INTRODUZIONE
Perché dedicare uno studio alle politiche di invecchiamento attivo in un
momento in cui il dibattito pubblico in Italia pone l'accento sulle difficoltà di
inserimento lavorativo dei giovani? E' innegabile che l'Italia abbia una questione
giovanile da affrontare: il tasso di disoccupazione dei giovani (27,7%
1
) è molto
più elevato rispetto al dato medio dei paesi dell'Unione Europea (21%) e dei
paesi membri dell'OECD - Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico (16,7%
2
). Al fenomeno si aggiunge un diffuso precariato giovanile.
Vi è tuttavia un'altra problematica che assume meno visibilità e non è ancora
entrata a far parte delle priorità dell'agenda politica del nostro paese: la
questione dell'invecchiamento della popolazione a fronte di un tasso di
occupazione dei lavoratori ultra-cinquantacinquenni tra i più bassi d'Europa
(36,6%)
3
. Questo indicatore colloca l’Italia ben 10 punti percentuali al di sotto
della media europea, 19 punti percentuali al di sotto del dato medio dell’area
OECD e a 14 punti di distanza dall’obiettivo di Lisbona fissato per il 2010.
Dunque il nostro paese presenta il duplice problema di una difficile inclusione
nel mercato del lavoro per le fasce junior e senior della popolazione. La recente
crisi economica globale ha aggravato le difficoltà di inserimento per i primi e di
mantenimento del posto di lavoro per i secondi. Tuttavia mentre il tema
dell’occupazione giovanile è da anni oggetto di attenzione e di programmi
politici, per quanto incerti e dalla dubbia efficacia, la questione occupazionale
dei lavoratori anziani è ancora scarsamente dibattuta. Eppure è un tema di
portata universale con cui nei prossimi anni tutte le economie dovranno
necessariamente confrontarsi. L’Unione Europea ne ha fatto uno dei cardini
della propria agenda e, al fine di ampliare il dibattito, sensibilizzare i governi e le
collettività locali, favorire lo scambio di buone prassi tra stati membri, ha
dichiarato il 2012 “Anno delle Politiche di Active Ageing”
4
.
1 Dato medio Eurostat relativo al secondo trimestre 2011.
2 Il dato si riferisce al 2010. Nello steso anno l’OECD assegnava all’Italia un
valore pari a 27,9%.
3 Anno di riferimento 2010.
4 La Direzione Generale Occupazione, Affari Sociali e Inclusione della Commissione
Europea ha dedicato al tema il portale “2012: Anno delle Politiche di Active Ageing
3
La struttura della popolazione mondiale sta cambiando a causa di quella che
si potrebbe considerare la più grande rivoluzione demografica e sociale della
storia, dovuta al costante aumento della speranza di vita. In tutti i paesi del
mondo le coorti di popolazione anziana guadagnano posizione rispetto a quelle
più giovani. In Europa il processo è particolarmente accentuato tanto da farle
guadagnare il primato di “continente più vecchio del pianeta”. Il fenomeno della
senilizzazione della società è caratterizzato non solo dall'aumento in termini
assoluti e relativi delle coorti anziane, ma anche dalla concomitante riduzione
delle coorti giovanili e della popolazione attiva.
L'aumento del peso relativo delle classi di anziani avrà un forte impatto sulla
spesa pubblica sotto forma di erogazione di servizi previdenziali e socio-
sanitari, nonché sulla sostituzione della manodopera anziana con una forza
lavoro giovanile numericamente inferiore.
