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risposta sta nell’individuazione della variabile principale in gioco:
l’informazione. Saper gestire l’immensa quantità di dati e di
informazioni parziali ed incomplete che arrivano all’impresa e saperle
trasformare in informazioni corrette e coerenti con le richieste del
mercato, significa essere vincenti.
Il mezzo attraverso il quale è più facile gestire le informazioni
critiche per il business, in una struttura produttiva gerarchicamente più
appiattita, è quello della ottimizzazione della comunicazione interna
all’impresa.
Da questo punto di vista è agile comprendere come sarà più
facile comunicare informazioni in quelle imprese che non creeranno
ostacoli alla circolazione delle stesse. Il principale ostacolo
organizzativo al libero e scorrevole flusso informativo è costituito dal
sovraffollamento delle informazioni sul principale canale top-down
che ogni organizzazione ha, vale a dire quello che segue la struttura
gerarchica dell’impresa. In una struttura burocratica, ad esempio, le
informazioni sui compiti e sulle caratteristiche estrinseche rispetto ad
ogni singola posizione, arrivano dall’alto. Le posizioni superiori
dell’organizzazione, devono quindi gestire un numero enorme di dati
che poi andrà distribuito alle varie posizioni inferiori secondo una
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serie di rigide norme, rischiando così di diventare un “collo di
bottiglia”. Conseguenza di ciò è una serie di inaccettabili ritardi che
minano la prestazione dell’impresa e che la rendono incapace di
gestire la turbolenza ambientale.
La soluzione a questo problema è stata il decentramento nella
gestione delle informazioni conseguenza di quello affermatosi nei
processi di produzione dell’impresa:
• data l’immissione di tutti i dati in uno o più data base, la loro
elaborazione e gestione verrà richiesta solo da chi ne ha
effettivamente bisogno;
• data la necessità, a questo punto, di coordinare il proprio
operato, più parti dell’impresa dovranno essere in grado di
attivare un loro flusso di scambio che non passi per le
canoniche vie burocratiche.
Dal punto di vista organizzativo si assisterà ad un passaggio dal
modello divisionale a quello per progetti, a quello matriciale, fino ad
arrivare all’impresa-rete. Ma la vera rivoluzione del processo, i
passaggi testé ricordati possono essere visti come semplici step
incrementali del medesimo processo di decentramento, si ha quando,
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in primo piano rispetto al flusso di scambio individuato al secondo
punto di cui sopra, vengono poste le relazioni tra gli elementi
dell’organizzazione che comunicano attraverso quel dato flusso,
piuttosto che lo scambio in se stesso.
Lo sviluppo delle relazioni intersistemiche, avendo come punto
di riferimento il sistema impresa, sta diventando sempre più cruciale
al fine del conseguimento di risultati positivi all’interno di qualsiasi
business, basti pensare che anche nei mercati a minore tasso di
sviluppo, o addirittura in declino, come quello alimentare, se ci si
muove verso il settore della distribuzione, si assiste ad una vera e
propria guerra combattuta a colpi di marketing, nella speranza di
raggiungere meglio dei concorrenti l’attenzione del consumatore: un
esempio cogente in tal senso è dato dalla rivoluzione che sta portando
avanti, in questo settore la Grande Distribuzione Organizzata.
Ma al centro dell’azienda resta comunque il fattore umano, con
tutte le difficoltà che ciò crea: atteggiamenti sbagliati o disfattisti,
persone non in grado di gestire i compiti che gli sono stati affidati,
difficoltà di comunicazione tra colleghi. Come a dire che, una volta
fatta la tecnologia che permette, a qualsiasi livello di comunicare on-
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line, bisogna trovare il modo di convincere le persone a comportarsi in
modo ottimo per l’impresa.
La motivazione diventa quindi centrale, come lo fu in passato per
lo sviluppo della produzione, anche nel processo di miglioramento
della comunicazione e delle interrelazioni tra risorse umane.
