche dello sviluppo del Mez-
zogiorno, apertamente ispirate all’approccio in termini di sviluppo autoctono” non in
tutto il Mezzogiorno, bensì in diverse aree caratterizzate da maggior dinamismo, stavano
emergendo, secondo tale analisi, sia nuove iniziative imprenditoriali locali, soprattutto di
piccole dimensioni (e spesso “sommerse” in tutto in parte, sia nuove iniziative socio-
politiche, riconducibili al decollo delle amministrazioni regionali e in genere meridionali.
La nuova filosofia di intervento che veniva presenta come necessaria, oltre, indicava
come obiettivo la promozione della competitività delle aziende, che andavano indotte ad
adottare “innovazioni di prodotto, di processo, di organizzazione, di finanza, di marke-
ting”, ad elevare la qualità dei quadri tecnici e del management ad i avvalersi di informa-
zioni, consulenze, servizi appositamente predisposti. Viene così adottata la legge n.
64/1986 che si presentò come la “ nuova disciplina organica dell’intervento straordina-
rio”. Molte furono le novità introdotte, tra cui la previsione di una forma di program-
mazione, al cui vertice vi era la CIPE, articolata in programmi triennali, che, imperniati
sul’idea di uno “sviluppo auto centrato”, individuano obiettivi di medio e lungo periodo
e azioni organiche, e piani annuali di attuazione, comprendenti progetti operativi presen-
tati da regioni, amministrazioni statali ed alti enti pubblici; l’allocazione di almeno 10.000
miliardi annui in lire correnti e di 120.000 complessivi per il periodo 1985-93 ; il raffor-
zamento della posizione del ministro per il Mezzogiorno con l’attribuzione di funzioni
propositive circa il coordinamento degli interventi (poi deliberati dal CIPE) e con la
creazione di un apposito dipartimento, competente anche per la valutazione economica
dei progetti da inserire nei piani annuali. ; l’attribuzione al CIPE del compito di delimita-
re l’area di intervento (con riguardo a tale punto, la legge n. 64/1986 fu oggetto di un
contenzioso con la CE per infrazione nella normativa sugli aiuti pubblici alle imprese); la
ridefinizione dell’oggetto medesimo, nel quale si trovano adesso inclusi una gamma di
aspetti che vanno dall’agevolazione di “produzioni sostitutive di importazioni” al “rie-
quilibrio territoriale interno, alla valorizzazione delle risorse locali e al miglioramento
della qualità della vita, alla riqualificazione delle istituzioni locali economiche, tecnico-
scientifiche e culturali, formative e amministrative. Il nuovo intervento straordinario di
caratterizzava per la presenza di una pluralità di attori. Mentre la formula precedente era
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
30
fondata sulla prevalenza della Cassa che concentrava in sé programmazione, finanzia-
mento ed esecuzione dell’intervento con la nuova legge le tre funzioni furono attribuite
a soggetti diversi: la prima alla interazione tra ministro, dipartimento e regioni, la secon-
da all’Agenzia; la terza ad una struttura esecutiva “aperta” che di volta in volta com-
prendeva enti pubblici (i quali avrebbero poi effettuato l’esecuzione attesa secondo le
proprie normative) e, talora, privati. La nuova programmazione, che avrebbe dovuto
avere un andamento dal basso verso l’alto correva il rischio di produrre piuttosto una
situazione in cui i progetti e i piani, lungi dall’essere concepiti e coerentemente attuati
sulla base di scelte strategiche di fondo, erano il risultato dell’accumulazione di proget-
ti
37
valutati in teoria dall’amministrazione, in pratica da istituti di credito convenzionati
38
.
