3
4%, permettendo agli Stati Uniti di crescere più velocemente senza generare
inflazione. Sicuramente in questo periodo si sono verificate condizioni
favorevoli alla stabilità dei prezzi. La debolezza della domanda mondiale in
seguito alle crisi finanziarie in Asia e America Latina ha esercitato
pressioni al ribasso sui prezzi di molti beni (petrolio, metalli e prodotti
agricoli). Inoltre le forti svalutazioni dello yen e delle altre monete
asiatiche hanno intensificato le spinte competitive sui produttori americani.
Sarà interessante vedere come si comporterà l’inflazione ora che queste
condizioni sono drasticamente cambiate.
Chi sostiene che l’economia americana possa crescere a tassi più alti
rispetto al passato senza generare inflazione, sottolinea, però, i
cambiamenti strutturali verificatisi dalla parte dell’offerta, ed in particolare
la crescita della produttività. I forti miglioramenti di produttività hanno
impedito che le tensioni sul mercato del lavoro si riflettessero anche sui
prezzi dei beni finali. Infatti il tasso di crescita delle retribuzioni è
aumentato al diminuire della disoccupazione, ma dato che la produttività è
cresciuta a tassi molto elevati, il costo del lavoro per unità di prodotto non
ha fatto altrettanto. Il problema è capire se la rivoluzione informatica a cui
stiamo assistendo comporti una accelerazione permanente della produttività.
Pur essendo di fronte ad un cambiamento epocale dell’economia derivante
dall’utilizzo delle nuove tecnologie, una volta che il sistema economico
sarà in grado di mettere in pratica tutte le potenzialità offerte
dall’informatica e dalle telecomunicazioni, e che la produttività raggiungerà
livelli coerenti con la “nuova economia”, i suoi tassi di crescita non
potranno più essere così sostenuti e saranno di nuovo soggetti alle
fluttuazioni cicliche. Bisogna, però, sottolineare che il processo di
diffusione delle nuove tecnologie lungo tutto il sistema produttivo sembra
essere ancora lontano dalla sua conclusione.
Perché la crescita economica sia sostenibile nel lungo periodo,
l’output non deve oltrepassare il suo potenziale. Con una crescita della
domanda interna tra il 5 e il 6%, l’espansione americana non sembra essere
sostenibile a lungo termine. Tanto è vero che nell’economia americana sono
presenti gli squilibri che tradizionalmente invertono la direzione di
un’economia in corsa da tempo come l’aumento del deficit della bilancia
4
commerciale e l’eccessivo indebitamento di famiglie e imprese. La
domanda interna è stata alimentata dalla forte crescita della spesa delle
famiglie americane che, approfittando dei fortissimi capital gains ottenuti
sul mercato azionario, si sono potute indebitare per finanziare i loro
consumi. E’ questa la spada di Damocle che pende sull’economia
americana.
Memori del passato, tutti gli economisti si chiedono se a Wall Street
vi sia una bolla speculativa e, come sempre accade, nessuno ha una
risposta sicura. Il secondo capitolo affronta il problema delle bolle
speculative da un punto di vista teorico, sottolineando i meccanismi che
possono portare l’inflazione degli assets ad una vera e propria crisi
finanziaria. Il punto centrale è che l’ascesa dei prezzi azionari alimenta la
crescita dei debiti degli operatori economici, i cui bilanci diventano molto
vulnerabili alle correzioni della borsa. Vivere con un mercato delle attività
finanziarie stimolato per anni da un crescente ottimismo comporta il rischio
che si sviluppi una bolla di grandi dimensioni; valutare, però, se in un dato
momento o in un certo intervallo si è in presenza di una di esse è
estremamente difficile, tanto che solo ex post si è in grado di accertarla. Per
questo motivo la politica monetaria della banca centrale non deve avere
come obbiettivo la stabilizzazione dei corsi azionari. Piuttosto essa deve
limitarsi a monitorare attentamente l’andamento dei mercati finanziari e ad
intervenire quando l’aumento dei prezzi delle azioni rischia di minare la
stabilità dei prezzi di beni e servizi.
