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CAPITOLO 1: LA COPIA PITTORICA A NAPOLI.
1.1. Cenni storici, il fenomeno della copia pittorica tra Cinquecento e Seicento.
Il fenomeno della copia pittorica ha inizio nel Quattrocento. La letteratura artistica, su questa
tematica, ci ha lasciato alcuni documenti, come la lunga lettera scritta da Pietro Summonate a
Marco Antonio Michel, datata 1524.
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Nella lettera il Summonate, racconta la storia dell’arte dalle origini ai suoi giorni, ma le opere di cui
parla, sono descritte in maniera poco dettagliata, ad eccezione delle opere del Maestro Colantonio,
di cui ci dà un racconto molto accurato e preciso, soffermandosi in particolare su due opere, si tratta
di due copie che descrive così: «Fo in costui [Colantonio] una gran dextrezza in imitar quel che
volea; la qual imita zione ipso avea tutta convertita in le cose di Fiandra, che allora sole erano in
prezzo. Venne ad // tempo suo da Fiandra la testa del duca di Borgogna Carlo, ritracta assai bene dal
naturale. Colantonio' fe opera che li fosse prestata dal mercante che la tenea; e, facta un'altra simile,
tanto che non si potea discernere l'una dall'altra, rendio al patrone la no che ipso aveva facta di man
sua, la quale il mercante tenne per la sua propria, finché Colantonio li scoverse lo bello inganno».
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«Similmente fe dell'immagine di san Georgio, che venne pure da Fiandra, in tabula…….: opera
assai lat data dove si vede lo cavaliero tutto inclinato incumbens penitus in ha stam, la qual ipso
avea fixa nella bocca del dragone, e la punta, passata tutta indentro, non avea da passare se non la
pelle che, già gonfiata,fece una certa borsa in fora... Insomma lo bon Colantonio la contrafece tutta
questa pittura, in modo che non si discer nea la sua da archetipo se non in un albero, che in quella
era di rovola, e in questa ad bel studio lo volse far di castagno».
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Summonate, nella lettera fa un resoconto della pittura napoletana e in particolare degli affreschi che
Polidoro da Caravaggio eseguì per Ludovico Montalto.
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Anche in questo caso, Summonate, elogia una copia, ma a differenza delle copie fiamminghe di
Colantonio, che erano un vera imitazione, questa era una rivisitazione di un modello nobile scelto
dall’artista con lo scopo di ridare all’arte moderna, la bellezza dell’arte degli antichi.
Tra il Quattrocento e il Cinquecento, nell’arte moderna avviene un passaggio dall’esaltazione della
pratica all’invenzione dell’opera. In questo clima di trasformazione, un’artista come il Perugino,
che aveva copiato molto se stesso seguendo l’esempio dei grandi maestri come Leonardo,
Michelangelo e Raffaello, spostò la sua attenzione sull’esecuzione dell’invenzione.
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Gli artisti da artigiani diventano creatori e le copie assumono un nuovo significato un diverso
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Shearman 1983, pp.83-96.
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Nicolini 1925, pp. 165.
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Ibidem.
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Nicolini 1925, pp. 161-162.
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Labrot 2004.
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valore, distinguendosi nettamente dai modelli. Da questo momento la copia, inizia a diffondersi
come riproduzione esatta, apprezzabile anche in assenza dell’originale.
Nel Cinquecento e nel Seicento, il fenomeno della copia pittorica si sviluppa nell'Italia meridionale,
nasce come metodo di apprendimento per gli artisti e in seguito diventa una fonte di sussistenza per
i falsari che riescono a guadagnare semplicemente realizzando copie di opere di altri artisti, senza
dipendere da committenti, vendendo direttamente le proprie produzioni nel mercato delle copie.
In Italia la città di Napoli è stata il maggiore centro interessato da questo fenomeno, grazie a diversi
fattori, tra cui il ruolo di tramite con la Spagna per la diffusione del rinascimento pittorico italiano e
per l'approvvigionamento delle opere d'arte nelle collezioni spagnole.
La copia pittorica a Napoli, fu presente già dal Cinquecento, con la realizzazione di copie delle più
importanti opere dei grandi artisti come Raffaello e Leonardo.
Una copia di buona qualità, di un originale importante, poteva avere più prestigio di un’opera
originale, come nel caso della copia della Trasfigurazione di Raffaello (figura 1) tra i più importanti
dipinti della storia dell'arte, realizzata da Giovan Francesco Penni, originariamente nella chiesa
degli Incurabili a Napoli, oggi l'opera si trova al Museo del Prado, a Madrid.
