INTRODUZIONE
SOMMARIO:
1. Oggetto del lavoro; 2. Piano del lavoro.
1. Oggetto del lavoro La vendita di opere d'arte costituisce oggi il cardine attorno al quale ruota il
mercato dell'arte. Fiere e aste specifiche in Italia e all'estero sono ormai
diventate appuntamenti fissi per i soggetti interessati a vario titolo alla vendita e
all'acquisto. Per le opere di più alto livello negli ultimi decenni il mercato si è
mondializzato sotto la spinta della globalizzazione degli scambi di beni e di
servizi e dello sviluppo di flussi finanziari in grado di effettuare importanti
investimenti anche nel campo dell'arte. I valori economici sono spesso
elevatissimi, come testimoniato dalle quotazioni che spesso vengono raggiunte
in occasione di importanti aste. L'interesse economico e la rivalutazione
dell'opera d'arte è anche alla base di alcune recenti iniziative a cura di istituti
bancari e finanziari volte a sperimentare nuove forme di investimento aventi ad
oggetto opere d'arte quali i fondi di investimento in arte.
L'eccezionalità della vendita di opere d'arte risiede innanzitutto nella natura
particolare dei beni che ne costituiscono l'oggetto. Le norme nazionali di
riferimento devono essere coordinate con quelle fissate dalle principali
convenzioni internazionali elaborate in un primo momento per affrontare
situazioni di pericolo per l'integrità del patrimonio culturale nazionale in tempo
di guerra e in seguito, sviluppate anche in tempo di pace in funzione di esigenze
di maggiore conservazione e tutela. Quasi tutti gli ordinamenti giuridici hanno
avvertito l'esigenza di identificare categorie di beni che, in considerazione del
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loro valore culturale, vanno tutelati indipendentemente dal valore economico e
sottoposti a vincoli, anche se appartenenti a privati. La compressione della
libera disponibilità di tali beni si traduce in primo luogo nella regolamentazione
delle modalità di trasferimento della proprietà e nell'imposizione di divieti e
restrizioni alla circolazione transfrontaliera. L'intensità con cui i singoli
legislatori nazionali intendono garantire l'integrità del patrimonio artistico
nazionale e bilanciare questo valore con quello della libertà nella transazioni
commerciali varia da Stato a Stato, laddove, a fronte di legislazioni fortemente
protezionistiche, che impongono limiti talvolta insuperabili all'esportazione di
determinate categorie di beni culturali, ve ne sono altre di meno rigorose.
L'interesse per questo studio è nato dalla lettura di alcuni articoli pubblicati in
riviste specializzate in economia della cultura, in cui veniva sollevato il
problema degli effetti della normativa disciplinante la tutela dei beni culturali su
alcuni settori del mercato artistico come fiere, gallerie e case d'asta,
particolarmente orientate ad un mercato mondiale. Tra questi ho scelto di
approfondire il commercio delle vendite all'asta poiché si tratta del segmento
del mercato artistico maggiormente votato all'internazionalità: si tratta infatti di
un ramo del mercato caratterizzato dalla partecipazione di gallerie,
collezionisti, responsabili di musei sia pubblici che privati provenienti da tutto
il mondo. Le stesse opere che vengono vendute all'asta sono prodotte da artisti
universalmente riconosciuti. Infine, proprio a livello geografico le case d'asta
tendono ad essere concentrate preminentemente nelle grandi metropoli, piazze
d'affari internazionali: Londra e New York, Milano, Roma, Parigi. Da queste
caratteristiche deriva l'importanza, principalmente per i soggetti operanti su
questo mercato, di poter contare su una circolazione delle opere d'arte “libera”.
La presente tesi è stata sviluppata lungo tre profili tra loro strettamente
connessi: la normativa internazionale europea e nazionale inerente la
circolazione dei beni culturali, la vendita di opere d'arte e il particolare mercato
delle aste. Sono tre elementi estremamente articolati poiché i soggetti e gli
interessi coinvolti sono molteplici e con obiettivi a volte discordanti.
