gruppo che per i vincoli giuridici che legano i membri
di esso, si suole chiamare domestico o famiglia
domestica. All‘unione fra due esseri umani di sesso
diverso fornita di questi elementi e requisiti si danno
i nomi di matrimonium o di nuptiae, a cui più tardi si
aggiungono gli aggettivi legittimum, legittimae, iustum
e iustae
1
.
La configurazione giuridica dell‘istituto a Roma
è profondamente mutata nel corso dei secoli,
soprattutto per l’influenza cristiana. La ricostruzione
storica deve prevalentemente basarsi sulle decisioni
dei giuristi romani scaturenti dalla pratica e sulle
statuizioni imperiali, dato che nei testi classici e
giustinianei non è esposta come tale la struttura
1
Si avverta che, dato il concetto giuridico classico del matrimonium, il
termine latino tendeva a designare sino al IV secolo un rapporto giuridico
persistente nel tempo, dalla persistenza del quale dipendeva la condizione
di coniuge dell’uomo e della donna con le conseguenze giuridiche ad essa
collegate: più tardi, per influenza del nuovo concetto giuridico del
matrimonio, il termine mira, come le parole moderne matrimonio, nozze,
ad indicare l’atto iniziale costitutivo del rapporto coniugale, atto che, una
volta compiuto, crea permanentemente la condizione di coniugi e la società
coniugale.
4
dell‘istituto e non ne è data una ricostruzione
teorica
2
.
Il confronto con altri diritti dell‘antichità a noi
noti permette di rilevare la struttura giuridica
particolare del matrimonio romano e di cogliere uno
degli esempi più caratteristici dell‘autonomia e della
singolarità delle concezioni giuridiche romane.
Diversamente dalle antiche popolazioni
orientali, presso le quali, a quanto risulta dalle leggi e
dai documenti, era riconosciuta, sanzionata e
ampiamente praticata la poligamia, per i Romani la
2
A differenza degli altri istituti giuridici romani, quello del matrimonio è
stato trascurato dai giuristi medievali e dai successivi: i testi della
compilazione giustinianea che ne parlano sono stati scarsamente
commentati dai glossatori, dai postglossatori ed anche dai pandettisti. Per
parecchi secoli infatti il matrimonio è stato considerato materia riservata ai
canonisti e sotto taluni aspetti fuori del campo civilistico. Soltanto con la
ricostruzione storica del diritto romano i testi classici in tema di
matrimonio divennero oggetto di studio e ricerca. Ma i romanisti, i quali
concepivano l’istituto giuridico del matrimonio dal punto di vista della
configurazione moderna, dando a questa valore giuridico universale ed
applicandola anche ai diritti antichi, sono stati indotti ad interpretare le
fonti romane sotto l’influenza di questa configurazione, spesso senza
riuscire ad afferrare esattamente la struttura e il concetto giuridico del
matrimonio classico. Può affermarsi che in questo campo è il diritto
moderno che ha influenzato lo studio e la ricostruzione dell’istituto romano
e non l’inverso. L’etnologia giuridica, il diritto comparato, la storia degli
altri diritti antichi hanno aggravato le difficoltà in quanto vari studiosi
hanno finito con l’attribuire ai Romani istituzioni proprie degli altri popoli
5
configurazione giuridica del matrimonio e degli altri
istituti ad esso collegati è rigorosamente fondata su
una base monogamica
3
. Nell’epoca cristiana anche il
concubinato viene considerato come un rapporto
monogamico, incompatibile con l‘esistenza di un
matrimonio o di un altro concubinato.
Mentre il matrimonio orientale risulta fondato si
di un‘originaria compera della donna, nel senso che il
prezzo della moglie, per quanto abbia assunto in
progresso di tempo un valore puramente simbolico,
rimane tuttavia come elemento essenziale per la
formazione del vincolo coniugale, in quello romano
invece manca ogni elemento che possa far pensare ad
una compera della donna. È infatti da respingere
dell’antichità o di popoli primitivi completamente estranee alla società
romana ed a questa assolutamente sconosciute.
