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2.1 Chi è il videogiocatore?
La definizione di videogiocatore (o gamer) è sempre stato un punto importante per
capire appieno il fenomeno del videogioco. Lo stereotipo classico, che viene
tutt‟oggi associato alla figura del videogiocatore, è quel giovane/adulto maschio
bianco che non è popolare, non è attrattivo e non ha capacità sociali ben sviluppate
rendendosi immaturo e distaccato dalla sua vita (Dutton et al., 2011; Kowert, 2012;
Chess et al., 2016; Wasserman e Rittenour, 2019). Ancora tutt‟oggi tale definizione
viene condivisa soprattutto dai media giornalistici che spesso collegano episodi di
violenza, o di isolamento sociale, ai videogiochi “violenti”, quasi come se fossero
uno dei migliori predittori del comportamento negativo dei giovani maschi (Granic
et al., 2014). La scienza è riuscita a dimostrare che gli atteggiamenti aggressivi non
possono essere collegati unicamente all‟attività di gioco e ai generi videoludici che
trattano tematiche violente (Homer, Hayward, Frye e Plass; 2012). Inoltre lo
stereotipo di videogiocatore solo come maschio è stato ampiamente superato grazie
alle ricerche che hanno contribuito nel falsificare questo mito e a indicare dei punti
in comune tra i videogiocatori maschi e femmine (Hamari e Tuunanen, 2014;
Granic et al., 2014) anche se il tempo investito nell‟attività videoludica è maggiore
nel genere maschile rispetto a quello femminile (Borowiecki et al., 2015; Johnson et
al., 2016; Panova et al., 2017; Bulduklu, 2017). Infatti negli ultimi anni, seguendo
gli esempi nella figura 22, gli attori del mercato videoludico hanno cercato di
includere con maggior frequenza nei giochi non violenti il sesso femminile
(prevalentemente bianco) in un ruolo attivo, anche se è ancora mediato dal sesso
maschile e fortemente sessualizzato, nei messaggi pubblicitari e nei prodotti del
settore videoludico (Chess et al., 2016; Morawitz, 2017; Lin et al., 2017). Il
fenomeno dell‟annullamento degli stereotipi si è presentato soprattutto nelle
consoles Nintendo mentre per le altre case è ancora preferito lo stereotipo classico
del videogiocatore, causando un senso di esclusione di quei soggetti che non
rispecchiano quello stereotipo. La stereotipizzazione è stata molto forte anche
all‟interno dei mondi di gioco con una suddivisione tra bianchi occidentali come le
persone eroiche (ma anche le più sessualizzate) e le altre etnie come anti-eroi spesso
costretti a commettere azioni criminali per affermarsi ed influenzando la percezione
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dei videogiocatori nei confronti di questi stereotipi sociali. Nell‟ultimo decennio la
situazione si è affievolita notevolmente dando la possibilità di affrontare tematiche
sepre più delicate anche tramite i videogiochi (relazioni omosessuali, scelte etiche o
questioni sociali) e posizionando tutte le etnie ed il genere femminile e quello
maschile sullo stesso livello (ad es. nel videogioco Orizon:Zero Dawn, GTA:
SanAndreas, Mafia 3). Una prima domanda che è lecito affrontare è la seguete; dare
una definizione di videogiocatore si basa esclusivamente sulla frequenza con cui
svolge l‟attività videoludica? La risposta deve essere no. Il motivo è perché la
definizione di videogiocatore deve basarsi sull‟attività che svolge il soggetto e al
valore che egli attribuisce a quell‟attività. Si pensi a due individui in cui il primo
dedica quotidianamente qualche ora ai videogiochi e l‟altro invece gioca ogni tanto
il fine settimana con sessioni di gioco molto lunghe.
Figura 22: evoluzione dello stereotipo del videogiocatore nella comunicazione. Fonte: elaborazione propria.
