Introduzione
Il presente elaborato, inserendosi nel discorso della Pedagogia del Corpo, intende
affrontare la complessa relazione tra Improvvisazione e Formazione, attraverso il punto
di vista del Match di Improvvisazione Teatrale.
La pedagogia del corpo: lo strumento di lavoro, l’epistemologia di fondo
Il setting pedagogico è certamente “trasmissione”: tra gli attori della formazione c’è uno
scambio reciproco di conoscenze, un aumento di sapere (meglio, di saperi), in una
dimensione necessariamente asimmetrica (l’intenzione pedagogica risiede solo nei
formatori).
È “comunicazione”: lo strumento privilegiato per la trasmissione del sapere è la parola,
attraverso di essa ci si esprime, si ascolta, si legge, si scrive, si valuta e ci si valuta.
È soprattutto “relazione”: il contesto dello scambio mentale-verbale è il corpo, i cinque
sensi, il vissuto del formatore e dell’utenza, il mondo interiore, gli affetti, i feedback
emotivi reciproci. Il cambiamento prodotto dalla formazione non è un aumento del
materiale conoscitivo mediante la parola ma è apprendimento incarnato; si apprende
tramite il corpo, e sul proprio corpo (la propria storia, il proprio mondo) ricadono i
benefici dell’apprendimento.
Permettere al corpo di agire – non solo simbolicamente – nel contesto
formativo impone il ritrovamento e il contatto con le nostre radici
biologiche, insegna a transitare da un’area (cognitiva-affettiva-
proiettiva-simbolica) all’altra, costringe a vedersi più globalmente e da
più punti di vista, a muoversi attraverso il processo oltre che verso il
contenuto.
1
La Pedagogia del Corpo, nella sua considerazione e valorizzazione degli aspetti estetici
spesso dimenticati dalla tradizione teorica e dalla prassi, fungerà da punto di riferimento
1
I. Gamelli, Pedagogia del corpo, Roma, Meltemi, 2001, pag. 105.
4
epistemologico nel presente elaborato: cercherò infatti di rileggere la mia esperienza di
improvvisatore come un momento formativo che mi sta offrendo una nuova percezione
di me stesso, del mio corpo, della mia storia, insegnandomi una possibilità di lettura (di
me e del mondo) secondo criteri inediti, estetici, non giudicanti, e secondo molteplici
punti di vista.
Il rapporto tra improvvisazione e formazione: un problema?
L’improvvisazione è sovente una parola tabù nel campo della formazione, una scelta
inconfessabile per un insegnante o un educatore, un vizio per cui provare un senso di
vergogna, da non confessare ai colleghi, tanto meno agli studenti o agli utenti.
Il giudizio di “improvvisata”, se attribuita a una lezione [o a un
momento formativo in genere, n.d.R.], risuona come anatema,
l’attribuzione di un valore negativo tout-court, sentenza in grado di
suscitare sentimenti di inadeguatezza e di inefficacia e di scatenare
opinioni diffuse di scarsa professionalità e competenza.
2
È davvero legittima l’identificazione improvvisazione-superficialità? O peggio,
l’equazione improvvisazione = incompetenza?
Se pensiamo a un concetto di improvvisazione per cui l’attore è in mezzo al palco, di
fronte al pubblico-spettatore, a dar sfoggio della sua fantasia e creatività, non possiamo
dar torto a chi storce il naso di fronte all’uso della metafora improvvisativa in
pedagogia; il riferimento sarebbe infatti un modello di formazione ex cathedra, in cui
colui nel quale risiede l’intenzione pedagogica si pone frontalmente rispetto alla sua
utenza, a trasmettere unilateralmente un sapere, non importa se con linearità o
brillantezza, con piattezza o istrionismo: tra il formatore e i formandi, in questo
modello, c’è una barriera, una membrana impermeabile.
Lungo il corso di questo elaborato dimostreremo invece un concetto sistemico-
relazionale di improvvisazione teatrale: scopriremo l’esistenza di un circolo virtuoso
2
I. Gamelli, Insegnare improvvisando ad arte, in F. Cappa, C. Negro, a cura, Il senso nell’istante.
Improvvisazione e formazione, Milano, Guerini, 2006, pag. 28.
5
attore-spettatore, vedremo che una performance di improvvisazione teatrale ha le stesse
caratteristiche di interrelazione, ricorsività, retroattività ecc. di un sistema vivente.