3
L’unica apparente eccezione sarebbe costituita da una misteriosa e
sbalorditiva notizia data da Socrate lo Scolastico (scrittore cristiano del IV
secolo) e ripetuta da altri autori che Valentiniano I, nel 370 d.C., per
potersi unire con Giustina mentre era ancora in vita la prima moglie
Severa e senza ripudiare quest’ultima, avrebbe emanato una legge con la
quale si permetteva a chiunque di avere nello stesso tempo più mogli
legittime. La critica ha dimostrato l’inverosimiglianza di una siffatta
notizia. Fantastica e certamente frutto della fantasia di Svetonio (Caes., 52)
6
l‘opinione di quegli studiosi che vogliono vedere un
ricordo del genere nell‘antica coemptio, modo questo
di acquisto della manus sulla donna, il quale può
aver luogo indipendentemente dal matrimonio. Gli
antichi Romani conoscevano un solo istituto
patrimoniale connesso al matrimonio, cioè la dos,
consistente nell‘apporto di beni da parte della donna
o dei suoi familiari o anche di un estraneo al marito,
allo scopo di sopperire agli oneri della società
domestica: tale istituto, come è evidente, si ispira ad
una concezione del matrimonio che non è certo
quella della compera della donna. La donatio propter
nuptias, le arrhae sponsalicie, la sponsalicia largitas
compaiono solo, per influenza orientale, nell‘ultima
epoca del diritto romano.
Da rilevarsi anche che il matrimonio negli
antichi diritti orientali viene concluso attraverso un
è la notizia data da questo storico del progetto di Giulio Cesare di
introdurre la poligamia a Roma.
7
contratto, redatto generalmente mediante un
documento scritto, mentre il fondamento giuridico
del matrimonio romano è costituito dal semplice
consenso, espresso in qualsivoglia forma, dei coniugi:
le fonti romane anche tarde insistono nel dichiarare
che la redazione del contratto nuziale e dotale non fa
sorgere il vincolo coniugale
4
.
Nelle fonti giuridiche romane si trovano norme
che si riferiscono a due distinti tipi di matrimonio, i
quali differiscono non solo per quanto riguarda la
concezione morale, religiosa e sociale, ma anche per
quanto attiene alla struttura giuridica. L’uno è il
matrimonio dell’epoca pagana, l’altro il nuovo
matrimonio cristiano che, già affermatosi nella
società del IV e V secolo, viene gradatamente
4
Solo nell’ultima epoca gli imperatori Giustino (C. 5, 4, 23) e Giustiniano
(C. 1, 4, 33, 2; 5, 27, 11; Nov. 74, cap. 4; 78 cap. 3; 117, cap. 4;6;11)
prescrivono la redazione dei documenti dotali per taluni casi di matrimonio
fra persone di diversa condizione allo scopo di togliere ogni dubbio che sia
costituito un matrimonio e non un concubinato. La disposizione di
Maioranio (Nov. Maiorani 6 cap. 9) sull’obbligo del documento dotale per la
validità del matrimonio non sembra abbia avuto applicazione, tanto è vero
che non è riprodotta nel Codice giustinianeo.
8
introdotto nella legislazione imperiale attraverso
norme particolari, le quali talvolta mostrano la
persistenza e la resistenza degli antichi istituti e le
contrastanti tendenze giuridiche proprie degli ultimi
secoli dell’impero. I due tipi di matrimonio sono
entrambi presenti nella compilazione giustinianea, il
primo nei passi del Digesto, il secondo di preferenza
nelle più recenti costituzioni del Codice e nelle
Novelle. È necessario pertanto distinguere le norme
che si riferiscono all’uno e all’altro di essi senza
tentare di dare ai passi contenuti nelle quattro parti
del Corpus Iuris un’unica e faticosa interpretazione.
Ed è necessario inoltre diffidare di talune
classificazioni divenute tradizionali nella dottrina
romanistica moderna, ma che erano ignote ai giuristi
classici.
9
1.2 La distinzione fra matrimonium cum
manu e matrimonium sine manu
Una teoria, da oltre un secolo seguita dai
romanisti, sostiene che i romani avrebbero
conosciuto due tipi di matrimonio, l‘uno più antico
cum manu, compiuto attraverso tre forme che si
sostengono essere costitutive del rapporto coniugale,
la confarreatio, la coemptio e l‘usus: mediante tale
matrimonio la donna sarebbe entrata nella familia
agnatizia del marito, sottoponendosi alla di lui
manus, o se questo era filiusfamilias, alla manus del
di lui paterfamilias. Altro tipo di matrimonio sarebbe
stato quello sine manu, che si sarebbe compiuto
senza forme determinate e che, comparso verso
l‘anno 200 di Roma, avrebbe rapidamente sostituito
quello cum manu, caduto in desuetudine e alla fine
scomparso.
