Tornando alla definizione di brand, Jeremy Bullmore, manager con 50 anni di esperienza nel campo
del marketing, dà una serie di definizioni che possono servire a dare una panoramica più ampia
sugli aspetti principali che lo compongono e lo formano.
“I prodotti sono di proprietà della società. I Brands sono invece creati e posseduti dalle persone, dal
pubblico, dai consumatori”, è il consumatore che crea il brand di successo, senza il suo “consenso”
la marca in sé non ha alcun valore.
“L’immagine del brand non deriva dal brand in sé, ma dalla conoscenza che le persone che ne
hanno”.
Questo punto sottolinea l’importanza dell’immagine che il brand deve dare di sé a differenti gruppi
di persone, al fondamentale ruolo giocato dalla pubblicità per dare di un particolare prodotto una
determinata immagine.
“L’immagine del brand è qualcosa di soggettivo. Non ci sono due persone che, per quanto simili,
abbiano la stessa percezione del medesimo brand”.
Da queste ragioni deriva la necessità di creare diverse pubblicità per le diverse clientele, in
particolare se il prodotto è di massa bisognerà trovare uno slogan, un messaggio, che accolga il
consenso e l’interesse di una vasta fetta del mercato di riferimento.
Questa è una delle motivazioni che spingono alcune imprese a focalizzarsi su determinati valori
universali tramite i quali tentare di farsi riconoscere dalla propria clientela, ecco alcuni esempi:
L’Oreal: “Perché voi valete”, indica grande rispetto e considerazione per il consumatore
Rolex: classe, eleganza, status sociale
Disney: mondo della giovinezza, dei bambini di ogni età, favola
Nike: fiducia in se stessi e libera espressione nello sport, “just do it”
Questi messaggi è quello che si può definire essenza del brand, un concetto che eleva il brand a un
livello superiore, come capacità di trasferire delle sensazioni al cliente.
Un discorso differente si può invece fare se il mercato di riferimento è ristretto a determinati ambiti
di clientela, in quel caso un messaggio rivolto ad un minor numero di persone, ma ben centrato sulle
loro caratteristiche è preferibile; basti pensare alla Louis Vuitton Cup, gara di vela che serve ad
assegnare il ruolo di challenger al vincitore dell’edizione passata della Coppa America.
Il target di riferimento è quella clientela con determinate possibilità economiche, e che di
conseguenza ha più possibilità anche di praticare e di appassionarsi a certi sport o, aspetto
assolutamente da non trascurare, a tutto ciò che li circonda.
Bertelli, patron di Prada, una delle partecipanti alla competizione con il team Luna Rossa, ad una
domanda su una loro futura partecipazione, dato l’ingente costo economico, ha definito la Louis
Vuitton Cup un ottimo investimento in termini di immagine, tale da giustificarne l’ingente spesa,
paragonabile per impatto mediatico e pubblicitario ad una campagna pubblicitaria tradizionale, che
però, aggiungo io, sicuramente non avrebbe il fascino che questa sfida storica da sempre riveste.
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Basta ricordarsi il boom dei prodotti a marchi Prada quando Luna Rossa vinse la Vuitton Cup, o
l’entusiasmo, e gli ottimi affari registrati nei negozi a Valencia e non solo, che la stanno
accompagnando in questa edizione.
.“I brands, a differenza dei prodotti, vivono, sono delle entità organiche. Loro cambiano, si
modificano, anche impercettibilmente, ogni giorno”.
Quindi il brand come un qualcosa da curare continuamente, da controllare; possiamo collegarci
all’immagine dell’impresa “madre” e il suo, o i suoi, brand come “figli” da accudire e seguire lungo
la loro crescita e sviluppo.
A cui si può aggiungere, a completamento del concetto, la seguente affermazione “La marca, infatti,
deve essere in grado di rigenerarsi, seguendo nel tempo l’evolversi delle condizioni dell’impresa, di
prodotto, di tecnologia e, naturalmente, di mercato e di concorrenza” ( Fiocca 2006).
