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Introduzione
L’interesse dell’uomo nei confronti della tutela dell’ambiente ha
antiche origini: già a partire dalla seconda metà del XIII secolo - si
narra - Edoardo I, sovrano di Inghilterra, firmò un editto atto ad
impedire l’utilizzo di carbone, col fine unico di evitare livelli eccessivi
di emissioni di fumi ritenuti dannosi per la salute dell’uomo.
All’epoca, però, il problema ambientale coinvolgeva la coscienza di
pochi individui. L’uomo stentava a sentirsi parte integrante
dell’ambiente, vedendo in esso un mero mezzo attraverso cui
approvvigionarsi delle risorse necessarie alla sopravvivenza e alla
sussistenza, una fonte inesauribile di materie prime e di prodotti, uno
strumento da gestire al meglio per sancire la supremazia su tutta la
natura, soddisfacendo i propri bisogni. Concetti come la scarsità delle
risorse, l’inquinamento e le conseguenze sulla salute degli uomini e
del pianeta erano poco considerati.
Tra il XVIII e il XIX secolo si comprese l’importanza
fondamentale di considerare la relazione tra l’aumento demografico e
la gestione delle risorse naturali, col fine di soddisfare il fabbisogno
dell’intera popolazione mondiale. È in questo periodo che Thomas
Robert Malthus scrisse il suo celebre Saggio sul principio di
popolazione
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, nel quale sosteneva che il progressivo incremento
demografico avrebbe reso necessarie coltivazioni sempre più copiose,
rendendo i terreni meno fertili e causando, per tale ragione, penuria di
risorse necessarie alla sussistenza e, in ultima istanza, l’arresto dello
sviluppo economico. Numerose furono le critiche rivolte al pastore
anglicano del principio di popolazione, soprattutto ad opera di Ralph
Waldo Emerson – uno dei più grandi esponenti del pensiero
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“An essay of the principle of the population as it affects the future improvement society”. La prima edizione
risale al 1798. Nel corso degli anni seguirono altre cinque edizioni aggiornate, fino all’ultima del 1826.
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americano in quell’epoca – che accusò Malthus di non aver preso in
considerazione la capacità di innovazione tecnologica dell’uomo, che
avrebbe potuto risolvere il problema della fertilità delle terre mediante
nuove e innovative tecniche.
A partire dalla metà del XX secolo una reale e significativa
presa di coscienza ha cominciato a prendere piede, soprattutto
all’interno del contesto socio-giuridico-economico inglese e
americano, con l’introduzione del Clean Air Act
2
, la prima norma
contro l’inquinamento di una certa significativa rilevanza. La
“rivoluzione ambientale” - possiamo provare a chiamarla così dato il
carattere estremamente innovativo di questa nuova visione
dell’ambiente e del legame indissolubile con il contesto economico –
ha costruito le proprie fondamenta grazie all’iniziativa dei giovani,
maggiormente attenti agli effetti negativi che lo sviluppo economico e
industriale potevano avere sull’ambiente e sulla sua sostenibilità.
Ruolo estremamente importante ha rivestito il dibattito sullo sviluppo
economico introdotto da alcuni studenti dell’Università californiana di
Berkeley, ma anche e soprattutto il lavoro di ricerca realizzato da
alcuni ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) nel
1972 - e commissionato dal Club di Roma
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- che ha offerto al mondo
la fotografia di uno scenario che si sarebbe potuto prospettare senza
un significativo cambiamento dei modelli di sviluppo economico e di
consumo dei Paesi più industrializzati. L’idea di fondo di tale
prospetto è consistita nel considerare lo sviluppo economico quale
causa diretta del progressivo degrado ambientale e di una decisa
2
The Clean Air Act (CAA) is the comprehensive federal law that regulates air emissions from stationary and
mobile sources. Among other things, this law authorizes EPA to establish National Ambient Air Quality Standards
(NAAQS) to protect public health and public welfare and to regulate emissions of hazardous air pollutants.
Fonte: http://www.epa.gov/
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The Club of Rome is a not-for-profit organization, independent of any political, ideological or religious interests.
