«Strada: striscia di terra che si percorre a piedi. Diversa
dalla strada è la strada asfaltata, che si distingue non
solo perchè la si percorre con la macchina, ma in quanto
è una semplice linea che unisce un punto ad un altro. La
strada asfaltata non ha senso in se stessa; hanno senso
solo i due punti che essa unisce. La strada è una lode allo
spazio. Ogni tratto di strada ha senso in se stesso e ci
invita alla sosta. La strada asfaltata è una trionfale
svalutazione dello spazio, che per suo merito oggi non è
che un semplice ostacolo al movimento dell'uomo e una
perdita di tempo.
Prima ancora di scomparire dal paesaggio, le strade sono
scomparse dall'animo umano: l'uomo ha smesso di
desiderare di camminare con le proprie gambe e di gioire
per questo. Anche la propria vita ormai non la vede più
come una strada, bensì come una strada asfaltata: […] il
tempo della vita è diventato per lui un semplice ostacolo
che è necessario superare a velocità sempre maggiori.
La strada e la strada asfaltata sono anche due diversi
concetti di bellezza […]. Nel mondo delle strade asfaltate
un bel paesaggio significa: un'isola di bellezza unita da
una linea ad altre isole di bellezza.
Nel mondo delle strade la bellezza è continua e sempre
mutevole; ad ogni passo ci dice: “Fermati”».
M. Kundera, L'immortalità , pp. 152-153.
4
P arte prima
QUESTIONI PRELIMINARI
I.1. Esiste un ʻparadigma medievaleʼ?
l secolo scorso ha visto un nuovo intensificarsi degli studi sul
Medioevo. Le cause di questo rinnovato interesse sono state
diverse, alcune strettamente legate alla pratica storiografica,
come lo sviluppo di nuovi e più accurati studi filologici che
hanno messo a disposizione nuove fonti; altre al progresso
metodologico interno alla disciplina storiografica stessa, che ha
dotato gli studiosi di nuovi strumenti.
I
Altre cause sono esogene , esulano dal piano direttamente storico
dell'indagine: ad esempio l'emersione di nuove discipline – quali
la sociologia e l'antropologia – che si sono interessate alla
cultura, alla mentalità e alla forma mentis nel Medioevo, dando
conto della sua vivace poliedricità. Da notare anche, come con-
causa rispetto all'emersione di nuovi approcci disciplinari,
l'influenza che il processo di specializzazione tipico dei saperi
della contemporaneità ha avuto nell'accostarsi allo studio del
Medioevo, implicando una enorme varietà di risultati, analisi
trasversali, “tagli” specifici.
Quest'ultimo punto ci porta a evidenziare, quale ultima (non per
importanza) causa dell'intensificato recente interesse nei
confronti di quest'epoca lontana, la reazione alla caduta delle
certezze positivistiche del secolo scorso, grazie al lavoro critico
di epistemologi e storici della scienza. Una reazione che ha
5
portato con sé, nelle analisi di storici, filosofi, antropologi, un
substrato che esprime la diversità degli interessi, delle prospettive
e delle ideologie della nostra età. É quindi latente, in questi studi,
un'implicita (ma talvolta anche esplicita) presa di posizione
politico-ideologica. D'altronde la « storio-grafia» di per sé, quale
«gesto ontologico e politico» 1
, altera, sceglie e situa volutamente
rispetto a se stessa, nel momento stesso in cui la scrive, la
materia che va trattando
2
.
Il quadro degli studi odierni sul Medioevo che qui risulta è quindi
estremamente variegato, esprime e mostra le diversità di interessi
e vedute; è frutto del lavoro di tanti autori, appartenenti alle più
diverse scuole (specialmente a partire dal secondo '900 con le
diverse scuole, francesi, tedesche, anglosassoni). É quindi chiaro
che ogni trattazione su tale oggetto di studio non possa – e in
fondo non debba – tenere conto di tutta la letteratura
sull'argomento, bensì proprio con la selezione del materiale
(siano le fonti primarie o secondarie), debba situarsi su una sua
specifica posizione interpretativa. É quello che accadrà anche in
questo scritto; ma non prima di aver meglio chiarito alcune
questioni ancora in sospeso.
