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Introduzione
Il mercato del lavoro italiano ha subito negli ultimi decenni profonde
trasformazioni, alcune dovute all‟evoluzione del sistema economico e
finanziario, altre prodotte da interventi di politica del lavoro volti a
modernizzarne il funzionamento, altre invece sollecitate dalle strategie europee
per l‟occupazione. Tutte le recenti riforme, a partire dalle fine degli anni „80,
hanno puntato sul paradigma della flessibilità. Dal momento che secondo uno
studio OCSE del 1996 l‟Italia aveva un elevato indice EPL
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, che misura il
regime di protezione sul lavoro, si è puntato alla sua riduzione, perché secondo
le teorie economiche dominanti un mercato del lavoro poco flessibile, quindi
con una bassa possibilità o un elevato costo di licenziamento, produce
disoccupazione e provoca crisi economiche, in quanto non rende libere le
imprese di avviare nuovi investimenti.
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Come analizzeremo nel primo capitolo, la prima normativa applicata in Italia che
ha aumentato il grado di flessibilità, è stata quella riguardante l‟introduzione del
contratto di formazione e lavoro; si trattava di una misura rivolta ai giovani, in
via sperimentale, che dava da una parte la possibilità al datore di lavoro di
disporre di forza lavoro con un costo minore, e quindi risparmiare anche sulla
formazione dei lavoratori, dal momento che si trattava di un contratto con
regime contributivo agevolato; e d‟altra parte agevolava i giovani in cerca di
prima occupazione, che al contempo concludevano il percorso formativo, di
introdursi nel mondo del lavoro. Successivamente, nel 1997, vedremo
l‟introduzione del “Pacchetto Treu”, un insieme di misure per la riforma del
mercato del lavoro, il cui nome deriva dal ministro proponente, ed introdurrà per
la prima volta il “Lavoro in affitto o somministrato”. Si tratta di un tipo di contratto
fortemente flessibile, che come vedremo vede la presenza di tre soggetti nel
rapporto di lavoro, nonché un alto grado di flessibilità nella gestione della forza
lavoro. Infine, nel 2003, troviamo l‟improprio nome della “Riforma Biagi”, che
introdurrà una profonda diversificazione delle forme di lavoro atipiche,
apportando un aumento del grado di flessibilità al nostro mercato del lavoro,
allineandolo agli altri sistemi europei. Vedremo quindi come queste riforme
abbiamo, nel dettaglio, modificato il nostro sistema contrattuale all‟interno del
mercato del lavoro, e studieremo quali conseguenze sociali ed economiche
abbiano comportato.
Nel secondo paragrafo, verrà fatta un‟analisi sulla prima grande trasformazione:
l‟accresciuta partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Evidenzieremo
infatti i tassi di occupazione, con particolare attenzione ai modelli d‟istruzione
che mostrano la presenza di disuguaglianze di genere. Svolgeremo anche una
comparazione, non solo tra i principali paesi europei, ma anche tra il Nord e il
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Indice OCSE EPL(Employment Protection Legislation): si tratta dell‟insieme di regole e procedure che
disciplinano la possibilità di assumere e licenziare lavoratori nel settore privato.
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Gallino L., (2007), Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Bari, Laterza
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Sud dell‟Italia, studiando la persistenza di differenze tra l‟occupazione femminile
e quella maschile. Richiameremo il modello dell‟occupazione femminile
bolognese, che è stato considerato negli ultimi anni, uno dei modelli più vigorosi
per la partecipazione femminile, anche grazie alla diffusione di servizi per
l‟infanzia che migliorano la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita delle
lavoratrici.
La terza grande trasformazione del mercato del lavoro, evidenziata nel
paragrafo terzo, è quella che ha visto la grande espansione del settore terziario.
Dopo aver analizzato il fenomeno, vedremo i dati occupazionali, analizzando la
quantità di manodopera che questo settore oggi assorbe. Infine verrà fatta una
distinzione delle forme contrattuali, con la misurazione delle ore di lavoro
registrate negli ultimi anni nel settore in questione.