10
L‘esame diretto delle fonti permette di
constatare come i giuristi romani non abbiano mai
conosciuto questi due tipi di matrimonio cum manu e
sine manu. Essi concepiscono un solo ed esclusivo
tipo di matrimonio fondato sulla volontà reciproca
dell‘uomo e della donna di essere uniti in un rapporto
coniugale.
La confarreatio, la coemptio e l‘usus non sono
delle forme di matrimonio, ma esclusivamente delle
forme di conventio in manum, istituto del tutto
distinto da quello del matrimonio. La dottrina che
sostiene la distinzione fra i due tipi di matrimonio
confonde due diverse istituzioni: quella del
matrimonio e quella della conventio in manum,
ciascuna avente fini giuridici propri: l’una di creare la
società coniugale, l’altra di far entrare la donna,
indipendentemente dal fatto che sia o meno unita in
11
matrimonio, in un gruppo agnatizio ponendola sotto
la patria potestas del capo di questa
5
.
Presumibilmente nei tempi più antichi, data
l’importanza del gruppo agnatizio della famiglia,
doveva essere assai diffuso il costume che la donna
unendosi in matrimonio, entrasse, a mezzo della
conventio in manum, a far parte della famiglia del
marito e quindi che quasi sempre il matrimonio fosse
accompagnato dalla conventio in manum. La
contemporaneità dei due atti non toglie nulla
5
Il matrimonio dipende infatti dalla persistenza della volontà reciproca dei
coniugi: la situazione giuridica della donna in manum si costituisce invece
con l’atto iniziale della conventio in manum e continua ad esistere
indipendentemente dal perdurare o meno della volontà dei soggetti, finché
non venga compiuta espressamente la diffarreatio o la remancipatio, atti
formali diretti ad estinguerla. Questa estinzione è indipendente dallo
scioglimento del matrimonio che ha luogo con la semplice cessazione della
volontà anche di uno dei coniugi. La distinzione tra l’istituto della
conventio in manum e quello del matrimonio è dimostrata dall’esistenza
dell’usus. Se, come afferma Gaio, la donna entrava nella manus del marito
o dal paterfamilias di questo dopo un anno di matrimonio, vuol dire che il
matrimonio si formava ed esisteva indipendentemente dalla conventio:
questa non trasformava il matrimonio, ma cambiava soltanto la condizione
giuridica della donna: a conferma di ciò si osservi che il trinoctium
impediva la formazione della conventio, ma lasciava intatto il vincolo
coniugale. Si noti inoltre che sin dalla più antica epoca i romani conoscono
lo ius connubii e l’accordano a popoli stranieri, cioè riconoscono a uomini e
a donne stranieri la possibilità di costituire con romani di sesso diverso dei
matrimoni senza mutare il loro status civitatis. Evidentemente questi
matrimoni non potevano essere accompagnati dalla conventio in manum
che è istituto proprium civium Romanorum (Gai, 1.108).
12
all’individualità dei due istituti ed alla diversità degli
effetti giuridici che dall’uno o dall’altro derivano: la
struttura giuridica del matrimonio non cambia per il
fatto di essere o meno compiuto insieme alla
conventio: esso rimane sempre un istituto distinto e
differente
6
. La diversità fra i due istituti appare
ancora più evidente, rilevando che il matrimonio può
sciogliersi, indipendentemente dalla conventio in
manum, con il divorzio, il quale non importa alcun
mutamento alla conventio in manum, per revocare la
quale occorrono forme speciali, opposte a quelle
richieste per la formazione della manus sulla donna,
6
Non è inutile fare un paragone con il diritto moderno. Secondo la maggior
parte delle legislazioni vigenti, se un cittadino di uno Stato si unisce in
matrimonio con una straniera, può in seguito al matrimonio fare
acquistare alla moglie la cittadinanza dello Stato al quale egli appartiene.
Si può quindi avere il matrimonio accompagnato dall’acquisto della
nazionalità e il matrimonio senza questo acquisto. Nessuno dubita che si
tratta di due istituti diversi, matrimonio e acquisto di nazionalità. Il
matrimonio, sia o meno accompagnato dall’acquisto della nazionalità, resta
sempre il medesimo istituto giuridico. Il fatto che l’acquisto della
nazionalità sia contemporaneo al matrimonio non cambia la struttura
giuridica di quest’ultimo.
13
la diffarreatio nel caso della confarreatio, la
remancipatio nel caso della coemptio
7
.