Migliorare le relazioni, allo stato attuale, può voler dire
convincere un membro dell’organizzazione ad andare d’accordo con
altri membri, avendo come obiettivo lo sviluppo del business
aziendale. Politica che in pratica può presentare numerose difficoltà,
dato il gran numero di vari interessi che ruotano attorno ad ogni
struttura imprenditoriale specie se di grandi dimensioni. Sotto la
nostra ottica, il conflitto tra stakeholder gravitanti intorno all’impresa
non si risolve solamente nella classica contrapposizione
proprietà/gestione. In un impresa rete, quest’aspetto può riguardare
anche il conflitto tra diversi settori dell’impresa: pensiamo ad esempio
al modo completamente diverso di intendere un business da parte di
un ingegnere, a capo del nodo produzione, e del suo corrispondente di
pari livello, laureato in economia, a capo del nodo marketing. Si potrà
opporre a ciò che questi problemi esistevano anche in passato; nella
nuova ottica organizzativa però la loro importanza è moltiplicata,
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giacché i vari nodi dispongono di un’autonomia, rispetto ai vertici
dell’impresa, sconosciuta alle strutture burocratiche.
Da questo punto di vista ci sarà utile anche una teoria, riadattata
per le nostre esigenze, tendente a comprendere questi conflitti. Questa
teoria dovrà darci anche lo spunto per adottare le politiche
organizzative e comunicazionali adatte a risolverle.
Dato che ad entrare in gioco è soprattutto la comunicazione, pare
chiaro che il passo successivo sarà il coinvolgimento di quel settore
dell’azienda esperto nella gestione di questi problemi: il marketing.
Nasce così l’esigenza di un sistema di contrattazione interna volta
all’ottimizzazione congiunta, a livello di impresa, degli aspetti
motivazionali collegati ad ogni compito e posizione, ovvero, ad ogni
singola risorsa umana presente all’interno dell’impresa, da un lato, e
del business, dall’altro.
I principi di applicazione del marketing interno, la disciplina che
si occupa del miglioramento degli aspetti motivazionali di una persona
inserita all’interno di una struttura organizzativa imprenditoriale, si
basano su un fondamentale cambiamento di ottica nell’esplicazione
dei legami che tengono uniti uomo e impresa. A proposito si è notato,
da parte di chi ha studiato fin dall’inizio questi problemi, che
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miglioramenti essenziali nell’attivazione motivazionale di ogni
singolo individuo si hanno se si smette di considerare ogni membro
dell’organizzazione come un dipendente al quale ordinare un compito,
e si inizia a considerarlo come un cliente al quale “vendere” un
servizio. Servizio che poi, naturalmente, si sostanzierà in un compito
che egli dovrà comunque svolgere.
Questo concetto diventa fondamentale in una società, come
quella occidentale, fondata sull’immagine e relativamente poco
bisognosa di soddisfare esigenze legate ai gradini inferiori della scala
dei bisogni di Maslow. Diventa ancora più importante se si pensa che
queste tecniche di “convinzione” non vengono utilizzate dall’impresa
per quei soggetti che più di tutti dedicano alla stessa una parte
rilevante del loro tempo e della loro fatica: le proprie risorse umane.
L’obiettivo di queste politiche sarà di creare, all’interno della
struttura imprenditoriale, un ambiente user friendly, e comunque
molto più tranquillo rispetto all’attuale ambiente burrascoso e
conflittuale. Ma non solo. L’atteggiamento delle persone e la loro
consapevolezza di operare in vista di traguardi comuni che
significheranno maggiore benessere per tutti, sono solo alcuni degli
aspetti su cui interverrà il marketing interno; altri, non meno
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importanti, potranno essere lo sviluppo delle abilità e capacità
personali di ogni singolo soggetto, oppure la sua capacità a
comunicare ciò che è importante alla persona giusta, al momento
giusto e nel modo migliore. Da qui si capisce che il marketing interno,
più che essere una rivoluzione di metodi, è, prima di tutto, un
cambiamento concettuale.