Il terzo capitolo utilizza i parametri tradizionali di valutazione
fondamentale per cercare di vedere se le azioni americane sono
correttamente valutate. E’ indiscutibile che le azioni sono più care oggi
rispetto ad una media di lungo periodo. E’ vero che l’aumento della
produttività generato dalle nuove tecnologie si sta riflettendo (e
probabilmente continuerà a riflettersi) sul buonissimo andamento degli utili
aziendali. Inoltre lo sviluppo degli investitori istituzionali (quarto
capitolo) ha contribuito a rendere il mercato più ampio ed efficiente
facendo scendere strutturalmente il premio per il rischio di detenere azioni.
E’, però, altrettanto vero che un premio per il rischio vicinissimo allo zero,
come è quello attuale, non sembra essere sostenibile nel lungo periodo.
5
Il saldo di bilancio risparmio-investimenti è peggiorato negli anni
recenti fino ad arrivare nel 1999 ad un deficit del 5% del PIL, livello mai
toccato prima di allora. Il risparmio nazionale, comunque, è aumentato a
partire dal 1993 grazie al miglioramento nel bilancio del settore pubblico.
Tuttavia, un deficit nel bilancio del settore privato di tali proporzioni non
ha precedenti in tutto il periodo del dopoguerra. Questo ci suggerisce che
dovrebbe essere probabile un rallentamento della crescita economica
attraverso la caduta della domanda. Sarebbe utile capire se il rallentamento
sarà graduale oppure brusco e repentino. Il timore che si possa verificare
questa seconda possibilità nasce, in parte, dalle esperienze di Giappone,
Finlandia, Svezia e Gran Bretagna che seguirono a periodi di caduta del
risparmio privato negli anni Ottanta. Come negli Stati Uniti degli anni
Novanta, il calo del tasso di risparmio privato in questi paesi fu compensato
da un maggiore risparmio del settore pubblico che aiutò a limitare il
peggioramento del risparmio nazionale e del conto corrente. Gli squilibri in
queste economie – incluse le bolle dei prezzi delle azioni e delle case –
furono corretti da un veloce aumento del tasso di risparmio e culminarono
in gravi recessioni.
L’aumento di borsa ha avuto un ruolo determinante nel
peggioramento del bilancio risparmio-investimenti: attraverso l’effetto
ricchezza e la riduzione del costo del capitale essa ha dato una spinta
fortissima sia ai consumi che agli investimenti. Visto il peso che i consumi
hanno sul prodotto interno lordo americano, nel quinto capitolo ho studiato
le relazioni che legano il consumo all’andamento dei prezzi azionari, dei
tassi d’interesse e dei debiti delle famiglie. Dal momento che l’onere del
debito delle famiglie ha raggiunto livelli elevatissimi e i tassi d’interesse
sono in salita, la crescita futura dei consumi dovrebbe, ceteris paribus,
rallentare endogenamente. Se, però, insieme all’aumento dei tassi si
verificasse un crollo del mercato azionario, i consumi verrebbero
fortemente penalizzati e, allo stesso tempo, si potrebbe innescare la debt
deflation che porterebbe ad una crisi finanziaria..
6
La politica monetaria americana deve tener conto di un mercato
azionario che ha raggiunto quotazioni eccezionali; di un tasso di risparmio
molto basso, sicchè la famiglia americana è oggi dipendente dai guadagni di
capitale in Borsa per assicurarsi il proprio futuro previdenziale e per
finanziare, sia pure marginalmente, le proprie spese; di un avanzo federale
che è frutto anche delle imposte sui guadagni di capitale; di un afflusso di
capitali esteri che non solo ha rafforzato il dollaro, ma ha contribuito a
colmare l’insufficienza di risparmio interno.