Nel panorama del sistema delle arti italiano si trova, da un lato, una complessa
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ed articolata normativa strumento attraverso il quale lo Stato tutela il
patrimonio artistico nazionale per promuoverne la conoscenza e per renderlo
fruibile alla comunità. Dall'altro lato si trova il mercato dell'arte che è
funzionale alla crescita degli artisti, a una loro valorizzazione, alla creazione del
collezionismo di qualità che arricchisce e alimenta il sistema museo. Al suo
interno si trova il segmento rappresentato dal mercato delle case d'asta: tale
mercato è estremamente importante poiché il passaggio in asta di un'opera ne
implica uno studio e un'analisi da parte di esperti, nonché la pubblicazione in un
catalogo; tutti elementi che ne incrementano il valore. Inoltre tale segmento
opera a livello internazionale favorendo gli scambi e la circolazione delle opere.
Si vengono dunque a scontrare aspirazioni di un mercato globale con interessi
di tutela strettamente ancorati ad una visione nazionale.
Utopicamente normativa e mercato dovrebbero essere funzionali l'una all'altro
ma dall'analisi emerge che non è così: tutela e mercato possono convivere?
Dove cominciano, e finiscono, le legittimazioni dell'una e i diritti dell'altro?
2. Piano del lavoro Il lavoro è stato strutturato riportando innanzitutto un capitolo dedicato alle
fonti normative che nel seguito della tesi sono oggetto di analisi e commento.
In primo luogo si trovano le fonti pattizie internazionali suddivise in diritto
internazionale pubblico e privato. Si sono analizzate, per quanto riguarda il
diritto internazionale pubblico, le Convenzioni Unesco del 1970 e Unidroit
disciplinanti la circolazione dei beni culturali in ambito internazionale, e
l'allegato 1A degli Accordi OMC riguardante gli a ccordi multilaterali sugli
scambi di merci in particolare rappresentanti il divieto alle restrizioni
quantitative alla circolazione dei beni in ambito internazionale. Nell'ambito del
diritto internazionale privato sono state esaminate la Convenzione dell'Aja del
1955 relativa alla legge applicabile alla vendita internazionale di oggetti mobili
corporali, la Convenzione di Roma del 1980 e il Regolamento Roma I volte a
definire la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali nell'Unione europea, e
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la Convenzione di Vienna del 1980 che trattandosi di diritto materiale uniforme
è volta a disciplinare la vendita internazionale di merci.
Si passa poi alle fonti di diritto dell'unione europea suddivise in diritto primario
e derivato. Per quanto riguarda il diritto primario sono stati analizzati l'articolo
36 TFUE che prevede una deroga al principio di libera circolazione delle merci
stabilito dal Trattato di Roma e l'articolo 167 del TFUE c on il quale la cultura
diviene oggetto specifico dell'azione dell'Unione europea.
Il paragrafo sul diritto dell'Unione europea si occupa anche del diritto derivato
analizzando principalmente il Regolamento 116/2009 (ex Regolamento
3911/92) e la Direttiva 93/7 che sono i principali strumenti normativi che
introducono un sistema comunitario di tutela del patrimonio culturale europeo.
Si passa poi alla sezione sulla legislazione italiana: attraverso lo studio del
Codice Civile, del Codice dei beni culturali e del paesaggio e del Codice del
Consumo si analizzano le tematiche delle circolazione nazionale e
internazionale di beni culturali e della vendita di opere d'arte. Nella quarta
sezione si riportano gli atti di autoregolamentazione con cui le case d'asta
disciplinano le proprie attività.
Il secondo capitolo affronta il complesso tema della circolazione dei beni
culturali.