Comunicare all’esterno per un’impresa vuol dire farsi conoscere,
ed è noto come un messaggio coerente con le richieste dei clienti
potenziali possa significare la ricchezza dell’impresa. Ma una
campagna di scambio comunicazionale strategicamente ben condotta,
può avere effetti più positivi e duraturi su entrambi i soggetti implicati
nel nostro ragionamento: il cliente viene integrato nel processo di
produzione dell’output, e ciò significa per lui una crescita nella
consapevolezza delle sue scelte, d’altra parte per l’impresa, dedicare
una maggiore attenzione ai gusti del cliente significa una crescita
ulteriore del business. Il passo culturale adottato, a livello di impresa,
per ottimizzare quest’aspetto è stato infondere all’interno dell’intera
organizzazione il principale contributo legato all’ottica di marketing:
l’attenzione al cliente. Lungi dall’essere un problema di facile
risoluzione, ciò ha significato la “rieducazione” al marketing, con
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metodi più o meno leggeri, di tutti lavoratori dell’impresa, anche di
quelli con estrazione culturale completamente diversa. In futuro,
sempre di più i manager dovranno operare questi cambiamenti
cercando di evitare spiacevoli disturbi nell’ambiente lavorativo.
Quindi, nel momento in cui si individua la necessità di ampliare
le funzioni del marketing fino ad occupare l’area culturale, dunque
strategica dell’impresa, bisogna tenere anche conto delle esigenze di
tutti coloro che lavorano all’interno dell’impresa.
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CAPITOLO I: UN EXCURSUS DELLE PRINCIPALI
FORME ORGANIZZATIVE
PREMESSA
Una delle maggiori necessità che hanno afflitto il sistema
produttivo negli ultimi anni è stata quella di riorganizzare il proprio
business per renderlo più simile alle richieste pressanti di una
domanda sempre più complessa ed esigente sia in termini di qualità
del prodotto o del servizio, sia in termini di timing di esecuzione della
prestazione. Conseguenze di ciò sono state una necessaria e
progressiva riduzione del time to market, un rilevante cambiamento
dei processi di produzione dovuto all’aumento delle varianti di un
singolo prodotto, un aumento dei servizi offerti all’acquisto e nelle
fasi immediatamente successive, una crescente necessità di dare più
importanza all’aspetto comunicazionale.
Dal punto di vista dell’organizzazione ciò ha significato dover
gestire problemi e situazioni sempre più complessi in un intervallo
sempre minore e sotto la pressione sempre più crescente di governo,
sindacati, organizzazioni di categoria, organizzazioni di tutela del
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consumatore, di tutela dell’ambiente. Il rischio, in certi casi divenuto
amara realtà, era quello di rimanere schiacciati sotto il peso di tutti
questi agenti, senza avere la forza di reagire in maniera soddisfacente.
Come si è detto quindi pressante è diventata l’esigenza di
reengeneering della produzione, ma soprattutto del sistema
organizzativo. Le aspettative sono di rendere l’organizzazione più
flessibile e strutturalmente più adatta ad affrontare le sfide che le
vengono imposte dal mercato.
LA BUROCRAZIA
In concreto, ciò ha significato il progressivo abbandono di tutte
quelle forme organizzative basate sulla supremazia della variabile
burocratica su ogni altro aspetto.
Nel modello di organizzazione burocratica, tutto veniva
strettamente formalizzato e sclerotizzato in procedure che
restringevano, di molto se non del tutto, la libertà di azione di ogni
individuo. L’immobilismo delle posizioni aziendali portava ad una
specializzazione spinta dei compiti all’interno dell’organizzazione.
Questa si sostanziava poi nel timore di ogni individuo di venire
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scavalcato dall’organizzazione: ecco che quindi l’unico metodo che il
soggetto assegnato ad una determinata posizione aveva per dimostrare
di essere utile ai propri superiori era quello di far rispettare, anche
oltre i limiti del necessario, le regole e le formalità inerenti alla
propria posizione. Ciò portava a diverse conseguenze: tra le principali
vi erano il ritualismo, la trasposizione dei mezzi coi fini, il circolo
vizioso (Fontana: “Il sistema organizzativo aziendale”; 1997, Franco
Angeli).
Il ritualismo, dal suo canto, è inteso innanzitutto come un
immobilismo dei compiti che determina un’incapacità organizzativa a
gestire i cambiamenti che vengono dall’esterno, ma, ancora, esso si
sostanzia nella necessità di far esperire ad ogni output organizzativo,
un determinato iter, sempre uguale a se stesso e spesso coincidente
con la struttura gerarchica, percui le informazioni relative all’output
non arrivano mai tempestivamente a chi deve effettivamente gestirle
all’interno dell’impresa.