Nel quarto paragrafo si analizzerà l‟ultima grande trasformazione, data dalla
nascita della società digitale, e la smaterializzazione del lavoro. L‟attuale
paradigma della globalizzazione poggia su alcuni fattori innovativi: la possibilità
delle imprese di immagazzinare e trattare una mole ingente di dati in formato
elettronico, e la capacità di trasmettere ovunque dati e informazioni. Tutto ciò
consente di poter localizzare (e delocalizzare) le attività basate sul trattamento
ed erogazione di informazioni in paesi dove il lavoro ha un costo inferiore;
oppure far lavorare parte dei propri dipendenti da una postazione a distanza, o
in sedi decentrate, senza la necessità di recarsi fisicamente nello stabilimento: il
cosiddetto fenomeno delle telecommesse e del telelavoro. Ciò ha comportato
uno stravolgimento dell‟organizzazione del lavoro e ha richiesto un adattamento
della normativa. Verificheremo in termini di dati quali esiti occupazionali ha
prodotto il fenomeno.
Vedremo infine, alla fine del capitolo, in termini generali, quali siano le
conseguenze della globalizzazione in termini di mobilità delle imprese e dei
lavoratori. Più specificamente si analizzerà quali delle principali aziende
abbiano trasferito la propria produzione, alla ricerca di paesi dove il costo del
lavoro è inferiore. Si vedrà inoltre se i lavoratori del Sud, specialmente quelli più
giovani, trovandosi in condizione di difficoltà occupazionale, decidano di
intraprendere o meno la via della migrazione verso il Nord del paese, nel quale
il mercato del lavoro è più florido e flessibile.
Nel secondo capitolo tratteremo i fenomeni dell‟occupazione e disoccupazione;
in primis vedremo la distribuzione dell‟occupazione in termini di differenze per
età, sesso e livello d‟istruzione; analizzeremo poi i settori di attività economica
che producono l‟occupazione, e le condizioni professionali degli occupati. Nel
terzo paragrafo prenderemo in considerazione le forme contrattuali e gli orari di
lavoro degli occupati. Successivamente, studieremo la distribuzione territoriale
e settoriale dell‟occupazione, evidenziando le differenze tra il Nord e il
Mezzogiorno.
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Nel quinto paragrafo verrà data particolare attenzione al fenomeno della
disoccupazione; si partirà dall‟analisi della diffusione, intensità, e soprattutto la
durata della disoccupazione. L‟analisi verrà condotta mettendo in evidenza le
differenze territoriali. Nel sesto paragrafo analizzeremo i dati della
disoccupazione per sesso, età, e livello d‟istruzione; il principale intento è quello
di comprendere quali sono le classi d‟età maggiormente colpite dal fenomeno, e
soprattutto se il titolo di studio è determinante nella ricerca del lavoro, e laddove
lo sia se l‟effetto sia più accentuato al Nord o Sud del paese.
Infine nell‟ultimo paragrafo analizzeremo uno dei problemi più gravi e diffusi nel
mercato del lavoro (italiano e non solo): la precarietà. Sempre più spesso ci si
trova in una condizione di disoccupazione ricorrente, con brevi periodi di
occupazione alternati a periodi più lunghi di disoccupazione. Vedremo, con dati
Istat, in che modo ciò rappresenta un problema, sia per l‟Italia che per la
Sardegna, e quali potrebbero essere le soluzioni per il superamento della
precarietà, in alcuni casi anche fattore di povertà per le famiglie italiane.
Nel terzo capitolo, si analizzerà l‟ultima riforma del mercato del lavoro,
denominata “Jobs Act”. Il nome è ripreso dalla riforma del mercato del lavoro
americano, “The american Jobs Act of 2011”, la quale ha previsto una serie di
interventi in ambito economico e del lavoro; nel nostro caso, la riforma ha
previsto solo interventi nell‟ambito del mercato del lavoro.