Le fonti confermano pienamente la teoria
suesposta. Gaio, Ulpiano e gli altri giuristi non fanno
il benchè minimo accenno ad una distinzione fra un
matrimonium cum manu ed uno sine manu. Essi
considerano il matrimonio come un istituto diverso
dalla conventio: nelle loro trattazioni i due istituti
sono sempre separati. Gaio nelle sue Istituzioni parla
della confarreatio, della coemptio, dell’usus come
modi di acquisto della manus: mai li considera come
forme di costituzione del matrimonio
8
. Dalla pretesa
7
Gai., 1.137 a.
8
È importante Gai. 2.139, ove il giurista enumera due casi di rottura di
testamento: quello della donna maritata che compie la conventio in manum
col proprio marito, divenendo filiafamilias di questo e quello della donna
che si unisce in matrimonio con l’uomo che ha già su di essa la manus. Si
richiedono pertanto, perché abbia luogo la rottura del testamento, due atti:
il matrimonio e la conventio in manum. Gaio li presenta come due atti
assolutamente distinti l’uno dall’altro e compiuti in due momenti diversi.
Dal passo risulta che la conventio non costituisce di per sé stessa il
matrimonio, ma che questo dipende da altro atto giuridico.
14
distinzione non vi è traccia neanche negli scrittori
letterari latini
9
.
Al matrimonio poteva accompagnarsi la
conventio in manu per effetto della quale la moglie
cadeva sotto il potere (manus) del marito, che
acquisiva diritto di protezione e tutela nei confronti
della moglie, così che quest‘ultima veniva a trasferirsi
nella famiglia del marito, mutando lo status familiae
e perdendo iure civili ogni legame con i parenti di
prima
10
.
Durante la Repubblica ed il primo Impero
esistevano tre diverse forme di matrimonio che
ponevano la donna sotto la potestà del marito, con
9
Unica apparente eccezione è Quintiliano (Institutiones Oratoriae, 5.10.62),
il quale, commentando un passo di Cicerone, usa l’espressione duae
formae matrimoniorum. Ma per comprendere il significato esatto dell’infelice
terminologia usata dal retore, occorre risalire al passo dell’oratore che egli
parafrasava. Cicerone (Topica 3.14) non parlava affatto di due formae di
matrimonio, ma di due formae uxorum, volendo con ciò appunto alludere
alle due distinte condizioni giuridiche della donna maritata che si trova in
manu mariti e della donna maritata che non è invece sottoposta alla manus
del marito.
10
E. Volterra, Istituzioni di diritto privato romano, Roma,
15
conseguente costituzione della manus: la
confarreatio, la coemptio, e l’usus.
In particolare, la confarreatio era un rito
religioso solenne, riservato ai patrizi, esso prendeva il
nome da una focaccia di farro, panis farreus, che gli
sposi condividevano come simbolo della futura vita
comune. Più dettagliatamente consisteva in un
solenne sacrificio (genus quoddam sacrificii) a Giove
Farreo, mediante la pronuncia di certa et sollemnia
verba, celebrato alla presenza del Pontifex Maximus,
del Flamen Dialis e di dieci testimoni.
Solo i patrizi potevano utilizzare il modello delle
nuptiae confarreatae, che attraverso la cerimonia
religiosa della confarreatio, comportavano l’ingresso
della moglie, in qualità di alieni iuris, nella familia del
marito. Neanche a seguito del plebiscito Canuleio i
plebei poterono accedere al rito della confarreatio.
16
La confarreatio comprendeva una serie di riti
quali la dexterarum iunctio, unione della mano destra
degli sposi, e il sacrificio di una pecora la cui pelle
copriva il sedile su cui gli sposi sedevano durante la
cerimonia.
Inoltre, gli sposi dovevano compiere tre giri
intorno all’altare, andando verso destra (dexteratio), e
il capo della sposa doveva essere coperto dal
flammeum, un velo rosso – arancio.
Altri momenti della confarreatio erano il gesto
del marito di acconciare i capelli della sposa con la
coelibaris hasta per dimostrare che la sposa era
sottoposta al suo potere, essendo l’asta la massima
espressione delle armi e del comando (nuptiali iure
imperio subicitur nubens, quia hasta summa armorum
et imperii est) (Fest. S.v. Coelibaris hasta).
Sembra ancora che debba essere ricondotta alla
confarreatio la pronuncia da parte della sposa della
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