“È universalmente accettato che i brands sono gli asset di maggior valore all’interno dell’azienda,
anche se il loro metodo di misurazione non è universalmente accettato”.
Questa ulteriore definizione pone l’accento sul valore in sé del brand evidenziando la sua
importanza all’interno dell’azienda.
Si mette, però in luce le divergenze circa le sue stime, non a caso sono presenti diversi metodi di
valutazione, anche se le differenze tra le top brand companies non si discosta molto tra un metodo e
l’altro.
2- Il concetto di brand e la sua identità
“ Il brand rappresenta il segno, l’elemento distintivo attraverso il quale il consumatore acquisisce
consapevolezza del prodotto acquistato” (M. Dell’occhio, B. Rovetta, “Brand Italiani, Sviluppi e
finanziamenti” p. 5).
La prima domanda che ci si pone di fronte ad un brand è il suo ruolo ed il suo significato.
Ma per comprendere meglio queste due caratteristiche è indispensabile fare una scissione di alcune
componenti all’interno del brand.
Un brand è un nome, un simbolo e spesso uno slogan associato ai primi due elementi.
Questo è ciò che il consumatore percepisce in un primo incontro con un brand.
Ovviamente non bastano questi 3 semplici elementi per definire il concetto di brand né tanto mento
per rendere il brand riconoscibile e quindi più appetibile alla clientela.
Non può bastare a fornire un valore aggiunto al prodotto che accompagna, se fosse così facile
qualsiasi brand sarebbe di successo; il procedimento che sta alla base della riconoscibilità del brand
è più complesso e richiede l’intervento di diversi fattori.
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Il primo elemento che si trova davanti il consumatore è il marchio.
Il marchio, o logo, è il simbolo distintivo della marca, il suo lato tangibile.
Con marchio intendiamo qualunque segno graficamente rappresentabile apposto su un bene e/o un
servizio ai fini di differenziarlo da quello dei competitors.
Una delle sue caratteristiche fondamentali è la possibilità di essere riprodotto.
La sua funzione è quella di permettere al cliente di distinguere il proprio prodotto da un altro.
Ma sarebbe riduttivo associare il brand semplicemente al suo marchio; il termine brand racchiude
un concetto molto più ampio ovvero l’insieme di tutti quei valori rappresentati dal marchio, oltre
alla parte emotiva del brand, il così detto emotional brand, che varia in maniera diversa da cliente a
cliente in relazione alle loro diverse percezioni e sensazioni fatte scaturire da quel particolare
prodotto, o prodotti, di marca.
Non a caso un altro elemento fondamentale di appeal verso la clientela è proprio il concept dream
su cui poggia il marchio stesso e sui cui basare la leva del marketing.
Lo scopo è fare in modo che l’acquisto non sarà solo motivato dalla qualità e dalle caratteristiche
del prodotto ma anche dal “sogno” paventato nel e dal prodotto.
Un ruolo cruciale nella costruzione del sogno da proporre al consumatore è il rafforzamento
dell’identità di brand e la focalizzazione sui suoi punti di forza.
Infatti, “benché l’identificazione della marca avviene a livello di prodotto, il processo di costruzione
di un prodotto di marca coinvolge l’impresa nella sua totalità” (Fiocca 2004).
Di conseguenza per creare una forte identità di brand l’impresa deve concentrare i suoi sforzi non
solo sul rafforzamento del marchio in sé, ma di tutto quello che dà al marchio le sue caratteristiche
distintive sia fisiche che impalpabili.
Quindi un maggior investimento nella produzione, nella qualità dei suoi processi, nella ricerca
dell’acquisizione di un determinato know-how non facilmente replicabile, da una propensione verso
la ricerca e sviluppo continua, al design originale, alla ricerca e alla selezione della materia prima.
Investimenti nelle ricerche di marketing per percepire ed anticipare i cambiamenti in atto nei gusti
dei consumatori.
