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Foto Adriano Cavalieri Ducati
Tale fatto gli portò fama e considerazione da tutti gli addetti del settore.
Cominciò ad indirizzare le scoperte in ambiti finalizzati come quello della
comunicazione fra natanti, tanto da meritarsi l’interesse da parte della Marina
Militare Italiana. Fu, così, allestita una nave che per la prima volta fu collegata
contemporaneamente con i cinque continenti. Per queste cose, all’età di 21 anni,
venne insignito della Croce di Cavaliere della Corona d'Italia da parte del Ministro
della Marina, ammiraglio Thaon de Revel, conseguendo anche il primato di essere
il più giovane Cavaliere d’Italia.
Tali meriti e scoperte spinsero Adriano assieme ai fratelli a concretizzare, in
qualche modo, la sua ormai ampia e collaudata esperienza, nella produzione,
dando vita alla “Società scientifica radio brevetti Ducati”. La Società, nacque con
l’obiettivo iniziale di colmare i vuoti d’offerta che il nuovo mercato della
radiofonia aveva in sé. Si decise di iniziare la produzione di condensatori a mica
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puntando sulla qualità e in seguito integrando processi produttivi capaci di
generare outputs per apparecchiature radio nella sua totalità. Lo stabilimento era
lo scantinato della villa di famiglia e il primo prodotto in assoluto fu il
condensatore “Manens”, caratterizzato da un livello qualitativo eccelso. Che
l’azienda sarebbe divenuta presto un modello per tutte le industrie del mondo lo
testimoniano anche le intraprendenti idee adottate per promuovere e far conoscere
il prodotto, infatti, Bruno Ducati spedì campioni gratuiti del condensatore a
radiotecnici e produttori del settore in tutto il mondo. Appare ,dunque , evidente
l’ascesa verticale che l’azienda dei fratelli Ducati stava compiendo. Ormai gli
interessi della società erano tali che il luogo ed il numero dei dipendenti non
bastavano più ed era considerata da tutti una “grande” azienda, ma per legittimare
l’uso di tale termine mancava ancora una cosa.
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1.2. Il nuovo stabilimento di Borgo Panigale
La crescita esponenziale della produzione richiese un ampliamento strutturale
della azienda, si decise così di costruire un nuovo stabilimento. La zona scelta fu
Borgo Panigale alle porte di Bologna. Venne acquistato dalla Società un terreno di
120.000 mq, giusto di fianco l’antica Via Emilia, crocevia fra Milano e la
Romagna e vicinissima alla strada che attraverso gli Appenini porta a Firenze e
Genova.
Nel 1935 cominciarono i lavori del nuovo stabilimento che si allineava
perfettamente all’ideologia avanguardista dei fratelli Ducati. Fu progettato da
Bruno, che tenne conto di ogni evenienza, considerando anche il pericolo di un
bombardamento aereo, localizzando i capannoni in modo tale che i danni
sarebbero stati ridotti al minimo. Il 1 Giugno 1935 fu posta la prima pietra, alla
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presenza delle autorità di Bologna, Borgo Panigale e della Provincia. Venne
racchiuso in un tubo di bronzo una pergamena che conteneva la firma di tutti i
presenti ed una scritta augurale: “Avanti al popolo laborioso e fedele delle
campagne e delle officine – i fondatori della Società Scientifica Radio Brevetti
Ducati – posero oggi la prima pietra del loro nuovo stabilimento – Che Iddio
benedica sempre la loro attività – 1 giugno 1935”. (B.C. Ducati Storia della
Ducati)
La nuova fabbrica era davvero un passo avanti il concetto di azienda
racchiuso nel nostro immaginario. Oltre le aree produttive, le menti dei progettisti
pensarono ad inserirvi una scuola intitolata in onore del padre dei fratelli Ducati,
Antonio Cavalieri Ducati, nonché mensa, cucina, servizi sociali, ambulatoriali ed
anche un servizio dentistico. Ricordando che si era in piena epoca fascista, anche
le aziende dovevano uniformarsi a tale spirito, infatti, sul piano umano, la vita dei
dipendenti doveva essere guidata dai principi del regime sia nell’aspetto pubblico
che privato ma anche lavorativo. Il dopolavoro divenne uno strumento
fondamentale della dittatura per far emergere i dipendenti in molteplici attività