Its essential mission is "to act as a global catalyst for change through the identification and analysis of the crucial
problems facing humanity and the communication of such problems to the most important public and private
decision makers as well as to the general public.
Fonte: http://www.clubofrome.org/
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perdita di valore del capitale naturale, in termini di risorse disponibili
per le attività dell’uomo.
Negli anni ’70, su tale scia, è andato sempre più a delinearsi un clima
di maggior coscienza ambientalista che ha visto nell’inquinamento un
problema che necessitava dell’attenzione di tutti. La consapevolezza
che il sistema economico moderno e industrializzato fosse uno dei
principali responsabili di questi problemi e la convinzione che la loro
risoluzione richiedesse investimenti di ingenti risorse economiche per
l’attuazione di misure preventive e correttive testimoniano lo stretto
legame di dipendenza tra ambiente ed economia. Inoltre dobbiamo
aggiungere che l’economia si è sempre presentata come un sistema
aperto, in grado di svolgere le proprie funzioni soltanto grazie al suo
fondamento ecologico (l’ambiente, appunto), dal quale estrarre le
risorse da lavorare e utilizzare per soddisfare i bisogni dell’individuo e
in cui, infine, riallocare queste (compresi i rifiuti). Dopo aver assistito
per lunghi periodi a un rapporto conflittuale tra i due sistemi - quello
economico e quello ambientale - si è cominciata a consolidare una
nuova fase nella quale lo sviluppo economico veniva implementato in
armonia con l’obiettivo di preservare l’ambiente, la cui essenzialità
per lo svolgimento delle attività economiche ha dato il via alla nascita
e al progressivo sviluppo di politiche ambientali, nazionali e
comunitarie, orientate alla sua tutela.
Il problema ambientale, comune a tutto il mondo, necessitava di una
politica globale. I Paesi sotto-sviluppati temevano però che tali
politiche ambientali potessero rendere ancora più difficoltoso il
proprio sviluppo economico, acuendo il gap con quelli più
industrializzati. L’azione e l’impegno di singoli Stati non erano però
sufficienti alla risoluzione di una questione di grandezza planetaria
che andava ben oltre le frontiere nazionali. Questa convinzione si è
concretizzata nel 1972, a Stoccolma, con la prima “Conferenza delle
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Nazioni Unite”, in occasione della quale è stato riconosciuto alla
tematica ambientale un ruolo estremamente importante, vitale,
richiedente l’azione congiunta delle Istituzioni di tutto il mondo. In
tale circostanza sono emerse preoccupazioni legate all’inquinamento
prodotto da una sempre maggiore industrializzazione, alle piogge
acide e al deterioramento delle risorse ambientali che ne minava la
disponibilità necessaria allo svolgimento delle attività economiche.
Inoltre c’era la consapevolezza che l’attuazione delle dovute misure
correttive potesse penalizzare ulteriormente i Paesi del Terzo Mondo,
già menomati da difficili condizioni economiche. Per ovviare a questo
problema si è discusso della necessità di un intervento da parte dei
Paesi ricchi nel trasferire capitale e tecnologie verso quelli meno
sviluppati: per intraprendere attività economiche nel rispetto
dell’ambiente, infatti, si incorreva in maggiori costi che dovevano
essere sostenuti dalle nazioni più industrializzate, anche perché
ritenute le principali responsabili dei problemi ambientali oltre che per
salvaguardare l’obiettivo di garantire possibilità di crescita ai Paesi del
Terzo Mondo e a quelli in via di sviluppo.
L’attenzione nei confronti della protezione dell’ambiente è stata
consolidata ancor più nel corso degli anni ’80. Andava affermandosi
una sempre maggiore consapevolezza che l’alterazione dell’equilibrio
ambientale fosse una diretta conseguenza degli agenti economici e
della condotta di tutti i soggetti economicamente attivi. La ricerca del
profitto aveva condotto verso uno sfruttamento eccessivo delle risorse
ambientali e verso un progressivo inquinamento, con effetti devastanti
in termini di surriscaldamento globale e di salute dell’uomo, di
conservazione delle specie naturali e di limite di sopportazione
riguardo all’assimilazione naturale dei rifiuti (derivanti dalle attività
industriali e dai consumi).