Dopo questa breve introduzione appare ormai evidente l'elevato
livello di problematicità che uno studio di tal genere implica,
qualunque sia il baricentro – storico, filosofico, sociale – che gli
1 Cfr. S. Borutti, U. Fabietti, Scrivere l'assente , in M. de Certeau, La scrittura dell'altro ,
Milano, Raffaello Cortina Editore, 2005, pp. XII-XIV.
2 Esempi di questo tipo di studi che risente fortemente del punto di vista ideologico
dell'autore e che, anzi, fa del proprio studio storico-filosofico uno strumento di
rivendicazione ideologica nei confronti della sua contemporaneità, sono quelli di di É.
Gilson, de Wulf, de Gandillac. Questi intellettuali, appartenenti alla scuola neo-tomista,
reagiscono alla crisi del positivismo con un tentativo di restaurare prospettive più
spiritualistiche, di stampo più o meno dichiaratamente cattolico. In particolare Gilson fa un
uso apologetico della categoria storica di continuità tra Medioevo ed Età Moderna, per
legare l'emersione di un uso moderno della ragione alla filosofia cristiana medievale.
6
si voglia dare. Le prime difficoltà che si incontrano
nell'avvicinarsi al Medioevo, ancora non realmente definito quale
oggetto della presente indagine, sono senza dubbio quelle di
ordine storico: che cos'è il Medioevo, dove e quando inizia e
finisce? E ancora da dove proviene l'idea di Medioevo?
Il Medioevo è un periodo storico e in quanto tale è una
convenzione: di fatto è un'astrazione utile alla pratica
storiografica. La periodizzazione è quello strumento necessario a
organizzare le forme della durata ponendo il passato (inteso
inizialmente come mera totalità di fatti all'interno del fluire
temporale) separato dal presente, in cui lo storico lavora: è lo
storico stesso che crea l'oggetto, il periodo storico, cui porsi di
fronte per narrarlo 3
.
A questo riguardo è allora utile, prima ancora di definire i confini
spazio-temporali del periodo storico all'interno del quale si vuole
indagare, interrogarsi sulla storia dell' ʻidea di medioevoʼ. É noto
che siano stati alcuni umanisti, a cavallo dei secoli finali di
quello che noi, oggi, chiamiamo Medioevo, a usare le due
espressioni «medium aevum» o «media aetas». Inizialmente
quegli autori non volevano designare un periodo storico vero e
proprio 4
, bensì quell'imprecisato lasso di tempo che separava
l'Antichità dal loro presente. Un lasso di tempo in mezzo al
“mito” della cultura classica greco-romana e il risveglio degli
umanisti. Si evincono due punti fondamentali: la connotazione
delle due espressioni è essenzialmente negativa e, quindi, «l'età
3 Cfr., M. de Certau, op. cit. , pp. 4-6 e pp. 98-103.
4 Interessante prova del fatto che le suddette espressioni non avevano alcuna
connotazione storiografica si trova nell'opera di Flavio Biondo, uno storico del XV
secolo. Infatti, egli, pur essendosi occupato della storia dal 412 d.C. ai suoi giorni, non
designò mai questo periodo con quelle espressioni.
7
di mezzo» è semplicemente un periodo di transizione non
meritevole di attenzione alcuna; l'espressione è l'affermazione di
un sentire legato esclusivamente al presente che non identifica
alcun periodo di tempo specifico – si tratta solo di quanto era
stato sopra definito una rivendicazione ideologica.
Inizialmente, quindi, i confini temporali di quanto chiamato
«medium aevum» sono piuttosto sfumati; a maggior riprova del
fatto che esprimevano più un sentire che un giudizio storico, i
limiti temporali attribuiti dagli stessi umanisti, venivano spostati
in avanti a seconda dell'anno in cui si trovava chi ne scriveva.