All‟apparenza potremmo dire che i due casi non hanno nulla di diverso se
prendiamo come punto di riferimento il fattore del tempo. Da un approccio più
oggettivo il primo caso presenta una situazione in cui vengono svolte azioni che
possono essere sintetizzate in una pratica quotidiana (Deshbandhu, 2016). Ciò porta
il videogiocatore ad essere coinvolto in modo diverso nell‟attività videoludica. Per
questo il coinvolgimento, o in altri termini la “coinvolgibilità del videogioco”
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(Hodent, 2018, pp.106), può assumere diversi gradi di intensità a seconda di come il
prodotto/servizio del videogioco si relaziona con i bisogni che il videogiocatore
vuole soddisfare con l‟attività videoludica. La pratica videoludica comporta un
adattamento a diversi stili di gioco (assumendo ruoli diversi nella partita, come
killer, healer o supporter che devono essere equamente valorizzati), strategie in
continua evoluzione (che permettono di arrivare alla vittoria con percorsi diversi ed
imprevedibili per gli avversari) e la ricerca di esperienze nuove. Questi elementi
sono connessi al livello di dedizione del videogiocatore e sono utili per capire chi è
un hardcore gamer e chi un gamer (oppure chi è un pro o un casual gamer). I primi
sono quei soggetti che dedicano tempo, risorse (economiche e conoscitive) ed
energia (scegliendo il grado di difficoltà più elevato nel videogioco), facendo
diventare i videogiochi come qualcosa di importante nella loro vita che riescono a
padroneggiare in tutti i loro aspetti (Muriel e Crowford, 2018) ma sono anche quei
soggetti che spesso vengono associati allo stereotipo inquadrato all‟inizio di questo
paragrafo. I casual gamers sono quei soggetti che invece giocano a pochi
videogiochi, economicamente accessibili, di bassa difficoltà e di generi diffusi su
piattaforme semplici da utilizzare (ad es. i mobile games e handheld). Una categoria
con caratteristiche simili a quelle dei casual gamer sono i gaming companion.
L‟unica differenza è che questi ultimi sono dei videogiocatori che giocano per
aiutare e supportare l‟attività videoludica svolta da un altro videogiocatore (per
esempio il genitore che gioca con il proprio figlio). Oltre a queste tre definizione,
che rappresentano gli estremi, esistono anche videogiocatori con comportamenti di
uno e l‟altro estremo. Ad esempio ci sono quei videogiocatori che spendono il loro
tempo solo per i videogiochi più brandizzati e diffusi sul mercato, cioè i mainstream
(GTA5, Assassin’s Creed, Gran Turismo, Call of Duty ecc.). Questi videogiocatori,
i cloud gamers (Newzoo.com), spesso si considerano al pari dei pro gamers
generando dispute accese nella rete e negli ambienti videoludici online. Il
videogiocatore può essere definito anche come un critico e divulgatore della cultura
videoludica per intrattenere un pubblico. Si pensi a tutti quegli esperti (blogger,
recensori, studiosi, streamer e giornalisti) che svolgono l‟attività legandola spesso
ad una finalità professionale (Kallio et al., 2011). C‟è da sottolineare anche che
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spesso il casual gamer è associato al sesso femminile (perché è più propenso a
giocare sui dispositivi mobile e tablet in sessioni di gioco molto corte). Le altre
definizioni sono associate al sesso maschile, continuando la stereo tipizzazione
dell‟identità del videogiocatore e causando difficoltà per la figura femminile ad
affermarsi appieno all‟interno degli altri segmenti del settore videoludico (Rune
Klevjer e Jan Fredrik Hovden, 2017; Lin et al., 2017; Wasserman e Rittenour,
2019). Nella figura 23 sono sintetizzate le caratteristiche tipiche delle categorie di
videogiocatori.
Figura 23: definizioni generiche di videogiocatore, caratteristiche associate (dall’alto verso il basso; tempo,
conoscenza, energia e spesa economica) e frequenza nella popolazione. Fonte: elaborazione propria.