L’improvvisazione si configura, tutt’altro che all’insegna
dell’estemporaneità, come il prodotto reso possibile da un lungo lavoro
di autoformazione su di sé, dallo sviluppo delle capacità di ascolto, di
presenza all’altro con il proprio corpo, con i sensi tutti, dentro un’attenta
regia degli spazi e dei tempi e del proprio stile in continua
trasformazione.
3
In tal modo non solo l’improvvisazione si rivela una “buona metafora” con cui
interpretare la formazione ma una condizione di autenticità delle relazioni all’interno
dell’evento formativo.
Lo sguardo di chi ha il compito di presidiare il setting educativo è lo sguardo di chi sa
improvvisare, cioè di chi sa misurarsi con l’imprevisto e l’imprevedibile, di chi non ha
paura dei propri limiti, di chi sa confidare sulle risorse della relazione.
Il Match di improvvisazione teatrale: un luogo di incontro tra
improvvisazione e formazione
Il “Match di Improvvisazione Teatrale” è anzitutto uno spettacolo, un momento
artistico: due squadre di attori, in giocosa competizione, costruiscono (o meglio co-
costruiscono) storie inedite, creano mille personaggi, mettono in gioco stati d’animo e
suscitano emozioni; poi è un gioco/sport: ha le sue regole imprescindibili ed esse,
piuttosto che essere un argine per la fantasia, costituiscono l’apertura a un ventaglio di
possibilità, i gradi di libertà per lo spazio della creatività, per il corpo.
Nella mia esperienza di allievo della Scuola di Improvvisazione Teatrale di Milano
(Teatribu), nei seminari stracittadini cui ho partecipato e nelle mie prime esperienze di
giocattore
4
in Italia e all’estero, ho avuto la fortuna di poter incontrare e vivere le
3
Idem, pag. 34.
4
Gli attori che improvvisano vengono comunemente chiamati giocattori, termine che ben descrive
l’autentico spirito del Match.
6
dinamiche dell’improvvisazione autentica, quella che nel paragrafo precedente abbiamo
definito nella sua accezione sistemico-relazionale; nei dialoghi con i miei compagni
improvvisatori di tutta Italia, con i miei insegnanti e con i formatori che ho conosciuto,
infine nel confronto con i testi che ho affrontato nel mio corso di studi accademici, ho
potuto rileggere la mia esperienza in un’ottica di educazione degli adulti, come
(auto)formazione permanente.
Il Match è e resta uno spettacolo teatrale, non è dotato di per sé di elementi pedagogici;
dimostreremo però che nelle dinamiche di questo gioco/spettacolo vengono – è proprio
il caso di dirlo – “giocate” le caratteristiche di un fecondo approccio pedagogico e di
un’autentica regia del setting formativo.
L’elaborato è suddiviso in tre parti: nella Prima, intitolata L’improvvisazione nel teatro,
gettiamo uno sguardo su alcuni dei momenti più significativi della storia del teatro,
cercando di istruire il nesso tra ricerca e improvvisazione teatrale (Cap. 1, I padri del
Match), successivamente confrontiamo i tre grandi maestri dell’improvvisazione
nordamericana di fine secolo scorso (Viola Spolin, Keith Johnstone e Robert Gravel)
fino alla descrizione schematica del Match di Improvvisazione Teatrale (Cap. 2,
L’improvvisazione da mezzo a fine: la rivoluzione nordamericana).
Nella Seconda Parte, intitolata L’improvvisazione nel Match, affrontiamo le dinamiche
vive del Match, attraverso un commento ragionato ai falli che l’arbitro del match può
comminare agli attori (Cap. 3, I falli arbitrali: significati artistici e pedagogici del
Match) e una disamina delle categorie con le quali si possono “giocare” le
improvvisazioni (Cap. 4, Le Categorie: la passione, la cultura e la ricerca teatrale).
Lungo l’elaborato troveremo già molte occasioni di riflessione pedagogica: esse
troveranno il loro culmine nella Terza Parte, intitolata L’improvvisazione nella
formazione, in cui cercheremo (Cap. 6, Il Match e le dinamiche pedagogiche: un circolo
virtuoso) di analizzare nel profondo come le dinamiche pedagogiche vengano “istruite”
dall’improvvisazione, concludendo con l’analisi dei principali guadagni formativi di cui
un adulto può godere nell’esperienza del Match.