Ed infine gli investimenti della comunicazione e nella distribuzione quali fiere, campagne
pubblicitarie, sfilate, sponsorizzazioni sportive, pubbliche relazioni, promozioni, la gestione della
rete di vendita, investimenti in retail…
Un esempio dell’unione di queste tre aree di investimento è dato da Loro Piana.
L’eccellente qualità del suo prodotto è il punto di forza su cui fa leva il marketing e le sue strategie
di comunicazione con lo scopo di metterne in risalto la qualità, difficilmente pareggiabile, dei propri
prodotti.
Per farla ha ideato un premio, messo in palio ogni anno tra i produttori di lana, per la microfibra di
lana più sottile e qualitativamente migliore sul mercato.
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Una volta acquistata la “partita” di tale lana la conserva finché non se ne trova una migliore
mettendo allora in produzione la precedente.
Questa strategia relativa alla produzione, alla qualità delle materie prime, è messa in risalto da una
strategia di marketing e da una comunicazioni fortemente incentrati su di essa.
Il premio svolge una duplice funzione: se da un lato diventa di forte appeal per la clientela che
desidera il massimo in termini di qualità, dall’altra funge anche da incentivo per i produttori di lana
alla ricerca continua di un miglioramento per ragioni non solo economiche ma anche di prestigio.
Da questo insieme di componenti nasce l’identità di marca, frutto dell’interazione tra diverse
tipologie di investimenti e in grado di veicolare tramite il brand quell’insieme di valori e di ideali
che sono alla base di esso.
Kapferer definisce la brand identity attraverso un insieme di caratteristiche fondamentali del brand
mostrate nel prisma dell’identità illustrato sotto:
Fonte: Kapferer (1997)
Tale prisma è composto da un insieme di caratteristiche fondamentali del brand riconducibili a 6
elementi:
- Le caratteristiche fisiche del brand
- La personalità del brand
- La cultura del brand
- La capacità relazionale del brand
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Relazione Cultura
Self-imageRiflessione
Personalità
Fisicità
- La capacità di riflettere l’immagine del consumatore da parte del brand
- La capacità di riflettere la personalità del consumatore da parte del brand
“L’identità di marca è un insieme di connotazioni della marca che chi ha il compito di curare la
strategia ha il compito di osservare…” (Aaker e Joachimsthaler)
Ma qual è l’importanza dell’identità di brand? La creazione di una brand identity forte e duratura
rappresenta uno dei punti chiave di successo per una marca.
Al giorno d’oggi sono poche le marche che riescono a scindersi dai propri singoli prodotti riuscendo
a rimarcare i propri caratteri distintivi, di stabilire dove risiede la loro unicità, di evidenziare le
differenze di fondo che la differenziano dagli altri competitors.
Ma la capacità di gestire una marca “al di là” dei suoi prodotti che contrassegna risulta un
comportamento strategicamente necessario.
Per esistere una marca non deve semplicemente essere presente sul mercato, deve essere chiara,
riconoscibile e speciale e di conseguenza legarsi esclusivamente al singolo prodotto è riduttivo e
potrebbe portare a delle perdite in termini di introiti o di immagine nel caso del fallimento o del
superamento di quel determinato prodotto.
I prodotti raccontano un unico progetto, la marca invece deve esprimere la filosofia che permea e
sta alla base di ogni singolo prodotto, per questo è necessaria una sua “presa di distanza” dai
prodotti stessi.
Una comunicazione aziendale troppo incentrata su un proprio prodotto farebbe perdere di vista al
cliente l’essenza del brand stesso.
Una comunicazione efficace deve fornire un messaggio unitario che “offra al consumatore il senso
ed il valore della Corporate e della Marca”.(Fiocca 2007)
Quindi una definizione unitaria del brand deve comprendere tutti i suoi tratti salienti, che non si
limiti ad evidenziare gli attributi fisici e le prestazioni della marca stessa, ma ne faccia percepire la
missione e il peso del suo nucleo formativo.
L’identità di marca, strettamente legata al concetto di riconoscibilità, consente all’impresa la
realizzazione di solide basi comunicative da poter sfruttare per la costruzione di coerenti strategie e
campagne pubblicitarie.