Partendo dal regime internazionale sulla circolazione dei beni culturali fino ad
arrivare a quello nazionale, vengono analizzati i vari aspetti legati a questa
tematica: dalle norme stabilite a livello internazionale alle evoluzioni della
normativa dovute alla creazione del mercato unico, dal divieto assoluto di
esportazione dei beni culturali agli aspetti più tecnici per ottenere l'attestato di
libera circolazione, dalla possibilità per lo Stato italiano di poter praticare la
prelazione, ai rigidi obblighi che circondano il commercio dei beni culturali. Gli
ultimi due paragrafi della sezione dedicata al regime nazionale italiano
affrontano con taglio critico due particolari argomenti. Da un lato si prende atto
delle recenti modifiche apportate al Codice dei beni culturali e del paesaggio
nel 2008 e si sottolinea la scarsa efficacia di tali modifiche per disciplinare la
circolazione dei beni culturali; dall'altro si analizzano i problemi causati da una
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circolazione controllata sul particolare mercato delle case d'asta.
Nel terzo capitolo, riguardante l'analisi giuridica della vendita di opere d'arte, è
suddiviso in due sezioni principali: il contratto di vendita delle opere d'arte e la
vendita all'asta.
La prima tematica studia da un lato la formazione del contratto e il
trasferimento di proprietà relativo a un bene, dall'altro la normativa a tutela del
consumatore. Per quanto riguarda invece la vendita all'asta si analizza
l'inquadramento giuridico di tale vendita, la disciplina del rapporto tra venditore
e casa d'aste e i regolamenti interni con cui le case d'aste disciplinano le attività
condotte.
Il quarto capitolo, di taglio nettamente economico, si occupa delle case d'asta.
Dopo un'introduzione riguardante il mercato dell'arte visiva si passa ad
analizzare la struttura delle case d'asta e il loro specifico mercato di riferimento.
Si esamina poi la particolare situazione attuale vissuta dal settore dell'arte: la
crisi finanziaria degli ultimi anni ha avuto infatti un forte riflesso sul mercato
artistico.
Il mercato artistico italiano, e in particolare le case d'asta, pur essendo l'arte
considerata un valido settore d'investimento, si trovano in crescente difficoltà. Il
settore ritenuto più sicuro per investire in arte è infatti l'arte moderna: la
circolazione e la vendita di opere appartenenti a questo settore è tuttavia
soggetta ad una normativa di tutela estremamente restrittiva. Il mercato delle
case d'asta italiano si trova dunque ad affrontare la crisi senza il supporto della
normativa ma piuttosto ostacolato da essa.
Infine, nelle conclusioni, dopo aver sottolineato i risultati raggiunti, sono stati
evidenziati i punti rimasti da approfondire e si è cercato di ipotizzare delle
soluzioni al vasto problema della circolazione controllata.
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CAPITOLO I. IL QUADRO NORMATIVO SOMMARIO:
Sezione I Fonti pattizie internazionali:
A) Diritto internazionale pubblico: 1.Convenzione Unesco 1970: mezzi per impedire e vietare
l'importazione, l'esportazione e il trasferimento illecito dei beni culturali; 2. Convenzione
UNIDROIT del 1995 sui beni rubati o illecitamente esportati;3. Allegato 1A Accordi OMC.
B) Diritto internazionale privato: 1.Convenzione dell'Aja del 1955; 2. Convenzione di Roma
1980; 3. Regolamento Roma I; 4. Convenzione di Vienna 1980.
Sezione II- Fonti di diritto dell'Unione Europea:
A) Diritto primario: 1. Art 3 par 3 TUE; 2. Art. 36 Trattato sul Funzionamento dell’Unione
Europea; 3. Art. 167 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ; 4. Un fondamentale
contributo della Corte di Giustizia: la causa 7/68
B) Diritto derivato: 1. Regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008; 2.
Direttiva 93/7 del Consiglio del 15 marzo 1993 sulla restituzione dei beni culturali usciti
illecitamente dal territorio di uno Stato membro; 3. Decisione quadro 584/2002/GAI sul
mandato di arresto europeo e le procedure di consegna tra gli Stati membri dell’Unione
europea; 4. Decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio del 6 ottobre 2006 relativa
all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca.
Sezione III- Legislazione italiana:
1.Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato. Legge 31 maggio 1995 n.218;2.