soprattutto a sfondo competitivo. Grandissima importanza assunsero i giochi
sportivi, gli atleti della Ducati si erano specializzati in diverse discipline e grande
importanza rivestiva la squadra femminile, poiché all’epoca era veramente raro
che ve ne fosse una. Sempre in sintonia con tale regime, nella produzione, ogni
utensile ed ogni componente doveva essere costruito ed assemblato all’interno
dell’azienda e se da un lato davano il beneficio di essere perfettamente rispondenti
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alle esigenze per cui erano stati creati, dall’altro richiedevano un grande consumo
di tempo ed energie per la realizzazione finale di un progetto. Fu creato il Centro
Misure Macchine il cui scopo era quello di controllare la qualità e le
caratteristiche delle materie prime, in particolare dei metalli con test di trazione,
durezza e flessione. Il microscopio divenne uno strumento necessario per
accrescere la qualità della produzione, infatti veniva utilizzato per lo studio della
disposizione dei cristalli nelle superfici metalliche e in genere per lavori di
precisione. Vi erano regole anche per l’abbigliamento, infatti per ogni categoria vi
era una divisa e la classe operaia vestiva il camice bianco, cosa alquanto insolita,
poiché il colore loro attribuito era il blu, ma per dimostrare l’altissima qualità
della produzione e la cura che l’azienda aveva per i propri operai si decise per il
camice del colore più pulito che vi fosse, il bianco, appunto.
Nacque così, nell’immaginario collettivo, lo “Stile Ducati” che proveniva da
una fortissima integrazione verticale, sia in senso estremamente aziendale che in
quello di comunità. I fratelli Ducati cercarono di inculcare fin dal primo momento,
a tutti coloro che facevano parte dell’azienda, un fortissimo senso di appartenenza
generatore, appunto, di ciò che viene definito come “Stile Ducati” e di sicuro tale
tendenza fu fomentata dai dettami del fascismo. Tutte le iniziative e le attenzioni
che venivano rivolte ai lavoratori contribuirono non poco ad aumentare il
potenziale dei propri dipendenti che si sentivano parte di una grande famiglia. La
formazione di una comunità e di un forte senso di appartenenza fu alla base di
quello che nel corso degli anni si è sviluppato alla Ducati e che dagli studiosi è
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chiamato col nome di marketing tribale. E’ innegabile constatare che la
lungimiranza e l’audacia dei fratelli Ducati li resero consapevoli che l’uomo era
l’aspetto attorno al quale bisognava investire maggiormente.
Dalla fine degli anni 30 la dirigenza seppe imbastire un metodo lavorativo
estremamente organizzato e cominciò una robusta penetrazione nei mercati
internazionali, sviluppando un sistema di filiali e una rete di distribuzione
altamente capillarizzata su tutto il globo.
1.3. La produzione dal 1936 alla seconda guerra mondiale
La Ducati arrivò alle soglie della seconda guerra mondiale ad essere una delle
realtà aziendali più grandi del paese , era infatti la seconda azienda d’Italia solo
dopo la Fiat di Torino. A Borgo Panigale il numero dei dipendenti era salito a
2.300 unità. Venne perseguita una politica di decentramento aprendo centri a
Crespellano e Bazzano , inoltre ve ne era uno a Salsomaggiore dove prolificò la
sezione Tungsteno-Molibdeno che utilizzava come fonte di energia il metano, ed
un altro a Parona di Volpicella, Verona. Nella sua totalità il numero dei dipendenti
arrivava a quota 11.000, ma c’è da specificare che la cifra non è del tutto certa. Fu
creata una rete di filiali in tutto il mondo:
● Ducati England, con sede a Londra in Regent Street
● Ducati France, con sede a Parigi in Rue Scribe
● Ducati Nord Europa, con sede a Bruxelles in Rue Belliard
● Ducati Nord America, con sede a New York in Fifth Avenue
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● Ducati Venezuela, con sede a Caracas nell'Edificio Mendoza
● Ducati Do Brasil, con sede a Sao Paulo in Dom Josè de Barros
● Ducati Argentina, con sede a Buenos Aires in Via Lavalle (Per
riconoscenza il titolare era Mario Argento, lo stesso che fece il primo ordine
all’azienda.)