In relazioni a quest’ultime un requisito fondamentale da seguire è il principio di non contraddizione,
cioè la necessità di non dimenticarsi di quello fatto e delle posizioni mantenute in passato, il tutto
integrandolo con una strategia volta alla continua attualizzazione delle strategie competitive.
Un esempio dell’importanza di non staccarsi mai completamente dal proprio passato, ovviamente se
questo ha generato dei successi, è evidente nel caso Barilla.
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La Barilla nel 1994 decise di entrare nel mercato dell’hard discount e del private label e per far ciò
impostò una campagna pubblicitaria su canali completamente diversi da quello canonici.
La forte identità di marca basata sull’ideale di classica famiglia italiana e di quel senso di protezione
che questa diffonde è stato accantonato per cercare di ampliare la propria clientela anche ad altri
mercati di riferimento.
La nuova strategia comunicativa ha portato a incentrare le campagne pubblicitarie su attori e
personaggi italiani e stranieri molto conosciuti dal grande pubblico con come sfondo paesaggi
sognanti e vagamente esotici, lontani anni luce dalla vita di tutti i giorni.
A questo fu affiancato il nuovo spot”Viva il Blu”, che appariva quasi come un autocompiacimento,
una citazione autoreferenziale legata al colore delle confezioni dei propri prodotti.
Decisamente un distacco netto dal classico” dove c’è Barilla c’è casa”.
Questa nuova strategia si rivelò di non particolare successo, in parte per l’incompatibilità
dell’immagine dei protagonisti degli spot con il mondo Barilla, oltre che per le strategie di contrasto
messe in atto da molto produttori di pasta unbranded che sfruttarono a proprio favore lo slogan
“viva il blu” modificando il colore delle proprie confezioni.
La Barilla si è vista costretta a ritornare sui suoi passi e riprendere la vecchia strada comunicativa
per il rischio, seriamente paventato, di perdere la propria identità aziendale.
Fondamentale si dimostrò essere anche il ruolo del “portavoce” della marca che doveva essere un
personaggio in linea con l’identità della marca, con i suoi valori e la sua immagine, con affinità
particolari nei confronti di essa o con una conoscenza del prodotto universalmente riconosciuta.
Così si può considerare la pubblicità della nuova Lancia Y che utilizza Beatrice Borromeo e
Gasman oltre che al celebre stilista Gabbana per presentarsi come una macchina raffinata con quel
tocco di classe ed eleganza un po’snob mista ad un pizzico di giovanile stravaganza.
E come non ricordare le pubblicità della Sector che hanno sempre impiegato atleti degli sport
estremi, dal celebre scalatore Manolo al compianto Patrick de Gayardon, che facevano da
protagonisti per l’immagine vincente ed estrema riassunta nel jingle ”Sector, no limits”.
Fondamentale quindi la coerenza interna con l’immagine che si vuole dare di sé, gli argomenti, i
contenuti, le immagini del marchio devono sempre rifarsi a quel nucleo di valori e ideali che
compongono la marca stessa.
Relazione tra identità di marca e prodotto secondo Aaker e Joachimdthaler:
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Una forte identità contribuisce quindi a creare una marca forte alla quale si aprono nuove e molto
proficue prospettive future.
Lo schema sottostante dà una rapida panoramica in questo senso che verrà poi successivamente
analizzata più nel dettaglio nei seguenti capitoli ma che è da ritenersi strettamente connessa al
concetto di brand identity.
Una marca vincente è infatti in grado di generare soddisfazione e fiducia nei confronti dei suoi
consumatore dando origine ad un meccanismo virtuoso così rappresentabile e definito come
potenzialità della marca:
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Natura
Benefici
funzionali
Attributi
Modalità d’uso
Valore/qualità
Benefici di
auto-espressione
Paese
d’origine
Personalità
di marca
Immagine
dell’utente
Simboli
Relazione
marca/cliente
Benefici
emotivi
Condizioni
Istituzionali
PRODOTTO
MARCA
Le potenzialità della marca:
L’analisi dettagliata di tali vantaggi sarà affrontata nei seguenti capitoli volti ad identificare il ruolo
del brand e le conseguenze positive in termini di redditività e di possibile sviluppo intersettoriale.
