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Europa nel Duemila avrebbero usato la telematica per lavorare da
casa, ad oggi questa cifra arriva a poco più di un milione. Le città
sono destinate ad essere soltanto agglomerati di abitazioni, ciascuna
delle quali avrà al suo interno una piazza virtuale, una finestra –al
plasma- sul mondo?
Si tratterà di affrontare il discorso tentando di superare la
contrapposizione città/nuove tecnologie, considerando questi termini
in un rapporto d’interazione.
Lo studio della città è lo studio della società, se come sostiene
anche Giddens, la città è un sistema sociale completo anche se
collegato con altre unità in sistemi di ordine superiore.
Questo sistema è in un certo senso minacciato, nel suo contesto
di base, proprio dalle nuove tecnologie e dalla spersonalizzazione dei
rapporti sociali che esse recano con sé. E’ di nuovo facendo ricorso
ad una contrapposizione, quella classica tra Gemeinschaft e
Gesellshaft proposta da Toennies, che si può schematicamente
analizzare e spiegare il mutamento sociale che ci ha portato allo
stato attuale.
Toennies distingue, all’interno della dicotomia comunità – società e
precisamente con riferimento al primo dei due termini, la “comunità
di luogo”. Tenendo ben presente che la caratteristica principale della
comunità, così come viene intesa da Toennies, è di essere il prodotto
della volontà organica che dà vita a rapporti personali concreti
fondati su legami sentimentali e valori profondi, la comunità di luogo
ha la sua espressione diretta nell’abitazione comune. Quest’ultima
predispone a delle attività ed esperienze comuni anche con individui
che non sono legati da vincoli di parentela, ma che si trovano uniti
da vincoli amicali.
Nella società, sempre secondo la teoria di Tonnies, gli uomini pur
vivendo gli uni accanto agli altri, sono separati e i rapporti sono di
tipo contrattuale, impersonali.
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In effetti, se guardiamo al tipo di società che le previsioni di
informatizzazione più estrema ci delineano con estrema accuratezza,
sembrerebbe che la città sia destinata a divenire superflua e che in
essa i rapporti interpersonali siano destinati a ricalcare sempre di più
la visione di Tonnies, trasformandosi da occasione di socializzazione
a contatti estemporanei e tendenzialmente utilitaristici.
Se fosse veramente così, ci sarebbe da allarmarsi e da rivedere
tutto il significato del progresso tecnologico, ma a ben vedere questi
scenari sono molto più irreali di molte conquiste tecniche cui l’uomo
anela con tanta caparbietà.
Cambieranno i luoghi e i tempi, ma ci sono costanti che si
ripresenteranno ancora, e in questo senso ha valore un discorso che
coinvolga i mezzi di trasporto, poiché distinguendo tra quelli
collettivi e l’automobile, è possibile riproporre la questione della
disgregazione dei rapporti sociali in termini più moderni, laddove
l’automobile assurge ad elemento che contribuisce ad isolare
l’individuo, mentre al trasporto collettivo si affida il compito di
riequilibrare la struttura delle relazioni sociali, assumendo come
centrale il ruolo da essi ricoperto nella ridefinizione della comunità.
Già nelle città industriali dell’epoca vittoriana si gettò la base per
i servizi collettivi che oggi sono elementi fondamentali del vivere
nella società industriale e tra essi un particolare significato lo
rivestirono e lo rivestono tuttora i treni e le stazioni, simboli del
progresso e per la cui costruzione si affrontarono spese degne delle
cattedrali di un tempo: basti pensare alle stazioni londinesi o a
quella d’Orsay, costruita nel 1900 da Victor Laloux per l’Esposizione
Universale e che oggi ospita uno dei musei più belli di Parigi.
Anche i lavori odierni di ristrutturazione o di ampliamento
tendono a trasformare le stazioni in qualcosa di più complesso e di
potenzialmente aggregante, proprio come una piazza, alla quale il
pubblico accede in virtù dell’utilizzo dei mezzi di trasporto.
9
A Parigi è stata inaugurata, il 15 ottobre 1998, Meteor, la linea di
metropolitana più hi-tech al mondo, completamente automatizzata e
dal design incredibilmente elegante ed accogliente.