Codice civile; 3. Codice dei beni culturali e del paesaggio; 4. Codice del Consumo; 5. Testo
Unico di Pubblica sicurezza art 115 licenza per il banditore d'asta; 6. Circolare del Ministero
della Pubblica Istruzione – Direzione Generale Antichità e Belle Arti del 13 maggio 1974.
Sezione IV- Atti di autoregolamentazione:
1. Codice Deontologico Internazionale per i commercianti di beni culturali; 2. Regolamento
ANCA; 3. Regolamento Finarte; 4. Regolamento Farsetti Arte; 5. Regolamento Pandolfini.
Sezione I. Fonti pattizie internazionali Diritto internazionale
1. Convenzione Unesco 1970: mezzi per impedire e vietare l'importazione,
l'esportazione e il trasferimento illecito dei beni culturali La Convenzione dell'UNESCO del 14 novembre 1970 stabilisce un regime tra i
più importanti in materia, considerando anche il numero degli Stati che fin'ora
15
vi hanno aderito 1
: è la prima Convenzione globale che disciplina il
trasferimento internazionale dei beni culturali. Da un lato è volta a promuovere
la protezione dei beni culturali nei diversi paesi contraenti, dall'altro mira a
tutelare e a preservare il patrimonio culturale comune dell'umanità tramite la
collaborazione tra Stati 2
, è quindi il più importante atto internazionale tendente
a garantire la preservazione del patrimonio culturale universale.
La Convenzione è entrata in vigore, sul piano internazionale, il 24 aprile del
1972 dopo una fase preparatoria durata una decina d'anni, contiene una
dettagliata elencazione dei beni che rientrano nel suo ambito di applicazione,
facendo riferimento non solo alle opere d'arte ma a tutti i beni che presentino
un'importanza storica, archeologica, letteraria, artistica e scientifica, come
enunciato al suo articolo 1
3
. Rappresenta un compromesso tra i divergenti
interessi degli Stati “importatori” e degli Stati “ esportatori”, infatti il testo
definitivo è il risultato di un processo di revisione ed elaborazione di un
progetto originario predisposto dal Segretariato Generale dell'Unesco nel 1969
4
.
Il Progetto prevedeva l'obbligo molto rigido per ciascuno Stato di istituire un
inventario dei beni culturali, di vietare l'esportazione di qualsiasi bene
sprovvisto di apposito certificato e di istituire un sistema di controlli
all'importazione grazie al quale gli Stati si impegnavano a proibire l'ingresso nel
proprio territorio dei beni non accompagnati dallo stesso certificato di
esportazione. Per assicurare l'attuazione di questi meccanismi erano previste
precise sanzioni in caso di mancato rispetto di tale doppio sistema di controllo 5
.
Era inoltre previsto il sequestro dei beni che fossero risultati illecitamente
importati, l'obbligo di divulgazione delle informazioni ad essi relative a tutti gli
1 La Convenzione è in vigore tra 120 stati, l'ultimo Stato aderente in ordine di tempo è La Guinea
Equatoriale l'11 luglio 2008 (luglio 2010). La Convenzione è entrata in vigore in Italia il 2
gennaio 1979. La legge n. 873 del 30 ottobre 1975, contenente l' autorizzazione alla ratifica e
l'ordine di esecuzione interno, è pubblicata in G.U. n. 49 del febbraio 1976.
2 TAMPIERI T., La vendita di opere d'arte, Clueb, Bologna 2006 p.51
3 FRIGO M., La circolazione internazionale dei beni culturali , Giuffrè 2007, p.9
4 LANCIOTTI A., La circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e
comunitario , Napoli 1996, p.69
5 LANCIOTTI A., op. cit. p.70
16
interessati e la loro restituzione allo Stato d'origine. Tali disposizioni furono
giudicate dalla maggioranza degli Stati troppo complesse per essere attuate e
non furono accettate: nella fase di realizzazione del testo finale si pervenne a
numerose variazioni rispetto al Progetto.