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Una necessità fondamentale ha dato voce all’opinione pubblica:
l’esigenza di trovare un punto di incontro, un equilibrio che
conciliasse sviluppo economico e preservazione dell’ambiente non
solo nel breve, ma anche nel lungo termine. In altre parole, lo sviluppo
sostenibile
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. L’idea di fondo consisteva nello svolgere le attività
economiche ponendosi tra gli obiettivi principali la tutela
dell’ambiente, cercando al contempo di soddisfare i bisogni attuali
degli individui senza, però, compromettere quelli delle future
generazioni. Il benessere della collettività presente e futura dovevano
essere perseguiti insieme al benessere dell’ambiente e considerati
come un insieme inscindibile.
Con l’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile si è dato il via
ad una vera politica ambientale, che ha visto come protagonisti attivi
le Istituzioni mondiali. L’inizio può essere collocato in occasione della
seconda Conferenza delle Nazioni Unite, la Conferenza di Rio,
tenutasi a Rio de Janeiro nel giugno del 1992 e alla quale hanno preso
parte ben 183 Paesi. In tale circostanza è stata fissata una linea di
condotta eco-compatibile che i Paesi sviluppati avrebbero dovuto
seguire, riducendo il più possibile i conseguenti impatti sull’ambiente.
Contestualmente si è discusso sull’occorrenza di aiuti finanziari che i
Paesi ricchi avrebbero dovuto destinare ai Paesi sotto-sviluppati e a
quelli del Terzo Mondo, con l’obiettivo di aiutarli ad adottare le
misure correttive in ottica ambientale, non compromettendo
ulteriormente le prospettive di uno sviluppo economico già di per se
difficilmente realizzabile.
Quale caposaldo per una politica ambientale efficiente è stato
confermato il polluter pays principle (“principio del chi inquina
paga”), secondo il quale i soggetti inquinatori avrebbero dovuto
rispondere personalmente del pagamento dei costi derivanti dal danno
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Il concetto di sviluppo sostenibile fu ufficializzato all’interno del rapporto Bruntland, realizzato dalla World
Commission on Environment and Development e diffuso dall’ONU nel 1987.
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ambientale. Questo per cercare di raggiungere il livello di produzione
socialmente ottimo, in corrispondenza del quale i benefici privati
eguagliano i costi sociali esterni derivanti dall’inquinamento e dallo
sfruttamento delle risorse ambientali.
Nel corso della Conferenza è stata predisposta l‟Agenda 21,
programma dettagliato che prevedeva l’azione coordinata dei diversi
Stati e delle Istituzioni di tutto il globo al fine di pianificare una più
ampia coesistenza tra sviluppo economico e ambiente naturale,
implementando il concetto di sviluppo sostenibile. Riduzione
dell’inquinamento, conservazione del patrimonio genetico di specie
vegetali e animali e protezione delle foreste erano obiettivi a cui
subordinare l’attività economica.
In particolare, mediante la cosiddetta Convenzione quadro, gli Stati
partecipanti alla Conferenza hanno assunto formalmente l’onere di
perseguire l’obiettivo di una stabilizzazione delle emissioni di gas
serra derivanti dalla combustione di carbon-fossili.
Da segnalare anche il costante impegno dell’ONU che, attraverso la
costituzione della Commission on sustainable development
(Commissione per lo sviluppo sostenibile), ha svolto attività di
monitoring relativamente agli impegni assunti da tutti gli Stati nel
corso della Conferenza di Rio e all’attuazione dei principi contenuti in
Agenda 21.
Funzione simile è stata rivestita, a partire dal Marzo 1995, dalla
Conferenza delle Parti – massima autorità della Convenzione quadro,
convocata annualmente per proporre le adeguate misure correttive,
monitorare e giudicare l’operato degli Stati firmatari – che ha cercato
di segnalare il possibile pericolo che i Paesi più poveri potessero
essere eccessivamente penalizzati dalle direttive imposte dal vertice di
Rio, non essendo essi i principali artefici dei livelli intolleranti di
agenti inquinanti emessi.