La realtà concreta andò oltre tali previsioni : vi furono casi in cui le regioni meridionali
non presentarono alcun progetto ( ad esempio con riguardo all’azione organica relativa
alla gestione delle risorse disponibili rimasero inutilizzate. La soluzione prospettata dalla
legge era quella di “accordi di programma”, volti ad ottenere il coinvolgimento di tutti i
soggetti in diverso modo competenti, il coordinamento degli interventi, la velocizzazio-
ne della loro attuazione. L’ultima legge considerata fu dunque un eclatante fallimento,
l’intervento straordinario dalla legge 1° marzo n. 64 si trova impossibilitato a svolgere la
sua funzione più importante, come è reso evidente dall’esperienza, compiuta in oltre
quattro anni di attuazione della legge. Nel 1991, prima ancora che si concludessero i no-
ve anni in cui avrebbe dovuto espletarsi la sua azione, in un clima politico-culturale pro-
fondamente mutato, un comitato referendario preseduto da Massimo Severo Giannini,
cui si accodò la Lega Nord, promosse un referendum abrogativo dell’intervento straor-
dinario. Con il D.p.r 6 agosto 1984: vi fu la soppressione e liquidazione della Cassa sop-
pressione dell’intervento straordinario e infine con la legge la n.64/1986: nuova “disci-
plina organica dell’intervento straordinario”, programmazione policentrica, al cui vertice
sta il CIPE; nuova “Agenzia per la promozione dello sviluppo nel Mezzogiorno” che
37
Cfr. Arias G., La questione meridionale, Zanichelli, Bologna 1921.Progetti “i piani furono in sostanza lun-
ghissimi elenchi di una molteplicità di opere di ridotta dimensione e spesso privi di adeguata progettazio-
ne, i progetti di grandi infrastrutture intersettoriali e interregionali spesso non furono altro che una mera
indicazioni di interazioni”.
38
Bevilacqua P., Breve storia dell’Italia meridionale dall’Ottocento ad oggi, Donzelli, Roma 1997.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
31
succede alla Cassa, infine con la legge 488/1992 vi fu la soppressione dell’intervento
straordinario.
1.4 - La questione meridionale: le interpretazioni economiche
Da Pasquale Villari (1826-1917) ad Antonio Gramsci (1891-1937) il Mezzogiorno viene
letto soprattutto nei termini di un grande problema sociale e, pur nella diversità delle in-
terpretazioni, l’analisi prende le mosse abitualmente dalla sua condizione materiale. “Per
il primo meridionalismo, definito “classico”, la Questione del Mezzogiorno consiste nel-
la mancata integrazione dell’economia del Sud nel processo di sviluppo capitalistico,
mentre per le correnti d’ispirazione marxista - questa integrazione è avvenuta, ma nei
modi peculiari con i quali il capitalismo avanzato subordina a sé l’economia dei paesi ar-
retrati, rendendola funzionale al suo sviluppo”. In entrambi i casi la lettura del Sud in
termini di arretratezza - vista talvolta come divario d’origine rispetto alle regioni setten-
trionali del paese, altre volte come frutto del processo di unificazione gestito dallo Stato
unitario - ha come riferimenti il modello economico liberale, nato dalla rivoluzione in-
dustriale che determinò anche una profonda trasformazione dei rapporti sociali, e
un’impostazione culturale idealistica, che giudica la storia del Mezzogiorno secondo il
parametro della crescita della coscienza civile, che sarebbe giunta a maturazione solo
grazie al Risorgimento. Il Meridione d’Italia viene valutato, dunque, in ragione della sua
devianza da quei modelli e viene descritto in termini d’individualismo e di carente spirito
civico, di arretratezza tecnologica e di resistenza alla modernizzazione, di corruzione e di
clientelismo, utilizzando le dicotomie sviluppo/sottosviluppo e progresso/arretratezza
come indicatori del livello raggiunto rispetto a una scala ideale da percorrere.