7
Parte prima
L’improvvisazione nel teatro
8
1 I padri del Match
1.1 «Un jour le théâtre est né »: una divertente Genesi del teatro
Un jour, le théâtre est né. Il y avait une gang de gorilles assis en cercle
autour d'un feu... alors un bon soir y'en a un comique qui se lève pis qui
se gratte les couilles en s'approchant du feu pour faire rire les autres... ç'a
tellement pogné qu'y s'est mis a recommencer chaque soir... en plein
milieu du cercle sur le bord du grand feu... Mais y'a des gorilles qui lui
ont dit (ceux a qui y tournait le dos): "Aie! Baquet! On voit rien nous
autres!..." Alors le gorille les a fait mettre en demi-cercle pour qu'ils
voient tout!... et ce fut le théâtre grec... Un bon soir, le gorille, au lieu de
se gratter la poche, y s'est mis a se gratter la tête pis là y'a eu besoin de
faire comme si y'était dans le bois pour vrai... alors y s'est dessiné des
arbres en carton qui tenaient debout avec des cordes... mais la les autres
gorilles y voyaient les cordes sus les côtes... alors le gorille les a fait
asseoir en face de lui, toute la maudite gang... et pis là y voulait se
cacher pour pas que les autres gorilles le voyent se préparer... ça fait
qu'y a mis un rideau et ce fut le théâtre à l'italienne... Mais là y'a un autre
gorille qui s'est levé pis qui a dit: "Moé c'est ben de valeur mais je
trouve ça frette à mort... y faut revenir aux
Sources..." pis y'a cassé le théâtre à l'italienne, y'a allume un grand feu et
les gens se sont assis en cercle tout autour... Mais là y'en a quelques-uns
qu'y ont dit: "Aie! Nous autres on voit rien!..." Ca fait que... ecc.
Robert Gravel
5
Un giorno, è nato il teatro. C’era una banda di gorilla seduti in cerchio attorno a un
fuoco… allora una bella sera uno di loro, il comico della situazione, si alza in piedi e si
gratta i (…) avvicinandosi al fuoco per far ridere gli altri… ciò ha riscosso un tale
successo che costui ricominciò ogni sera… proprio in mezzo al cerchio sul bordo del
5
R. Plante, Robert Gravel. Les pistes du cheval indompté, Montréal (Québec), Editions Les 400 coups,
2004, pag.7. Questo testo è la biografia di Robert Gravel, ideatore del Match di Improvvisazione Teatrale,
e tale racconto è posto dall’autore in controcopertina, allo scopo di introdurre, in modo assolutamente
performativo, il carattere e la parabola esistenzial-artistica del “grande Bob”.
9
grande fuoco… Ma alcuni gorilla (quelli a cui voltava le spalle) gli hanno detto: “Ehi
tu! Non vediamo niente, noi!...” Allora il gorilla li ha fatti mettere in semi-cerchio
affinché vedessero tutto!... e il teatro greco fu… Una bella sera, il gorilla, al posto di
grattarsi la sacchetta, si mette a grattarsi la testa come se fosse nel bosco per
davvero… allora sono stati disegnati alberi di cartone che stavano in piedi grazie a
corde tirate… ma gli altri gorilla vedevano le corde ai lati… allora il gorilla li ha fatti
sedere davanti a lui, tutta la banda maledetta… e poi ha voluto nascondersi per fare in
modo che gli altri gorilla non lo vedessero prepararsi… e così ha messo un sipario… e
il teatro all’italiana fu… Ma ecco un altro gorilla che si è alzato in piedi e ha detto: Sì
sì la cosa è certamente ben fatta ma mi annoia a morte… bisogna tornare alle radici!”
poi hanno rotto il teatro all’italiana, hanno acceso un gran fuoco e si sono seduti in
cerchio tutt’attorno… Ma ecco c’è stato qualcuno che ha detto: “Ehi! Non vediamo
niente, noi!...” Allora… ecc…
(traduzione mia)
Robert Gravel, col suo stile giocoso e irriverente, con poche pennellate riesce a
raccontare l’intera storia del teatro; certo, può risultare scandaloso riassumere
venticinque secoli di teatro tramite una “barzelletta”, può non rendere merito ai grandi
momenti della storia, alle rivoluzioni apportate da Shakespeare, Molière, Goldoni,
passando per Pirandello, De Filippo, fino ad arrivare a Stanislavskij, Grotowski; eppure
questa narrazione i cui protagonisti sono buffi e scontrosi gorilla, ha qualcosa di
profondo da dirci.
