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Introduzione
Nel nostro Paese, calcisticamente parlando, vige la “cultura del risultato”, spiegabile
con una breve e banale affermazione: se vinciamo siamo a posto, altrimenti non va
bene nulla. Questa idea molto diffusa provoca un continuo via vai di allenatori, che
alle prime difficoltà vengono esonerati, e una frenetica ossessione di vittoria, da
ottenere subito e a qualunque costo, impedendo così qualsiasi progettualità. In questo
modo si lavora difficilmente sul lungo periodo, e non è possibile puntare sulla
formazione di giovani migliori, in quanto, comprensibilmente, ciò richiede del tempo.
Ne consegue che le società di calcio professionistiche tendono ad importare presunti
campioni dall’estero anziché coltivarli all'interno dei propri vivai.
Il risultato della gara ha assunto un significato talmente esagerato da arrivare a
contagiare anche il mondo del Settore Giovanile, con allenatori che "usano" i propri
ragazzi per raggiungere i loro scopi di vittoria e per poter arrivare a calcare
palcoscenici più importanti. Poiché la vittoria è diventato l’unico metro di giudizio,
non è raro trovare ragazzi schiavi della tattica, non liberi di esprimersi o sottoposti a
tatticismi esasperati, con ottime conoscenze dei moduli di gioco, ma che evidenziano
pesanti lacune tecniche. Questi giocatori, dopo alcuni anni di pratica, sanno utilizzare
solamente un piede, non riescono a ricevere una palla, non sanno colpire di testa, né
collaborare con i compagni, ma applicano alla perfezione il fuorigioco.
In una ricerca del Centro Studi di Coverciano di qualche anno fa, Luca Gotti (ex ct
dell’Under 17 ed attuale vice-allenatore di Donadoni al F.C. Parma, serie A) aveva
rimarcato gli stessi concetti: “Nei nostri settori giovanili, il lavoro sulla tattica
collettiva occupa spesso una percentuale sostanziosa che va a discapito di altre
componenti, come la tecnica individuale o la stessa tattica individuale. […] La
gestualità tecnica dei nostri giovani non potrà essere la stessa di chi ci ha lavorato di
più e capita spesso di avere a che fare con ragazzi che sanno tutto sulla diagonale nel
4:4:2 ma non sanno marcare né smarcarsi. […] In Italia, allenare in un settore
giovanile, sia pure di alto livello, viene considerato un mezzo per crescere e
approdare successivamente a livello di prime squadre e non un punto di arrivo. […]
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Troppo spesso, purtroppo, noi allenatori utilizziamo la squadra giovanile per
dimostrare quanto siamo bravi, invece di fare ciò che ci si dovrebbe aspettare da noi,
vale a dire che siamo noi che ci dobbiamo mettere a disposizione dei ragazzi ed
essere per loro una risorsa per la crescita e non il contrario!” (Angelaccio et al.,
2007).
Tutto questo condiziona notevolmente il clima, il lavoro, la crescita umana e
calcistica dei ragazzi, dimenticando che la maturazione completa del giocatore
avviene solo se viene rispettata la sua libertà di fare esperienza, anche di insuccessi.
Sempre in merito alla formazione giovanile, Gianni Rivera (Presidente del Settore
Giovanile e Scolastico) ha recentemente affermato: “Mi pare che negli ultimi anni il
calcio abbia privilegiato molto l’aspetto fisico rispetto a quello tecnico e
probabilmente è una scelta che parte già a livello giovanile. Penso sia importante […]
che prima si debbano scegliere ragazzi bravi con la tecnica e poi formare l’atleta: il
contrario secondo me è impossibile. Se i ragazzi hanno problemi di dialogo con il
pallone e la buttano sul fisico, potrebbe diventare un altro sport” (Roticiani, 2011).
Dunque emerge oggi nel mondo del calcio italiano la necessità di maestri
appassionati e di istruttori capaci d’indicare ai ragazzi una direzione, applicando un
metodo d’insegnamento che li prepari soprattutto sotto il punto di vista tecnico e che
faccia emergere il talento e la personalità di ciascuno. Un metodo in grado di
rispondere a domande concrete che nascono dalle diverse situazioni di gioco e che
chiarisca la ragione d’ogni singolo movimento e gesto (Scandroglio, 2008).