Secondo il presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan, il
principale obbiettivo della politica monetaria deve rimanere la stabilità dei
prezzi dei beni e servizi che permetta alla crescita economica di essere
sostenibile nel tempo. Come abbiamo visto, però, oltre alle possibili
tensioni inflazionistiche che potrebbero essere generate da una crescita
troppo forte, l’economia americana presenta degli squilibri che potrebbero
minare la stabilità del sistema finanziario. Abbiamo ricordato il deficit
della bilancia commerciale, l’eccessivo indebitamento privato e gli alti
livelli raggiunti dai prezzi azionari.
In una situazione del genere la Banca Centrale deve continuare ad
usare la leva dei tassi preventivamente, per cercare di creare le condizioni
per un atterraggio morbido. E’ evidente che un aumento dei tassi d’interesse
avrebbe importanti conseguenze anche sul sistema finanziario. In primo
luogo esso aumenterebbe l’onere del servizio del debito, costringendo gli
operatori a ridurre le loro spese e a contrarre meno debiti per rispettare i
vincoli di bilancio. Questi effetti provocherebbero un rallentamento della
crescita e un aumento del risparmio privato, che permetterebbe alla crescita
di essere sostenibile nel tempo. Il problema potrebbe diventare diverso se la
Fed non riuscisse a controllare le possibili tensioni inflazionistiche
aumentando gradualmente i tassi d’interesse. In questo caso la Fed sarebbe
costretta ad aumentare repentinamente i tassi d’interesse rischiando di
provocare seri problemi di bilancio agli operatori economici più indebitati.
7
Per quanto riguarda il mercato azionario, un aumento dei tassi
d’interesse dovrebbe frenare l’ascesa delle quotazioni. Un
ridimensionamento di Wall Street sarebbe auspicabile dal momento che
rallenterebbe la crescita della domanda interna. Anche in questo caso, però,
un aumento repentino dei tassi potrebbe causare un crollo di Wall Street che
metterebbe a repentaglio la stabilità del sistema finanziario americano.
Per questo, è auspicabile che la Fed riesca a controllare le possibili
tensioni inflazionistiche aumentando gradualmente i tassi d’interesse.
Bisogna, però, ricordare che soltanto i tassi a breve termine sono controllati
direttamente dalla Fed: il livello dei tassi a medio e lungo termine vengono
stabiliti dalle aspettative del mercato. In un paese in cui il 40% del debito
pubblico è detenuto dal settore estero è evidente che il corso dei tassi
d’interesse viene pesantemente influenzato anche dalle aspettative e
dall’andamento del tasso di cambio. Un dollaro in salita può rallentare la
crescita dei tassi d’interesse. Al contrario, un dollaro in discesa tende ad
accelerare l’aumento dei tassi. Dunque la politica del dollaro forte è ancora
vantaggiosa per gli Stati Uniti poiché permetterebbe di aumentare i tassi
gradualmente. Inoltre le aspettative di un forte deprezzamento del dollaro
potrebbero avere ripercussioni molto negative su Wall Street. Un grande
disavanzo commerciale, oltretutto crescente, non è, però, coerente con una
moneta forte. Perché si possa risolvere il problema senza che la moneta
americana si svaluti a dismisura, bisognerebbe che il resto del mondo
cominciasse a crescere in maniera sostenuta e, contemporaneamente, la
crescita americana rallentasse il passo. E’ evidente che il verificarsi di
questo scenario non dipende esclusivamente dai policymaker americani. E’
altrettanto vero che una crisi finanziaria negli Stati Uniti sarebbe quanto di
più nefasto per le economie di tutti i paesi del mondo, Europa e Giappone
compresi. Dopo anni in cui gli Stati Uniti hanno ricoperto il ruolo di
"importatori di ultima istanza" e hanno contribuito per buona parte alla
domanda mondiale, ora è venuto il momento dell’Europa e, si spera, del
Giappone.