L’ambientazione antropomorfica può far tornare alla mente l’incipit di “2001 Odissea
nello spazio”, il film di Stanley Kubrick strabordante di significati: in effetti, di tale
capolavoro cinematografico il racconto di Gravel riprende il carattere allo stesso tempo
ermetico e pregnante; più che una storia del teatro, allora, sembra una “filogenesi” del
teatro, o volendo un’archeologia (in senso foucaultiano), alla ricerca di ciò che è più
profondo e tipico del teatro, lungo i secoli; inoltre, le chiuse di ogni micro-episodio,
nella narrazione, sono simili ai fiat del I Libro della Genesi biblica, per cui
l’archetipicità di tale racconto è anche nell’intenzione dell’autore (pur giocosa e
10
irriverente): come nel racconto fondatore genesiaco l’Autore sviluppa una narrazione
mitica che non dice tanto “come è stato creato” il mondo ma “come è”
6
, così Gravel
intende tratteggiare una metafora narrata su cosa sia il teatro.
Ed ecco dunque il teatro: si parla di un gruppo attorno a un fuoco, perchè il teatro nasce
da un cerchio, da un contesto comunitario, ci sono sì i singoli che si staccano dal
gruppo, ma tutta la loro azione è per il gruppo che li vede e li ascolta, e alla fine della
“performance” tornano nel gruppo.
Il “pubblico” partecipa, l’energia che si sviluppa tra chi “gioca” e chi guarda è nella
forma di uno scambio, di una feconda biunivocità; il gruppo partecipa ridendo,
discutendo, contribuendo anche a stravolgere le regole del gioco: pubblico e attori
compiono insieme un lavoro di ricerca su quale sia la forma migliore per l’espressione
teatrale, e così Gravel racconta, con un gradevole chiasmo, la ciclicità tra spontaneità e
mimesi, tra spazio aperto e spazio chiuso, tra “teatro greco” e “teatro italiano”, ecc.
Il teatro è un gioco, il teatro è qualcosa di piacevole: quando uno dei gorilla si alza e
proclama di fronte al gruppo il necessario ritorno alle radici, adduce la motivazione che
si annoia a morte.
Le théâtre est un art vivant. Ce qui doit se dégager de la scène lors d’une
représentation c’est une vie, une sorte de vie, une intensité qui subjugue
le spectateur, le rive à son siège comme la foudre rive le malheureux
sous un arbre... et ce, du début à la fin de la représentation!
7
Il teatro è un’arte in cui si sviluppa una specie di vita, qualcosa che ha l’intensità della
vita stessa; è dunque un’arte poietica, dove si crea, si costruisce, e ciò che si crea è
sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che ha lo stesso colore forte della vita.
L’arte del teatro di improvvisazione è soprattutto questo: creazione, co-costruzione,
importanza dei rapporti tra attore e attore e tra attori e pubblico, intensità vitale.
6
Cfr. per esempio G. Garbini, Mito e storia nella Bibbia, Brescia, Paideia, 2003, pagg. 41ss.
7
R. Gravel, J. M. Lavergne, Impro I. Exercices et analyses, Montréal (Québec), Lémeac, 1987, pag. 13.
11
1.2 Influenze e precursori
Come nasce il Match? Dove possiamo rintracciare, nella storia del teatro, i germi di
formazione dell’arte improvvisatoria, fino ad arrivare alle sue forme contemporanee?
Bisognerebbe ripercorrere l’intera storia del teatro, perché vi è un assunto fondamentale
da cui partire: la dimensione improvvisativa è sempre stata una componente
fondamentale delle forme teatrali nella storia; dando uno sguardo agli albori, a titolo di
esempio possiamo citare le Atellane del teatro latino, veri e propri spettacoli
improvvisati, o la figura del Giullare nel Medioevo, attore poliedrico, abile nella danza,
nel canto e nella poesia, capace di creare col pubblico momenti di pura
improvvisazione.