Nel percorso di formazione del giovane calciatore l'allenatore ricopre un ruolo di
primaria importanza in quanto deve rendere il proprio allievo sicuro di sé e delle
proprie capacità e fornire al ragazzo la possibilità di ampliare il più possibile il
proprio bagaglio tecnico, composto da tutti quei gesti di base che racchiudono
l’essenza del gioco del calcio, ovvero i cosiddetti fondamentali.
I giovani calciatori devono essere formati a non avere paura di giocare la palla, e ciò
deve valere per tutti, compreso il portiere, che non è un corpo estraneo alla squadra.
Un calcio migliore, per essere tale, ha bisogno di calciatori che non spezzano ma
creano azioni, di giocatori che non calciano ma giocano la palla, concentrati a
migliorare il proprio gioco e non a distruggere quello avversario. Non aver paura
di giocare la palla significa, in altri termini, essere consapevoli delle proprie capacità
ed avere sicurezza dei propri mezzi: solo in queste condizioni il giocatore si sentirà
libero di esprimere tutto il potenziale racchiuso dentro di sé. Al contrario, la paura di
sbagliare dovuta a lacune tecniche o al timore di essere rimproverato o addirittura
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sostituito dall’allenatore, provoca nel giovane un blocco del desiderio di
sperimentare, di provare una giocata. Ma il calcio è emozione, gioia, passione,
fantasia e creatività e il giovane calciatore dovrebbe essere entusiasta di avere tra i
piedi la palla e non avere fretta di sbarazzarsene per paura di sbagliare.
In questo contesto si inserisce il presente lavoro che ha l'obiettivo di illustrare
filosofia, metodologia, principi e mezzi d’applicazione del metodo Coerver
Coaching, riconosciuto dalla FIFA come il più efficace per l’insegnamento delle
abilità tecniche e tattiche individuali. Tale metodo è nato negli anni ’70
dall’intuizione del grande allenatore olandese Wiel Coerver che, partendo dalla
video-analisi dei grandi calciatori dell’epoca, arrivò alla conclusione che molte delle
loro abilità nell’uno contro uno e nel controllo di palla potevano essere sezionate ed
insegnate ai propri giocatori.
Nel presente elaborato tale metodologia verrà contestualizzata ed applicata nello
specifico alla categoria Esordienti (10-12 anni), che costituisce l’ultimo stadio di un
percorso di avviamento alla pratica calcistica chiamato Attività di Base (Piccoli
Amici, Pulcini, Esordienti).
La scelta di circoscrivere la metodologia Coerver Coaching a questa specifica fascia
di età non è casuale, ma nasce dalla mia esperienza personale. Dall’inizio della
stagione sportiva 2011/2012 mi è stato affidato l'incarico di allenare una squadra di
Esordienti presso una Scuola Calcio della mia città e ad essa sto applicando con
passione e precisione la filosofia metodologica, che ritengo calzi a pennello con le
esigenze e gli obiettivi dei ragazzi appartenenti alle categorie “di Base”, in quanto la
proposta di esercitazioni Coerver Coaching in ogni seduta di allenamento consente di
stimolare ampiamente le loro abilità tecniche e tattiche individuali per aiutarli nel
loro percorso formativo.
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CAPITOLO I
Caratteristiche del Gioco del Calcio
Sommario: 1.1 Giochi Sportivi di squadra – 1.2 Modello prestativo del Gioco del
Calcio – 1.3 Quadro dei gesti tecnici (abilità tecniche) – 1.3.1 Presupposti delle
abilità tecniche – 1.3.2 Apprendimento delle abilità tecniche – 1.4 Insegnamento
tecnico-tattico nel Calcio – 1.5 Aspetti moderni del Calcio giocato
1.1 Giochi Sportivi di squadra
I Giochi Sportivi rappresentano quella categoria di sport in cui le azioni di gioco sono
mediate e finalizzate tramite l’uso di un oggetto (es. palla), utilizzabile nelle modalità
previste dal regolamento specifico di ciascuno sport. Teodorescu li classifica in base:
- al numero di contendenti: individuali (tennis, badminton, ecc.) o di squadra
(pallavolo, pallacanestro, ecc.);
- agli attrezzi utilizzati: senza attrezzi, con le mani (pallamano, pallacanestro), con i
piedi (calcio), misti (pallavolo, rugby) oppure con attrezzi (tennis, hockey);
- al tipo di lotta per la palla: a contatto diretto (d’invasione), dove i componenti delle
due squadre hanno l’opportunità di spostarsi in qualsiasi parte dello spazio
regolamentare di gioco prevedendo il contatto fisico (calcio, rugby, ecc.) o a contatto
indiretto (di rimando), in questo caso lo spazio di gioco è suddiviso in due metà nelle
quali si pongono i giocatori delle due squadre, non è previsto il contatto fisico e la
palla viene gestita con esecuzioni d’urto molto rapide (tennis, pallavolo, ecc.).