Il dipinto fu realizzato per la stessa committenza dell’originale, all’epoca fu uno dei dipinti più
importanti presenti nella città.
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Altre copie cinquecentesche, conosciute, sono quelle derivate da artisti non napoletani, che all'epoca
godevano di una notorietà maggiore, come: Leonardo da Pistoia, Giorgio Vasari e Marco Pino.
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L’artista senese, Marco Pino, è stato un grande innovatore; partendo dall’opera di Michelangelo,
riuscì ad adattare il dinamismo e la complessità degli affreschi della Cappella Sistina, alla pala
d’altare, allora molto richiesta e apprezzata. Pino fornì modelli prestigiosi e innovativi, delle
iconografie che raffiguravano i momenti della vita di Gesù e della Vergine, che si adattavano
perfettamente alle esigenze della nuova chiesa.
Tali modelli, che inizialmente furono riprodotti dall’artista stesso, vennero poi copiati e riprodotti
da allievi, aiutanti e copisti, che avevano a disposizione dipinti, incisioni e disegni.
Uno dei modelli, diffuso in tutto il meridione, è la Natività del 1568, realizzata da Cornelis Cort,
tratta da un disegno dell’artista senese.
Di grande interesse, è il modello della Circoncisione, realizzato da Pino per l’altare maggiore della
chiesa del Gesù vecchio, che fu copiato e diffuso in tutto il meridione per volere dei padri
dell’ordine dei Gesuiti.
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Tra i copisti del senese, registriamo anche alcuni artisti napoletani, come Fabrizio Santafede e
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Zezza 2003, pp. 114-118; pp.273-274.
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Database del Getty Provenance Index: http://piprod.getty.edu/starweb/pi/servlet.starweb
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Vasari 1568, IV , 334.
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Girolamo Imparato, chiamati dalla committenza per assicurarsi dipinti di alta qualità.
Contemporaneamente, nacque la necessità di modelli più idonei a un'interpretazione emotiva, così
alcune botteghe, come quella di Giovanni Lama, si specializzarono nella produzione di modelli più
adeguati, su richiesta dei frati e dalle suore, realizzarono le pale d’altare per alcuni dei conventi
femminili di Napoli.
In questo periodo, a Napoli giunsero anche i primi artisti nordici, in particolare i fiamminghi, come:
Smet, Croijs, Cobergher, Vinx, che si affermarono sia come maestri che come copisti, anticipando
un altro artista fiammingo: Louis Finson.
Durante il Seicento, acquisirono maggiore rilievo le copie di artisti napoletani come Stanzione e
Spagnoletto, si concentrarono nella produzione di copie a tematica devozionale, raffigurando
immagini dei santi e di Madonne.
Nelle botteghe dei pittori minori, ma anche in quelle dei grandi artisti dell'epoca, la produzione di
copie d’immagini della Madonna, in serie, assunse una certa importanza; tra questi artisti,
ricordiamo ad esempio, Pacecco De Rosa che realizzò la Madonna della Purità, nella Chiesa di
Santa Maria di Costantinopoli, a Napoli.
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Poco dopo la morte di Caravaggio, le opere originali erano richiestissime, ma trovarle poteva
risultare molto difficile, per sopperire a questa mancanza, esplose il fenomeno della copia delle
opere di Caravaggio.
I principali copisti del Merisi, furono: Baldassarre Aloisi, detto Galanino, Battistello Caracciolo,
Ribera e Giovanni Bernardino Azzolino.
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Il più importante copista di Caravaggio, è stato Louis Finson, il pittore fiammingo, che durante il
suo soggiorno napoletano, insieme al collega e socio Vinck, conobbe sicuramente il Merisi ed ebbe
modo di osservare le sue opere del periodo.
Successivamente, come ci testimoniano diverse fonti, Finson oltre all’attività di copista, in qualità
di mercante d’arte, si dedicò anche alla vendita di alcuni dipinti di Caravaggio, come la Giuditta e
Oloferne.
I documenti bancari, attestano che per alcune botteghe la pratica della copia, aveva un’importanza
primaria; furono molto attivi in questo settore, artisti come: Tommaso de Rosa, Giacomo di Castro,
Giovan Tommaso Passaro, Antonio Giordano, padre di Luca.
Il De Dominici, a Luca Giordano riconosce la capacità di produrre copie di alta qualità, su cui
baserà la sua enorme fortuna.
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Ma Luca Giordano, è stato anche uno dei pittori più illustri della sua epoca; egli realizzò una
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De Dominici 1742-1745, III. pp. 37; 754-755.
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Terzaghi 2010, pp.63-68, 242-243.
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De Lellis 1654, pp.63-64; PACELLI 2008, pp.102-105.