Lungo i secoli, tuttavia, sono nate e si sono sviluppate forme teatrali dalle quali non
possiamo prescindere; in epoca classica, la Commedia dell’Arte, che dal 1500
costituisce una dei “tesori” teatrali che anche all’estero ci invidiano
8
; nel secolo scorso,
l’esperienza del Living Theatre, soprattutto per la sua scomoda frattura con la
recitazione classica; per finire, le due figure più eminenti del teatro moderno,
Stanislavskij
9
e Grotowski
10
; di tali esperienze teatrali cerchiamo ora di dare qualche
cenno, sottolineando quali siano i debiti artistici che il Match ha nei loro confronti.
8
In tutti i festival internazionali d’Improvvisazione cui ho avuto la fortuna di partecipare, non vi è stata
volta in cui a noi italiani non venisse chiesto, anche in forma estemporanea, di recitare qualcosa di
Commedia dell’Arte; non c’è dubbio che questa, assieme all’Opera Lirica, è l’arte teatrale di cui noi
italiani possiamo andare fieri, in tutto il mondo.
9
Pseudonimo di Konstantin Sergeevič Alekseev (Mosca 18 gennaio 1863 - 7 agosto 1938).
10
Jerzy Grotowski (Rzeszów, Polonia, 11 agosto 1933 - Pontedera, PI, 14 gennaio 1999).
12
1.3 La Commedia dell’Arte
La Commedia dell’Arte è un genere teatrale, un’ideazione italiana del XVI secolo,
caratterizzata da rappresentazioni improvvisate, su un soggetto dato da un canovaccio,
da attori per lo più mascherati, professionisti e non, che inizialmente si rivolge a un
pubblico popolare e in seguito passa a interessare anche aristocratici e colti.
Il termine Commedia dell’Arte compare come definizione ufficiale data da Goldoni nel
1750 nella sua commedia-manifesto “Teatro Comico”
11
, a indicare un genere di
commedia centrato sull’attività di maschere, e quindi sull’azione, in contrapposizione
alla commedia di carattere, in cui i personaggi sono caratterizzati da un profilo
psicologico complesso, non descrivibile né realizzabile all’interno di commedie a
dialoghi improvvisati.
Queste le definizioni e i significati che lo stesso Goldoni dà di Commedia dell’Arte:
- “Commedia della professione”, riferendosi al coinvolgimento di attori
professionisti, ma anche nel significato di “arte” come tecnica di una
professione, come mestiere, e come l’insieme di quanti esercitano tale
professione;
- “Commedia all’improvviso”, per la peculiarità della recitazione a braccio ad
opera di attori mascherati; da qui anche “Commedia degli Zanni”, nome ispirato
a una delle maschere tipiche di questi spettacoli, che col trascorrere del tempo
passa a indicare un’intera categoria di personaggi.
Le origini della Commedia dell’Arte sono da ricercare nei movimenti artistici del XV e
XVI secolo, l’epoca del Rinascimento, in cui vi è un forte cambiamento di tendenza
rispetto ai secoli precedenti: nasce una commedia in stile popolare, accanto alla
tradizionale commedia letteraria; un’altra origine risiede certamente nella satira che si
sviluppa alla fine del Medioevo con lo sviluppo di uno spirito umano più critico e
scettico rispetto ai bui tempi precedenti. Ed è così che nascono le maschere popolari
comiche, caratteristica distintiva della Commedia dell’Arte. La maschera è un
accessorio caratteristico, ma non indispensabile per presentare una parte, ovvero un
11
In C. Goldoni, Commedie, Milano, Garzanti, 1981.
13
soggetto letterario rappresentato in scena da un attore; bisogna in più specificare la
differenza tra una parte e un ruolo, inteso come un insieme di parti che hanno caratteri
simili tra loro e che sono perciò raggruppabili sotto una determinata classe, o categoria
(“tipi fondamentali”).
1.3.1 Le maschere
Le prime maschere fondamentali della Commedia dell’Arte sono Arlecchino e Scapino
(i due Zanni, i servi, ovvero le figure comiche e/o goffe per eccellenza), Pantalone e il
Dottor Graziano (i due vecchi) a cui si aggiungono gli Innamorati (in genere due
coppie), una delle categorie di cui si è parlato in precedenza, che però non erano
necessariamente mascherati, ma hanno un ruolo non secondario per distinguere la
Commedia dell’Arte dalla semplice esibizione comica. Un amore tra giovani, per lo più
intralciato dalle figure dei vecchi, ostacolo infine risolto per permettere la realizzazione
dell’amore naturale; è questa la storia principale a cui si appoggiano le commedie del
‘500-‘600, sia recitate all’improvviso che non.
