della condizione giuridica delle coppie omosessuali per quanto attiene al
matrimonio.
Ingenuamente, quindi, avevo pensato che essendo un argomento
d’attualità, di quella attualità che dovrebbe far parlare e scatenare dibattiti
su tutti i principali quotidiani e occupare le programmazioni televisive con
esperti che forniscono delucidazioni a riguardo, sarebbe stato “facile” farmi
in breve tempo una panoramica generale della situazione, ma come ho già
detto così non è stato.
Una volta superato questo ostacolo mi sono imbattuta in una
situazione generale assolutamente non omogenea. La conquista dei diritti
delle coppie omosessuali, infatti, ha dato luogo, con modalità e tempi
diversi, a una pluralità di leggi sostanzialmente diverse a seconda del paese
in questione. In tempi in cui si ci appresta ad adottare la moneta unica
europea, Euro, e si parla di Eurodifesa, non è stato, quindi, un gran
belvedere constatare che l’accesso delle coppie gay al riconoscimento dei
diritti sociali e civili avviene in base a regole non conformi a livello
europeo.
Ad ogni modo, negli ultimi tempi, ed in particolare nell’ultimo anno,
i progressi fatti a riguardo sono stati decisamente importanti e consistenti
come è riscontrabile nel secondo capitolo.
Prima di procedere nella lettura di questa trattazione è però
opportuno specificare e spiegare al lettore alcuni aspetti che se non
sufficientemente illustrati potrebbero generare confusione.
Spesso, più che altro per consuetudine, si parlerà di matrimonio
omosessuale, ma l’utilizzo di questo termine è improprio. Le fonti da cui
ho attinto spesso parlano di matrimonio generalizzando, ma si riferiscono al
fatto che implicitamente le leggi adottate nei vari paesi garantiscono alle
coppie dello stesso sesso una condizione giuridica pressoché simile, ma
non uguale, alle coppie eterosessuali unite in matrimonio. Infatti, l’unico
paese che attualmente consente il matrimonio tra due persone dello stesso
sesso è solo l’Olanda, in tutti gli altri al momento si parla solo di
convivenza registrata.
E’, inoltre, doveroso spiegare con quale criterio i paesi sono stati
suddivisi nei capitoli. In particolare, spesso, nella lettura del materiale a
mia disposizione, ho trovato che i paesi europei erano in merito a questo
aspetto suddivisi in due solo categorie: chi aveva una legge di questo tipo e
chi invece non ce l’aveva affatto. Una suddivisione di questo genere mi è
parsa però riduttiva in quanto non rende “giustizia” a quei paesi che pur
non avendo una legge hanno fatto alcuni passi in avanti rispetto a quelli per
cui le coppie omosessuali non esistono e non hanno affatto diritti. Per
questo Italia, Gran Bretagna e Spagna meritano un capitolo a parte nella
speranza che i loro attuali sforzi vengano un giorno a tradursi nella
concretizzazione di una legge che abbia valore nazionale.
Infine, è opportuno specificare che al momento in cui questa
trattazione è stata completata molte situazioni sono rimaste in sospeso e si
possono essere nel frattempo risolte e concluse. Si tratta, infatti, di una
materia giovane e in continua evoluzione che sotto diversi punti di vista è
ancora completamente da plasmare.
Ad ogni modo mi auguro di essere stata esauriente e di aver
sufficientemente destato l’interesse e la curiosità sull’argomento in tutte le
persone, amici, parenti e conoscenti, che per varie ragioni e motivi hanno
appreso del mio lavoro in questo periodo di tempo.
Capitolo 1
La famiglia di fatto,
la convivenza registrata
e il matrimonio omosessuale
1.1 Profili storici del concubinato, odierna famiglia di fatto
Se diamo uno sguardo al passato possiamo affermare che le famiglie di
fatto non sono un fenomeno esclusivo dell’attuale momento storico ma
costituiscono una pratica sociale rinvenibile in tempi piuttosto lontani. Queste
società domestiche, infatti, già nel passato si sono conquistate uno spazio
nell’esperienza giuridica e si sono poste quali cause di relazioni giuridiche tra i
componenti il nucleo e tra questi e gli eventuali figli nati da questa unione.
Ripercorrere brevemente queste vicende è una operazione piuttosto utile
per rilevare aspetti rilevanti ai fini di una esatta comprensione del fenomeno così
come si delinea nel moderno contesto sociale, ma anche dei problemi che da
esso scaturiscono nella moderna esperienza giuridica.