8
Se questa staffetta non si verificasse, sarebbe molto difficile per la
Fed condurre l’economia all’atterraggio morbido. Infatti sarebbe costretta a
combattere il surriscaldamento dell’economia con drastici aumenti dei tassi
d’interesse che potrebbero causare una crisi finanziaria e, di conseguenza,
una recessione. Per fortuna l’attuale governatore della Federal Reserve ha
dato prova, in passato, di grande abilità e flessibilità, ben conscio che, di
fronte ad una possibile grave instabilità finanziaria, qualsiasi altro
obbiettivo di una banca centrale diventa secondario. Finora il governatore è
stato abile e fortunato: nel futuro si vedrà.
9
CAPITOLO I
IL CICLO ECONOMICO E IL “NUOVO PARADIGMA”
“A perceptible quickening in the pace at which technological innovations
are applied argues for the hypothesis that the recent acceleration in labor
productivity is not just a cyclical phenomenon or a statistical aberration,
but reflects, at least in part, a more deep-seated, still developing, shift in
our economic landscape.
Alan Greenspan, 6 Maggio 1999
1. PREMESSA
Questo capitolo si prefigge l’obiettivo di capire se l’attuale
espansione economica americana abbia modificato strutturalmente
l’economia in modo da liberarla definitivamente dal ciclo. Dopo aver dopo
aver descritto, da un punto di vista teorico, il modo in cui solitamente si
evolve un ciclo economico, siamo passati ad analizzare la lunga fase di
crescita vissuta dagli Stati Uniti negli anni ’90. Innanzitutto abbiamo
cercato di individuare le possibili cause del protrarsi di questa espansione:
il controllo dell’inflazione, l’aumento della produttività, il progresso
tecnologico, il downsizing, la gestione delle scorte, la deregulation nel
settore finanziario e la globalizzazione. In seguito, abbiamo studiato
singolarmente questi fattori cercando di capire se essi hanno effettivamente
reso il processo di formazione del reddito strutturalmente più stabile
oppure se anch’essi sono influenzati da fenomeni ciclici. La risposta non è
così definitiva: l’economia americana ha fatto notevoli progressi nella lotta
all’inflazione soprattutto grazie all’andamento della produttività, che è
aumentata grazie alle innovazioni tecnologiche; è però altrettanto vero che
anche altri fenomeni temporanei hanno permesso agli Stati Uniti di crescere
senza generare inflazione. Possiamo dunque concludere che il ciclo
economico non è morto e che l’inflazione sarà ancora uno dei possibili
fattori che potrebbero invertire il ciclo. Sarà compito della Federal Reserve
tenerla sotto controllo.
10
2. TEORIE ENDOGENE O ESOGENE?
La letteratura classica sui cicli economici ha sempre preferito le
teorie endogene, sottolineando le interrelazioni tra investimenti, profitti,
credito, tassi d’interesse, prezzi relativi di input e output, e il ruolo del
rischio, dell’incertezza e delle aspettative. L’importante lavoro di Haberler
pubblicato la prima volta nel 1937 dimostra chiaramente questo fatto.
1
Da
allora, comunque, molti economisti hanno riscoperto le teorie che
mettevano in primo piano disturbi esogeni, elementi stocastici e fattori
politici nello spiegare i cicli economici. Si è riconosciuto che gli shocks
vengono propagati soprattutto dalla dinamica di un’economia caratterizzata
da mercati interdipendenti, ma si credette di poter trattare tutto ciò con
un’ampia serie di modelli, senza contraddire i postulati della moderna
teoria dell’equilibrio economico generale.
E’, però, improbabile che i modelli econometrici siano in grado di
rappresentare così bene l’economia da escludere la possibilità che i cicli
siano endogeni. Gli shocks giungono in una grande varietà di combinazioni
e spesso non sono bene identificati (Blatt, 1978; Eckstein e Sinai, 1986;
Black, 1986).