La recitazione nella Commedia dell’Arte si posa appunto su uno scenario, una traccia
narrativa che descrive la vicenda per sommi capi, soprattutto sulle entrate e uscite di
scena degli attori, che tuttavia creavano dialoghi e interpretazioni, improvvisando
sull’avanzare della recitazione, ma basandosi su caratteristiche ben definite ciascuno del
proprio personaggio. In questo modo si è persa l’opera dell’autore unico, poiché ognuno
aggiungeva del proprio all’impatto del personaggio sulla scena, sia nei dialoghi, sia
nell’esposizione.
Così nel corso della propria storia la Commedia dell’Arte, andando in scena spesso con
le stesse commedie e trame, suggeriva un’idea di replica, parti premeditate e una
ripetizione che le avrebbero fatto perdere la spontaneità dell’improvvisazione,
caratteristica tuttavia conservata dalla varietà e dall’intensità del gioco sulla scena
differente a ogni rappresentazione.
Per quanto riguarda l’aspetto economico di tale attività, occorre sottolineare che gli
spettacoli che richiedevano l’impegno dell’autore per lungo tempo, mesi o addirittura
anni, esigevano giustamente di essere ben valutati sul piano economico, fattore che
restringeva di gran lunga il range di pubblico in grado di sostenere la spesa.
14
Diversamente, il teatro basato sulle maschere e sull’improvvisazione, essendo crollata
l’idea di “autore unico”, aveva una maggiore capacità di adattamento e di produzione di
spettacoli diversificati da vendere, aprendosi così ad un variegato pubblico.
1.3.2 Il mestiere dell’attore
Esistevano diverse categorie di attori non professionisti, impegnati in spettacoli
tradizionali e di Commedia dell’Arte: i cortigiani o funzionari di corte, gli accademici,
chi faceva del teatro un secondo mestiere; si può individuare il Veneto come zona di
origine del professionismo teatrale, che ha favorito la formazione di compagnie e dato
stabilità all’arte teatrale. Si ha notizia di un primo contratto tra attori nel 1545, che
fissava impegni di reciproco aiuto, solidarietà e collaborazione tra i “compagni”
contraenti, fissandosi più su obblighi di convivenza e assistenza piuttosto che
strettamente inerenti alla recitazione o all’attività teatrale.
Un altro contratto del 1564 fissava invece gli accordi tra “comediantes” ovvero tra attori
professionisti che contraevano tra loro appunto obblighi professionali, piuttosto che di
solidarietà. Queste compagnie ormai formatesi, essendo al servizio delle corti, erano
quindi ingaggiate al completo da principi e duchi, che potevano anche inviarli come
ambasciatori presso altre corti: così fece nel 1608 il duca di Mantova che inviò a Parigi,
come omaggio alla regina, una compagnia di attori italiani, questo perché la corte dei
Gonzaga a Mantova è stata il centro propulsore dell’attività comica fino alla metà del
‘600.
Le compagnie del ‘600 erano tendenzialmente formate da 8-10 persone e distinte, a
seconda della fonte di reddito, in tre categorie:
- Compagnie ducali: alle dipendenze della corte di un duca che si preoccupava di
fornire loro un sussidio economico per gli spettacoli offertigli.
- Compagnie capocomicali: offrivano anch’esse servizi alle corti, ma non ne
dipendevano in maniera diretta e prendevano il nome dall’attore di maggior
prestigio.
- Compagnie impresariali: erano finanziate da un ricco signore, da cui quindi
dipendevano; genere molto diffuso nel ‘700, in cui addirittura delle compagnie
arrivarono a prendere il nome del teatro presso cui prevalentemente si esibivano.
15
1.3.3 Il pubblico, la fama internazionale e la decadenza
Il pubblico era tenuto a pagare l’ingresso solo per spettacoli svolti in luoghi chiusi come
sale e teatri, mentre per la retribuzione di quelli svolti nelle piazze, gli attori si
affidavano alle offerte raccolte alla fine dell’esibizione.
Anche grazie allo sviluppo di queste attività, l’Italia era considerata da tutta l’Europa,
un punto di riferimento per arte e cultura, e lo scambio tra corti favoriva la sua ulteriore
diffusione, possibile anche grazie all’accessibilità a culture differenti data dalla presenza
di musica e danza.