3- Il ruolo del brand
Ma quale è il ruolo del brand?
Il primo passo per rispondere a questa domanda è costatare il palese maggior prezzo dei prodotti di
marca rispetto ai prodotti unbranded.
Qual può essere il motivo di tale sovrapprezzo dei prodotti così detti “di marca”?
È solo un trucco per spillare soldi agli acquirenti?
Nonostante alcune volte questo dubbio possa balenarci nella mente, un’analisi più razionale ci fa
respingere, per la maggioranza dei casi, questa affermazione.
Infatti, tale condizione non sarebbe conveniente per chi produce e commercia prodotti di marca, i
quali, dopo un eventuale iniziale aumento degli introiti derivati dalla non conoscenza da parte della
clientela del valore reale dei prodotti acquistati, andrebbe incontro ad un inesorabile declino di
immagine e di introiti una volta scoperto il “trucco” da parte della clientela che allora sarebbe spinta
ad orientarsi verso altre marche o prodotti unbranded.
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Redditività
Diffusione
intersettoriale
Innovatività
Riduzione
concorrenza
SODDISFAZIONE
E FIDUCIA
Quindi in situazioni del genere si andrebbe incontro ad una perdita di benessere da parte di entrambi
i soggetti coinvolti nel meccanismo di acquisto-vendita.
Un prodotto di marca spesso ha come arma vincente un valore del prodotto superiore alla norma
determinato dalla qualità dei suoi materiali o dei suoi ingredienti.
Il tutto spesso garantito dal nome che “sta dietro” ad ogni suo prodotto; infatti, collegato a quel
nome c’è una reputazione da difendere, e questo discorso è valido per le più differenti imprese,
dalla Fumagalli Caminetti alla Amadori, fino ad arrivare a multinazionali di livello globale come la
Toyota o Armani.
L’utilizzo del cognome per la propria azienda ha un valore molto rilevante per il proprietario, ma
spesso non di particolare interesse per il cliente.
Differente è invece la strategia portata avanti da alcuni proprietari di “metterci la faccia” negli spot
pubblicitari con lo scopo di rimarcare il valore aggiunto del proprio prodotto, come per dire: “Io che
produco questo prodotto sono talmente convinto della sua qualità che a garanzia di ciò ve lo vengo
a dire di persona mettendoci la mia figura e la mia reputazione”.
Strategia molto ben compresa inizialmente da Giovanni Rana subito seguito da Francesco Amadori
e, ultimamente, anche da marchi operanti in ambiti totalmente diversi quali D&G con i suoi
proprietari Domenico Dolce e Stefano Gabbana che appaino nelle nuove campagne pubblicitarie.
Siamo quindi riusciti a dare una prima risposta alla domanda iniziale: la funzione principale del
brand è quindi quella di comunicare.
Ma perché la comunicazione funzioni ha bisogno di alcuni capi saldi imprescindibili da considerare
come punti fermi della propria società e quindi come un elemento che infonda un senso di certezza
a cliente: nessuno si affiderebbe ad una società di servizi che oggi c’è, ma tra un mese potrebbe
sparire.
Ma tale stabilità rischia di decadere nell’obsolescenza se non affiancata efficientemente da una
struttura flessibile per continuare a ricercare quella dimensione relazionale tra domanda e offerta
che è la parte operativa del brand.
Quindi per compiere al meglio la sua funzione di comunicazione la marca deve avere determinate
caratteristiche che la rendano riconoscibile tra le tante, ha bisogno di un “qualcosa” in più che un
semplice nome stampato sulla confezione del prodotto o sul prodotto stesso.
E sarebbe errato oltre che riduttivo considerare il sovrapprezzo “di marca” determinato
esclusivamente dalla sua qualità, sono diversi gli elementi che concorrono a ciò.