Ognuno di quegli illustri letterati si vantava di vivere
nell'assoluto presente dell'uscita dalla buia età di mezzo!
La prima vera denotazione storica si deve a Cristoforo Keller e
alla sua tripartizione della storia ( Historia antiqua , Historia
medii aevi , Historia nova , che noi chiamiamo moderna), di cui
siamo tuttora debitori. Le tappe fondamentali concorrenti alla
formazione odierna della idea di Medioevo, passano poi,
attraverso le due antitetiche storiografie, illuministica e
romantica. L'una, rifacendosi alla tradizione umanistico
rinascimentale, lo considerava un periodo in cui «la ragione ha
subito un'eclisse» 5
; l'altra ne esaltava gli aspetti a lei più affini,
l'essere un'epoca ispirata «dal sentimento religioso e operante
come realtà storica, forza spirituale capace di forgiare in unità
popoli diversi in nome della cristianità» 6
.
Oggi quest'antitesi è stata superata, anche se permane nel sentire
comune, un lascito sia dell'iniziale idea negativa che di quella
5 M. A. del Torre (a cura di), Interpretazioni del Medioevo , Bologna, il Mulino, 1979, p.
8.
6 Ibidem.
8
romantica. Appare chiaro che nel linguaggio comune il
significante ʻmedievaleʼ abbia ancora un'accezione negativa e
retrograda.
Passate in rassegna sinteticamente le tappe del “viaggio” di
quest'idea attraverso la storia della storiografia, rimane da
affrontare il problema dei limiti cronologici e spaziali. Anche
attorno a questi due poli problematici si è sviluppata una
discussione, che però non è necessario venga trattata nella sua
interezza; ci si atterrà solo alle informazioni utili al proseguo
dello scritto.
Riguardo ai limiti spaziali ci si può convenzionalmente riferire
ad essi utilizzando due termini: ʻEuropaʼ e ʻOccidenteʼ. Il primo
termine (nato dalla penna di Nitardo nel IX secolo) designava
inizialmente l'area di influenza dell'Impero Carolingio e poi la
cristianità latina, escludendo però tutto il resto; il secondo
designava anche l'area scandinava e l'Europa centro-orientale.
Qui verranno invece usati in un'accezione diversa che ne ribalta
quella originale: l' Europa , in un senso quasi attuale, andrà a
includere la cristianità intera (indi anche area scandinava,
anglosassone, regni celtici, dominii germanici e slavi nell'est e
nel nord Europa), senza misconoscerne i suoi stretti rapporti con
il mediterraneo musulmano e le formazioni politiche antesignane
dell'Impero Russo; mentre il secondo termine si restringe ai
luoghi di più diretta eredità romano-latina
7
, in una lettura che
ribalta il significato attuale andando d'altro canto, a valorizzarne
7 Sui confini spaziali del Medioevo e sull'interpretazione dei due termini ʻEuropaʼ e
ʻOccidenteʼ si seguono principalmente due testi ritenuti molto importanti per questa
trattazione: Zumthor, La misura del mondo. La rappresentazione dello spazio nel Medio
Evo , Bologna, il Mulino, 1995 p. 29 e H. Kleinschmidt, Understanding the Middle
Ages. The transformation of Ideas and Attitudes in the medieval world , Woodbridge,
The Boydell Press, 2000, pp. 5-7.
9
(quasi a condensarne) l'origine storico-archetipica, senza
dimenticare anche le eredità greca e giudaica.