Nel 1999 è stata la volta di Londra e della sua Jubilee Line, che
collega Westminster a Stratford e riflette quello che è lo stato lo
spostamento del baricentro della città verso est, in virtù del progetto
speculativo di Canary Wharf, che ha occupato buona parte dei
Docks, un tempo cuore commerciale del British Empire.
L’intenzione che ha guidato gli architetti che hanno realizzato
l’ultima linea dell’Underground londinese, è stata quella di far
diventare il viaggio in metropolitana una vera esperienza per i
passeggeri, i quali avranno a loro disposizione delle strutture
totalmente nuove rispetto al passato, non soltanto in termini di
efficienza.
Ciò cui si è lavorato maggiormente è stato il cambiamento nella
percezione del trasporto e dei luoghi ad esso destinati; non più
impianti nascosti dietro pannelli modulari, ma costruzioni nelle quali
gli assetti sono ben visibili e riescono a far comprendere la
profondità cui ci si trova.
E in Italia? L’opera di ristrutturazione più importante in questo
settore è stata senza dubbio quella che ha fatto rinascere Termini, la
stazione principale di Roma, facendola diventare una vera e propria
“città dei viaggiatori”.
Inaugurata nel gennaio scorso, dopo 14 mesi di lavori e 325
miliardi di spesa, oggi Termini è qualcosa di più di una stazione;
anzitutto riesce a legare in modo armonioso le testimonianze
storiche custodite nelle sue viscere (parti delle mura Serviane,
reperti della residenza suburbana di Lucio Ottavio Felice, reliquie
della Roma imperiale) con l’impianto moderno e lineare del centro
commerciale.
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“Una piazza dove poter fare shopping, consultare libri, vivere”
questa frase è stata pronunciata, il giorno dell’inaugurazione,
dall’amministratore delegato delle FS, Giancarlo Cimoli. Essa, al di là
di quelle che possono essere le considerazioni sull’intento
promozionale di chi l’ha pronunciata, esprime lo stesso concetto che
anche nel caso di altre inaugurazioni di opere simili è stato ribadito:
luoghi del vivere comune assolutamente nuovi, o meglio antichi nel
senso classico della loro funzione primaria, ma nuovi nelle attività
collaterali che le animano e le rinnovano.
E all’interno di queste nuove piazze, i protagonisti sono i mezzi di
trasporto, tramite i quali le persone approdano verso i nuovi centri
delle città. Poteva l’advertising lasciarsi scappare questa
opportunità? Pur con tutte le perplessità e le resistenze che da
sempre accompagnano l’ambiente pubblicitario, l’affissione dinamica
si è fatta strada, principalmente su autobus e tram, per poi
coinvolgere negli ultimi anni, ogni mezzo che viaggi per mare, per
terra, per aria.
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Introduzione
La transit advertising, conosciuta in Italia come pubblicità
dinamica, rientra nella più ampia categoria della pubblicità esterna,
della quale fanno parte
“… tutte le forme di comunicazione pubblicitaria che possono essere
sfruttate lungo la strada e all’aperto […] Differentemente poi da tutti
gli altri mass media che supportano la pubblicità, essa è l’unica
forma pubblicitaria “pura”, nel senso che supporta se stessa.”
1
Le sue origini vanno cercate indietro nel tempo, e addirittura c’è chi,
come Marcel Fitoussi, fa risalire in qualche modo la sua genesi ad un
episodio biblico, e cioè a quando Dio parlò a Mosè sul Monte Sinai. I
Dieci Comandamenti, sui quali venne fondata la morale universale,
furono incisi sulle tavole di pietra, e dunque trasmessi attraverso un
mezzo assai simile a quello che molti secoli più tardi sarebbe stato
usato dai pubblicitari per promuovere prodotti di consumo.
Secondo Fitoussi sarebbe stata proprio l’ambientazione, con la
montagna sacra da cui si levava un fumo intenso, il cespuglio
ardente, i terribili temporali, ad attribuire al messaggio una tale
risonanza. Un meraviglioso quanto terrificante scenario, concepito
per persuadere; uno spettacolo mitico, così come quelli che
oggigiorno tentano di ricreare i pubblicitari, i quali con l’affissione
hanno a disposizione uno strumento che, per le sue enormi
dimensioni, permette di rappresentare un’immagine o un messaggio
(o entrambi) in un formato che non può essere esibito né dalla
televisione, né dalla stampa.