L'invecchiamento della popolazione è una sfida importante senza precedenti
per la società contemporanea, che è quindi chiamata a definire strategie di
prolungamento di vita attiva. Fu l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)
a parlare per la prima volta di “anzianità attiva”
5
facendo riferimento alla
partecipazione degli anziani alla vita civile, sociale, politica e lavorativa, nella
prospettiva di migliorarne le condizioni in tutti i settori della società. La
definizione della WHO nasce da una visione olistica dell'anziano e implica
l'impiego di politiche basate sulla prospettiva del ciclo di vita dell'individuo. Tale
prospettiva riconosce che l'esistenza dell'uomo non è più ripartibile in tre età
nettamente distinte e cronologicamente connesse come è stato in passato,
quando la giovinezza coincideva con il tempo della scuola (istruzione e
formazione), l'età adulta con il tempo dell'impegno lavorativo e famigliare,
l'anzianità con il tempo della pensione. Nell'epoca attuale lavoro, formazione,
impegno sociale, cura famigliare e tempo libero convivono in modo intrecciato e
la distribuzione delle diverse attività ha un carattere diffuso su tutto l'arco della
vita. Questa visione supera la semplice prospettiva “produttiva”, in base alla
quale la soluzione al problema dell'invecchiamento si esaurirebbe nel mero
prolungare la partecipazione degli anziani al mercato del lavoro agendo sulla
e della Solidarietà tra le generazioni”: http://ec.europa.eu/social/ey2012.jsp
5 WHO, Active ageing. A policy framework, New York, 2002, p. 12.
4
posticipazione dell’età pensionabile. Essa suggerisce una prospettiva
alternativa globale, in grado di superare la frammentazione tra i comparti
previdenziale, lavorativo, sociale, educativo e sanitario. L'Unione Europea ha
fatto suo questo “approccio comprensivo” (comprehensive approach) nel
definire gli obiettivi della strategia europea di invecchiamento attivo (ageing
policy).
La questione della senilizzazione della forza lavoro va dunque affrontata con
un approccio integrato che coniughi politiche multi-settoriali e coinvolga una
compagine diversificata di portatori di interessi (stakeholder). Tale approccio
deve operare in modo sinergico su tre dimensioni: macro, meso e micro. A
livello macro vi sono le istituzioni pubbliche nazionali e locali che definiscono il
quadro normativo di riferimento in tema di politiche del lavoro, previdenziali,
educative, sociali e sanitarie; a livello meso vi sono le imprese che, insieme alle
organizzazioni professionali, datoriali e sindacali, ai servizi sociali, ai centri di
formazione, ai servizi sanitari, ecc., predispongono i contesti relazionali, le
strutture organizzative e i sistemi di risposta ai bisogni della popolazione; a
livello micro vi è la realtà soggettiva dei lavoratori con la loro auto-percezione
del contesto lavorativo di riferimento, il proprio sistema valoriale mediato dalla
cultura e dagli stereotipi sociali, le proprie strategie di azione. Questi tre livelli
concorrono nella definizione e nella concreta attuazione delle politiche di active
ageing, che possono in maniera più o meno efficace garantire il raggiungimento
di tre obiettivi: la sostenibilità delle finanze pubbliche, un mercato del lavoro
efficiente, efficace ed inclusivo, un sistema di protezione sociale equo.
Alla luce della varietà del contesto europeo e all'ombra della recente crisi
economica globale, questa dissertazione si pone l’obiettivo di analizzare le
conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sul mercato del lavoro e
sui sistemi di welfare e di illustrare le possibili leve di intervento per incoraggiare
il prolungamento dell’attività lavorativa, sulla base dell’approccio comprensivo.
Poiché in Italia la discussione sull’invecchiamento attivo si è affacciata solo
recentemente nel dibattito politico, gli studi specifici dedicati al tema sono
ancora piuttosto scarsi e le sperimentazioni appaiono molto frammentate. A
seguito delle difficoltà incontrate nel reperimento di ricerche sistematiche svolte
5
in Italia su questo tipo di politiche, nell'analisi che segue ci si è indirizzati verso
le fonti ufficiali di istituzioni italiane, ma soprattutto delle principali organizzazioni
internazionali che da anni scrivono e legiferano sul tema; in primis le istituzioni
dell'Unione Europea, incluse le agenzie speciali che si occupano di temi del
lavoro. Altre fonti preziose sono i documenti dell'OECD, che ha dedicato al
tema un paio di monografie tematiche e diversi studi paese; i documenti della
WHO alla quale come abbiamo visto si deve la definizione di anzianità attiva e
quelli dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO). Per le fonti
statistiche si è fatto riferimento all'Istat per i dati sull'Italia e alle banche dati
Eurostat, OECD e ILO per i dati europei e mondiali.