I confini temporali 8
esterni, inferiore e superiore , del periodo
medievale sono indicati, nella trattazione manualistica, con due
date chiave: il 476 d.C., anno della deposizione dell'ultimo
imperatore dell'Impero Romano d'Occidente e il 1492 d.C., anno
della scoperta di Colombo. Si tratta, né più né meno, di due date
che hanno valore solo simbolico. La verità è che i confini esterni
del Medioevo sono mobili, variabili, sfumati; sono anch'essi dei
periodi e non certo degli eventi così specificatamente databili. Si
è allora soliti, tra gli addetti ai lavori, collocare l'inizio del
Medioevo in un periodo di almeno tre secoli, dal IV al VII. In tali
secoli ebbe fine il lento dissolvimento dell'Impero Romano
d'Occidente; contemporaneamente ebbe luogo l'integrazione
delle popolazioni germaniche all'interno della cultura e dei
territori romanizzati, il consolidarsi di uno sfondo religioso
unitario e della sua istituzionalizzazione in una Chiesa. Il confine
temporale superiore è anch'esso sfumato e problematico e
dipende dall'impostazione di fondo: ovvero se sia privilegiata la
cesura o la continuità tra Rinascimento ed età di mezzo. Punto
fermo per una sua collocazione rimane il secolo XV, durante il
quale avrà luogo il tramutarsi di quei caratteri considerati
eminentemente medievali – quali ad esempio l'equilibrio tra
attività agraria e proto-mercantilismo, la presenza politica e
culturale del regno bizantino – in un qualcosa di nuovo – come la
8 Per la problematica inerente alla periodizzazione storica si rimanda al testo di P. Delogu,
Introduzione alla storia medievale , Bologna, il Mulino, 200, pp. 75-84 e a quello di G.
Sergi, L'idea di medioevo , in G. Sergi et al. , Storia Medievale , Roma, Donzelli Editore,
2008, pp 3-7.
10
nascita di un mercato, l'affermarsi dei poteri statali a scapito di
un'idea pre-politica di Europa, l'emersione del soggetto.
L'oggetto di studio inizia a delinearsi: ha un luogo, uno spazio e
una durata. Rimane il fatto che il problema cronologico e di
periodizzazione non è solo rispetto alle altre epoche storiche, ma
anche interno al Medioevo stesso. Quest'ulteriore questione è
valorizzata e discussa nell'eterogenea produzione contemporanea
e, come si vedrà, inerisce direttamente alla questione del
paradigma e dello scritto nella sua interezza.
Considerare un'epoca storica come del tutto omogenea, priva di
modificazioni interne o di qualsivoglia evoluzione è già di per sé
poco accettabile, ma lo diventa ancor di più per un periodo così
lungo come quello medievale. L'età di mezzo, nelle belle parole
di M. Fumagalli Beonio Brocchieri appare come «l'età dell'individuo, dell'uomo forte che realizza il destino
suo e della sua gente, della famiglia come nucleo della
gerarchia, della religione come origine del dominio;
dall'altro lato è anche il suo rovescio, l'età dei movimenti
collettivi, dei contadini in rivolta, dei pellegrini e dei
vagabondi, dei chierici vaganti e dei lebbrosi, dei crociati e
degli invasori […], delle università e di altri fenomeni
morali che segnano anche la nostra modernità. Accanto a
queste due immagini del medioevo c'è poi quella
peccaminosa e irridente [...]».
9
Un'epoca che è tutto e il contrario di tutto, che sembra dare
ragione a quei primi umanisti, per i quali era solo un ponte tra
9 M. Fumagalli Beonio Brocchieri, Tre storie gotiche. Idee e uomini del Medioevo ,
Bologna, il Mulino, 2000, p. 10.
11
loro e ciò che consideravano la loro unica, autentica e degna
eredità passata. Il Medioevo sembra quasi essere «un'età
inventata per alludere al presente» 10
ritrovandone le tracce in un
passato lontano oggi riscoperto affascinante.
É per questo che si è discusso a lungo nel tentativo di creare una
scansione interna, volta a identificare e isolare alcuni gruppi di
secoli caratterizzati da una certa coerenza e omogeneità
maggiore rispetto a quelli successivi e/o seguenti. A seconda dei
criteri e dei temi di questa omogeneità si sono avuti risultati
diversi, di maggior continuità o di discontinutà, o tra i diversi
periodi interni, o tra il tardo Medioevo e il Rinascimento. La
storiografia italiana (diversamente da quella inglese e tedesca) ha
convenuto nel suddividere l'epoca in «alto Medioevo», dal
VI/VII secolo alla metà dell'XI circa, e in «basso Medioevo»,
dalla metà dell'XI fino al XV secolo.