“Dietro” la marca sono presenti una serie di valori e di idee che sono il pilastro portante della marca
stessa senza i quali perderebbe una grossa fetta del suo valore aggiunto, se non addirittura
cesserebbe di esistere.
Infatti, la marca incorpora al suo interno una serie di concetti che l’impresa deve cercare di rendere
evidenti e credibili agli occhi del pubblico.
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Non è facile identificare gli elementi e sensazioni che compongono la marca, sono molteplici e
differenti in relazione alle diverse situazioni e alle differenti filosofie e strategie societarie; ma
generalmente sono riconducibili alle seguenti: il simbolismo, la riconoscibilità, la credibilità,
l’affidabilità, l’associabilità, e, in alcuni casi, l’evocazione del vissuto.
Elemento fondamentale per il successo di un brand è la riconoscibilità; lo scopo della marca è
proprio quello di rendere il proprio prodotto riconoscibile tra i tanti, di farlo emergere
dall’anonimato.
Per far ciò necessita di un logo, coadiuvato da una parte grafica e da altre componenti strettamente
legate alla necessità di comunicare qualcosa al cliente; ovvero ciò che nella sua matrice Kapferer
definisce la componente fisica del brand.
In quest’ottica si inserisce un elemento fondamentale per far conoscere i propri prodotti e la propria
marca, un elemento che, soprattutto in questi anni, sta ricoprendo un ruolo sempre più importante:
la pubblicità.
Dalle scelte pubblicitarie avranno luogo una serie di variazioni relative a quell’insieme di
componenti che accompagnano il logo e la sua parte grafica.
Cartelloni pubblicitari, spot televisivi, volantinaggio, spot radiofonici, pubblicità sulle riviste, sono
tutte differenti modalità per ottenere il medesimo risultato, ma con metodologie e capacità di
pubblico differenti.
Quindi potranno servire particolari jingles nel caso degli spot televisivi o radiofonici, delle brochure
nel caso di pubblicità mediante posta o durante fiere di settore, degli slogan facilmente ed
immediatamente leggibili sui cartelloni pubblicitari lungo le strade, sponsorizzazioni di determinati
eventi locali o globali…
Il jingle è un breve messaggio la cui finalità è l’essere facilmente memorizzabile dal cliente, con
poche parole bisogna riassumere il significato che si intende dare al proprio prodotto, senza
aggiungere nulla se non l’indispensabile.
Gli esempi in proposito sono molteplici, basterebbe sfogliare una rivista qualsiasi o accendere la
televisione; tra i più famosi: “just do it” di Nike, “ascolta la tua sete” per il prodotto Sprite della
Coca Cola, “No Martini No party”, “I’m loving it” di Mc Donald’s, “Dove c’è Barilla c’è casa”,
alcuni coniati diversi decenni fa e ancora riproposti come“Ava come lava”, fino ad arrivare a“Ciao
Magre!”slogan vincente di Elena Mirò, marchio d’abbigliamento per donne dalla 46 in su che è
diventato un fenomeno in termini di successo di Business a cavallo tra la fine degli anni novanta e i
primi albori del 2000 tanto sorprendente da essere divenuto un “case history” studiato in alcune
università, senza dimenticarsi il fenomeno Ikea che ha rivoluzionato il settore dell’arredamento che
si presenta con lo slogan “spazio alle idee”, o a marchi molto recenti che cercano di farsi spazio nel
settore dell’abbigliamento giovanile come la Sweet Years che riprende il suo logo nello slogan “non
si vive senza cuore”.
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La marca deve evocare la specificità del prodotto, stimolare gli attributi intrinseci e quelli emotivi
rendendo in tal modo riconoscibile le aspettative ricercate dal consumatore.
La marca si posiziona tra la domanda e permettendo che l’una interpreti l’altra.
La prima funzione della marca è quindi quello di indirizzare il consumatore verso il prodotto che
cerca facilitandone i compiti d’acquisto.
