Il merchandising del produttore, un nuovo approccio analitico
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Obiettivi più immediati sono quelli di aumentare la rotazione del prodotto, il
servizio offerto, l’efficienza e la frequenza del processo di acquisto.
Nel tempo si sono succeduti differenti approcci a questa materia e relative
definizioni più o meno allargate.
Gli autori americani in materia di marketing Phillips e Duncan (1977) hanno
proposto il merchandising come “sviluppo del prodotto”: attività dell’operatore
commerciale che rispondendo ai bisogni dei clienti attua decisioni di qualità ed
estensione dell’assortimento, etichettatura e packaging dei prodotti, attività di
buyer, modifica e introduzione di prodotti. Questa visione ci pare ormai poco
attinente con la realtà. L’Academie Francaise des Sciences Commerciales
definisce il merchandising appartenente al marketing e inerente le tecniche
commerciali atte a presentare, nelle migliori condizioni materiali e psicologiche
il prodotto offerto, sostituendosi così ad una presentazione passiva del prodotto.
L’Institut Francais du merchandising lo definisce come un sistema di studi e
tecniche di applicazione messe in atto separatamente o congiuntamente da
produttori e distributori, allo scopo di accrescere le vendite del prodotto e la
redditività del punto vendita, mediante il costante adeguamento dell’assortimento
ai bisogni del mercato e un’adeguata presentazione delle merci.
Masson, Wellhoff (1973) e poi Collesei (1989), sostengono quest’ultima
definizione, affermando che si tratta di azioni attuate da produzione e
distribuzione, per valorizzare il prodotto offerto; dove al produttore spettano le
attività di corretta presentazione ed evidenziazione dei propri prodotti nel punto
vendita, e al distributore spettano la gestione dell’assortimento, il layout dell’
area di vendita e i servizi alla clientela.
Il comitato per le definizioni, istituito dall’American Marketing Association
definisce il merchandising come la programmazione necessaria per distribuire la
giusta merce (o servizio), nel luogo giusto, al momento giusto, nella quantità
giusta ed al prezzo giusto; ovvero:
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- giusta merce, quella cui i consumatori attribuiscono valore, corrispondente ai
propri bisogni o aspirazioni
- giusto luogo, per prodotti a bassa o alta frequenza di acquisto
- giusto momento, in base ai bisogni o gusti di un momento o epoca
- giusta quantità, per clienti ad acquisto piccolo, medio o grande
- giusto prezzo, per dare velocità alle vendite, assicurando redditività
Come si nota si spazia tra varie definizioni del merchandising, alcune talmente
“allargate” che oggigiorno non hanno più ragione di essere, soprattutto
operativamente. Attività incluse quali pricing, packaging e promozione hanno
assunto propria rilevanza e metodologie, da essere considerate a se stanti. Ad
esempio l’attività di promozione in-store, attuata fino a pochi anni fa in maniera
temporanea e tattica, non è più parte del merchandising, che comunque ne è
mediatore, a causa delle problematiche che ha assunto sia nel trade che nella
consumer promotion.
La genericità precedente è stata superata dal definirlo tramite le sue attività
specifiche di intervento; la connotazione di attività nel punto vendita, lo sviluppo,
sia dell’industria che del trade e la consuetudine terminologica, lo hanno quindi
condotto nella sua giusta dimensione.
Il merchandising è venuto alla luce con l’affermarsi del libero servizio ed è
diventato un “arte scientifica”. Scientifica in quanto regole universali ne
governano l’attività ed il comportamento del consumatore può essere modificato
in maniera prevedibile; arte perché queste regole possono costituire un vantaggio
per il distributore o il produttore tramite l’implementazione creativa di un serie di
tecniche.
L’evoluzione dei consumatori li ha portati a desiderare una maggior
indipendenza nel processo di acquisto e la banalizzazione di tale processo dovuta
all’aumento del reddito e del livello di istruzione, la diffusione dei prodotti di
marca come garanzia di riconoscibilità della qualità, hanno segnato il passaggio
di molte famiglie di beni dalla vendita assistita al libero servizio.