Diversi effetti produce invece la trasposizione dei mezzi coi fini:
un’organizzazione burocratica, che quindi gestisce ritualmente le
proprie operazioni, rischia di dimenticare, se non adeguatamente e
continuamente edotta al riguardo, quelle che sono le proprie finalità.
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Ossia, un individuo, inserito in una determinata posizione e costretto,
da regole ferree, a compiere sempre le stesse operazioni sempre allo
stesso modo, rischia di cominciare a confondere quelle regole, che poi
sono i mezzi messigli a disposizione dall’organizzazione per poter
raggiungere determinati obiettivi, come le finalità stesse del proprio
lavoro. Questo può significare una perdita di identità tra gli obiettivi
dell’organizzazione e quelli del singolo individuo, portato sempre di
più a cercare di crearsi un suo spazio per poter giustificare la propria
presenza in azienda. A tale proposito risulta utile un esempio: secondo
un’analisi condotta alla fine degli anni ’80, i manager delle aziende
americane passavano un terzo del proprio tempo lavorativo a
giustificare la propria esistenza, un altro terzo a prevenire critiche, e
solo il restante terzo a lavorare effettivamente per l’organizzazione
(Thomson: “Marketing aziendale interno”, 1992, ETAS libri).
Lungi dall’essere finite qui le distorsioni del sistema burocratico,
l’ultima, e forse la più pericolosa, è quella del circolo vizioso. Questo
tipo di distorsione si giustifica se si pensa a ciò che è stato detto
riguardo alla non coincidenza di vedute tra organizzazione ed
individui che ne fanno parte. E può essere spiegata così:
un’organizzazione burocratica si dà delle regole ferree soprattutto per
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ciò che riguarda il comportamento di ogni individuo all’interno di
essa; queste regole portano alla discrasia di cui sopra, anche per
effetto della sempre minore motivazione che spinge un individuo a
ripetere sempre lo stesso compito per un tempo indefinito. Ciò
comporta che esse vadano ricordate e fatte rispettare continuamente. Il
mezzo più immediato che un’azienda burocratizzata ha per fare ciò è,
alla luce di ciò che abbiamo detto fino adesso, la creazione di altre
regole, possibilmente più stringenti delle precedenti. Il circolo vizioso,
a questo punto, si ha ogni qual volta vengono create delle ulteriori
regole per costringere gli individui a rispettare quelle già esistenti e
disattese. Così, come nella famosissima miniera di gesso descritta da
Gouldner, un’impresa si trova a dover sopportare il peso insostenibile
di una serie di norme che ne minano l’efficienza.
Lo stesso Gouldner ci può essere d’aiuto per capire quelle che
sono le finalità delle regole che un’azienda burocratizzata si dà; egli
sostiene che la funzione delle norme, in questi casi, è triplice: una
funzione di protezione o di trinceramento, una funzione di controllo
da lontano, una funzione di spersonalizzazione dei provvedimenti
(Gouldner: “Modelli di burocrazia aziendale”; 1970, ETAS libri; tratto
da Fontana: op. cit., pag. 45, in nota)
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A noi interessano soprattutto la prima e l’ultima di queste
funzioni, per tentare di dare una giustificazione alle strutture
burocratiche.
È noto che la principale richiesta di chi possiede un impiego è la
relativa stabilità dell’impiego stesso, ossia la protezione della
posizione nei confronti dei vari turbamenti che possono derivare
dall’esterno. In sostanza l’idea è quella che si possa arrivare a gestire
in maniera ottima l’ambiente lavorativo e quello circostante. Questo
bisogno di sicurezza associato al bisogno di stabilità porta come
conseguenza l’adozione di regole coercitive per far sì che i vari moti
egoisti di ognuno non siano di danno per gli altri. Le norme, da questo
punto di vista, rispondono ad entrambe le richieste: un capo che teme
di essere scavalcato da altri promuoverà la creazione di regole per far
sì che ciò non avvenga e, contemporaneamente, per dare una
legittimazione super partes al proprio operato. L’impressione è come
se l’organizzazione si desse una finalità di protezione da se stessa.
Non a caso, in certa letteratura si parla di strutture-bozzolo
(“Strategor: politique générale d’entreprise”; 1997, DUNOD) al
riguardo.