Nel seguente grafico è illustrata la funzione della marca nel rapporto tra domanda ed offerta, volta a
mettere in risalto il compito di “luogo d’incontro” tra l’una e l’altra svolta appunto dalla marca
stessa:
OFFERTA: DOMANDA:
determinata dalle sommatorie determinata dalla sommatorie
delle capacità di: dei bisogni specifici di:
L’attività dell’impresa verso il mercato sviluppa i singoli vettori e la marca ha lo scopo di fare
incontrare tali capacità messe sul mercato con la domanda delle medesime da parte del cliente-
consumatore.
Quindi se da un lato le imprese immettono sul mercato le proprie capacità e conoscenze, dall’altro i
consumatori si rivolgono al mercato per ricercare l’impresa, il prodotto o il servizio che
maggiormente risulta in sintonia con le proprie esigenze.
Lo scambio di mercato avviene quanto domanda ed offerta si avvicinano in maniera ritenuta da
entrambi soddisfacente.
La marca quindi ha la funzione di permettere al consumatore di orientarsi all’interno del mercato
riuscendo ad identificare il prodotto o il servizio che più si avvicinano alle sue necessità e quindi di
generare uno scambio conveniente ad entrambi gli attori.
Quindi una seconda caratteristica che deve avere una marca è quella del riconoscimento, il tutto
appunto per facilitare la scelta del consumatore che, in tal modo può riconoscere il prodotto che è
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MARCA
- Qualità
- Economicità
- Velocità
- Immagine
- Notorietà
- Fiducia
- Semplicità
- Ecc…
- Qualità
- Economicità
- Velocità
- Immagine
- Notorietà
- Fiducia
- Semplicità
- Ecc…
solito consumare dal quale sa già cosa aspettarsi in termini di qualità o di convenienza, evitando di
perdere tempo nella sua ricerca.
La marca racchiude in se una serie di informazioni che altrimenti non sarebbero disponibili al
cliente se non dopo un’attenta e dispendiosa, in termini di tempo, ricerca.
Comperando un abito di Ermenegildo Zegna il consumatore sa di acquistare un prodotto fatto su
misura di alta qualità, trovandosi all’estero un italiano potrà comperare pasta italiana sicuro che
questa sia uguale a quella del suo paese acquistando Barilla, un acquirente di una Ferrari è
consapevole del prestigio e della qualità tecnologica ed estetica del prodotto in questione, il panino
ad un Mc Donald’s di New York o ad uno di Pechino sarà pressoché identico.
Il riconoscimento e il far incontrare domanda ed offerta sono le sue principali funzioni pratiche, ma
la marca ricopre anche una serie di differenti funzioni.
Ha anche funzioni prettamente estetiche, che saranno affrontate in seguito, quali l’indicare uno
status sociale o una certa filosofia di vita.
Anche in questo caso è difficile una generalizzazione perché ciascun prodotto nelle mani di un
diverso acquirente assume un significato diverso; possiamo però affermare che ciò che un
consumatore cerca nel prodotto di marca è una garanzia di qualità o di “visibilità” in termini
estetici.
Riassumendo il tutto potremo definire le funzioni della marca come:
- Garanzia sull’origine del prodotto e/o servizio dalle particolari e ben identificabili caratteristiche
per cui si distingue da quello del competitors.
- E’ un Indipendent asset che racchiude l’avviamento, l’immagine e la reputazione della società.
Quindi un valore da proteggere perché chi se ne appropria si impossessa di tutti gli sforzi a valle
messi in atto per l’affermazione del marchio stesso.
- Attira e mantiene la clientela, facilitandone appunto la riconoscibilità, incentivando la ripetitività
della scelta e la possibilità di estendere la medesima fiducia anche ad altri prodotti del medesimo
brand.
- Consente di godere sempre di un certo grado di protezione, in quanto un brand affermato è più
facilmente difendibile da contraffazioni in quanto queste risultano più palesi.
Ad esempio è difficile dimostrare che le camice di una piccola impresa non conosciuta se non nel
territorio limitrofo siano state copiate consapevolmente a livello di marchio da un’impresa, per
esempio, Francese, piuttosto che dimostrare da parte di Prada che il suo marchio è usato
impropriamente e consapevolmente da un produttore oltralpe in quanto non si può non sapere che
Prada è una marca già affermata.