Questa classificazione evidenzia come il calcio sia un gioco di squadra a carattere
invasivo. I Giochi Sportivi di squadra rappresentano una forma di pratica
dell’educazione fisica con caratteristiche ludiche ed agonistiche, in cui i partecipanti
costituiscono due squadre che si trovano in un rapporto d’avversità tipica non ostile
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(rivalità sportiva), rapporto determinato da una competizione in cui attraverso la lotta
si cerca di ottenere la vittoria sportiva per mezzo di un pallone o di un altro oggetto di
gioco manovrato secondo regole stabilite (Teodorescu, 1981). Analizzando più nel
dettaglio questa categoria di giochi, possono essere messe in rilievo alcune
peculiarità:
1. Carattere ludico dell’attività;
2. Competizione tra due squadre;
3. Coinvolgimento contemporaneo di entrambe le squadre;
4. Presenza di molti partecipanti al gioco;
5. Esistenza di tattiche comuni di gioco cui i soggetti devono fare riferimento per
attuare il loro progetto motorio;
6. Utilizzo di abilità tecniche specifiche disciplinate che permettono una relativa
libertà d’azione ai giocatori;
7. Presenza di complesse regole di gioco che definiscono le norme, le
caratteristiche degli attrezzi, le dimensioni e le superfici dei campi da gioco;
8. Carattere organizzato delle gare (a livello nazionale ed internazionale);
9. Esistenza di teorie e pratiche per la tecnica, la tattica, l’allenamento e la loro
metodica.
In particolare, se si presta attenzione alle caratteristiche specifiche della motricità,
risulta che le azioni dei giocatori sono contraddistinte da:
1. Elevato contenuto tattico dei movimenti, di tipo prevalentemente aciclico,
finalizzati alla risoluzione di un problema di gioco;
2. Adattamento della componente tecnica all’imprevedibilità delle situazioni;
3. Esecuzione di movimenti d’inganno detti finte;
4. Presenza di un elevato numero di errori.
Questa osservazione evidenzia come il movimento effettuato dai giocatori durante la
gara sia costituito da due componenti: una tattica e una tecnica, specifiche per
ciascuno sport; per evitare incomprensioni, è bene definire questi due concetti. Per
tattica s’intende la scelta del gesto più conveniente da eseguire in determinate
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circostanze per raggiungere lo scopo desiderato (Lombardozzi et al., 2000); può
essere definita individuale, se riguarda un solo individuo, o collettiva, quando le
scelte individuali di più giocatori vengono coordinate reciprocamente. Nel secondo
caso, le azioni di gioco individuali diventano azioni collettive, chiamate combinazioni
tattiche. I membri di ogni squadra coordinano le proprie azioni individuali allo scopo
di evitare o contrastare la riuscita di quelle a carattere distruttivo degli avversari e per
assicurare il successo delle proprie (Teodorescu, 1981).
Per tecnica si intende, invece, un procedimento (o un insieme di essi) appreso
attraverso l’esercizio, che permette di risolvere il più razionalmente ed
economicamente possibile un determinato compito di movimento o problema motorio
(Garbelli, 2001). I procedimenti tecnici consistono in strutture specifiche di atti
motori integrati che permettono al giocatore di muovere il pallone o di spostarsi con
esso (se consentito dal regolamento), in vista del raggiungimento dell’obiettivo delle
azioni individuali. La tecnica assume ruoli differenti in relazione ai diversi modelli
prestativi di ciascuno sport. Secondo una classificazione che tiene conto della sua
importanza all’interno delle varie discipline, gli sport possono essere suddivisi in
quattro categorie:
1. Sport di forza veloce: la tecnica deve favorire lo sviluppo delle massime
tensioni muscolari nel più breve tempo possibile. Obbiettivo fondamentale
dell’insegnamento della tecnica è l’automatizzazione del gesto (gare di
velocità, lanci, salti);
2. Sport di resistenza: la tecnica deve tendere a favorire il movimento più
economico dal punto di vista bioenergetico (mezzofondo, fondo, nuoto,
ciclismo);
3. Sport con significato qualitativo del gesto: la tecnica è oggetto di valutazione e
deve corrispondere a canoni prestabiliti (ginnastica artistica, tuffi, nuoto
sincronizzato);
4. Sport di situazione: la tecnica deve favorire la soluzione dei problemi che il
giocatore si trova ad affrontare nel gioco (giochi sportivi, sport di
combattimento).