Quindi, analizzare come nascono e come si pongono queste comunità
famigliari permette anche di conoscerne le origini, i modi di formazione e
l’evoluzione cogliendo di conseguenza le soluzioni giuridiche prospettate nel
tempo. Soluzioni che spesso si sono dimostrate estremamente moderne, anche
per i fini specifici che si propone la nostra analisi.
1.1.1 La convivenza more uxorio nei diritti pre-romani
Nella Società Ebraica il concubinato non era affatto sconosciuto. Esso era
praticato da persone sposate, quindi, in coesistenza con il matrimonio, e da
persone prive di alcun vincolo coniugale.
I questa società se queste relazioni erano intrattenute da uomini coniugati
venivano giustificate con la motivazione della sterilità della moglie e proprio per
questa ragione spesso facilitate
1
. Inoltre, ai figli nati da queste relazioni era
attribuita la capacità di ricevere donazioni
2
.
La condizione della concubina, che spesso era una schiava, era, invece,
ben diversa. Infatti, nonostante la particolare relazione intrattenuta con il
padrone, la sua posizione non cambiava e continuava ad essere trattata come
serva, trovandosi in uno stato di assoluta soggezione e potendo essere distaccata
in qualsiasi momento.
Una condizione a parte vivevano, invece, le concubine che gli ebrei era
soliti scegliere tra le proprie schiave assegnandole ai propri figli quando questi
non erano ancora sposati. Queste donne venivano tenute in casa come figlie e
quando il concubinario passava a giuste nozze il precedente rapporto con la
schiava non si interrompeva perché a questa era comunque garantito il
mantenimento , il vestiario e il debito coniugale.
In epoca posteriore, si rinviene nella normativa ebraica l’introduzione di
una più sostanziale differenza tra la moglie e la concubina. Tale differenziazione
deriva dall’introduzione dell’istituto della donatio propter nuptias che
1
Sono significativi a questo riguardo gli episodi di Sara che offre Agar, la propria ancella, ad Abramo, e l’episodio
di Rachele e Lia che presentano rispettivamente Bala e Zelfa a Giacobbe
2
Abramo, per esempio, riconosce solo Isacco come suo legittimo erede e lascia a questo tutti i suoi beni, ma prima
di far ciò preleva dall’asse ereditario alcuni doni per la prole avuta dalle concubine.
consisteva in una donazione che il fidanzato di solito faceva alla fidanzata e che
veniva assunto ad elemento di diversificazione del matrimonio dal concubinato
3
.
Per quanto riguarda, invece, la Società Greca sembra che il concubinato
potesse essere praticato senza il consenso della moglie anche da uomini
coniugati senza costituire per il marito motivo di adulterio. Ad ogni modo,
queste relazioni non erano tollerate dalla moglie e venivano considerate
riprovevoli dalla coscienza sociale, anche se, come abbiamo già detto, erano
legalmente permesse.
Sussisteva una sorta di concubinato legittimo, ovvero quella relazione che
si instaurava con la stessa forma con cui si contraeva il matrimonio : il
fidanzamento. Questo, interpretato come atto preparatorio per le nozze,
consisteva in una solenne promessa che lo sposo faceva al padre e nella
successiva convivenza che si estrinsecava in una comunione di vita che
esprimeva la volontà del marito di tenere presso di sé la donna per la
procreazione della prole
4
.
Il concubinato legittimo, così costituito, equiparava i figli nati da questa
unione a quelli legittimi.
Il concubinato legittimo era però ben più raro del concubinato semplice,
cioè quello che senza alcuna formalità si instaurava con schiave, con donne
molto povere, di illegittimi natali o straniere
5
.
Esisteva una precisa tutela giuridica per la prole nata da questo tipo di
relazioni a patto però che la donna fosse di nazionalità greca, se al contrario era
straniera i suoi figli non seguivano alcun diritto ereditario nei confronti del padre
e questo anche in mancanza di eredi.