Risolto il problema della reperibilità delle fonti, si è presentata una seconda
difficoltà dovuta all'estensione della materia da trattare. Non potendo esaurirsi
la tematica nella semplice prospettiva pensionistica e lavoristica, si è tuttavia
dovuto provvedere ad una selezione dei temi da trattare e del relativo
approfondimento lasciando al lettore i riferimenti bibliografici e sitografici per
consentirgli di addentrarsi in maggiore profondità su temi qui solo abbozzati.
Si è scelto di lasciarsi guidare da alcune domande chiave a cui dare risposta.
Ne è risultata una suddivisione in cinque capitoli, ciascuno dei quali intende
rispondere a uno o più quesiti.
Il primo capitolo pone la domanda che si ritiene costitutiva della questione. Si
tratta di capire come i cambiamenti demografici incidano sull'intera
organizzazione sociale sollecitando politiche non di semplice contenimento
della spesa pensionistica, ma di ridisegno dell'intero modello di welfare. La
risposta va ricercata negli indicatori statistici elaborati dalle principali agenzie
internazionali in merito alle tendenze demografiche del recente passato e alle
previsioni per il prossimo futuro. Si è ritenuto importante soffermarsi sull'analisi
del contesto italiano in comparazione rispetto agli altri stati membri dell'Unione
Europea e ai principali paesi OECD. I dati demografici vengono analizzati e
interpretati alla luce dei principali indicatori in uso nelle politiche del lavoro per
cercare di comprendere in che modo i cambiamenti demografici possano
incidere sulla struttura economico-produttiva e quindi sul mercato del lavoro
italiano ed europeo.
6
Il secondo capitolo si sofferma sulla definizione di lavoratore anziano, non
univoca, ma differenziata a seconda dei contesti e delle prassi consolidate nei
singoli paesi o in seno alle agenzie internazionali. Chi è il “lavoratore maturo” o
“anziano” oggetto delle politiche di invecchiamento attivo? In base a quali
elementi si definisce la sua anzianità? Una volta abbozzato il profilo del
soggetto in questione ci si domanda se la percezione di anzianità lavorativa
cambi rispetto al comparto economico, al settore merceologico, alla posizione e
al ruolo riconosciuti all’interno dell’organigramma di un’impresa. Sulla base dei
dati statistici italiani in tema di assunzione, sviluppo del personale ed
espulsione si cercano tracce di possibili discriminazioni tra risorse anziane e
risorse più giovani. Un paragrafo è dedicato alla ricerca di eventuali assunti
distorti e pregiudizievoli che possano trasformarsi in ostacoli strutturali
all’inserimento e alla permanenza dei lavoratori senior nel mercato del lavoro.
Nell’ultima parte del capitolo l’attenzione si sofferma sulle cause di fragilità
occupazionale dei lavoratori maturi italiani, evidenziando le situazioni-problema
rispetto ai tre livelli macro, meso e micro.
Il terzo capitolo intende analizzare il problema dell'invecchiamento attivo visto
dalla prospettiva macro delle politiche nazionali. Le domande a cui si intende
rispondere sono: i governi con quali politiche e strumenti possono incentivare a
lavorare più a lungo? Esistono modelli di welfare che favoriscono l'uscita
precoce dal mercato del lavoro o, al contrario, ne incentivano la permanenza?
Vengono illustrati i vari modelli pensionistici diffusi in Europa, gli strumenti di
accesso e sostegno al lavoro e all'occupabilità (quali la formazione continua
finanziata e i servizi pubblici di orientamento e per l'impiego) e le politiche
socio-assistenziali, interrogandosi su quale incidenza abbiano sull'active
ageing. Le strategie di invecchiamento attivo possono essere condizionate dai
diversi sistemi di welfare? Se sì, come avviene questo condizionamento e quali
sono i modelli di sistema sociale più virtuosi in tema di ageing? Nell'analisi
comparativa si fa uso della tradizionale ripartizione dei modelli di welfare
adottata da Esping-Andersen e si evidenziano le principali divergenze esistenti
tra i sistemi e la differenziazione emergente all’interno dei singoli
raggruppamenti.