Indubbiamente quello proposto dallo studioso francese è un
accostamento suggestivo, benché piuttosto azzardato; il tipo di
persuasione che Dio voleva ottenere è difficilmente paragonabile agli
1
F. Brigida, L. Francia, P.B. Di Vesme “La pubblicità in Italia”, Lupetti, Milano 1993, pag.111
12
intenti che muovono i creativi delle agenzie pubblicitarie, anche se
alcuni di loro spesso danno l’impressione di credersi dei padreterni.
Del resto, lo stesso Mc Luhan, nella sua distinzione tra media caldi e
freddi caratterizza questi ultimi – tra cui inseriamo a pieno titolo
l’affissione – per il fatto che essi implicano un completamento da
parte del pubblico per mezzo di un largo impiego
dell’immaginazione.
Ad ogni modo, com’è noto, l’esterna si è sviluppata con i primi
commerci, con la nascita delle prime botteghe e a tal riguardo basta
pensare alle iscrizioni pubblicitarie di Pompei ed Ercolano.
Il momento d’oro dei manifesti è la fine del Settecento, quando a
crearli sono gli artisti più conosciuti ed apprezzati, che promuovono
in questo modo spettacoli teatrali e circensi; il secondo dopoguerra
invece, con lo sviluppo dei consumi e il boom economico, segna la
fine del manifesto d’autore, mentre nascono nuove forme di esterna.
Le caratteristiche della pubblicità esterna sono essenzialmente una notevole
visibilità, la possibilità di essere vista più volte - esercitando un’azione di rinforzo-
, il fatto di non richiedere all’audience nessun tipo di sforzo e infine la possibilità di
concentrazione in aree geografiche ben precise.
Quest’ultimo punto in particolare può in un certo senso smentire
coloro che ritengono sia impossibile per l’esterna raggiungere
selettivamente un target. Infatti, tra gli elementi che rivestono
grande importanza per questo mezzo ci sono proprio il target group
e l’habitat, da considerare in stretta relazione funzionale. A seconda
del luogo dove vengono posizionati i manifesti, essi potranno
raggiungere un’audience più o meno ampia e più o meno specifica,
nel senso che sarà possibile promuovere prodotti sia di massa che di
nicchia.
Ma al di là del dove si colloca un manifesto, è altrettanto
importante, quanto discriminante, come lo si colloca; essendo un
mezzo che non viene fruito attraverso una scelta autonoma
13
dell’individuo, ma si “impone” ad esso, è necessario evitare l’effetto
marmellata - quindi un eccessivo affollamento su impianti troppo
vicini fra di loro – nonché l’affissione abusiva su posti impensabili e
anche controproducenti (viene da pensare ad una candidata alle
elezioni regionali dello scorso aprile, i cui manifesti furono affissi
anche sui cassonetti dell’immondizia…) e, per ultimo, l’elemento
cromatico che porta all’accostamento di manifesti di uno stesso
colore, rendendo più alta la probabilità di dispersione.
I pochi cenni sopra descritti non sono sicuramente esaustivi di
tutte le caratteristiche e le problematiche legate al segmento
dell’esterna e alla sua pianificazione all’interno di una più articolata
strategia pubblicitaria. Il nostro intento principale però rimane la
trattazione di un settore specifico della pubblicità esterna che è la
transit advertising.
Nelle pagine che seguono ripercorreremo molte tappe
significative della nascita e dell’affermazione di questo mezzo, non
soltanto nel nostro paese.
La scelta di dedicare ampio spazio alla Gran Bretagna e agli Stati
Uniti, deriva da due semplici osservazioni: la Gran Bretagna è un
paese nel quale i mezzi di trasporto hanno avuto una diffusione
significativa e una portata innovativa considerevole (non
dimentichiamo che la prima metropolitana fu costruita a Londra); gli
Stati Uniti sono il paese in cui la pubblicità, fin dagli albori, è stata
qualcosa di più di uno strumento di marketing.