3
In questo modo, se la donazione non era avvenuta, l’unione non poteva considerarsi legittima ma come un
semplice rapporto di convivenza more uxorio
4
Intentio maritalis
5
Vigeva nell’ordinamento greco il principio per cui un valido matrimonio poteva essere contratto solo tra cittadini
greci
I figli di madre greca potevano, invece, essere legittimati mediante una
speciale adozione e la legge accordava loro una specifica azione per ottenere la
legittimazione paterna. Questo istituto, però, non garantiva al legittimato il
diritto ala successione ereditaria ma gli assicurava solo una piccola parte
dell’eredità. Se questa legittimazione non era intervenuta o non era stata
intentata , agli illegittimi, in assenza di prole legittima, era attribuito di
pretendere a preferenza dei collaterali la somma di mille dracme sui beni
paterni, mentre in presenza di figli legittimi potevano ricevere soltanto legati
entro i limiti della suddetta somma.
1.1.2 Il Concubinato nell’antico diritto romano
Il concubinato nella Società Romana, per il periodo che va dal 754 a.c.
6
al
509 a.c.
7
, non era una pratica sociale diffusa. Infatti, sul piano legislativo non
risulta essere considerato né per essere ammesso né per essere vietato.
Complessivamente la primitiva società romana era articolata in gentes e
familia. La familia costituiva il nucleo basilare della struttura sociale romana.
Era solo attraverso iustae nuptiae, ovvero il matrimonio giuridicamente valido,
che si costituiva una unione legittima. Di conseguenza, le relazioni familiari che
muovevano attorno alla famiglia erano modellate dal diritto e dal costume.
Alla luce di questo, sembra proprio che l’istituto del concubinato
apparisse riprovevole sia per la donna libera che per l’uomo libero privo di
vincoli matrimoniali.
Il buon costume non consentiva di instaurare una convivenza more uxorio
al cittadino celibe non solo in quanto il concubinato era oggetto di riprovazione
sociale ma anche perché il celibato era oggettivo di cattiva considerazione nella
primitiva società romana.
6
Data della fondazione di Roma
7
Data della caduta del sistema monarchico
1.1.3 L’Epoca Classica
Nel periodo che va dalla costituzione del principato augusteo, anno 27
a.C., alla instaurazione del dominato per opera di Diocleziano, 305 d.C., a
seguito dell’espansione della potenza romana, dei radicali mutamenti intervenuti
nelle condizioni sociali, nello stile di vita e nell’economia dell’Urbs, vi era stata
una profonda alterazione della primitiva struttura della famiglia vanificandone in
gran parte le funzioni. Inoltre, il rilassamento dei costumi aveva operato in modo
decisivo sull’atteggiamento negativo che in precedenza era stato imposto dai
boni mores et instituta maiorum in ordine alle relazioni extramatrimoniali.
In questo contesto il concubinato divenne un fenomeno di rilevanza
sociale. Proprio in questa situazione di degrado operò con una appropriata
legislazione l’imperatore Augusto che volle incoraggiare il matrimonio
rimuovendo le cause che inducevano i cittadini a non contrarre più il
matrimonio: la rilassatezza dei costumi e la facilità di tradire i doveri coniugali.
Ciò che fece in concreto fu:
- intervenire con una decisa politica demografica per ripopolare l’impero
- ristabilire d’autorità il valore del matrimonio elevandolo a strumento di
consolidazione del potere di Roma sulle popolazioni soggette
- preservare i cives da persone moralmente o socialmente inferiori mediante
l’imposizione per legge dei divieti matrimoniali
-
Per realizzare queste sue finalità si servi di due strumenti:
• Lex Julia de Adulteriis coercendis
8
• Lex Julia et Papia Poppea de maritandis ordinibus
9
8
Emanata nell’anno 15 a.C., si propone una esasperata difesa della morale familiare e di incrementare le nozze,
stabilendo che ogni unione sessuale extramatrimoniale era da considerarsi illecita
9
Emanata nell’anno 10 d.C.
Questa legislazione nel suo complesso fu ben lungi, però, dal realizzare le
finalità che Augusto si era prefisso, anzi, le unioni legittime continuarono a
diminuire, mentre l’eccessivo puritanismo condusse proprio al risultato opposto.
Se ne deduce che il concubinato come istituzione in età imperiale non
dette mai luogo al sorgere di alcun rapporto familiare produttivo di conseguenze
giuridiche né tra i concubinari né tra il padre e i figli nati da concubina. Infatti,
la concubina non aveva alcun diritto né alimentare né di successione intestata.