Il dibattito sulla questione meridionale ebbe inizio nel 1873, quando un deputato al Par-
lamento di Roma, usò per la prima volta questo termine. Per il Nord, ed in particolare
per i Piemontesi, era difficile capire quale era la dimensione globale del problema del
Mezzogiorno e ritenevano anzi, che si trattasse di un malessere di dimensioni locali, cau-
sato dai briganti, dallo schiavismo dei bambini, dai latifondisti, dalla fame, dalla mancan-
za di acqua e dalla disperazione sociale delle città. Al momento dell’Unità d’Italia però si
scopriva che essa era comunque divisa in due parti che non avevano i presupposti per
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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integrarsi spontaneamente: il Sud era essenzialmente agricolo e non aveva prodotti che
interessassero al Nord, che nell’età giolittiana aveva sviluppato l’industria siderurgica,
idroelettrica e meccanica. Inoltre, il Sud, non poteva fornire neanche i suoi prodotti
agricoli, perché il Nord aveva un’agricoltura ancora più sviluppata. Se nel settore prova-
to il Sud tentò di sviluppare culture pregiate come viti, olivi ed agrumi, il Nord era da
tempo anche dedito all’allevamento bovino. Investire nel Mezzogiorno, in un’economia
precaria come quella del neonato Stato Italiano, avrebbe dunque significato, una scelta
politica lungimirante ma senza immediato “ritorno” economico. Stante il sistema eletto-
rale, la situazione politica non poteva che fotografare le differenze tra il “paese legale”
ed il “paese reale”, senza capacità di intervenirvi, dato che la classe politica era in buona
parte espressione degli interessi di un ceto sostanzialmente omogeneo in cui i latifondisti
del Sud e gli agrari del Nord tendevano a mantenere i propri privilegi, non certamente a
migliorare la situazione dei contadini e dei braccianti. Gli stessi partiti di opposizione,
infine, erano espressione della classe operaia, nata al Nord con il nascere dell’industria
moderna e dei braccianti padani, assai differenti per situazione culturale e sociale da
quelli meridionali.
La “questione meridionale”
39
, trovò comunque, nel periodo giolittiano un parziale sfogo,
sia con qualche tentativo, ma poco organico, di investimenti per lo sviluppo
dell’industria, sia grazie all’aumento dell’occupazione nella burocrazia che dava spazio ai
giovani in possesso di qualche titolo di studio. Come conseguenza, nello stesso Mezzo-
giorno, si allargava la distanza tra la disperazione dei contadini, che avevano come unica
prospettiva l’emigrazione e l’assorbimento del vecchio notabilato nel pubblico impiego e
nelle professioni. Il Sud dava all’Italia, figure di intellettuali (Verga, Pirandello ecc..) ed
emigranti, assieme ad un contributo fiscale proporzionalmente superiore a quello del
ricco Nord: un patrimonio immenso di cui ben poco sarebbe ritornato all’origine.
Nell’Italia di fine Ottocento la “questione sociale” non era dunque una espressione della
storiografia, ma aveva significati molto concreti: fame, mortalità infantile, analfabetismo,
emigrazione, accattonaggio, vita di stenti, in cui la dignità veniva continuamente calpe-
39
Cfr. Villari P., Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Guida, Napoli 1979.
Cfr. Pasquale Villari, Scritti su mafia, camorra e brigantaggio, Vallecchi, Firenze 1995.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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stata
40
. In questo contesto, gli investimenti dello Stato nell’agricoltura, erano praticamen-
te inesistenti: la politica di pareggio del bilancio e di ammodernamento del paese, fece sì
che gli unici impegni finanziari pubblici fossero quelli per le ferrovie e per il rafforza-
mento dell’esercito. Qualcuno sostenne che: “L’Italia politica ha saccheggiato quella
agricola”. Solo il tempo e l’evolvere delle vicende storiche avrebbero in seguito indotto
cambiamenti nel modo di governare, facendo nascere tra i lavoratori, nuove e più co-
scienti lotte per l’affermazione dei propri diritti”.