2
Inoltre, ci sono buoni motivi per considerare le relazioni
“lead-lag” e le non-linearità come un’importante caratteristica della
dinamica del ciclo economico. Questo aspetto del movimento dell’economia
viene tralasciato da quegli studiosi che si concentrano sul ruolo degli
shocks in modelli lineari costruiti senza prestare attenzione alle differenze
temporali, alle interazioni tra variabili fluttuanti e alle asimmetrie cicliche.
Questi elementi rappresentano il nodo centrale per spiegare i cicli
economici, mentre i disturbi esterni sono elementi più periferici, transitori
ed episodici.
1
Vedi Haberler G. “Prosperity and Depression” Cambridge Mass.: Harvard University Press (1937)
2
Vedi Blatt J.M. “On the Econometric Approach to Business Cycle Analysis” Oxford Economic Papers
(1978); Eckstein D., Sinai A. “The Mechanism of the Business Cycle in the Postwar Era” in P.J. Gordon,
capitolo 1 (1978); Black F. “Noise” Journal of Finance, (luglio 1986)
11
E’ meglio vedere gli ampi movimenti dell’economia, inclusi i suoi
punti di svolta, come processi sequenziali estesi nel tempo, non come eventi
isolati. Gli squilibri ciclici non sono mai stati generati esclusivamente o dal
lato della domanda o dal lato dell’offerta, ma dalle interrelazioni tra i due
lati del mercato. E’ così anche quando il problema è la caduta della
domanda dei consumatori o delle imprese; nel caso di un eccesso di
investimento monetario o reale; nel caso di instabilità finanziaria o crisi di
fiducia. E’ molto raro che il tentativo di inquadrare gli shocks come
derivanti dalla domanda aggregata o dall’offerta aggregata riveli qualcosa
di interessante sulle possibili cause di un’espansione o di una contrazione.
Il sistema degli indicatori, invece, consiste in una serie temporale di dati
che, in molti studi, si sono rivelati essenziali come strumenti per
identificare, analizzare e prevedere i cicli economici.
Anche se si sostiene la tesi che il ciclo economico abbia un “nucleo”
endogeno, non bisogna fare l’errore di sovrastimarla. Diversi fattori come
quelli reali o monetari o come le aspettative hanno un ruolo importante
nelle fluttuazioni economiche, e variazioni inaspettate possono avere luogo
in tutte queste categorie. E’ indubbio che alcuni grandi shocks sono stati
molto importanti nella storia economica. Le più grandi guerre hanno avuto
conseguenze economiche durature, come la Seconda Guerra Mondiale che
pose definitivamente fine alla Grande Depressione, mentre quelle minori
hanno influenzato il timing dei punti di svolta dei cicli economici, come
l’intervento in Iraq nel 1990. Anche le decisioni prese dall’OPEC negli anni
’70 possono sicuramente essere visti come un evento esogeno.
Azioni di politica monetaria e fiscale possono causare variazioni
inaspettate nei tassi d’interesse e nella pressione fiscale. Ma anche quando
a molti sembra chiara la responsabilità della Federal Reserve nel causare
una recessione, le cose in realtà sono sempre più complesse. Ad esempio, i
cambiamenti di politica monetaria dell’Ottobre1979 spinsero i tassi
d’interesse a livelli mai raggiunti prima e ad essi è stata attribuita la
responsabilità dell’insolita sequenza di recessioni nel 1980 e nel 1981-82.
Ma la recessione del 1980 fu anche preceduta dal secondo shock petrolifero,
che secondo alcuni fu la vera causa del cattivo andamento dell’economia
(Temin, 1998).
12
Nel 1987, 1990, e 1994-95, la Fed non anticipò, ma reagì con
successo alle cadute del mercato azionario, del reddito fisso e
dell’economia. Al contrario di ciò che è stata chiamata ”teoria del banchiere
centrale”, le espansioni economiche non generano necessariamente un
eccessiva inflazione da contrastare con una restrizione della politica
monetaria. Anche le decisioni dei banchieri centrali di aumentare i tassi
d’interesse per prevenire o raffreddare un’eccessiva espansione non
necessariamente provocano le recessioni.