Per quanto riguarda il contenuto precettivo della Convenzione ratificata, il
divieto di trasferimento di proprietà, di esportazione e di importazione dei beni
che che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione (art. 1) non è
assoluto: spetta ad ogni Stato contraente il compito di regolamentare le
operazioni relative ai beni situati sul proprio territorio e di stabilire quali sono
da considerarsi lecite e quali no. Questa caratteristica fa si che la Convenzione
rappresenti uno strumento di salvaguardia dei singoli patrimoni nazionali degli
Stati contraenti e non vada quindi ad identificare un ristretto nucleo di beni
come parte costituente di un patrimonio internazionale comune.
Gli Stati aderenti hanno dato il loro consenso all'obbligo di munire i beni in
uscita di un certificato di autorizzazione all'esportazione, senza però identificare
dei criteri uniformi per il suo rilascio, e vietano l'uscita dei beni sprovvisti del
medesimo. Non è stata approvata la disciplina contenuta nel Progetto relativa
all'obbligo di vietare anche l'importazione dei beni privi del suddetto certificato.
Questa mancata imposizione di controlli diminuisce all'atto pratico l'efficacia
del sistema convenzionale.
Sono considerati illeciti l'importazione, l'esportazione o il trasferimento di
proprietà di beni culturali effettuati in violazione delle norme di legge adottate
da ciascuno Stato contraente (art. 3).
La Convenzione obbliga gli Stati aderenti a condizionare l'esportazione di beni
culturali al rilascio di appositi certificati di autorizzazione e a proibire
l'esportazione di beni culturali privi di tale certificato (art. 6).
Gli Stati contraenti si impegnano inoltre, nel rispetto dell'articolo 7, a impedire
l'acquisizione da parte dei musei situati sul loro territorio di beni esportati
illecitamente dal territorio di un altro Stato contraente (art. 7.a); a vietare
l'importazione dei beni culturali rubati in un museo o altra istituzione pubblica,
civile o religiosa, dopo l'entrata in vigore della Convenzione (art. 7.b.i); a
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restituire ogni bene culturale rubato e illecitamente importato su richiesta dello
Stato di origine contraente, norme che sottolineano la cooperazione
internazionale. L'articolo 7 prevede anche una procedura di recupero speciale
(art 7. b , ii) ed è l'unica disposizione di rilievo ai fini della restituzione. Impone
l'adozione di misure adeguate al fine di porre sotto sequestro e restituire allo
Stato di origine, che sia parte della Convenzione e che ne faccia richiesta, i
beni rubati in un museo o in altro pubblico monumento di carattere civile o
religioso o di una istituzione simile. Lo Stato richiedente deve dare prova che la
richiesta sia legittima e il versamento di un equo indennizzo al terzo acquirente
in buona fede o legittimato alla proprietà da un valido titolo 6
. Ha però un
ambito di applicazione limitato: opera solo rispetto ai beni rubati quando
precedentemente inseriti nell'inventario dell'istituzione. Sono quindi esclusi
dalla procedura di restituzione i beni provenienti da scavi archeologici e non
ancora inventariati, quelli rubati a privati e quelli esportati su iniziativa dello
stesso proprietario. Solo in caso di furto di un bene inventariato vige l'obbligo
per gli Stati di adottare misure adeguate per consentirne il recupero e la
restituzione allo stato d'origine che ne faccia richiesta. La domanda va inoltrata
per via diplomatica e verrà accolta a patto che lo Stato richiedente versi un
“equo” indennizzo all'acquirente in buona fede o alla persona che ha ottenuto la
proprietà in base ad un titolo valido. La norma non è però chiara: non ci sono
sufficienti precisazioni sugli aspetti della procedura della restituzione, mancano
i termini previsti per l'inoltro della richiesta, non sono specificati i rapporti
intercorrenti tra questa domanda di restituzione e quella inoltrata attraverso i
canali diplomatici ammessi sempre dalla Convenzione Unesco all'articolo 13. c.