Fatta questa premessa però c‟è un‟altra questione importante da affrontare fin da
subito, cioè come un individuo identifica se stesso come videogiocatore. Una prima
spiegazione è stata data da Bartle nel 1996, con una rappresentazione grafica nella
figura 24, che però ha costruito i tipi di videogiocatori sulla base di un processo di
segmetazione a priori, cioè impostando le variabili senza una ricerca preliminare
(cioè una ricerca qualitativa). Quelle variabili devono essere inquadrate come le
componenti che riescono a spiegare il comportamento del videogiocatore e non la
definizione che invece, come è stato detto, deriva dal comportamento del
videogiocatore.
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Figura 24: i quattro stili di gioco dei videogiocatori in relazione all’orientamento intra (asse verticale) ed extra (asse
orizzontale) videoludico di Bartle (1996). Fonte: Hamari Juho, and Janne Tuunanen. "Player types: A meta-
synthesis." (2014)
Un‟altra risposta può derivare dai generi a cui gioca un videogiocatore. Seguendo la
figura 25, la preferenza di voler vedere i nemici nello schermo sempre ai propri
piedi può condurci ad un videogiocatore che adora il genere dello sparatutto in
prima persona, oppure far crescere una nazione sotto ogni aspetto può essere
collegato ai gestionali (Vahlo et al., 2017). Però dare risposte di questo tipo ci da‟
solo una semplice categorizzazione basata sulle preferenze degli individui, senza
poter capire gli aspetti più profondi che ci sono dietro le risposte e le decisioni di
acquisto e consumo dei videogiocatori. In parole semplici dobbiamo chiederci,
prima di “chi è il videogiocatore”, il “come” e soprattutto il “perché” gioca a quel
videogioco. Per farlo è opportuno studiare (mediante un processo di segmentazione
a posteriori) quei tratti comuni della dimensione psicografica degli individui che
giocano o, più nello specifico, capire qual è la mentalità, e non solo le preferenze,
del videogiocatore (Bateman et al. 2011; Zackariasson e Wilson, 2012; Hamari e
Janne, 2014; Vahlo et al., 2017; Muriel e Crowford, 2018; Wasserman e Rittenour,
2019). La nascita del multiplayer ha amplificato la ricerca scientifica sulle
caratteristiche dei videogiocatori e ha permesso di individuare quei segmenti (con
un processo a posteriori) a cui i videogiocatori appartengono sulla base dei valori,
delle motivazioni e dei bisogni a cui risponde l‟attività videoludica. Una volta data
una definizione più specifica di videogiocatore ad un individuo possiamo
considerarla come assoluta ed immodificabile?
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Figura 25: tipologie di videogiocatori basate sulle preferenze di genere e di stile/dinamiche di gioco. Fonte:
rielaborazione Vahlo et al., 2017, “Digital Game Dynamics Preferences and Player Types”.
Anche in questo caso la risposta è no perché quell‟individuo può cambiare, anche
nell‟arco di poco tempo, le sue motivazioni ed i bisogni a cui risponde l‟attività
videoludica (Granic et al., 2014; Ramírez-Correa et al. 2018). Si pensi per esempio
a quei videogiocatori che giocano su più piattaforme (a videogiochi di genere
diverso) nell‟arco della stessa giornata. Anche dal punto di vista del videogioco
possiamo fare un ragionamento del genere perché il videogiocatore, come abbiamo
già detto prima, può assumere comportamenti diversi all‟interno dello stesso
videogioco rendendo dinamica l‟identità del videogiocatore nell‟arco di una
sessione di gioco perché ci sono fattori esperienziali, culturali e sociali (in sintesi
l‟ambiente che ci circonda) che possono influenzare l‟identità del videogiocatore.
