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un secolo. Ancora, non si tratta di avere a che fare con un
“dizionario di dizionari”, bensì con un “thesaurus”
terminologico del metalinguaggio. Inoltre è un ipertesto
interattivo, nel senso che i fruitori potranno combinare in
maniera personale ed originale le varie definizioni dei vari
autori.
La grande efficacia del DLM la scopriamo nel fatto di
essere un’opera capace di offrire allo studioso diverse
occorrenze di uno stesso lemma, a seconda dell’autore,
dell’epoca, della tematica ecc., e quindi di offrire la
possibilità di operare una sintesi delle innumerevoli
definizioni di uno stesso termine, indici di diversi percorsi
teorici, al fine di giungere a definizioni univoche ed
essenziali.
Soprattutto il DLM, attraverso le citazioni d’autore,
permette allo studioso di soffermarsi sui sinonimi, vale a
dire sulle diverse denominazioni di uno stesso concetto,
per verificare l’eventuale intercambiabilità delle suddette
denominazioni nei vari contesti d’uso, oppure lievi ma
importanti sfumature di significato.
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Dal punto di vista della caratteristica di plurilinguismo
poi, il DLM conduce ad oculati confronti fra traduzioni
contestualizzate di termini, revisionando in questo modo
corrispondenze traduttive spesso errate o non del tutto
precise.
La sua particolare struttura è adeguata a dare voce
soprattutto alla terminologia spesso tralasciata, come ad
esempio quella metaforica, per fare invece spazio a
tecnicismi sempre più oscuri. Solo a seguito di un’analisi
dei testi, base della costruzione del DLM, vengono fuori
quelle parole della lingua comune che gli autori usano con
accezioni tecniche e che con il tempo e l’uso perdono il
carattere originariamente metaforico, garanti di chiarezza
e sinteticità espressiva.
Infine, ma non per questo meno interessante, le citazioni
del DLM rispettano le caratteristiche peculiari della lingua
scritta nei testi tecnici, mostrando così le scelte grafiche
operate dagli autori che attraverso il mezzo visivo cercano
di raggiungere un’alta funzionalità comunicativa.
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Questo lavoro intende proporre un’analisi del
metalinguaggio utilizzato da Zellig Harris, linguista
americano di impostazione strutturalista. L’analisi si
concentrerà sulla produzione scientifica del periodo
1940/1951, utilizzando una serie di articoli pubblicati da
Harris sulla rivista Language ma soprattutto la sua opera
principale Methods in Structural Linguistics.
Il primo momento, piuttosto incisivo, sarà dedicato alla
presentazione dell’autore, inquadrato negli anni in cui ha
lavorato sentitamente nel suo campo, servendosi del
contributo di studiosi contemporanei, maestri ma anche
discepoli di Harris, da lui stesso ringraziati nella premessa
all’opera.
Sarà interessante vedere anche come i luoghi frequentati
dall’autore abbiano influito sugli sviluppi del suo pensiero
e le tracce che egli ha lasciato nei vari nuclei sorti intorno
alla sua figura, suscitando ammirazioni e critiche, anche
non sempre del tutto positive, circa il suo orientamento di
studio, ma comunque sempre utili per fare luce e
chiarezza su un pilastro della linguistica moderna. Sarà
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inoltre presentata una bibliografia completa di tutte le
opere che testimoniano l’impegnata e lunga carriera del
teorico.
Prima di dare spazio alla parte più tecnica della
schedatura dell’opera e degli articoli pubblicati sulla
rivista Language dal 1940 al 1951, si affronterà un capitolo
interamente dedicato alla spiegazione del valore e dei
contenuti degli articoli che precedono la scrittura
dell’opera ed alla descrizione dettagliata della struttura del
testo, partendo dall’osservazione dell’indice preparato
dall’autore, vera mappa di lettura dei percorsi
contenutistici.
Di certo non mancheremo di soffermarci sulle scelte
stilistiche che Zellig Harris utilizza nel corso della scrittura
del testo, nonché sui caratteri ed i simboli che di volta in
volta usa nella elaborazione dei numerosi esempi
dimostrativi dei metodi di analisi strutturale proposti. Ci si
accorgerà facilmente della maggiore tendenza logico-
matematica che caratterizza un maestro dello
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strutturalismo rispetto ad un sostenitore della corrente di
impostazione funzionalista.
Infine, si commenteranno da vicino le recensioni che
vari autori hanno pubblicato su Language ed altre riviste
all’indomani dell’ uscita dell’opera, esprimendo al
riguardo non solo opinioni favorevoli ma anche
decisamente contrarie in alcuni casi.
La parte più delicata e portante del presente lavoro
verterà sulla costruzione di una mappa di lettura interna
alla schedatura, che farà luce sui percorsi concettuali
tutt’intorno ai lemmi-chiave individuati. Nelle
osservazioni si forniranno indicazioni tutte le volte in cui
le definizioni vengono riportate letteralmente da opere di
altri teorici, o parafrasate ed eventualmente accompagnate
in entrambi i casi da un commento personale che amplia e
critica la scelta definitoria.