La riforma nel suo complesso non fa altro che proseguire quello che hanno fatto
le precedenti riforme sul mercato del lavoro, infatti viene ridotta la tutela sul
licenziamento dei lavoratori, pur razionalizzando tutto il pilastro degli
ammortizzatori sociali. Vedremo quindi quali sono stati gli obiettivi che ci si è
posti di raggiungere. Si vedrà nel terzo paragrafo quali risultati sono stati
raggiunti dopo un anno di applicazione della normativa (costituita da una serie
di decreti approvati nel corso dei mesi in attuazione della legge delega n.
183/2014 – c.d. Jobs act – che ha previsto appunto ampie deleghe al Governo
per la riforma del mercato del lavoro), in particolar modo verificando come sono
cambiati il tasso di disoccupazione, occupazione e inattività. Infine si chiuderà il
capitolo effettuando un‟analisi di quelli che sono gli elementi critici che la riforma
presenta soprattutto a livello costituzionale, ed economico.
Nel quarto e ultimo capitolo si affronterà un caso specifico: l‟analisi del mercato
del lavoro della Sardegna. Si partirà da un‟analisi demografica, per
comprendere come è strutturata la popolazione sarda, elemento fondamentale
che incide significativamente nel mercato del lavoro e nell‟organizzazione dei
servizi di welfare. Verrà analizzata poi l‟evoluzione e la struttura
dell‟occupazione; la Sardegna vive infatti una crisi multipla: economica,
infrastrutturale e dei servizi, che aggrava la situazione produttiva e quindi del
mercato del lavoro, ponendo maggiori oneri per le imprese e condizioni di grave
difficoltà per le forze di lavoro.
Un fenomeno grave in Sardegna, come nel resto d‟Italia, è quello della
disoccupazione; infatti dopo il 2008 i numeri hanno obbligato all‟adozione di un
piano straordinario per l‟occupazione, in quanto la crisi economica ha portato
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alla chiusura di importanti poli industriali, dal Sud al Nord Sardegna, che
offrivano una massiccia quota di occupazione, tutt‟ora assistita dal regime degli
ammortizzatori sociali. Verrà condotta un‟analisi per verificare quali siano le
categorie maggiormente toccate dal fenomeno della disoccupazione sia in
termini di età, che in termini di genere.
Il lavoro si chiude con lo studio delle misure che la Regione Sardegna, i
sindacati e le imprese, adottano sia prima del periodo di crisi, che dopo.
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Capitolo I. – Il processo di modernizzazione del
mercato del lavoro.
1.1. La regolazione flessibile del lavoro e la frammentazione
dei percorsi lavorativi
A partire dalla metà degli anni „80 il mondo del lavoro ha subito dei
cambiamenti profondi, specialmente per quanto riguarda i ritmi di produzione e
le logiche organizzative. Quello che è cambiato è anche il tipo di mansioni e la
distribuzione dell‟occupazione; infatti mentre da una parte troviamo un
crescente ingresso delle donne nel mercato del lavoro, legato anche alla
seconda componente, ovvero l‟aumento dell‟occupazione nel settore dei servizi;
d‟altra parte notiamo come buona parte delle mansioni e dell‟occupazione sia
stata creata nel settore delle ICT e del lavoro “smaterializzato”, che può essere
delocalizzato senza vincoli spaziali, in qualsiasi parte del pianeta in piena logica
della globalizzazione (sfuggono a questa condizione i servizi alla persona, che
occupano soprattutto le donne).
È interessante notare, come fa Accornero (1997), che il lavoro sembra stia
svanendo o si stia trasformando in una sorta di “ozio attivo”
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; il lavoro sembra
destinato ad un impoverimento di contenuti e di pregnanza. L‟idea
fondamentale di tutti gli studiosi è che il lavoro venga degradato.