Le imprese hanno colto questa caratteristica e hanno portato nelle mani dei
consumatori, oramai di tutte le età, videogiochi sempre più complessi che
permettono di avere approcci diversi. Dare una definizione univoca di
videogiocatore è molto più complessa di quel che sembra, se non addirittura
impossibile, rispetto alla definizione di videogioco (Kallio et al., 2011 ;Hamari e
Janne, 2014; Deshbandhu, 2016). La difficoltà inoltre è data dal fatto che “gli stessi
videogiocatori provano disagio ad autodefinirsi in questo modo dal punto di vista
della loro personalità, dissolvendo la definizione di videogiocatore” (Shaw, 2013;
Hung, 2016; Muriel e Crowford, 2018, “Videogame as Culture”, pp.149). Per
questo assumere un approccio basato sulla cultura del consumo (CCT) diventa di
rilevante importanza se si vogliono capire appieno i comportamenti dei
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videogiocatori e si vuole dare una “definizione” di videogiocatore basata sui rituali,
sui significati e sulle simbologie associate al fenomeno dei videogiochi. Inoltre,
come è stato esposto in questo paragrafo, i videogiocatori sono persone che
svolgono l‟attività per soddisfare bisogni diversi che non sono classificati nello
stesso modo da tutti i videogiocatori perché la mentalità ed il contesto, secondo
Murray, sono elementi che ci aiutano a dare una risposta alla domanda del perché
un individuo gioca ai videogiochi e a quali bisogni risponde tale attività.
2.2 Videogioco solo come un passatempo?
“I giochi digitali non sono solo sistemi di gioco algoritmici,
ma anche esperienze mediate digitalmente che mirano a soddisfare
i desideri generati da film, letteratura o fantasia” – Gordon Calleja
Nella maggior parte dei casi alla domanda “perché giochi ai videogiochi?” si ha la
risposta, quasi certa, “per passare il tempo!”. Questa risposta, in termini più
scientifici “motivazione”, non ci da‟ nessun aiuto per capire appieno il
comportamento dei videogiocatori. Se le imprese devono basare le loro scelte
manageriali e di marketing mix su tale risposta allora l‟unico fattore rilevante deve
essere il tempo. Perciò tanto più a lungo le imprese videoludiche riescono a far
giocare i videogiocatori al loro prodotto (retantion rate) e tanto più quell‟impresa
ha successo (Hodent, 2018). Nel paragrafo precedente il fattore del tempo è stato
inquadrato come un fattore che spiega solo parte del comportamento perché dietro il
tempo ci sono una serie di altri fattori che permettono di capire le risposte alla
domanda più complessa “perché spendi il tuo tempo a giocare?”. Una prima
importante motivazione che viene associata all‟attività di giocare è
l‟immedesimazione (o più precisamente l‟immersione). Nello specifico significa
che il videogiocatore non gioca perché vuole vedere il mondo di gioco o vedere
quello che succede. Infatti questo sarebbe un comportamento “passivo” simile alla
visione di un film ma, come è stato specificato, il videogioco è interattivo e per
questo il videogiocatore ha un ruolo sempre “attivo” (Newman, 2009).
Immedesimarsi comporta per i videogiocatori un modo per trovarsi in un mondo
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virtuale “migliore”, distante dalla realtà, da governare in qualche modo con la
propria immaginazione (Loffredo e Alireza, 2017). Quel mondo virtuale è visto
come un “cerchio magico” in cui i videogiocatori vogliono chiudersi per scappare,
momentaneamente, dalla realtà sempre più ardua ed entrare in uno stato di
rilassamento e godimento (Huzinga, 1949; Zimmerman e Salen, 2004; Fonseca,
2016; Park et al., 2011). La connessione tra il virtuale ed il reale non può essere
separata perché i videogiocatori (o più generalmente l‟essere umano) tendono ad
unire questi due mondi costruendo una propria identità sulla base del mondo
virtuale (le community di videogiocatori) ed integrando l‟attività videoludica nella
propria routine quotidiana. La stessa cosa accade, per esempio, con i social network
ed in questo caso la relazione tra virtuale e reale non può essere separata perché