7
Il quarto capitolo sposta l'analisi sul livello meso per cercare di capire come
culture e sistemi di organizzazione delle imprese possano influire positivamente
o negativamente sul prolungamento della vita lavorativa e come intervengano
gli altri attori istituzionali. Tra i vari soggetti che operano a questo livello, l'analisi
si è focalizzata prevalentemente sui comportamenti delle imprese. Quali sono
gli ostacoli e i pregiudizi imprenditoriali sul reclutamento e mantenimento della
forza lavoro anziana? Quali sono le possibili strategie capaci di prolungare
l'attività lavorativa? Vengono presentate alcune buone prassi aziendali, a livello
europeo, relative alle strategie di assunzione, sviluppo del personale ed
espulsione dei lavoratori senior.
Il quinto capitolo intende capire quanto possa influire sulla scelta del
pensionamento il vissuto personale, la percezione di sé come soggetto
lavorativo e i valori culturali di appartenenza. Vengono presi in esame i risultati
di alcune ricerche empiriche condotte in Italia su lavoratori ancora attivi in
procinto di pensionamento e su neo-pensionati. Si esplorano le mappe
cognitive e progettuali degli ultra-cinquantenni e si analizzano quali possano
essere le aspettative e le motivazioni delle scelte di pensionamento e di
prolungamento lavorativo; si ricercano eventuali aspirazioni di pensionamento
graduale. Il raffronto tra il contesto italiano e quello europeo si è limitato alla
comparazione di alcuni dati statistici relativi alla relazione tra età di
pensionamento e fattori socio-demografici individuali o fattori organizzativi di
impresa. Una comparazione tra paesi in merito ai fattori cognitivi implicherebbe
infatti un livello di analisi interculturale con tali livelli di complessità da non poter
essere affrontato se non con uno studio a parte ed un approccio etnografico.
8
CAPITOLO PRIMO
Crescita della popolazione e politiche di invecchiamento
attivo in risposta ai mutamenti demografici
1.1. Crescita demografica e invecchiamento della popolazione nel mondo
La prospettiva dell'ageing society, ossia della società che invecchia, è stata
prevista e studiata dalle scienze demografiche e sociali con ampio margine di
anticipo e dettagliatamente documentata da numerose agenzie internazionali
6
.
La senilizzazione della popolazione rappresenta un'importante sfida dalle
molteplici implicazioni di natura sociale ed economica, a cui sono chiamati tutti i
governi. Ad essi si richiedono infatti efficaci politiche e nuove strategie per
favorire l'invecchiamento attivo della propria cittadinanza. Eppure la maggior
parte dei paesi sembra ancora impreparata a gestire le problematiche indotte
dal cambiamento demografico in atto per mitigarne gli effetti indesiderati, né
tanto meno pare pronta a cogliere le possibili opportunità che ne possano
derivare.
Per analizzare le variazioni e le tendenze demografiche di una popolazione
vengono utilizzati vari indicatori statistici, quali il tasso di natalità e mortalità,
l'indice di fertilità
7
e la speranza di vita alla nascita
8
. Più nello specifico per
6 Sono molteplici le fonti che da anni richiamano l'attenzione sul tema. In ambito di
Nazioni Unite l'argomento fu studiato e divulgato nel 2002 in occasione della World
Assembly on Ageing (a cui fece seguito il report “World Population Ageing: 1950-
2050”); nel 2000 l'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) pubblicò il report
“Ageing of the Labour Force in OECD countries: economic and social
consequences” evidenziando le conseguenze dell'invecchiamento demografico sul
mercato del lavoro. La WHO (Organizzazione Mondiale per la Sanità) nel 1995
introdusse il programma “Ageing and Health” segnando il passaggio da una
politica della salute per gli anziani ad una politica della salute per tutti, lungo
l'intero corso di vita con la consapevolezza che un invecchiamento salutare e
attivo debba essere favorito investendo fin dall'età giovanile delle persone. In
ambito UE, la Commissione pubblicò nel 1999 la comunicazione “Towards a
Europe for all ages” dove si evidenziava il trend di invecchiamento della
popolazione europea suggerendo strategie politiche di gestione.