La condizione della prole nata da queste unioni veniva disciplinata
seguendo due regole fondamentali:
1) Il figlio naturale nei confronti del padre non aveva alcun diritto né di
natura alimentare né di natura successoria
2) Il figlio naturale aveva nei confronti della madre tutti i diritti e non
differiva in nulla dal figlio legittimo
La convivenza more uxorio, invece, della liberta
10
con il proprio patrono
godeva di una collazione giuridica particolare. Questa, oltre ai doveri di
obbedienza e rispetto nei confronti del patrono, era tenuta all’osservanza
dell’obbligo di fedeltà come se fosse una moglie legittima. Se violava questo
obbligo poteva essere accusata di adulterio. Non le era consentito separarsi dal
patrono contro la sua volontà e se questo la abbandonava non poteva né sposarsi
né vivere in concubinato con altri. Ma anche se la liberta assumeva una
posizione giuridica precisa, la prole nata da questa relazione non produceva
nessuna relazione
11
. Ad ogni modo, questo rigido principio, era mitigato dalle
norme che disciplinano il rapporto di patronato secondo le quali il patrono era
tenuto ad alimentare il liberto bisognoso e i figli di costui.
10
La schiava
11
Anche in questo caso si applicava il principio generale vigente i tema di filiazione naturale: nei confronti della
madre la prole aveva tutti i diritti come se fossero nati in costanza di un matrimonio, ma lo stesso non avveniva nei
confronti del padre.
1.1.4 L’Era Cristiana e il Diritto Giustinianeo
La trasformazione della convivenza more uxorio da rapporto di mero fatto
tollerato dalla legge in una relazione giuridicamente rilevante fu portata dall’era
cristiana e dal diritto giustinianeo.
In questo quadro ogni relazione extramatrimoniale venne considerata
malcostume e in quanto illecita repressa .
Per la prima volta le relazioni concubinarie vennero espressamente
contemplate dalle leggi, ma in senso negativo, ovvero come unioni illecite causa
di perdite e di diminuzioni.
L’intento perseguito dagli imperatori cristiani era rendere deteriore la
posizione della concubina e dei suoi figli e agevolare la trasformazione del
concubinato in matrimonio.
Entrambi questi propositi furono adottati da Costantino che, prima di tutto
sancì il divieto per ogni uomo coniugato di tenere una concubina, vietò
l’adozione dei figli naturali nonché qualsiasi elargizione patrimoniale a favore
della concubina e dei suoi figli. In questo modo la posizione dei figli nati da
relazioni concubinarie
12
veniva resa deteriore non solo rispetto alla prole
legittima ma agli stessi illegittimi spurii. La situazione della concubina, poi,
veniva privata dell’illimitata capacità di ricevere legati, essere istituita erede
nonché di ricevere donazioni dal concubinario.
Costantino, inoltre, introdusse nell’ordinamento l’istituto della
legittimazione per susseguente matrimonio dei liberi naturales. Questa
particolare concessione perseguiva lo scopo di indurre il concubinario al
12
Questi vengono chiamati liberi naturales per distinguerli dagli spurii, cioè dagli altri illegittimi nati da relazioni
extramatrimoiali non concubinarie
matrimonio con questa, costituendo così un espediente per trasformare il
concubinato in nozze e, quindi, nell’intento di eliminare totalmente il fenomeno.
Nell’era Giustinianea, invece, l’unione concubinaria acquisì l
caratteristiche di un quasi matrimonio sia per i diritti riconosciuti alla concubina
e ai suoi figli sia per le garanzie assicurate ai liberi naturales di raggiungere
attraverso appositi istituti la regolare posizione di figli legittimi.
L’innovazione più incisiva della riforma giustinianea fu, però, quello di
escludere che il rango sociale della donna impedisse il concubinato. L’istituto si
allargò, quindi, fino a comprendere qualsiasi relazione stabile con donna di
qualunque condizione sociale, distinguendo dal matrimoio in riferimento alla
sola volontà iniziale dei conviventi di costituire tra loro l’uno o l’altro rapporto.
In considerazione del fatto che questi rapporti presentavano tra loro
caratteristiche simili, quali la convivenza, la stabilità e l’eventuale prole, non
esisteva un criterio distintivo certo tra matrimonio e concubinato, perché la
consuetudine della benedizione sacerdotale delle nozze non divenne un
elemento essenziale per la costituzione del matrimonio.
1.1.5 L’alto Medioevo
Ci riferiamo in questo caso a un paese in particolare, l’Italia.