● Ducati Australia, con sede a Sidney in George Street
● Ducati Suisse, con sede a Zurigo in Bahnhofstrasse.
Inoltre, per soddisfare la richiesta energetica sempre maggiore dei propri
edifici, la società acquistò i diritti idraulici per la produzione di energia elettrica
del fiume Panaro per costruirvi una centrale, progetto che non fu compiuto a causa
dello scoppio del conflitto mondiale.
La produzione dell’azienda non era basata solo sui condensatori, ma nel corso
di questo periodo sviluppò diversi prodotti. Tali erano il Radiostilo (1930) la
prima antenna radio antidisturbo,la sua efficacia fu tale che venne utilizzata dalla
Marina Italiana; il Dufono (1935) un sistema di comunicazione interna a viva voce
per aziende, in seguito venne utilizzato anche per imbarcazioni, aerei ed altri
mezzi; apparecchi radio musicali (1939) di pregevole fattura, si distinguevano per
qualità e per bellezza (veniva utilizzato il legno di pero della Sardegna) tanto che
anche Papa Pacelli ne possedeva uno; il Raselet (1940) il primo rasoio elettrico
italiano, ebbe particolare fortuna in Germania; il Bimar (1940) un binocolo per
visione notturna, costruito su licenza della Zeiss risultò persino superiore
all’edizione tedesca originale tanto da ricevere i complimenti dell’azienda
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teutonica per la qualità; Microcamera fotografica (1941); Proiettore
cinematografico (1941), queste tre ultime produzioni erano figlie del neonato
reparto di ottica diretto da Vasco Ronchi e già direttore dell’istituto ottico di
Firenze; la Duconta (1942) calcolatrice elettrica scrivente, fu il primo modello
costruito in Italia, ma non fu fortunato, poiché la produzione venne interrotta a
causa dell’imminente guerra. Come tutte le grandi aziende del tempo e per i
contributi diretti e indiretti come il radiostilo e il bimar utilizzati dalle Forze
Armate, nel 1938 la Ducati fu avviata al “Commissariato per le produzioni di
guerra”, dispensando i propri uomini dal servizio militare. Gli outputs vennero
indirizzati verso la produzione bellica di precisione quasi nella sua totalità:
Binocoli prismatici, spolette ad orologeria per bombe, stazioni telegrafiche,
telecomandi per aerei. Tali prodotti diedero all’azienda dei profitti altissimi, ma la
Storia ci dice che non durò a lungo, si prospettavano, infatti, gli anni più duri del
XX secolo.
1.4. Le difficoltà della Ducati ereditate dalla Guerra e
ricostruzione.
La Ducati nel suo Dna ha il gene di essere sempre un punto di riferimento e
pertanto essere sempre all’attenzione di tutti. Proprio come chi non riesce a
passare inosservato per un talento innato o per una dote ricevuta, viene glorificata
dai successi ottenuti e vituperata dai cattivi esiti ma, come in quel caso, non
riusciva ad essere indifferente agli occhi sia degli invasori che degli alleati. Così,
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per vecchi problemi che si risolvevano, nuovi se ne aggiungevano. Se non erano
bastate le grane dei tedeschi, ci pensarono le forze alleate ad aggiungervene nuove
al cammino di ricostruzione dell’azienda. E’ vero che il comportamento non fu
mai limpido e la posizione dei Ducati non fu mai netta, ma l’unico scopo era
quello di salvare l’azienda ricorrendo ad un rischiosissimo doppio gioco fra le
parti. Almeno per una cosa che si perde un’altra se ne guadagna. Persero la
fiducia, ma in compenso circa il 90% dei macchinari era pronto per l’uso
nonostante il conflitto mondiale, grazie al trasferimento nei centri di Albizzate
(Varese), Cavalese (Trento), Pianezza (Torino), Salsomaggiore (Parma). Si
ricorda che i fratelli Ducati non erano graditi, in particolare dalle forze dell’ordine
inglesi che presiedevano Bologna capeggiate dal Commissario Provinciale per il
governo alleato Floyd E. Thomas e pertanto erano irreperibili. Il CLN dell'Emilia
Romagna aveva nominato un commissario e un vice-commissario, rispettivamente
l'ing. Dino Zanobetti del Partito d'Azione e Raffaele Gandolfi del PCI. Ma l'AMG
(Allied Military Government - Il Governo Provvisorio Alleato) non si mostrò
concorde, allontanando senza troppi formalismi l’ing. Zanobetti adducendo il
pretesto che l’ingegnere fosse troppo giovane e inesperto per ricoprire tale carica,
all’epoca dei fatti solo venticinquenne. Nonostante ciò arrivarono al colonnello F.