Le sorprese e le delusioni sono molto frequenti e importanti nei
mercati delle attività finanziarie. Ciò che conta in questo contesto non sono
i movimenti “casuali” dei prezzi azionari durante ogni giornata di
contrattazione, ma le ondate di ottimismo e pessimismo che si diffondono
su un gran numero di investitori e traders e che spesso, successivamente, si
sono rivelate reazioni eccessive. Spesso i giornalisti si riferiscono a questi
errori come manifestazioni di “avidità” e “panico” degli investitori. Questa
affermazione è sicuramente un po’ retorica e semplicistica, ma non del tutto
immotivata; essa non si merita la derisione di economisti che spesso
sovrastimano la razionalità delle decisioni economiche in un contesto di
incertezza. Questi errori di giudizio nelle scelte d’investimento, possono
essere endogenamente “market-moved” o “market-moving” e per questo
diventano elementi molto importanti per studiare i cicli economici.
13
3. L’EVOLUZIONE DEL CICLO ECONOMICO
Nelle prime tappe di un’espansione economica, le prospettive perché
essa si protragga sono incerte e questo porta a preferire progetti di
investimento poco ambiziosi ma sicuri. Nonostante i tassi d’interesse si
muovano quasi sempre in modo prociclico, spesso continuano a scendere
anche dopo che l’attività comincia un processo di ripresa. Più lungo è il
ritardo della “ripresa” dei tassi d’interesse rispetto alla ripresa
dell’economia, migliori saranno le prospettive che tale prosperità sarà forte
e duratura (Cagan, 1969).
3
Il calo dell’incertezza sulle prospettive
economiche ereditata dal precedente periodo di debolezza avviene mentre i
livelli della liquidità sono ancora alti, il tasso di utilizzo della capacità
produttiva moderato e i prezzi e i costi relativamente stabili. Messe
insieme, queste condizioni portano ad un equilibrio molto favorevole: i
profitti miglioreranno, ci saranno maggiori incentivi ad investire e più alti
ritorni attesi. A quel punto la ricerca imprenditoriale di opportunità di
profitto sarà sostenuta da una forte domanda e da favorevoli condizioni di
costo, così come dal crescente sostegno finanziario degli intermediari e del
mercato.
4
I tassi di profitto e i flussi di credito tendono ad avere movimenti
prociclici molto più ampi ed anticipati rispetto ai tassi d’interesse. Ciò è
coerente con la tesi che afferma che durante le espansioni economiche, i
tassi d’interesse di mercato tendono a stare sotto al loro “livello naturale” –
cioè il rendimento atteso o la produttività marginale dell’investimento – che
si sta spostando verso l’alto insieme con la funzione di domanda
dell’investimento. I tassi d’interesse si aggiustano verso l’alto ma
lentamente, e questa è la conseguenza di politiche accomodanti del credito
per finanziare gli investimenti.
5
3
Vedi Cagan P. “The Influence of Interest Rates on the Duration of Business Cycles” in Essays on Interest
Rates, New York: Columbia University Press.
4
Vedi Zarnowitz V. “Theory and History Behind Business Cycles: Are The 1990s The Onset of A Golden
Age?” NBER Working Paper n.7010 (1999)
5
Queste osservazioni sono coerenti con certe idee di importanti economisti come Wicksell, Schumpeter,
Hayek e Keynes. Le loro teorie, anche se differenti per altri aspetti, concordano sul fatto che durante le
espansioni la domanda di investimenti supera l’offerta di risparmio ed è finanziata da un processo endogeno
di creazione di moneta creditizia. In Wicksell l’aumento di domanda di moneta guidata dalle opportunità di
profitto delle imprese è soddisfatto dall’aumento di credito bancario a costi sufficientemente bassi da
permettere la realizzazione di profitti. Questo “processo cumulativo” endogeno riduce progressivamente
l’eccesso di domanda di investimenti rispetto all’offerta di risparmio (e l’eccesso del “tasso d’interesse
naturale” sul tasso di mercato).