1.5 - La questione meridionale: brigantaggio e il divario tra Nord e Sud
Il distacco tra Nord e Sud si era già manifestato in forma gravissima sin dai primi giorni
dell’Unità, con un fenomeno che investì l’intero Meridione tra il 1861 ed il 1865 : il bri-
gantaggio
41
. Le sue cause erano antiche e profonde, ma la delusione creata dal passaggio
40
Cfr. Villari P., Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Guida, Napoli 1979. Nel 1884
per quanto riguarda le malattie, il colera uccise 80 mila persone. Nel 1883, venne istituita la Cassa Nazio-
nale di Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in base a contributi valutari, lasciando però intatto il
principio che l’imprenditore non aveva nessuna responsabilità verso la sicurezza dei suoi salariati; mentre
il cottimo nell’industria tessile lasciava una scia di mutilati alle dita ed alle mani e nell’edilizia, i manovali
lavoravano su ponteggi senza protezione né ripari e mentre nelle solfare l’attività si svolgeva in totale as-
senza di prevenzione degli incidenti ed in condizioni igienico-sanitarie subumane. Nel 1886, fu emanata la
prima regolamentazione del lavoro infantile, che li sottraeva, almeno sulla carta, allo schiavismo puro e
semplice: i bambini sotto i dodici anni, non potevano lavorare più di otto ore, quelli minori di nove anni
non potevano essere impiegati nell’industria e quelli minori di dieci anni non potevano lavorare in minie-
ra. Nelle campagne, tanto padane quanto meridionali, il sistema di produzione agricola vedeva pochi
grandi proprietari o latifondisti contro decine di migliaia di contadini o braccianti, pesantemente colpiti
dall’imposizione della tassa sul macinato, mentre le “migliorie” tecniche all’agricoltura di montagna porta-
rono a disboscare 2 milioni di ettari, condannando alla fame, una popolazione che spesso dipendeva dal
bosco per l’alimentazione. La confisca e la successiva vendita dei beni ecclesiastici, intervenne poi a di-
struggere un’economia di sussistenza legata a miseri diritti tradizionalmente riconosciuti dalla Chiesa alle
comunità rurali, di prelevare la legna caduta, raccogliere i frutti del bosco e fare pascolare le pecore.
41
Cfr. La Spina A., La politica per il Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 2003. Brigantaggio: Forma di banditi-
smo caratteristica delle situazioni di instabilità sociale e politica. Già presente nel mondo romano nella
tarda età repubblicana e, più accentuato, nel basso impero, si manifestò in forma virulenta con la crisi fi-
nale del feudalesimo. In Germania tra Quattrocento e Cinquecento ne furono promotori spesso la piccola
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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garibaldino prima e dall’accen-tramento amministrativo poi, erano i motivi più recenti di
questo fenomeno. La situazione si aggravò subito dopo la vendita all’asta dei beni de-
maniali ed ecclesiastici. I compratori appartenevano prevalentemente alla nuova borghe-
sia rurale che si stava rivelando ancora più avara e tirannica dei vecchi padroni.
L’aggravarsi delle condizioni dei contadini causò la ripresa dei disordini che in pochi
mesi assunsero le proporzioni di una vera e propria guerriglia
42
. In Calabria, Puglia,
Campania, Basilicata, bande armate di briganti iniziarono nell’estate del 1861 a rapinare,
uccidere, sequestrare, incendiare le proprietà dei nuovi ricchi. Si rifugiavano sulle mon-
tagne ed erano protetti e nascosti dai contadini poveri; ma ricevettero aiuto anche dal
clero e dagli antichi proprietari di terre che tentavano, per mezzo del brigantaggio, di
sollevare le campagne e far tornare i Borboni. Ma chi erano i briganti e per che cosa
combattevano? Il grosso delle bande era costituito da braccianti, cioè contadini salariati
esasperati dalla miseria; accanto ad essi lottarono anche ex garibaldini sbandati, ex solda-
ti borbonici e numerose donne audaci e spietate come gli uomini. All’inizio essi combat-
terono per due scopi l’uno in contrasto con l’altro:
ottenere la riforma agraria che Garibaldi non aveva concesso deludendole loro spe-
ranze;
impedire la realizzazione dell’Unità d’Italia per far tornare i Borboni, cioè proprio
quei Re che avevano sempre protetto i latifondi delle nobiltà e della Chiesa, negando
ogni riforma.A creare questa confusione agivano numerosi fattori, tutti comprensibili:
l’odio per i nuovi proprietari, sfruttatori di manodopera come e più dei precedenti e
per giunta venuti dal basso e quindi ancora più inaccettabili dell’aristocrazia, “voluta dal
destino e da Dio”;
feudalità e i cavalieri. Alla fine del XVI secolo in Abruzzo e in Calabria si diedero al brigantaggio contadini
angariati dal fisco e dai baroni. Fu fenomeno endemico, dal XVI secolo, nei domini ottomani, soprattutto
in Albania. Nel Mezzogiorno d'Italia si ripresentò tra fine Settecento e primi dell'Ottocento in un intreccio
di motivazioni sociali (la rivolta dei contadini contro i “galantuomini”), nazionali, religiose e politiche. Re-
presso duramente, sotto Murat, dal generale Manhès, ricomparve con caratteristiche di massa dopo
l’unificazione italiana, quale espressione del disagio dei contadini poveri.