7 L'indice di fertilità è il numero medio di figli per donna in età feconda (15-49 anni).
8 La speranza di vita indica il numero di anni che un bambino, nato in un certo
periodo, può aspettarsi di vivere se la mortalità rimane costante e se non
cambiano le condizioni sociali ed economiche. Oltre a rappresentare un indice
9
misurare l'invecchiamento demografico si utilizzano principalmente due
indicatori: l'indice di vecchiaia, che calcola l'aumento della fascia anziana in
relazione al totale della popolazione e l'indice di dipendenza anziani, che
misura il numero degli ultra-sessantaquattrenni in rapporto alla popolazione
produttiva (che è quella compresa tra i 15 e i 64 anni)
9
. Tale indicatore
rappresenta il carico sociale degli anziani sulla collettività. Per convenzione in
ambito internazionale si prende in considerazione la fascia degli individui con
età superiore ai 64 anni perché questa è la soglia che tradizionalmente indica
l'uscita dalle coorti in età lavorativa. Indicatore complementare è l'Indice di
dipendenza giovani, cioè il rapporto tra la popolazione giovanile (< 15 anni) e
la popolazione produttiva (15-64), che misura il carico sociale dei giovani sulla
società. Il rapporto in percentuale ottenuto tra la somma dell'intera popolazione
non attiva (0-14 anni e ≥65) e quella attiva (15-64 anni) consente di ottenere un
indice di dipendenza generale (o strutturale) che misura il carico sociale ed
economico teorico della popolazione inattiva su quella lavorativa: valori
superiori al 50% segnalano una situazione di squilibrio generazionale. Un altro
indicatore importante è l'indice di ricambio, calcolato sul rapporto tra la
popolazione in età 60-64 anni e quella in età 15-19, moltiplicato per cento. Si
tratta di un indicatore molto utile perché permette di misurare le opportunità
occupazionali dei giovani derivanti dai posti di lavoro lasciati disponibili da
coloro che si avviano al pensionamento per limiti di età. Tutti i valori che si
discostano dalla condizione di parità indicano uno squilibrio: indici molto inferiori
a 100 segnalano minori opportunità per i giovani che si affacciano sul mercato
del lavoro, mentre valori molto superiori a 100 fotografano una realtà con
difficoltà a mantenere costante la capacità lavorativa del paese.
Uno sguardo all'Europa, armati di tali indicatori, ci consente di verificare che
effettivamente è in atto un processo di invecchiamento che per alcuni stati
appare già molto evidente, mentre per altri è solo appena abbozzato. Nel 2010
demografico è utile anche per valutare lo stato di sviluppo di un paese.
9 L'approccio dell'UE si basa sulla segmentazione della popolazione nei seguenti
gruppi di età: 1) popolazione giovanile (0-14 anni); 2) popolazione adulta/produttiva
(15-64 anni); 3) popolazione anziana (65-79 anni); grandi anziani (> 80 anni). Le
statistiche relative al mercato del lavoro di OECD (OECDStats) e ILO (Laborsta)
utilizzano gli stessi criteri.
10
il tasso di natalità medio dei ventisette paesi comunitari è di 10,7 nati ogni
mille abitanti rispetto ad un indice di mortalità di 9,7. I paesi che
contribuiscono maggiormente al saldo positivo delle nascite sono Irlanda,
Regno Unito e Francia, rispettivamente con tassi pari a 16,5, 12,8 e 13,7.
L'Italia si colloca al ventesimo posto con valore pari a 9,3.