14
Un aumento del mercato azionario dà una grossa mano al processo di
espansione economica. Esso abbassa il costo del capitale, cosa che aiuta gli
investimenti. Il suo eventuale effetto ricchezza porterà a maggiori consumi.
Infine canalizza un po’ della crescita monetaria verso la domanda di azioni,
che può portare a minori aumenti dell’inflazione. Ma la ricerca di
rendimenti sempre maggiori comporta un aumento dei rischi. E’ probabile
che la rischiosità di un progetto d’investimento sia tanto più elevata, quanto
più lunga è la sua durata e alti i rendimenti attesi. Perciò una espansione
forte e prolungata comporta un aumento dei rischi poiché cresce il volume
di progetti d’investimento di questo tipo. Per superare le barriere dovute ai
maggiori rischi, i produttori, i finanziatori e gli investitori possono
prendere in considerazione aspettative di rendimenti sempre migliori. Si è
notato che i periodi di crescita caratterizzati da un bull market generano
una grande fiducia e aumentano il pericolo di un eccesso di presunzione
nelle scelte di investimento reale o finanziario.
Non tutti gli investimenti, però, migliorano la crescita; alcuni di essi
possono creare un mismatch tra domanda e offerta, altri possono essere
eccessivi e creare un eccesso di capacità produttiva in certe industrie o in
certe regioni. Quando vengono scoperti, questi errori e le perdite
conseguenti scoraggiano ulteriori investimenti e frenano la crescita. Una
serie di cattivi investimenti può mettere fine ad una espansione economica.
Due semplici osservazioni possono essere portate a sostegno di questa tesi:
a volte le opportunità di buoni investimenti sono scarse, e prevedere i costi
e i rendimenti sui progetti di investimento di lungo periodo è spesso molto
difficile. Dunque la probabilità di commettere gravi errori nelle decisioni
d’investimento è alta, anche se vengono fatti grossi sforzi per studiare tutte
le alternative e per scegliere i progetti migliori.
Se l’economia è in espansione l’aumento dei rischi e dei fallimenti
tende ad essere più che compensato dall’aumento delle operazioni sicure
che vanno a buon fine. Anche i cattivi progetti d’investimento, così come
quelli buoni, danno inizialmente impulso al flusso di spesa, mantenendo
alta la domanda. Dal momento che serve del tempo per aumentare lo stock
di capitale, è probabile che la domanda cresca più velocemente della
capacità produttiva. E’ soltanto quando la domanda si indebolisce, i profitti
15
calano e vi è una minaccia di riduzione della spesa, che si manifesta
l’eccesso di capacità produttiva. Quando il boom è alle spalle, l’aumento
dei rischi non può rimanere sottostimato: vengono alla luce i cattivi crediti
concessi troppo “allegramente”.
6
Sono i processi più sensibili ai cicli, come nuovi progetti di
investimento in impianti e macchinari, e i settori, come l’industria
manifatturiera e le costruzioni, a smettere per primi di crescere. Questo non
implica un’immediata recessione, almeno fino a quando ci sono da
terminare gli ordini non ancora eseguiti e altri settori, come i consumi di
beni durevoli e i servizi mantengono su buoni livelli l’attività economica.
Però questo sostegno tende ad essere temporaneo.