La transit advertising comprende tutta la pubblicità inserita sui
mezzi di trasporto e sebbene noi attribuiamo questa definizione
soprattutto ai mezzi di trasporto pubblico, dobbiamo ricordare che
l’affissione dinamica è stata spesso inserita su veicoli appositamente
noleggiati per questo scopo oppure su veicoli di trasporto quali
camion o furgoni per la consegna delle merci.
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Soprattutto in Francia sono molte le società che si occupano di
affissione mobile urbana facendo ricorso a delle comuni utilitarie o a
furgoni che affiancano al ruolo della consegna di una determinata
merce, la pubblicità della stessa sulle fiancate dei furgoni; bisogna
aggiungere che la dinamica sui mezzi di trasporto pubblico Oltralpe è
un fenomeno relativamente recente avendo avuto un’impennata
considerevole durante i Mondiali di calcio del 1998, disputati proprio
in Francia.
Certo, i dati che mettono a confronto gli investimenti sui vari
mezzi di comunicazione, vedono ancora una indiscussa prevalenza
della televisione; tuttavia è vero anche che le grandi aziende
cominciano a rendersi conto di come il pubblico televisivo, almeno
quello della tv generalista, sia sempre più indistinto e più
difficilmente targettizzabile. Senza contare che creativamente, è
sempre più complicato riuscire nell’intento di stupire l’audience
senza correre il rischio di trovate al limite del buon gusto; ecco
allora che ci si rivolge a modalità di promozione alternative tra le
quali quelle che hanno per protagoniste i mezzi di trasporto
suscitano un enorme interesse.
La “crisi” della tv più che riguardare i numeri interessa l’immagine
stessa del mezzo, sempre più in crisi di contenuti e sempre meno
convincente, al punto che rischia di indebolire anche il contenuto
delle campagne.
Senza contare che giocando d’astuzia e producendo iniziative
clamorose (come le decorazioni degli aerei da parte di Nestlè e
Bulgari) ci si assicura un’ampia copertura –gratuita- anche sui mezzi
di comunicazione “classici”.
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La transit advertising non viene usata solamente per la
promozione di prodotti di consumo; molte campagne di pubblica
utilità, di promozione culturale o anche di propaganda elettorale si
sono avvalse del mezzo dinamico.
Come non ricordare il pullman con cui Prodi riuscì ad arrivare fino a
Palazzo Chigi? L’iniziativa fu ripresa da Arturo Parisi, braccio destro
dell’ex Presidente del Consiglio, nel 1999 in occasione delle elezioni
suppletive: un manifesto itinerante, un’occasione per fissare nella
memoria degli elettori un nome, un simbolo, uno slogan.
La scelta dei partiti politici di usare i mezzi di trasporto per fini
elettorali - a tale riguardo va menzionata anche la “Nave Azzurra” di
Forza Italia messa in acqua in occasione delle elezioni regionali dello
scorso aprile - è giustificata dal fatto che il mezzo di trasporto e le
idee che vi sono connesse di viaggio e movimento, sono tutti
concetti positivi e riescono a trasmettere l’intento di far muovere
verso il progresso l’intero paese.
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Capitolo1 - La pubblicità autofilotranviaria
L’introduzione della pubblicità autofilotranviaria in Italia e
precisamente a Milano, si deve a Fernand du Chène de Vère
fondatore nel 1886 della prima azienda italiana di pubblicità sui
mezzi di trasporto pubblico, la F. du Chène & C..
L’istituzione del servizio di trasporto pubblico urbano nel capoluogo
lombardo risaliva già agli inizi della dominazione napoleonica (1801)
e veniva realizzato mediante fiacres
2
.
Dopo il successo iniziale di questi mezzi, dovuto alla novità del
sistema, cominciarono ad essere sollevate le critiche verso i
concessionari, rei di variare le stazioni di partenza in modo irregolare
e di fare oscillare le tariffe a seconda di pretese altrettanto
arbitrarie.
L’esigenza di un sistema di trasporto pubblico migliore si fece più
urgente dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1805 e
l’elevazione di Milano a capitale evento che rese necessaria
l’intensificazione dei collegamenti dentro e fuori dal regno.