Ancora problemi si ritrovano nei confronti del possessore attuale del bene e al
computo dell'indennizzo: vi sono dubbi sul fatto che “equo” debba essere
considerato pari alla valutazione attuale di mercato del bene o pari al valore di
mercato risalente all'acquisto. Nulla è detto neanche a proposito
dell'adeguamento del diritto interno, in modo da prevedere la possibilità di
spossessare l'acquirente in buona fede che abbia in base alla legge rei sitae
6 FRIGO M., op.cit. , p.12
18
acquistato legittimamente il diritto di proprietà sul bene acquistato. Tale
mancanza attenua l'efficacia pratica dell'obbligo di restituzione di cui all'art.
7.b , ii , come pure delle altre norme convenzionali che disciplinano l'azione di
restituzione in via giurisdizionale 7
.
L'articolo 9 della Convenzione prevede che se il patrimonio culturale di uno
Stato membro è messo in pericolo da saccheggi archeologici o etnologici, tale
Stato può appellarsi agli Stati parte della Convenzione con i quali stilare accordi
ad hoc che li impegni ad applicare misure necessarie quali il controllo su
importazione, esportazione e commercio internazionale per prevenire un danno
per il patrimonio culturale dello Stato richiedente.
L'articolo 13. a prescrive un obbligo di carattere generale per gli Stati contraenti
di impedire con tutti i mezzi appropriati i trasferimenti di proprietà di beni
culturali tendenti a favorire l'importazione o l'esportazione illecite di tali beni.
In materia di restituzione la Convenzione pone un obbligo di carattere generale:
quello di fare in modo che i servizi nazionali facilitino la restituzione dei beni
illecitamente fuoriusciti da ciascuno Stato contraente (art. 13. b )
8
; quando però
si passa alle misure da adottare in concreto la portata di tale obbligo è
notevolmente sminuita dalla “conformità alle legislazioni interne” delle misure
di attuazione dell'obbligo di restituzione. Non è un caso che la richiesta di
restituzione si scontri con situazioni giuridiche riconosciute e protette
dall'ordinamento dello Stato in cui il bene si trova come per esempio il diritto di
proprietà validamente costituito in base all'efficacia costitutiva riconosciuta al
possesso dalla legge propria del luogo in cui si le cose si trovano. Per i soli
beni culturali dichiarati inalienabili dallo Stato d'origine le parti contraenti si
sono impegnate a facilitare la restituzione, e unicamente nel caso in cui siano
stati illecitamente esportati e sia stata fatta nei loro confronti un'azione di
rivendica da parte dello Stato di appartenenza (art. 13, d ). Per gli altri beni
rubati l'impegno preso riguarda semplicemente il consentire l'esercizio
dell'azione di rivendica da parte del legittimo proprietario, s econdo l'art. 13.c gli
7 LANCIOTTI A., op. cit., p.72
8 FRIGO M., op. cit., p. 12
19
Stati si impegnano ad ammettere un'azione di rivendicazione di beni culturali
perduti o rubati esercitata dal legittimo proprietario o in suo nome 9
.
La Convenzione Unesco 1970 è uno strumento di fondamentale importanza in
quanto primo elemento normativo internazionale specificamente finalizzato alla
tutela dell'integrità del patrimonio culturale di ciascuno Stato e in quanto
ratificata da più di cento stati. Ciò fa si che i valori consacrati dalla
Convenzione e principalmente quello dedicato alla lotta al traffico illecito di
opere d'arte, sia considerato condiviso a livello mondiale. Sotto il profilo
operativo, tuttavia, la Convenzione si è rivelata scarsamente incisiva. Basata su
norme di portata generale, di contenuto per lo più programmatico e con un
campo di applicazione intrinsecamente limitato, denota limiti di ordine
applicativo che hanno fatto si che i principi contenuti in questa Convenzione
fossero in seguito sviluppati nell'ambito della Convenzione Unidroit del 1995.