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CAPITOLO PRIMO
Note introduttive all’autore
1. Profilo biografico
Zellig Sabbetai Harris nacque a Balta, nell'Ottobre del 1909,
in quella terra destinata a diventare la futura Unione
Sovietica. Nel 1913, all’età di soli quattro anni, emigrò con
tutta la sua famiglia negli Stati Uniti d’America per andare a
vivere nella città di Philadelphia. Si racconta che, giunti in
America, i genitori avessero scelto per lui il nome Harris,
mentre egli stesso decise di chiamarsi Zellig Sabbetai, nomi
ebrei che significano ‘felicità’ e ‘risolutezza’, due
caratteristiche che sempre rappresentarono i valori
fondamentali nella sua vita.
Nel 1930 conseguì il B.A. (Bachelor of Arts) all’Università
della Pennsylvania ed ebbe un incarico di insegnamento nello
stesso istituto l’anno successivo. Nel 1932 ottenne il suo
M.A. (Master of Arts) con una tesi sull’origine dell’alfabeto
(Origin of the Alphabet), nel 1934 conseguì il PhD con una
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dissertazione, pubblicata nel 1936 con il titolo A Grammar of
the Phoenician Language. Harris studiò semitistica e fu
allievo di James A. Montgomery, docente presso il
Department of Oriental Studies della Pennsylvania
University; pubblicò vari lavori in questo ambito e diede un
ottimo contributo alla decifrazione e lettura dei testi
Ugaritici.
Tra le esperienze fondamentali di vita oltre che di carriera
ricordiamo che nel 1937 insegnò al famoso Linguistic
Institute dell’Università del Michigan, ad Ann Arbor, dove
condivise momenti di studio e di amicizia con Sapir,
considerato star performer nel suo ambiente
1
.
Tra il 1925 e il 1943 ebbe un enorme sviluppo l’Avukah,
un’organizzazione studentesca sionista presente in molte
università degli Stati Uniti, di cui Harris fece parte,
ricoprendo un ruolo di primo piano e dimostrando una
particolare tendenza verso le questioni socio-politiche dei
suoi tempi e manifestando idee politiche vicine al socialismo
e all’anarchia. Nel 1942 tenne tre conferenze all’Avukah
1
Vedi p. 41, Harris e le sue fonti: Edward Sapir e Leonard Bloomfield.
9
Summer-School Session: una sul "Native Fascism" e le altre
due su "How Jews should be Political"; è ritenuto il probabile
autore del testo intitolato "An Approach to Action: Facing
the Social Insecurities Affecting the Jewish Position",
pubblicato dall’Avukah nel 1947.
Nel 1947 Harris divenne professore di linguistica presso
l’Università della Pennsylvania fondando lì il primo
dipartimento di linguistica negli Stati Uniti. In quello stesso
anno incontrò un Chomsky malcontento che egli incoraggiò a
riprendere gli studi e che divenne il suo allievo più famoso. Il
lavoro di Harris nell’ambito della grammatica
trasformazionale illuminò molto il lavoro di Noam Chomsky
sulla grammatica generativo-trasformazionale, ed infatti, per
molti aspetti, il lavoro di quest’ultimo fu una diretta
estensione di quello di Harris. La fama di Harris nel campo
della linguistica rappresentò un aiuto per Chomsky, alle prese
con i suoi primi lavori da pubblicare.
Harris fu presidente della Linguistic Society of America nel
1955. Dal 1958 al 1980 fu il direttore del Transformations
and Discourse Analysis Project, sponsorizzato dalla National
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Science Foundation (NSF). Diverse ricerche di Harris furono
finanziate anche dal National Institute of Mental Health
(NIMH).
Harris era membro del kibbutz Mishmar Haemek e per anni
fece il pendolare fra USA e Israele. Sua moglie, Bruria
Kaufman, fisico, laureata all’Università di Gerusalemme e
assistente di Albert Einstein a Princeton, insegnava sia a
Philadelphia sia al Weizmann Institute, in Israele.
Fu membro dell’American Philosophical Society e della
National Academy of Sciences. Harris sentiva che
l’agitazione degli attacchi polemici e le ritorsioni non si
addicevano alla scienza e per queste ragioni non vi prendeva
parte.
Nel 1979 si ritirò dall’insegnamento dopo una lunga e
distinta carriera, ma continuò ancora a scrivere e a pubblicare
fino alla sua morte avvenuta il 21 Maggio del 1992, all’età di
82 anni, nel sonno, dopo una piacevole giornata di lavoro.
Probabilmente furono pochi coloro che conobbero bene
Harris, secondo quanto scrive Anna Morpurgo Davies nel
necrologio comparso sul Linguist list
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(http://linguistlist.org/issues/3/3-457.html#4). Nelle parole
della Morpurgo, Harris viene descritto come un uomo dal
brillante e stupefacente potere intellettuale, di profonda
cultura e totale devozione al suo lavoro. A dispetto di coloro
che erroneamente vedono ancora Harris quale uomo proteso
verso uno sterile e freddo formalismo, la nota studiosa di
storia del pensiero linguistico rimanda alle 45 pagine della
recensione fatta da Harris ai Selected Writings di Sapir,
pubblicata sulla rivista Language nel 1951, e afferma che un
buon conoscitore della personalità di Harris gli attribuirebbe
le parole che egli stesso aveva usate per descrivere il genio di
Sapir: “So refreshing is his freshness and criticalness, that we
are brought to a sharp realization of how such writing has
disappeared from the scene.”
2
Il senso più immediato che si
coglie da questo commento è quello di una ‘freschezza’ di
idee che era poi uno degli obiettivi che il Nostro si è sempre
proposto di raggiungere durante i lunghi anni della sua
carriera.
2
Harris (1951b), cit., p. 332.