Nei territori centro settentrionali, che dopo la caduta dell’impero romano
d’occidente erano rimasti soggetti ai controlli dei Visigoti, trovarono
applicazione le leggi romano – barbariche tra le quali assunse una particolare
rilevanza in riferimento al concubinato la Lex Romana o Breviarum Alaricii
13
.
Questa legge recepiva in toto il concetto romano di concubinato e ribadiva
il principio che colui che aveva una moglie non poteva tenere nel contempo una
concubina
14
.
L’unione extramatrimoniale non era vietata in quanto tale bensì per il solo
uomo coniugato, e i diritti di successione dei figli nati da concubina, purché si
trattasse di una donna libera, erano disciplinati secondo le norme del Codice
Teodosiano.
L’applicazione del Breviarum Alaricii fu circoscritta, comunque, al solo
periodo gotico perché tale legge scomparve in seguito alla riconquista bizantina
dell’Italia e alla conseguente introduzione della complilazione giustinianea
15
.
In seguito però la situazione in questi territori mutò radicalmente a causa
dell’invasione dei Longobardi
16
.
La costituzione del Regno Longobardo segnò la fine dell’Unità politica,
amministrativa e legislativa della penisola, che restò divisa in due diverse aree
giuridiche costituite dai territori longobardi al nord e da quelli bizantini al sud.
Nei domini bizantini continuò ad essere applicato il diritto romano, nei domini
longobardi fu, invece, applicato il diritto di quel popolo.
13
Legge dell’ano 506 d.C. emanata per ordine di re Alarico II
14
Dal noto passo di Paolo
15
Anno 554 d.C.
16
Nell’anno 568 d.C.
Il diritto longobardo era puro diritto germanico e venne applicato nella
penisola per oltre sette secoli lasciando tracce durevoli di varia importanza nella
tradizione giuridica delle diverse regioni italiane. Questa legislazione non era
priva di riferimenti al concubinato, un istituto assai diffuso negli antichi costumi
nordici ove sembra fosse ammessa una pluralità di concubine.
Presso queste popolazioni la concubina era la schiava propria o altrui con
la quale si conviveva in modo che era quasi una uxor. Ad ogni modo non le
veniva attribuito nessun diritto nei confronti del convivente salvo ciò che le era
stato promesso per patto e i figli di lei non seguivano la condizione del padre,
che spesso era un nobile, ma della madre. Vigeva, infatti, nelle leggi barbariche
il principio generale dell’esclusione dei figli naturali dalla successione paterna
salvo la facoltà del padre di fare loro delle donazioni.
La normativa longobarda restò a lungo in vigore nelle zone centro
settentrionali anche dopo la fine del regno longobardo
17
, ma in parallelo ad essa
s’innestò nel campo dei rapporti giuridici privati la legislazione franca che pose
una netta demarcazione tra matrimonio e concubinato indicando quali requisiti
essenziali delle nozze la cerimonia ecclesiastica e la dote.
Se la dote è un requisito che costantemente si rinviene nell’antico diritto
germanico, la benedizione religiosa, invece, costituiva elemento nuovo
essenziale. In qusto contesto, quindi, ogni convivenza non benedetta dalla chiesa
e per la quale non era stata costituita la dote doveva considerarsi concubinato, di
modo che tra i due non potesse verificarsi alcuna confusione.
Ad ogni modo, la convivenza more uxorio non era proibita dalla
legislazione franca ove vigeva i solo divieto di concubinato per gli uomini
sposati.
17
Nell’anno 774 d.C.
Ai figli nati in costanza di concubinato le leggi franche non riconoscevano
alcun diritto né alimentare né di successione nei confronti del padre ma
seguivano la condizione materna.
Accanto a questi due istituti, matrimonio e convivenza, se ne inserì uno
nuovo, il matrimonio morganatico o della mano sinistra. Il matrimonio di questo
tipo era quello di un marito che dalla sposa di stirpe nobile aveva avuto un figlio
e, rimasto vedovo, ne aveva sposata un'altra minus nobilis. Di conseguenza la
seconda moglie, cioè quella morganatica, e i figli di lei non acquistavano la
posizione sociale del marito-padre, e alla sua morte non avevano diritto che ad
una parte del patrimonio la cui quota era stata determinata nel contratto di
matrimonio.
La differenza più rilevante tra il matrimonio morganatico e la convivenza
more uxorio era che i figli nati in costanza della convivenza erano naturali,
quelli nati all’interno del matrimonio morganatico erano considerati legittimi.