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quantità notevole di opere d’arte, tra queste si annovera una copia della Visitazione di Raffaello
(figura 2), che risale al 1655.
Il De Dominici, ci offre anche una descrizione delle botteghe napoletane dell’epoca e degli artisti
che vi transitarono.
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In particolare, il biografo, ci parla di quei pittori che non divennero grandi artisti e si limitarono a
una produzione artigianale, essi frequentavano uno dei maggiori atelier dell’epoca, quello di
Solimena; qui si formavano realizzando copie dei bozzetti del maestro.
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Tra questi allievi, c’erano sia copisti poco talentuosi come Salvatore Pace, Nunziante de Laurentiis.
Nicola Falocco, che alla fine scelsero altre strade, sia pittori talentuosi e molto richiesti, come
Romualdo Polverico, Scipione Cappella e Giuseppe Guerra che divenne uno dei primi copisti di
pitture ercolanesi.
Il fenomeno delle copie, si intensificò nel Seicento, generando un numero importante di esemplari
che inondarono il nascente mercato dell’arte e le collezioni, grazie soprattutto ai loro proprietari,
che, per ragioni difficili da spiegare, commissionavano copie degli originali già in loro possesso.
Questo fenomeno si intreccia con l’attività del Merisi e in particolare con i suoi soggiorni prima a
Roma e poi a Napoli, in seguito ai quali esplose la produzione di copie dagli originali di
Caravaggio.
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Ivi, III, pp. 1303-1305, 1308-1309.
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De Dominici 1742-1745, III, pp. 1294, 1351.
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1.2. Luca Giordano.
Luca Giordano, pittore napoletano (1634-1705), è stato uno dei massimi esponenti del barocco.
Soprannominato ‘fa presto’ per la sua velocità nel dipingere, è conosciuto già nel Seicento, sia per
la sua capacità di copista, che per la vasta produzione di opere d'arte.
Giordano si cimentò sia nella produzione di copie interpretative, che 'esatte', come la Visitazione del
1655, tratta dall’originale di Raffaello; giungendo, in alcuni casi, alla contraffazione della firma
dell'artista.
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Secondo il De Dominici, Giordano fu talmente abile come copista, da elevare l’arte della copia 'a
virtuosa'. Il biografo, riguardo le tecniche di pittura usate da Luca Giordano dice: «le tele da lui
dipinte all'uso veneziano col solamente ingessarle, ovvero quelle di cotone apparecchiate con colore
oglioso invece della solita imprimitura».
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Si evince, che il Giordano nelle sue tele applicasse tecniche e modalità pittoriche appartenenti a
diverse scuole pittoriche, come ad esempio quella veneziana. Altre notizie sulle doti di falsario di
Giordano, arrivano da una lettera scritta da Giovanni Di Castro ad Antonio Ruffo nel 1664, in cui
Di Castro descrive il copista con queste parole: «qui poi non vi è occasione di applicare o spendere
per che non comparisce cosa di gusto solamente certi pezzi che uno Luca Giordano contraffacendo
ora Titiano ora Paolo Veronese tranne di quello copiato molte cose in tempo di l'almirante di
Castiglia che ha fatto una buona pratica e poi ci dà una tinta anticha che non fanno mala vista il
Sig.re Gaspare [Roomer] ne a molti e altri mercanti molti, però già si è scoverto e così non si riceve
più».
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Per alcuni studiosi, la descrizione denigratoria del Giordano, fatta da Di Castro sarebbe frutto di una
certa rivalità tra i due artisti, per questo poco veritiera. D'altro canto però, l’assenza di opere di
Giordano nella collezione Ruffo, sembrerebbe testimoniare l’effetto che le parole del Di Castro
ebbero su Antonio Ruffo.
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Nella lettera, l’autore rivela una tecnica utilizzata da Giordano nelle sue riproduzioni, si tratta di una
patina bruna applicata all'opera per dare un effetto di invecchiamento. Di questa tecnica ne parla
anche De Dominici, il quale aggiunge che molte copie sono state realizzate da Giordano con la
tecnica del velo, cioè un procedimento di copia che ha permesso di tracciare l’opera originale,
velocizzando di molto i tempi di realizzazione.
Questa modalità di produzione, che dava vantaggi in termini di tempo, aveva anche un rischio, che
17
O. Ferrari, Le arti figurative, in Storia di Napoli, VI, t. II, Cava dei Tirreni 1970, pp. 1223-1363, cit. a p.
1254.
16
Cfr. De Dominici, Vite ed. cit. 2003, p. 997.
15
De Dominici 1742-1745, p.797.
14
De Dominici 1742-1745, pp. 724-725.
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