42
Cfr. Pavolini E., Le nuove politiche sociali. I sistemi di Welfare tra istituzioni e società civile, il Mulino, Bologna,
2003.
ANGELA CARBONE, Il Mezzogiorno e la questione meridionale oggi: mafie, legalità e terzo settore
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l’incomprensione per le leggi del nuovo Stato, che apparivano non “italiane”, come
dicevano i garibaldini, ma “piemontesi”, cioè altrettanto straniere quanto lo erano appar-
se quelle austriache ai Lombardi;
la protezione concessa da ecclesiastici e aristocratici, necessaria i briganti per so-
pravvivere, ma condizionata dalla fedeltà al Re di Napoli in esilio;
infine l’equivoco che lo Stato Italiano “laico e liberale”, fosse in realtà uno stato
ateo, cioè uno stato senza-dio, pronto a distruggere le chiese e a eliminare i preti offen-
dendo la profonda religiosità delle masse contadine meridionali.
I briganti, quindi, non furono “criminali comuni”, come pensò la maggioranza degli ita-
liani, ma un esercito di ribelli che, all’infuori della violenza privata, non conoscevano al-
tra forma di lotta. Tenuti per secoli nell’ignoranza e nella miseria, i contadini meridionali
non avevano ancora maturato una conoscenza politica dei loro diritti e non riuscivano
ad immaginare alcuna prospettiva di cambiamento attraverso i mezzi legali.
Questa sfiducia in ogni forma di protesta e di lotta organizzata fu il nucleo della vera
“Questione Meridionale”
43
. L’esteso fenomeno del brigantaggio ne fu solo una dramma-
tica conseguenza. Lo Stato Italiano rispose con una vera e propria guerra a questa rivolta
sociale che, nelle sue manifestazioni ampie, durò oltre quattro anni: alle truppe già stan-
ziate nel Sud al comando del generale Cialdini, il governo ne aggiunse altre, cosicché nel
1863 ben 120.000 soldati erano impegnati nella lotta al brigantaggio: quasi la metà
dell’esercito italiano. Nello stesso anno venne dichiarata la legge marziale: processi
sommari, fucilazioni, incendi e saccheggi furono gli strumenti impiegati da Cialdini
nell’opera di repressione, non solo contro i briganti, ma contro tutti i loro fiancheggiato-
ri. Migliaia di morti in scontri armati e altrettante pene capitali o alla prigione a vita fu-
rono il tragico bilancio finale.Nel 1865 il brigantaggio era stato praticamente sconfitto.
Lo Stato aveva vinto la sua guerra, ma compiendo proprio gli errori che Cavour aveva
cercato di scongiurare. Dopo la repressione e la legge marziale, la frattura tra il Sud ed il
resto dell’Italia non fece che approfondirsi.Le classi povere, soprattutto contadine, im-
maginarono spesso i briganti come degli eroi popolari e anche nella stampa dell’epoca
furono proposte figure di briganti “buoni”
44
.
43
Cfr. Barone G., Stato e Mezzogiorno (1943-1960), in Storia dell'Italia repubblicana, coordinatore F. Barbagal-
lo, vol. I, Utet, Torino 1994.
44
Cfr. Rosoli G., Un secolo di emigrazione italiana. 1876-1976, Centro studi emigrazione, Roma, 1978.