In secondo luogo troviamo il fenomeno della disoccupazione di massa, che
impedisce a chi vuole lavorare di poterlo fare; mentre chi non è costretto, ad
esempio il pensionato, si trovato a rivestire talvolta cariche importanti.
Durante tutto il Novecento il lavoro è mutato incessantemente assumendo
diverse connotazioni. Accornero
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, delinea diverse tappe, che fanno parte della
grande trasformazione del mondo del lavoro, che hanno portato il lavoro, ad
essere quello che oggi è.
Come prima tappa indica il periodo che inizia nel primo decennio del
Novecento, con l‟ingresso delle donne nelle fabbriche, per aumentare la
produzione bellica, in vista della prima guerra mondiale.
La seconda tappa viene individuata nel riconoscimento delle 48 ore settimanali
lavorative, istituite durante il periodo fascista.
Durante gli anni „30 si evidenzia la terza tappa della rivoluzione, che si apre con
l‟avvento del New Deal e un‟epoca di recessione e disoccupazione di massa,
che verrà interrotta qualche anno più tardi con la seconda guerra mondiale, ed
obbligherà, di nuovo, ad un aumento dell‟occupazione femminile nelle industrie
belliche, al fine di far fronte alla produzione mondiale di armamenti con modalità
di produzione metodiche di stampo Fordista-Taylorista.
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Accornero A., (1997), Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino
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Accornero A., (1997), Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino
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Durante gli anni „50 emerge il metodo di produzione antagonista al fordismo: il
modello della produzione snella giapponese. Si tratta di un modello
organizzativo innovativo perché, mentre il modello fordista si basava sulla forte
standardizzazione del lavoro e la specializzazione delle mansioni, funzionava
secondo il principio delle economie di scala; diversamente il modello della
produzione snella giapponese si basa sulla totale eliminazione di tutti gli sprechi
all‟interno dell‟azienda, a partire dalle scorte nei magazzini, sino alla qualità
dalla base del prodotto. Prende il nome anche di “just in time”, in quanto
qualsiasi elemento, viene costruito solo quando è richiesto dal mercato (interno
o esterno) e se strettamente necessario. Questo modello organizzativo è molto
importante, in quanto verrà successivamente elaborato e integrato formando
modelli di produzione, specialmente nell‟industria pesante, di tipo ibrido.
Durante gli anni „70 inizia a cambiare la struttura dell‟occupazione e si va verso
la conversione del sistema economico verso il settore terziario dei servizi.
Questo fenomeno accade da una parte perché iniziano a cambiare i modelli
organizzativi aziendali che fanno ricorso in maniera sempre più frequente ai
servizi esterni alla propria azienda, e d‟altra parte perché iniziano a cambiare e
ad evolversi le esigenze della società.
Gli anni „80 potremmo ricordarli, con accezione negativa, per lo shock
petrolifero, che in questi anni porta nel mondo una crisi incontrollata, che si
riflette certamente sui mercati, ma soprattutto un incremento della
disoccupazione di massa. Seguono gli anni „90 in cui le politiche del lavoro,
guidate dalle agende europee, sono sorrette dal concetto di flessibilità del
lavoro, con tutti gli esiti di precariato e disoccupazione che affronteremo nel
resto del lavoro.
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Una delle impronte più solide, da questa analisi storica, è data negli anni che
vanno a cavallo tra il „60 e „70, dove viene assicurata ai lavoratori una forte
protezione sociale, internamente ad un mercato del lavoro molto regolato; tutto
ciò è divenuto difficile da sostenere, nel momento in cui, all‟indomani dello
shock petrolifero; gli stati nazionali non sono stati in grado di fronteggiare la
crisi, da una parte; e dall‟altra di far fronte alla protezione sociale, che comporta
alti costi. Questa situazione ha finito per far imporre un terzo attore, come
sostituto alla protezione sociale dello stato: la famiglia; al fine di compensare la
mancanza di welfare sociale.