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Qui sotto sono elencate le funzioni della marca nello specifico:
L’opinione che il cliente si fa di una marca è determinato dalle esperienze passate non solo vissute
in prima persona ma anche per interposta persona tramite amici, parenti o conoscenti.
Ogni esperienza positiva tende a rafforzare la fiducia nell’azienda in questione il tutto a discapito
del tempo impiegato nello scegliere prodotti alternativi.
Con il passare del tempo si viene a creare “una relazione di fiducia fortemente connotata in termini
di comunicazione”(Fiocca 2007) tra il cliente e la marca.
Ci sono poi altre motivazioni per la ripetitività o la fedeltà di marca da parte del cliente; l’acquisto
viene sostenuto con una certa ripetitività anche per questioni di”pigrizia” o di scarso tempo da parte
del consumatore di scegliere tra le differenti opzioni.
Questo insieme di vantaggi generati dalla marca da origine a quello che potremo definire
patrimonio di fiducia che l’impresa guadagna nei confronti dei suoi clienti, patrimonio che ha un
valore economico e che è fortemente basato sulla comunicazione tra la marca ed il cliente.
Questo patrimonio non si limita al singolo consumatore, ma si estende anche alla cerchia delle sue
conoscenze alle quali il cliente potrà trasmettere feedback positivi relativi a quella marca.
Il cliente abituale sarà poi meglio disposto nei confronti dei nuovi prodotti della marca di fiducia,
sarà maggiormente incentivato a provarli appunto per la fiducia che ripone nel marchio in
questione.
La comunicazione tra il cliente e la marca determina il valore aggiunto del prodotto in sé tanto da
giustificarne il prezzo maggiore rispetto a prodotti unbranded.
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Funzioni
della
marca:
GARANZIA
RIPETITIVIA’
FIDUCIA
RICONOSCIBILITA’
STATUS SIMBOL
Ovviamente sono necessari diversi acquisti, diverse “esperienze” sul prodotto per far fare il salto di
qualità alla relazione tra la marca ed il cliente.
Matrice del livello di soddisfazione del cliente\numero di iterazioni:
Livello di soddisfazione del cliente
Poche interazioni
Soddisfazione
Molte interazioni
Soddisfazione
Lealtà = Profitto
Poche interazioni
Insoddisfazione
Distacco
Molte interazioni
Insoddisfazione
Captivity
Numero di interazioni
Il modello propone quattro diversi ambiti, collegati tra loro in maniera dinamica, di relazione tra il
cliente e l’impresa relative al numero di interazioni e alla soddisfazione determinata da esse.
La teoria indica una correlazione tra la soddisfazione e l’aumentare del numero di interazioni; da
notare che il numero delle interazioni varia in relazione al settore merceologico, il ciclo di vita del
prodotto, dalle aspettative del cliente e dalla performance del prodotto o del servizio.
I quadranti a sinistra rappresentano le fasi di approccio al prodotto\servizio, i quadranti sulla destra
si riferiscono invece ad un numero di interazioni più intenso.
Nel primo quadrante in basso a sinistra, in presenza di una insoddisfazione e di un numero di
interazioni modeste, si individua l’area di distacco.
Il quadrante in basso a destra, definito come situazione di captivity, indica un’interazione
insoddisfacente ma forzata, come può essere ad esempio quella del cliente con il monopolista
statale oppure in situazioni di oligopoli ristetti o di cartelli tra imprese.
In questo caso l’abbandono del prodotto\servizio è impossibile per mancanza di alternative o di
convenienza causata dall’alto livello dei costi di uscita.
Il quadrante in alto a destra è invece la situazione di interazione ottimale tra l’impresa ed il cliente.
In questo quadrante si è davanti ad una creazione di valore scaturita dalla relazione di fiducia e
garanzia fornita che il cliente ritrova nel prodotto\servizio di quella particolare marca che viene
ricambiata garantendo una certa ripetitività di acquisto.
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