Nessun paese negli anni recenti ha presentato tassi di fertilità stabili
superiori al valore di 2,1, ossia il livello di nascite che consente ad una
popolazione di riprodursi mantenendo costante la propria consistenza
demografica (cosiddetto tasso di sostituzione). Le rilevazioni relative all'anno
2009 segnalano che solo l'Irlanda ha un valore superiore, mentre Francia,
Regno Unito e Svezia si posizionano intorno a tale livello. Si segnala comunque
una tendenza alla crescita. Infatti a parte le eccezioni di Cipro, Lussemburgo,
Malta e Portogallo, tutti i paesi comunitari presentano un incremento nel periodo
2002-2009, anche se con forte variabilità geografica. L'area scandinava, pur
non avvicinandosi ai tassi di Irlanda e Francia, presenta valori superiori a 1,8
(probabilmente non è un caso che si tratti di paesi con forte tradizione di
politiche a sostegno attivo della famiglia e delle donne quali Svezia, Finlandia e
Danimarca). In coda alla graduatoria vi sono Polonia, Ungheria e Lettonia con
valori intorno a 1,3. L'Italia si colloca poco distante con un tasso di fecondità
dell'1,4.
La speranza di vita alla nascita è in crescita in tutti i paesi, nonostante vi
siano forti divergenze: Il differenziale tra le donne bulgare e romene (paesi a
vita media più bassa) e quelle francesi (paese in testa alla classifica) è di quasi
8 anni, mentre tra gli uomini svedesi e quelli lituani vi è un distacco di circa 12
anni (dati 2009). L'Italia si colloca al terzo posto, scostandosi di poco dai valori
di Svezia e Spagna, paesi in cima alla graduatoria
10
.
L'indice medio di vecchiaia dell'UE riferito al 2008 è 108,6, il che segnala un
debole squilibrio verso la popolazione anziana, ma sono ben dieci i paesi ad
avere un valore superiore. Tra questi troviamo l'Italia con un indice pari a 143,1
e la Germania, che con 150,2 è il paese più “vecchio” d'Europa. Gli stati che
invece hanno il bilancio positivo più a favore dei giovani sono Lussemburgo,
10 Nel 2009 in Italia la speranza di vita alla nascita era di 79 anni per i maschi e 84
anni per le femmine.
11
Cipro e Irlanda, la nazione “più giovane” con un indice di vecchiaia pari a 52,8.
Per quanto concerne l'indice di dipendenza della popolazione inattiva su
quella lavorativa, il recente ingresso dei paesi dell'Est Europeo a popolazione
complessivamente più giovane, ha dato un contributo positivo consentendo di
abbassare il valore medio dal 50,5% dell'UE15 al 48,7% dell'UE27. I dati forniti
da Eurostat per il 2008 rilevano che sono otto i paesi, tra cui l'Italia, a superare
il valore del 50%, dove quindi la fascia di abitanti non attiva supera quella
produttiva. Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia sono invece in coda alla
classifica con un valore intorno al 40%, registrando la prestazione migliore.
Infine il valore medio dell'indice di ricambio relativo ai 27 stati membri è
89,9%. Sei paesi hanno però un indice superiore a 100, che indica maggiori
difficoltà nel mantenere livelli adeguati di forza lavoro; tra questi vi è l’Italia che
sfiora il 120%. Anche in questo caso sono i paesi di recente adesione ad avere
valori più favorevoli, avendo una popolazione globalmente più giovane.
Gli scenari futuri ipotizzati per l'Unione Europea
11
mostrano una popolazione
che passerà da 495 milioni del 2008 a 520 milioni nel 2035 (anno di
registrazione del massimo picco) per poi assestarsi a 505 milioni nel 2060, con
un incremento a fine periodo del 2% rispetto ad oggi. L'aumento non sarà però
affatto uniforme negli anni a venire perché secondo le stime ben 14 paesi
12
su
27 registreranno una diminuzione in termini assoluti, mentre i 13 restanti
segneranno un aumento. La principale causa di questa decrescita, come
abbiamo visto, è dovuta ad un basso indice di fecondità che non riesce ad
essere compensato dai flussi migratori in ingresso. Ad oggi i paesi che hanno
registrato un incremento naturale della popolazione sono Belgio, Francia e
Irlanda. In alcuni paesi, come Germania, Italia, Austria, Svezia, Spagna e
Grecia il basso tasso di natalità è stato compensato da un'elevata
immigrazione, ma si prevede che in futuro il trend immigratorio diminuirà
11 Fonti: Eurostat http://epp.eurostat.ec.europa.eu e Eurostat Regional Yearbooks
2008, 2009.