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Il passaggio più rilevante che a noi interessa, è quello del paradigma della
flessibilità, entrata a far parte delle agende europee e quindi nazionali, a partire
dagli anni „80.
La crisi che ha attanagliato negli ultimi anni l‟Unione Europea deriva, secondo
alcuni, da due difetti strutturali che oggi il trattato presenta: in primis, l‟unione
5
Accornero A., (1997), Era il secolo del lavoro, Bologna, Il Mulino (Pag. 187 – 198)
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Esping-Andersen G., (2000), I fondamenti sociali delle economie postindustriali, Il Mulino, Bologna (Pag.
11 – 29)
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europea è stata costituita sin dall‟inizio per essere un‟unione monetaria,
economica e sociale; mentre la prima fu realizzata nel 2002, gli altri due aspetti
non sono mai stati realizzati, né pare vi sia la volontà di realizzarli. Risulta
quindi una situazione macroeconomica difficile che vede la Germania come
attore economico principale contrapposta agli stati del Sud-ovest europeo
deboli economicamente.
In secondo luogo, l‟euro si è rivelato una camicia di forza per gli stati più deboli;
in quanto, mentre in precedenza, essi potevano svalutare le proprie monete
nazionali per ripagare il debito pubblico, l‟euro ha reso impossibili tali
aggiustamenti. Un aspetto rilevante per questa tesi è che nei trattati si parla
solo una volta di “piena occupazione”.
Altro problema europeo è quello dell‟austerità come progetto politico, divenuto
elemento per la riduzione e il contenimento del debito pubblico. L‟austerità negli
ultimi anni è vista come demolizione dello stato sociale, e vede i suoi principali
fautori nella Troika, un organismo composto dalla CE, Bce, Fmi, che secondo
alcuni autori ha portato a violazioni dei diritti di cittadinanza. Quello che è
avvenuto, è stata la proclamazione di uno “stato di eccezione”, che consiste in
una situazione grave da mettere in pericolo l‟integrità di uno stato e la sua
solidità economica. Nel caso di specie, il grave pericolo, sarebbe l‟incontrollato
debito pubblico di alcuni stati membri.
Con le nuove politiche europee dell‟austerità, sotto un meccanismo decisionale
concertato tra la Commissione europea, il Parlamento europeo e la Banca
centrale europea, si ritengono violati due importanti articoli della nostra
costituzione: L‟art. 36 “per cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, ed in ogni caso sufficiente
ad assicurare a sé e alla sua famiglia un‟esistenza libera e dignitosa”; e
l‟articolo 38 comma 2: “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità,
vecchiaia e disoccupazione involontaria.” Ambedue gli articoli sono stati
inosservati negli anni „90 dai governi nazionali, che hanno emanato riforme
delle pensioni, diritto del lavoro, e sostegno al reddito dei disoccupati,
completamente contrarie a questi articoli costituzionali. Questo fenomeno si è
accentuato in modo addirittura maggiore durante il periodo del 2010. Uno degli
elementi che certamente conosciamo del progetto politico di austerità è che
essa ha impoverito la maggioranza della popolazione, a discapito
dell‟arricchimento dell‟1% della popolazione. L‟effetto è stato quindi di spostare
il reddito dalle classi più povere della società, verso le classi più ricche
alimentando un circolo vizioso che tende a riportare i capitali mondiali verso i
gruppi di potere che controllano la maggior parte dei flussi economici mondiali.
Le politiche restrittive adottate dall‟Unione europea condizionano chiaramente
lo “stato sociale” ovvero le misure di protezione che ogni paese adotta per
assicurare, ad ogni cittadino, una protezione dai rischi sociali: infortunio,
malattia, disoccupazione, povertà, vecchiaia; infatti ponendo severi vincoli di
bilancio finisce per obbligare lo stato a ridurre la spesa nei predetti settori,