7
Le cause dell’inversione del ciclo economico possono essere diverse:
un rallentamento della crescita può deprimere i profitti e gli investimenti; i
tassi di profitto possono cadere dopo l’ascesa dei tassi d’interesse; si può
verificare un aumento dei fallimenti aziendali; i mercati del credito iniziano
ad allontanarsi dagli alti rischi e dal leverage per passare ad attività più
liquide e sicure, determinando una crisi creditizia che porterebbe ad una
forte riduzione dell’attività di prestito e ad una “lotta” per la liquidità; un
numero crescente di profitti aziendali disattendono le precedenti aspettative
e, di conseguenza, calano i prezzi azionari. E’ possibile che si sviluppi solo
uno di questi scenari provocando soltanto difficoltà transitorie e isolate, ma
spesso essi si presentano insieme, causando gravissime recessioni.
Non c’è un chiaro legame casuale tra recessioni, cadute del mercato
azionario e crisi creditizie. Le crisi finanziarie generalmente seguono le
inversioni del ciclo positivo, ma a volte le precedono. La peggiore delle
ipotesi, grave mancanza di credito con veloci cadute nella liquidità e nei
prezzi azionari, si è verificata durante i passati periodi di deflazione. Nel
periodo inflazionistico di quest’ultimo mezzo secolo, abbiamo avuto crisi
creditizie relativamente miti durante le recessioni. I “disordini” sui mercati
finanziari fanno nascere il pericolo che dopo un eccessiva salita dei corsi
azionari subentri un’eccessiva discesa. E’ questo il cosiddetto “effetto
6
Vedi Zarnowitz V. “Theory and History Behind Business Cycles: Are The 1990s The Onset of A Golden
Age?” NBER Working Paper n.7010 (1999)
7
Vedi Zarnowitz V. “Theory and History Behind Business Cycles: Are The 1990s The Onset of A Golden
Age?” NBER Working Paper n.7010 (1999)
16
branco”, di cui hanno parlato molto le analisi storiche piuttosto che teorie
deduttive basate sul comportamento razionale degli individui.
I rallentamenti che precedono i picchi spesso si riflettono sui consumi
che, nonostante siano molto più stabili degli investimenti, possono essere
molto sensibili ai cambiamenti delle aspettative riguardo l’occupazione, i
trend di prezzi e salari, e le attività e passività delle famiglie. L’origine del
comportamento dei consumatori deve essere ricercato soprattutto nelle
variabili reddito e tasso d’interesse
Durante i periodi di contrazione dell’attività. In questo caso il tasso
d’interesse di mercato scende meno del tasso naturale collegato alle
aspettative sui profitti, che possono temporaneamente calare molto
lentamente; così la domanda di investimenti viene superata dall’offerta di
risparmio. In questi casi, storicamente la moneta liquida si è riversata nelle
banche, i prezzi sono scesi, la deflazione ha sostituito l’inflazione e
l’attività di prestito veniva fortemente scoraggiata.
Il calo dei profitti, del credito e dei progetti d’investimento
generalmente inizia prima del picco raggiunto dal ciclo economico, e, allo
stesso modo, il loro aumento anticipa la ripresa. I costi di produzione e di
finanziamento diminuiscono nelle recessioni, dal momento che la domanda
scende più della corrispondente offerta. Nella misura in cui i prezzi di
vendita, che sono meno flessibili, resistono meglio alle pressioni al ribasso,
i margini di profitto miglioreranno. I progressi nella tecnologia e
nell’organizzazione non si fermano durante le recessioni e generalmente il
punto medio della crescita è superiore a quello del declino.
Ci sono anche alcune importanti asimmetrie. Durante la crescita
l’attività può aver beneficiato del fatto che gli aumenti dei salari siano
stati più lenti di quelli dei prezzi, ma quando il ciclo inverte la sua
tendenza, i salari possono diminuire meno (o aumentare di più) dei prezzi,
con una compressione dei profitti ed un aumento dei licenziamenti. Inoltre,
quando nelle contrazioni si anticipa una discesa dei prezzi, la spesa
corrente rallenta perché si aspetta di fare acquisti a prezzi più vantaggiosi,
mentre se si prevede che i prezzi alla produzione siano in aumento, la spesa
corrente accelera.