Si è scritto prima del raggruppamento dei secoli intorno a dei
nuclei tematici più disparati: ad esempio le opere di C. H.
Haskins 11
, di T. Gregory 12
, di P. Zumthor 13
, di A. J. Gurevič 14
,
seppur eterogenee tra loro, si oppongono per un certo verso a
quelle dei già citati É. Gilson, M. De Gandillac, M. de Wulf. Il
primo gruppo di autori è estremamente eterogeneo per
10M. Fumagalli Beonio Brocchieri , op. cit. , p. 10.
11C. H. Haskins, Il dodicesimo secolo: lo scenario storico , in M. A. del Torre (a cura di),
op. cit. , pp 109-126. Egli afferma che nel XII secolo si è avviato un processo culturale
rivoluzionario di tale portata da sminuire il supposto iato tra Rinascimento e Medioevo.
L'età di mezzo diventa il luogo di una costante evoluzione, che accelera durante il XII
secolo fino a sfociare, in chiave continuista, nell'epoca seguente.
12T. Gregory, L'idea di natura nella filosofia medievale prima dell'ingresso della fisica di
Aristotele , in M. A. del Torre., op. cit. , pp. 273-312. Anche quest'autore esprime un
punto di vista continuista legato per lo più al tema dell'origine filosofica del pensiero
scientifico. Egli, in polemica con Haskins, tende a privilegiare l'eredità platonica, invece
di quella aristotelica, quale origine di quella scienza poi consolidatasi nel Rinascimento.
13P. Zumthor, op. cit.
14A. J. Gurevi č , Le categorie della cultura medievale , Torino, Bollati Boringhieri, 2007.
Se ne dirà più avanti.
12
provenienza, temi e punti di vista, ma ha in comune l'idea che lo
iato tra Rinascimento e Medio Evo vada attenuato, in quanto
preferisce porre l'accento sull'evoluzione interna all'età di mezzo
e, in particolare, sulla rivoluzione avviatasi a partire dai secoli XI
e XII. I temi sviluppati in quello che è stato chiamato «basso
Medioevo» sono certamente “medievali”, eppure in un certo
senso segnano un distacco che sfocerà in qualcosa di diverso,
sebbene non completamente nuovo. É un quadro che pone
l'accento sull'eterogeneità interna e sul continuismo storico
(inaugurato da P. Duhem riguardo all'epistemologia). Il secondo
gruppo di autori, tende a esaltare l'idea del Medioevo come un
«millennio unitario», compattatosi attorno ai temi della filosofia
medievale per antonomasia – quella scolastica – e a evidenziare
gli enormi debiti che il nostro concetto di ragione e la nostra
etica hanno nei confronti di essa. I due gruppi di autori possono
paradossalmente essere accomunati: perchè entrambi affermano
che il passaggio tra età di mezzo e Rinascimento non sia così
netto e traumatico, non ipostatizzando i due periodi ma
mettendoli in comunicazione. Quel che è più importante, però, è
che i due gruppi di autori situano la causa, l'origine, la possibilità
di una interpretazione continuista, proprio a partire dalla metà
dell'XI secolo, cioè nel «basso Medioevo».
Se l'oggetto di studio di questo lavoro è l'ipotesi che un certo tipo
di viaggi abbia innescato un cambiamento filosofico e culturale
all'interno del Medioevo, ci si rende subito conto come la
quaestio della rivoluzione basso medievale costituisca un punto
nodale. Stante le differenze tra le due sotto-epoche, si potrà
ipotizzare che, se una certa influenza ci sia mai stata, essa si
13
possa situare a partire dalla metà dell'XI secolo e ci si dovrà
interrogare, sul perchè e sul come essa possa aver agito,
catalizzato, concausato direttamente o indirettamente un
cambiamento. E ancora: si potranno rintracciare, gli elementi di
discontinuità interni alla cultura medievale e come già fatto dai
suddetti autori, gli elementi di continuità con le epoche
successive, fors'anche «alludendo al presente».