quel mondo virtuale (ad es. Facebook) è un‟estensione di quello reale che nasce da
un‟attività coinvolgente dell‟essere umano (Calleja, 2010; Chloe Shu-Hua, 2015;
Poels et al., 2015; Capretz et al., 2018; Muriel e Crowford, 2018). Ecco perché
alcuni videogiocatori investono più tempo in alcuni generi di videogiochi rispetto
ad altri (MMORPG e simulatori di vita). Ma l‟immedesimazione non si ferma
soltanto alla sfera interattiva perché c‟è anche una parte più profonda che è legata al
concetto di se’ che hanno i videogiocatori. I videogiocatori comunicano ed
esprimono qualcosa di loro stessi tramite i personaggi dei videogiochi, soprattutto
quelli dove è possibile crearne uno proprio o modificare dei personaggi
preimpostati. La creazione di un personaggio immaginario (che simbolicamente è
un mediatore tra videogiocatore e mondo di gioco) può essere legata a quello che i
videogiocatori vogliono proiettare del proprio “se‟ ideale” (fisico, genere e
classe-ruolo sociale) quando si trovano in conflitto con il proprio “se‟ reale” al fine
di aumentare il rapporto emotivo, a due vie, con l‟ avatar con cui giocano
(Antoniazzi, 2009; Elson et al., 2014; Papale, 2014; Pringle e Maxwell, 2015;
Landers et al., 2017; Hodent, 2018). Questa è l‟identificazione che nasce da una
relazione mimetica (Muriel e Crowford, 2018). Un‟altra relazione è quella che si
crea tra il videogiocatore ed i protagonisti del mondo di gioco. Infatti queste
relazioni dipenderanno dall‟identificazione omofila, cioè quanto i protagonisti del
videogioco rispecchiano i valori, le idee, le preferenze ed i comportamenti del
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videogiocatore, generando delle emozioni del videogiocatore nei confronti dei
protagonisti del mondo di gioco (Shaw, 2013; Fonseca, 2016). Proprio questo
rapporto emotivo, che determina il coinvolgimento affettivo del videogiocatore con
il videogioco, è uno dei motivi per cui il videogiocatore decide di continuare, e
approfondire, l‟esperienza del videogioco oppure abbandonarla (Seah e Cairns,
2008; Poels et al., 2012). Un esempio, come riportati in figura 26, sono i
videogiochi di Quantic Dream (Heavy Rain, Beyond Two Souls e Detroit Become
Human) che lasciano decidere ai videogiocatori le azioni dei personaggi (con livelli
di etica e moralità variabili) sulla base di quello che succede nel mondo di gioco,
facendo sentire il videogiocatore più presente in quel mondo virtuale che si evolve
come quello “reale” (Elson et al., 2014). Quelle stesse azioni possono essere
considerate più astratte (per i videogiocatori esperti) o più concrete (per i
videogiocatori novizi), andando a condizionare la percezione delle azioni a livello
cognitivo e le performance nella sessione di gioco (Papale, 2014; Parker, 2017;
Pérez-Latorre et al., 2017; Ewell et al., 2018; Muriel e Crowford, 2018). La nota
interessante è che il rapporto emotivo può cambiare ad ogni partita provando
emozioni diverse per gli stessi personaggi e superando più volte la barriera del
“cerchio magico” (Muriel e Crowford, 2018). Le emozioni (positive o negative) a
loro volta causano delle sensazioni come; noia, sfida, libertà, frustrazione, tensione,
ansia, paura o eccitazione (Granic et al., 2014; Zambetta et al., 2014; Fonseca,
2016; Hodent, 2018). Perciò il videogiocatore cerca delle sensazioni positive nel
videogioco per soddisfare il suo bisogno edonistico di rilassamento per ridurre lo
stress accumulato durante la giornata, in tre parole “staccare la spina” (Fang e
Zhao, 2010; Poels et al., 2012; Bulduklu, 2017). La questione della soddisfazione di
questo bisogno è stata presa in considerazione anche per migliorare la qualità della
vita delle fasce di età più alta che soffrono di depressione (Kaufman et al., 2016).
Lo stadio finale dell‟immedesimazione è quel senso di onnipotenza del
videogiocatore nel mondo di gioco che spesso si raggiunge nel “late game”
(Newman, 2009), o più precisamente nella masterazione di un videogioco, e ciò può
essere collegato al soddisfacimento di un bisogno di autonomia che il
videogiocatore non è riuscito a soddisfare nella sua vita reale (Calleja, 2010;