12 Il decremento si prevede particolarmente evidente per Bulgaria, Estonia,
Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ungheria;
sarà meno consistente per Croazia, Grecia, Malta e Italia. Cfr. 2009 Ageing
Report: Economic and Budgetary Projections for the EU-27 Member States (2008-
2060), European Commission 2009.
12
notevolmente, così come il tasso di fertilità delle donne immigrate
13
. Alcuni
paesi dell'Est Europeo stanno addirittura sperimentando un saldo migratorio
negativo (dovuto al fenomeno inverso dell'emigrazione) in concomitanza di un
basso tasso di natalità, con la conseguente riduzione della popolazione. Il
fenomeno è assai evidente in alcune regioni della Polonia, Romania e Bulgaria,
ma l'attuale crisi economica potrebbe incoraggiare i flussi in uscita, come sta
già avvenendo in Spagna, dove si sta registrando una ripresa del fenomeno
emigratorio soprattutto tra le fasce giovanili di lavoratori, con l'effetto di una
riduzione della popolazione attiva.
Grafico 1.1. Proiezione dell'andamento di crescita della popolazione della UE a
27 paesi calcolata al 1° gennaio rispetto al valore del 2008 a base 100.
Fonte: Eurostat, EUROPOP2008 convergence scenario
A livello globale si sta verificando una modesta ripresa del tasso europeo di
fertilità che, secondo le previsioni pur passando da 1,5 del 2008 a 1,6 del 2060,
si attesterà comunque nettamente al di sotto del tasso di sostituzione che,
come abbiamo detto, equivale a 2,1 figli per donna e che assicura il ricambio
generazionale. Al contempo in tutti i paesi aumenterà l'aspettativa di vita alla
nascita, che si prevede passerà dai 76 anni del 2008 agli 84 del 2060 per gli
uomini e dagli 82 agli 89 anni per le donne. Secondo stime Eurostat a partire
dal 2015 il numero di decessi inizierà a superare il numero di nascite e verrà
così a cessare la crescita della popolazione per solo incremento naturale.
13 Ibidem, p. 46.
13
Pertanto l'unico fattore che potrà incidere sulla crescita sarà l'immigrazione. Ma,
come illustra il grafico n. 1.2., i flussi migratori in ingresso non saranno in grado
di compensare il calo demografico perché il numero di nuovi ingressi in Europa
tenderà a contrarsi riducendo la popolazione immigrata, la cui incidenza sulla
popolazione europea dovrebbe dimezzarsi passando dal 33% del 2008 al 16%
del 2060.
Grafico 1.2. Ricambio naturale e flusso immigratorio nell'UE27.
Fonte: Eurostat, EUROPOP2008 convergence scenario
In termini globali l'Unione Europea risulterà avere una popolazione solo
leggermente più ampia, ma assai più vecchia. L'età media sarà circa 49 anni
nel 2060 rispetto ai 40 anni del 2008. Se le ipotesi saranno confermate, in
questo arco di tempo di 52 anni, diminuiranno sia la fascia d'età giovanile (<15
anni) sia quella in età produttiva (15-64), rispettivamente dell'8,4% e del 15%,
rispetto al dato dell'anno base (2008). Aumenterà, invece, la componente degli
over 65 con un indice di variazione positivo del 79%. All'interno di questa
classe, il gruppo dei grandi anziani, quelli con più di 80 anni, registrerà la
variazione più consistente con una crescita del 180%: in valori assoluti risulterà
praticamente triplicato.
L'indice di invecchiamento, ossia il rapporto tra gli over 65 e la popolazione
totale, passerà dal 17% (85 milioni) a circa il 30% nel 2060 (151 milioni). La
14