2. Convenzione UNIDROIT del 1995 sui beni rubati o illecitamente
esportati
Questa Convenzione trae origine da diverse problematiche non del tutto
soddisfatte della Convenzione Unesco del 1970: in primo luogo lo scarso
impatto sul comportamento dei singoli Stati in ordine al problema della
restituzione dei beni illecitamente importati o esportati e quindi la limitata
efficacia in termini di reale restituzione dei beni medesimi agli Stati o ai privati
richiedenti. Inoltre il complesso rapporto tra le esigenze di munire i beni
culturali di una tutela internazionale, il garantire nello stesso tempo la loro
libera circolazione e la tutela dell'acquirente in buona fede accordata da vari
ordinamenti interni, determinò l'iniziativa da parte dell'Unesco di affidare
all'Unidroit, l'Istituto Internazionale per l'Unificazione del diritto Privato, il
compito di predisporre un nuovo strumento autonomo convenzionale. A
conclusione della sessione finale della Conferenza, svoltasi a Roma il 24 giugno
9 LANCIOTTI A., op. cit. p. 72 ss.
20
1995 al termine di un elaborato iter di lavori iniziato nel 1986, venne
sottoscritta la “Convenzione sui beni culturali rubati o illecitamente esportati”,
recepita nel nostro ordinamento con la legge 7 giugno 1999, n.213
10
.
La Convenzione UNIDROIT tratta due distinte ipotesi: la prima è quella della
restituzione dei beni culturali rubati (art.1, a ) e la seconda riguarda il ritorno
dei beni culturali fatti oggetto di esportazione in violazione delle regole
prescritte dai relativi ordinamenti (art.1 b ). A ciascuna delle due ipotesi la
Convenzione applica una disciplina diversa e autonoma
11
.
La Convenzione si presenta come un testo di diritto uniforme che quindi mira a
fornire un corpo minimo di norme giuridiche comuni in materia di ritorno e
restituzione dei beni culturali tra gli Stati contraenti 12
.
Per quanto riguarda la disciplina sui beni culturali rubati, l'art.3 prevede che il
possessore di un bene rubato è tenuto a restituirlo, parificando al bene rubato
anche un bene illecitamente tratto da scavi archeologici. I termini temporali di
decadenza e prescrizione della domanda di restituzione del bene culturale
rubato sono di tre anni dal momento in cui il legittimo proprietario ha scoperto
il luogo dove il bene è detenuto e l'identità del possessore e comunque di
cinquant'anni dalla data del furto. Ogni Stato contraente ha comunque la facoltà
di fissare il termine di prescrizione in settantacinque anni o in termine ancora
più lungo previsto dal diritto interno di quello Stato. L'azione di restituzione di
beni culturali facenti parte di una collezione pubblica, di un monumento o di un
sito archeologico non è sottoposta ad alcun termine di prescrizione.
La Convenzione consente di realizzare un'efficace tutela del legittimo
proprietario come anche dell'acquirente in buona fede di un bene culturale
rubato. Stabilisce infatti (art. 4), che al possessore del bene culturale rubato
spetta un equo indennizzo per la restituzione del bene stesso a meno che egli
non conoscesse o non avesse dovuto ragionevolmente conoscere l'origine
furtiva del bene e a condizione che egli sia in grado di dimostrare di aver usato
10 La legge contenente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione è pubblicata in
G.U. 2 luglio 1999, n.153.
11 TAMPIERI T., op. cit. p.56
12 FRIGO M., op. cit. p.19
21
la necessaria diligenza al momento dell'acquisto del bene. Per stabilire se il
possessore ha agito diligentemente occorre tener conto di tutte le circostanza del
caso, tra cui la qualità delle parti, per esempio nel caso in cui l'acquirente sia un
mercante d'arte professionista gli sarà richiesto un grado di diligenza maggiore
rispetto ad un acquirente occasionale, il prezzo pagato, l'avvenuta consultazione
dei registri relativi ai beni culturali rubati e ogni altra forma di informazione
ragionevolmente accessibile anche tramite organismi competenti.