Soprattutto la corte parigina di Enrico III era attiva in questo senso come meta di
tournées di attori, e oltre, tanto che intorno al 1570 nacque proprio a Parigi un teatro
italiano stabile. Il re di Francia si preoccupava di trovare degli spazi per le esibizioni,
non solo a corte, ma anche nei teatri della città, agli artisti italiani, che in questo modo
divennero attori ordinari del re da cui ricevevano quindi una sovvenzione annua. Il
grande successo di questi spettacoli e la diffusa abitudine a frequentarli, tuttavia, a
discapito degli artisti francesi, fu la stessa causa che, nel corso degli anni, portò alla
decadenza e alla cacciata da Parigi delle compagnie italiane nel 1697. A questo
contribuì anche l’inizio di collaborazioni all’interno delle stesse compagnie italiane di
attori/autori francesi, tra cui tuttavia esisteva un divario di comicità che portò pian piano
alla ristrutturazione degli spettacoli e alla difficoltà di mantenere l’originaria spontaneità
nell’improvvisazione; anche perché le battute e i dialoghi di successo venivano
memorizzati e riproposti negli spettacoli successivi.
Possiamo quindi tracciare una sequenza di cause sulla decadenza della Commedia
dell’Arte, da aggiungere a quelle precedentemente illustrate:
- abitudine alla raccolta di materiale di battute gradite al pubblico;
- impoverimento dell’ingegnosità dell’attore, cardine su cui è nato lo spettacolo
della Commedia dell’Arte;
- inevitabile formazione di stereotipi: personaggi definiti e immutabili, assegnati
sempre allo stesso attore della compagnia, spesso per tutto il corso della sua vita
da artista, per dargli sicurezza in scena;
- impoverimento anche degli spettacoli in Italia, in cui erano portate atmosfere di
altri paesi sperimentate e assorbite durante le tournées all’estero.
16
1.4 Il Living Theatre
Il Living Theatre è un’esperienza teatrale d’avanguardia nata a New York nel 1951
dalla creatività e dall’impegno di Judith Malina (di origine tedesca, emigrata da piccola
oltreoceano) e Julian Beck. Fu attivo, nonostante numerose difficoltà, tra gli Stati Uniti
e l’Europa.
Fondato in opposizione a Broadway e a tutti i valori e modelli da esso rappresentati, si
ispirò sia alle idee politiche anarchico-pacifiste della sinistra, sia a movimenti artistici
d’avanguardia, e sin dall’inizio si propose di rappresentare testi contemporanei (e non),
americani e stranieri ponendo particolare attenzione al linguaggio d’espressione. La
diffusione d’idee rivoluzionarie e anarchiche, l’impegno e il fondamento politico della
compagnia teatrale e la crudezza e schiettezza delle rappresentazioni sono stati causa di
censure da parte delle autorità, arresti, critiche durante tutto il periodo di attività, in ogni
paese sede degli spettacoli. In questa sede d’analisi escludiamo volutamente i complessi
aspetti politici e storici delle vicende e i commenti su di essi
12
, per centrare l’attenzione
sull’analisi della struttura degli spettacoli.
1.4.1 Provocazione, fisicità ed essenzialità
Storicamente al gruppo – chiamato gruppo perché la compagnia, nei periodi di
nomadismo assunse i caratteri di una gran famiglia composta da tutti gli attori con al
seguito compagni e figli, in una visione di condivisione della sfera privata, economica e
lavorativa - è riconosciuto il merito di aver rivoluzionato il teatro, trasformando gli
spettacoli, esistenti o creati ad hoc, in una forma di provocazione costante per il
pubblico e la critica, ai fini di sensibilizzarli su problemi sociali quali la guerra, la vita
in carcere, la droga, l’emarginazione, ecc., nella convinzione che il teatro dovesse
incidere egualmente sugli attori e sugli spettatori in modo da arricchirli, sconvolgerli o
indignarli e trasformarli e sensibilizzarli ad ogni spettacolo.
Le azioni, spesso ispirate a un testo, unite in una coreografia, si basavano
12
Per un’analisi degli aspetti socio-politici della parabola del Living Theatre, cfr. A. Rostagno, G.
Mantegna, We The Living Theatre, New York, Ballantine, 1969.
17