É stato usato il termine ʻculturaʼ, derivato dall'antropologia
culturale. Essa è
«un complesso di idee, di simboli, di azioni e di
disposizioni storicamente tramandati, acquisiti, selezionati
e largamente condivisi da un certo numero di individui,
mediante i quali questi ultimi si accostano al mondo in
senso pratico e intellettuale».
15
L'utilizzo del termine ʻculturaʼ, nella sua accezione più classica,
crea un oggetto teorico di per sé «senza confini » 16
spazio-
temporali delimitati, utile a evidenziare le grandi differenze
relative tra le culture; di contro non è un termine che offre la
possibilità di una visione diacronica, di una evoluzione interna
alla cultura stessa. Bensì rende possibile trattare l'oggetto di
studio solo secondo una “successione di istantanee” : in altre
parole, solo attraverso la ripetizione e giustapposizione di analisi
sincroniche 17
. La cultura è un concetto «astorico» 18
.
15U. Fabietti, Elementi di antropologia culturale , Milano, Mondadori Università, 2004, p.
12.
16 Ivi , p. 23.
17Non è questo il luogo per una discussione approfondita sulla storia del concetto di
ʻculturaʼ. Si rimanda, per cui, al già citato testo di Fabietti (vedasi nota 16) e a R.
Deliège, Storia dell'antropologia , Bologna, il Mulino, 2008.
18Cfr. H. Kleinschmidt, op. cit. , p. 9.
14
Per dare risalto a quella rivoluzione tutta interna al periodo
medievale di cui si è scritto sopra, ci si deve avvalere di un altro
strumento metodologico che permetta di impostare diversamente
la questione. Si deve tenere insieme, allo stesso tempo, l'esigenza
di mostrare il cambiamento interno a partire dal XII secolo come
causa della lenta dissoluzione dello stesso Medioevo, senza venir
meno all'idea acquisita di una continuità di fondo tra le epoche.
Per meglio dire, si vuole situare la causa del mutare delle due
epoche l'una nell'altra, all'interno dello stesso Medioevo – e
possibilmente metterla in relazione con la pratica del viaggio.
Uno strumento, mutuato dall'epistemologia, che potrebbe
assolvere a questi compiti è quello di ʻparadigmaʼ, ideato da
Kuhn. Esso designa l'insieme delle credenze condivise da una
comunità scientifica e rende intelleggibili i fatti sperimentali che
accadono sotto la sua egida. Vi è una certa componente di
circolarità nell'idea di paradigma, poiché esso fissa le regole del
gioco della scoperta scientifica «definendo […] sia i problemi a
disposizione della sua ricerca, sia la natura delle soluzioni
accettabili per essi»; come a dire che la sfida «non è svelare ciò
che non è noto, ma ottenere ciò che si [ipotizza essere] noto».
19
Quando emergono dalla pratica scientifica alcuni fatti che non
rientrano nel ventaglio di spiegazioni possibilitate dal paradigma
(quando emerge del nuovo, casualmente o come esito imprevisto
di una ricerca interna al paradigma stesso), quest'ultimo entra in
uno stato di crisi, la quale può eventualmente sfociare in una vera
e propria rivoluzione che cambi il paradigma stesso. All'inizio
19Cfr. T. S. Kuhn, La funzione del dogma nella ricerca scientifica , in S. Gattei (a cura di),
Dogma contro critica , Milano, Raffaello Cortina, 2000, pp. 9, 21.