Il viceré Eugenio Beauharnais autorizzò, con un decreto del 30
dicembre 1812, la costituzione di un’impresa di trasporti che
tendesse a monopolizzare i servizi esterni per meglio coordinarli e
svilupparli: nel 1813 nacque l’IMPRESA GENERALE delle DILIGENZE
e MESSAGGERIE, che attivò su una rete estesa centinaia di
chilometri un servizio di vetture a cavalli.
Nel 1827 fecero la loro comparsa vetture più agili e veloci, i
velociferi e gli omnibus; i primi introdotti in Italia dall’Inghilterra
vennero impiegati per percorrere distanze relativamente lunghe (la
prima linea dove iniziarono il servizio è la Milano-Lodi, due ore e
2
Fiacre è il nome di una carrozza pubblica trainata da cavalli; deriva dal nome di San Fiacre,
eremita irlandese del sec. VII, a cui si intitolava a Parigi una locanda dove le vetture da
noleggio avevano la loro rimessa.
18
mezzo di viaggio), mentre i secondi erano adatti per percorsi più
brevi. Il servizio omnibus negli anni seguenti conobbe un rapido
sviluppo, diventando un motivo d’orgoglio per la cittadinanza, oltre
che un elemento disciplinante nelle abitudini domestiche: la regolare
frequenza del mezzo di trasporto faceva da lancetta del quadrante
della vita cittadina.
L’anno 1860 segnò l’inizio di un periodo di trasformazione per la città
e naturalmente i mezzi di trasporto furono uno dei settori che
vennero investiti dal bisogno di rinnovamento, sotto l’impulso dei
cittadini che chiedevano l’attivazione di un regolare servizio di
vetture che circolassero tutto il giorno ad intervalli brevi. Le soluzioni
erano due: tramways oppure omnibus; i primi correvano su binari e
erano già stati attivati in America e nell’Europa centrale, riscuotendo
un vivo successo. I secondi correvano su fondo stradale e meglio si
adattavano alla morfologia del territorio; quindi il 28 giugno 1861 si
costituì la “Società Anonima degli Omnibus per la città di Milano”
(S.A.O.); le vetture erano grandi cassoni verdi a quattro ruote,
trainate da una coppia di cavalli, illuminate dentro con un’enorme
lampada ad olio, e potevano trasportare otto persone. C’è da dire
che in seguito diventò indispensabile introdurre anche i tramways, a
causa dell’alto numero di passeggeri che fruivano del trasporto
pubblico.
Fernand du Chène stipulò nel 1888 un accordo con la S.A.O. per
installare all’esterno delle vetture i cartelli pubblicitari; a Milano e
dintorni cominciavano ad apparire le prime pubblicità sulla parte
superiore del tetto delle vetture tranviarie, sulle “corone” e gli
“imperiali”, ma già dal 1894 si intensificò anche l’uso della pubblicità
interna, grazie a delle eleganti e colorate vetrofanie e alle insegne
appese ai corrimani e al soffitto.
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L’ultimo decennio dell’ottocento vide la progressiva elettrificazione
del servizio tranviario; la prima tranvia elettrica era stata collaudata
nel novembre del 1893 dalla Edison, cui era stata data la
concessione dei trasporti pubblici milanesi. Oramai l’omnibus a
cavalli era destinato a scomparire: è il 1902, il brumista lascia per
sempre il posto al tranviere.
Il nuovo secolo si aprì con un evento molto importante, l’Esposizione
Universale che si tenne a Milano nel 1906. I protagonisti in
quell’occasione furono proprio i mezzi di trasporto, la cui
meccanizzazione era stato un elemento che aveva segnato
profondamente gli anni a cavallo dei due secoli.
Qualche anno più tardi, siamo nel 1913, si cominciò a parlare di
metropolitana, dopo le esperienze positive di alcuni paesi stranieri.
La prima ad entrare in funzione fu quella londinese, nel 1863; nel
1878 a New York entrò in servizio una metropolitana sopraelevata
per trasporti rapidi, poi fu la volta di Berlino nel 1882, Chicago nel
1892, Parigi nel 1900. Il progetto milanese venne accantonato,
perché mal si adattava alle esigenze cittadine, ma soprattutto
perché la situazione politica internazionale stava precipitando: era
alle porte il primo conflitto mondiale.