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I Giochi Sportivi appartengono a quest’ultima categoria di sport, in cui la tecnica
diventa strumento di risoluzione dei problemi di gioco. Tuttavia, a rendere
complicata la sua applicazione in gara, interviene l’imprevedibilità del contesto di
gioco, caratteristica propria degli Sport di situazione, in cui la variabilità
dell’ambiente esterno conferisce un certo grado di incertezza alle situazioni di gioco.
In tali condizioni, il giocatore si trova a dover risolvere problemi in continua
evoluzione, perciò la prestazione complessiva del soggetto è determinata dalle
capacità di adattamento della tecnica ai rapidi mutamenti delle condizioni di gara.
Le abilità tecniche espresse in ambienti imprevedibili vengono classificate open
skills (abilità aperte), poiché l’incertezza dei contesti ambientali richiede a chi le
esegue di adattare i propri movimenti in risposta alle dinamiche esterne (Schmidt e
Wrisberg, 2000). Tali abilità rappresentano movimenti complessi messi in atto
all’interno di ambienti instabili, dove le variabili di gioco sono difficilmente
controllabili. L’eventuale errore nell’esecuzione dei gesti tecnici è causato dallo
scorretto adattamento del movimento alla situazione (Di Carlo, 2009).
Negli sport di situazione la risoluzione dei problemi di gioco, dipendente dalla
capacità di adattamento della tecnica del giocatore chiamato in causa, avviene
attraverso la successione di tre fasi:
1. Analisi percettiva: analisi, da parte dell’individuo, della situazione ambientale
(campo, compagni, avversari, allenatore, pubblico, arbitro) e percezione di dati
utili per la risoluzione del problema motorio;
2. Elaborazione della risposta: il giocatore determina il modo in cui deve agire, in
relazione alle sue esperienze e alla sua cultura specifica, attraverso l’elaborazione
di un progetto motorio;
3. Effettuazione della risposta: il soggetto realizza il piano motorio programmato,
in relazione alle sue capacità condizionali e coordinative.
Si evidenziano così due momenti nell’attività del giocatore, che dal punto di vista
pratico risultano inscindibili: una parte invisibile del movimento (momento tattico)
corrispondente allo sforzo percettivo-elaborativo, che impegna gli analizzatori
sensoriali prima, e i processi cognitivi poi; ed una parte visibile (momento tecnico)
costituita dall’effettuazione del movimento, strettamente legata alle capacità motorie
dell’individuo (Garbelli, 2001).
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Dall’interazione di questi due momenti nasce un processo definibile capacità di
gioco, intesa come capacità complessa di utilizzare, nella loro azione reciproca,
capacità condizionali, coordinative e abilità tecnico-tattiche, necessarie nelle
situazioni d’attacco e di difesa, per poter così affrontare e risolvere in modo
razionale, cioè adeguato alla situazione, i problemi esistenti in partita, che cambiano
continuamente. Questa capacità richiede quindi la presenza di requisiti psicologici,
tattici, tecnici e motori, che vanno ad integrarsi tra loro.
Inoltre, altro aspetto fondamentale dell’attività del giocatore è il fenomeno percettivo,
che riveste maggior importanza poiché caratterizza la prima fase del movimento e
condiziona tutte le altre. Una percezione adeguata e significativa rende le altre
componenti del movimento pertinenti; in caso contrario non vi è alcuna possibilità
che la risposta motoria del giocatore ottenga un esito positivo. Nei Giochi Sportivi, la
percezione è sostenuta prevalentemente dall’analizzatore ottico, infatti l’83 %
dell’informazione raccolta dal giocatore è a carico della vista, dunque si può
affermare che l’osservazione è parte essenziale del gioco.