15
Kuhn prevedeva la totale incommensurabilità tra paradigmi
diversi, poi ha man mano attenuato la sua posizione. Qui si vuole
forzare il suo pensiero – senza snaturarlo – evidenziandone un
aspetto: egli voleva porre l'attenzione sull'idea che l'emersione di
fatti o idee, anche banali, potessere mettere in crisi – col tempo! -
l'intero sistema
20
. In poche parole non negava assolutamente una
dinamica evolutiva all'interno del paradigma; anzi indicava
proprio questa come causa endogena
21
della crisi.
Se un «periodo storico si individua […] come durata entro la
quale permangono evidenti e significative alcune peculiari
componenti […] che definiscono […] l'identità del periodo» 22
, é
facile notare la sua quasi coestensività con la definizione di
paradigma. Si potrebbe dire che il paradigma implichi anche
un'idea di mondo , una Weltanschauung; che contenga un'insieme
di culture. E ancora: se «il cambiamento non è riconoscibile che
dinanzi ad uno sfondo di continuità» 23
è ancora più chiara l'utilità
di un'impostazione del problema qui in oggetto che si avvalga
dell'invenzione di Kuhn.
Si è giunti finalmente dinanzi alla possibilità di dare una risposta
al quesito che intitola questo capitolo: esiste un ʻparadigma
medievaleʼ? La risposta è certamente sì, poiché tale strumento è
l'unico che permetta di accostarsi al Medioevo, quale oggetto
teorico astratto, in un modo che dia conto – è bene ribadirlo: dei
20H. Kleinschmidt, op. cit. , pp. 7-11. Si può istituire un parallelo tra la trattazione della
questione del paradigma di cui sopra e ciò che l'autore dice a proposito della dinamica
dialettica tra le variazioni intra e inter sistemiche. Quando le variazioni intra-sistemiche
intaccano le regole che strutturano il core system, causano una variazione inter-
sistemica.
21Cfr. Ibidem. Come ci fa notare egregiamente H. Kleinschmidt, il culturalismo e il
funzionalismo tendono, invece, a negare l'esistenza di cause endogene del cambiamento
culturale.
22P. Delogu, op. cit. , p. 79.
23H. Kleinschmidt, op. cit. , p. 5.
16
cambiamenti interni tra «alto e basso Medioevo» (i quali non
potrebbero venire evidenziati applicando il concetto di cultura);
di una sua apparente omogeneità e sostanzialità, quando
osservato da un punto di vista esterno, dal presente; dell' alterità
– non dell'incommensurabilità – del paradigma medievale
rispetto alle epoche precedenti e in particolare a quelle
successive; dell'idea che la pratica (perchè no, anche del viaggio)
possa modificare la teoria; e, infine, del paradossale fatto che,
proprio quella rivoluzione incominciata in sordina nella metà
dell'XI secolo, endogena e proseguita lentamente lungo l'arco
successivo di secoli, costituisca «il modo in cui [il Medioevo]
negò sé stesso e si trasformò nell'età moderna»
24
(il che
rappresenterebbe esattamente la dinamica tipica della struttura
paradigmatica della rivoluzione scientifica).
Si è giunti, passo dopo passo, ad ottenere una risposta che sarà il
punto di partenza per i passi successivi di questo lavoro. La
descrizione di quell'oggetto teorico creato in e da questo stesso
testo, che qui è stato chiamato il ʻparadigma medievaleʼ avverrà
nel dettaglio nella parte II.
L'ultima questione, forse già evidente a chi legge, è che la
trattazione di un siffatto oggetto necessiti di un approccio che
Carile (nel suo testo sul rapporto tra viaggio e cultura nel
sei/settecento) chiama di «consapevole eclettismo
metodologico» 25
. Un approccio che sintetizzi più scuole e più
discipline, dalla «storia dei concetti» di Kleinschmidt, alla
24P. Delogu, op. cit. , p. 14.
25Cfr. P. Carile, Lo sguardo impedito , Fasano, Schena Editore, 1987.
17
scuola delle “Annales”, passando per la storia della letteratura,
l'antropologia, l'analisi socio-economica, senza dimenticare le
lezioni foucoultiane sulla configurazione dei saperi o gli «spazi
di comunicazione».
18