E. Thomas lettere di elogio per l’ingegnere sia da parte del Pro Rettore
dell’Università di Bologna prof. Edoardo Volterra che da altri intellettuali di
spicco, ma l’orientamento del colonnello inglese fu inclemente. Quasi trasfigurava
un’esecrazione personale nei confronti della Ducati. In tale scenario il C.L.N. non
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poté far altro che assecondare tale volere nominando il nuovo Commissario
provvisorio per la società: l'Ingegner Professor Stefano Basile. Secondo quanto
scrivono Linceo Graziosi e Anna Zucchini nel loro “Gli anni difficili” la nomina
dell'ing. Basile non fu un buon inizio per la ricostruzione della Ducati. E’ definito
“uomo di fiducia della DC” e si sostiene che non ebbe mai l’appoggio dei
lavoratori. La produzione sotto tale commissario fu veramente molto modesta e la
situazione dell’azienda era quasi asfittica per la mancanza di capitale che le
banche stesse non concedevano se non ai fratelli Ducati. Da qui si decise di
rintracciare a tutti i costi i fondatori dell’azienda, il sentimento generale mutò e
l’unico scopo fu quello di riportare al più presto i fratelli a Bologna per
ricominciare la ristrutturazione supportata dai capitali delle banche. Così verso la
fine del ’45 ,in Ducati, come nel resto del paese si andò contro le norme
antifasciste permettendo il rientro di dirigenti compromessi col fascismo. Nel
1946 si ebbe la definitiva assoluzione. Assoluzione che poggiava sul terreno
sdrucciolevole del passato sospetto dei fratelli Ducati e che di certo non sarebbe
stato un punto di partenza solido.
Nel Dicembre del 1945 i fratelli Ducati e la vecchia dirigenza tornarono ai
loro posti. Le banche e le strutture economiche mostrarono la loro predisposizione
per un dialogo costruttivo. Si crearono le basi fondamentali per la ricostruzione. Si
scrive: “Ducati riprese a poco a poco il suo ruolo nell'industria emiliana e
nazionale, anche se le dimensioni del complesso dovettero essere ridotte rispetto
ai massimi raggiunti durante la guerra e con loro il numero dei dipendenti che,
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alla fine del ’46 , era comunque superiore alle 2.500 unità” (B. C. Ducati, La
storia…)
1.5. 1946: un anno da ricordare
I fratelli Ducati avevano messo in atto una vero e proprio “turn-around”
ricentrandosi sugli aspetti “core” dell’azienda, tali erano le tre sezioni:
elettrotecnica, ottica, meccanica, quest’ultima prevedeva l’entrata nel mercato
motociclistico.
Lo scenario dal quale ripartiva la ricrescita era davvero deprimente a causa
della distruzione portata dalla guerra, ma gli animi delle persone erano traboccanti
di energia e voglia di ricominciare. Mai come in questo caso valse il detto “da
necessità a virtù”. Gli uomini dovevano ripartire dalle macerie e da ciò che era
rimasto di buono. In particolare, lo sforzo maggiore fu quello di adattare i
macchinari produttivi in linee per la produzione di beni, che poco avevano in
comune con la natura delle macchine stesse. Gli uomini si trovarono a
fronteggiare situazioni mai vissute prima, caricandosi di responsabilità personali
per l’organizzazione dei settori. Ogni persona che veniva incaricata di mansione
direttiva, doveva scrutare il personale più idoneo per nuovi compiti. Per la
costruzione del piccolo motore “Cucciolo” gli ingegneri responsabili della
creazione, ing. Rosi e ing. De Stefani, che facevano parte della direzione centrale
che risiedeva a Milano furono anche incaricati della messa in produzione del
motorino a Borgo Panigale.