In generale, la prestazione sportiva del giocatore, all’interno dei Giochi Sportivi, è la
risultante di più componenti messe assieme, per esempio: genetiche, morfologico-
funzionali, percettivo-sensoriali, tecnico-coordinative, condizionali, cognitive,
psicologiche e sociali. Tali componenti non si sommano algebricamente tra loro, ma
si integrano l’una con l’altra, e vengono continuamente influenzate da diversi fattori
quali: motivazione, fatica, ambiente (pubblico, condizioni climatiche), grado di
competitività (importanza del risultato dell’azione), ecc.
1.2 Modello prestativo del Gioco del Calcio
Il Calcio possiede un’evidente caratteristica che lo differenzia nettamente dagli altri
sport appartenenti alla sua stessa categoria (Giochi Sportivi): quella di utilizzare
prevalentemente i piedi nelle varie espressioni tecniche di gioco. Ciò comporta, per
quanto riguarda l’apprendimento, una difficoltà nell’ottenere rapidamente un
controllo tecnico della palla con le estremità distali, mentre il controllo visivo è
orientato a rilevare informazioni dall’ambiente. Negli sport dove vengono utilizzati
prevalentemente gli arti superiori, il soggetto è invece facilitato a controllare i propri
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movimenti poiché il campo visivo osservato, in relazione all’altezza verso la quale si
rivolge l’attenzione, si sovrappone agli arti chiamati in causa. Il fatto di utilizzare i
piedi e non le mani contraddistingue il gioco del calcio come uno sport ad elevato
coefficiente tecnico-coordinativo. Inoltre, ai piedi è riservata una differente
evoluzione sensoriale, specifica della specie umana, con particolari funzioni di
sostegno e di spostamento. Alle mani spettano, invece, le funzioni primarie di
interazione con l’ambiente (D’Ottavio, 1999).
Il Calcio, a tutti i livelli di qualificazione, dai bambini agli adulti, oltre ad esprimersi
entro un ambiente di gioco definito situativo (o di situazione), si caratterizza per
azioni tecnico-tattiche di tipo invasivo. Tali caratteristiche inducono vari autori a
definire questo sport una disciplina open skills o una disciplina a carattere
informativo a prevalente determinazione tattica. Questa definizione sottolinea come
gli aspetti mentali (comprensione dell’ambiente di gioco, decisioni e scelte dei gesti,
adattamento delle abilità) siano dominanti sulla formazione e sullo sviluppo della
tecnica specifica. In uno sport con queste caratteristiche, la tecnica deve essere posta
al servizio della tattica, poiché il punteggio, stabilito dalle regole del gioco, tiene
conto del numero di reti segnate e non della qualità dell’esecuzione. Nel calcio, il
bravo giocatore è colui che in ogni situazione sa trovare la soluzione idonea per un
determinato problema, che non potrà in nessun modo essere codificata, perché mai il
gioco propone situazioni esattamente uguali; quindi, l’aspetto determinante per chi
pratica questo sport è la capacità di adattamento tecnico e tattico ai diversi contesti di
gioco. Tale variabilità condiziona il quadro tecnico-gestuale, che dovrà essere
strutturato in forma funzionale, flessibile e adattabile all’ambiente (situazione) nel
quale viene utilizzato. Le espressioni funzionalità e situazione stanno a significare
che non ha alcun senso l’esecuzione tecnica fine a se stessa, se non è collegata
(funzionalità) al contesto (situazione) che ne giustifica l’utilizzazione. Soprattutto
nei primi anni di pratica è molto importante che la tecnica venga insegnata in modo
da mettere l’allievo in condizione di percepire consapevolmente e valutare
opportunamente l’efficacia del proprio comportamento, creando una maggior
motivazione ad apprendere (D’Ottavio et al, 2010). L’insegnamento nel calcio, inteso
come sport di situazione, non può caratterizzarsi come procedimento didattico
centrato esclusivamente sulla ripetizione standardizzata di un gesto, ma deve
inevitabilmente riferirsi anche ad altri fattori, che contemporaneamente influenzano
la prestazione. Il gesto tecnico deve perciò essere funzionale ed adattarsi a situazioni
e ambienti mutevoli. I vari fondamentali diverrebbero così delle vere e proprie unità
funzionali e non delle strutture pre-programmate escluse dal significato per il quale
dovrebbero essere impegnate. Anziché orientare l’attenzione dell’allievo sul come