Per ottenere il ritorno dei beni culturali illecitamente esportati ( art. 5) lo Stato
richiedente potrà rivolgersi al giudice o ad un'altra autorità competente dello
Stato in cui il bene da restituire si trova, incide quindi sul diritto pubblico degli
Stati interessati. Il giudice o l'autorità competente in questione deve ordinare il
ritorno del bene, qualora il richiedente dimostri che l'esportazione del bene
conteso arreca un danno significativo a rilevanti interessi come: la
conservazione del bene stesso, l'integrità di un bene complesso o la
conservazione delle informazioni di natura scientifica e storico-artistica del
bene.
Oltre che in sede giudiziale le parti possono trattare la controversia sulla
restituzione o sul ritorno del bene anche in arbitrato ( art.8, comma 2).
Degno di rilievo è l'articolo 9 che consente ad uno Stato contraente di applicare
qualsiasi norma sia, tra quelle previste dalla Convenzione, più favorevole alla
restituzione o al ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente esportati 13
.
La Convenzione UNIDROIT è stata ratificata, oltre che dall'Italia, da circa
quaranta
14
Stati tra i quali tuttavia non sono compresi alcuni tra i più importanti
Stati importatori di opere d'arte come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la
Svizzera, il Giappone, il Canada e la Germania
15
.
Il recepimento nell'ordinamento italiano tuttavia non è perfettamente in linea
con le peculiarità della Convenzione: la normativa di esecuzione di quest'ultima
13 TAMPIERI T. op. cit. p. 57-58 e MARLETTA , I beni culturali , in Tratt.Bessone, XXVI, t. I,
Torino, 2006 pp. 318-319
14 La lista degli Stati aderenti alla Convenzione può essere consultata sul sito web
dell'UNIDROIT all'indirizzo www.unidroit.org 15 TAMPIERI T. op. cit. p. 60
22
per esempio dispone la liquidazione al possessore in buona fede di un
indennizzo che può essere determinato dal giudice interno sulla base di criteri
equitativi non rispettando il concetto di pagamento di equo indennizzo ben
precisato all'art. 4 della Convenzione, introducendo un elemento di
discrezionalità che non è previsto nel testo convenzionale e che ne riduce la
portata. La legge italiana di esecuzione stabilisce inoltre che il soggetto
interessato debba fornire la prova di aver agito in buona fede mentre la
Convenzione fa riferimento alla nozione di dovuta diligenza che prende come
riferimento un parametro diverso, non potendosi paragonare dal punto di vista
civilistico la nozioni di diligenza e di buona fede 16
. La scelta del legislatore
italiano di legittimare lo Stato a promuovere un'azione giudiziaria per la
restituzione dei beni rubati “qualora i beni rubati siano sottoposti alla disciplina
prevista dalla legge 1 giugno 1939, n.1089” e quindi nell'ipotesi che lo Stato sia
proprietario del bene quanto in quella in cui proprietario sia un privato che non
possa o non voglia avviare l'azione giudiziaria di restituzione, appare
compatibile con gli obiettivi della Convenzione
17
.
3. Convenzione di Vienna 1980
La Convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980 si occupa del contratto di vendita
internazionale di merci 18
, si occupa quindi di diritto materiale uniforme 19
.
La Convenzione di Vienna è stata promossa dalle Nazioni Unite e ha sostituito
le due Convenzioni dell'Aja del 12 luglio 1964 recanti in allegato le leggi
uniformi sulla formazione e sul contratto di vendita internazionale di oggetti
mobili corporali, entrate in vigore nel 1972. L'Italia per adeguarsi all'obbligo
16 FRIGO M. op. cit. p.137
17MARLETTA M., I beni culturali , p. 320
18 La Convenzione dei Vienna 1980 è entrata in vigore il 1 gennaio 1988. La legge n. 765
contenente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione è stata pubblicata in G.U.
n.303 del 27 dicembre 1985.
19 LANCIOTTI A., op. cit., p.32
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