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Nell’industria il packaging si è evoluto come tramite informativo-promozionale,
nella distribuzione sono aumentate le dimensioni, le quote di mercato dei punti
vendita ed il costo della superficie espositiva, mentre si è inasprita la concorrenza
orizzontale. Tutti questi fenomeni hanno determinato l’imporsi del
merchandising.
Sia i produttori che i distributori sono interessati a motivare il processo di
acquisto: i primi vogliono aumentare le vendite delle proprie marche a scapito
della concorrenza, i secondi sono più interessati ad aumentare il traffico nel
punto vendita, il fatturato per metro quadro di superficie di vendita, ed il valore
del venduto per cliente. Abbiamo quindi due attori, con obiettivi differenti, che
operano nello stesso campo utilizzando le stesse tecniche, ma in maniera
differente.
Nel caso del trade, il merchandising viene indicato come “marketing del e nel
punto di vendita” (Sabbadin 1991) o più figuratamente come il “packaging” del
prodotto del distributore, ovvero il servizio (Pellegrini 1993). Definizione a
riguardo è: “il merchandising costituisce un insieme di tecniche aventi come
scopo la regolazione del comportamento d’acquisto del consumatore all’interno
del punto vendita, al fine di ottimizzare la redditività della superficie espositiva,
coerentemente con il posizionamento scelto dall’insegna ”.
Si tratta infatti dell’insieme di attività che contribuiscono a definire le
caratteristiche fisiche del punto di vendita e di quelle azioni finalizzate ad
utilizzare al meglio la capacità produttiva del medesimo. Le quattro attività
principali che lo costituiscono sono:
- Layout delle attrezzature (mappatura del punto vendita e definizione del
percorso compiuto dal consumatore al suo interno)
- Layout merceologico (logica di efficace ed efficiente raggruppamento delle
referenze in base al comportamento d’acquisto).
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- Display (sistemazione delle referenze sugli scaffali secondo criteri di
efficienza, comodità e impatto per il consumatore).
- Assegnazione dello spazio (alle singole referenze valutandone la redditività
lineare, l’elasticità relativa, “space allocation”).
Il merchandising ha assunto sempre più rilevanza anche per l’industria.
In passato si riteneva che la fedeltà alla marca, creata dal produttore tramite la
pubblicità, fosse un sufficiente stimolo all’acquisto; ma nel contesto moderno,
soprattutto nei prodotti di largo consumo, il mercato è maturo, stabile,
concentrato e l’efficacia della pubblicità decresce mentre i costi aumentano e un
numero crescente di consumatori effettua le scelte d’acquisto all’interno del
punto vendita.
Una ricerca dell’americano Point of Purchase Advertising Institute (Popai)
effettuata nel 1996 su di un campione di 4200 punti vendita della grande
distribuzione riporta che la quota delle decisioni di acquisto nel punto vendita è
del 72% e lo scostamento della spesa da quanto inizialmente preventivato (in
valore) è del 20%.
E’ proprio tramite il merchandising che l’azienda produttrice può influenzare il
consumatore nel momento decisivo, ed influire sulla propria quota di mercato
essendo il punto vendita il luogo che sempre più rappresenta l’arena competitiva.
Nel caso dei produttori, il merchandising si occuperà solo parzialmente degli
aspetti di layout delle attrezzature (soprattutto se di proprietà del punto vendita).
Per quanto riguarda le ulteriori attività di layout merceologico, display e
assegnazione dello spazio, indicate precedentemente come attività di
merchandising del trade, saranno raggruppate più significativamente secondo le
tre categorie di:
- INVENTARIO (disponibilità fisica del prodotto)
- POSIZIONE (localizzazione spaziale del prodotto nel punto vendita)
- PRESENTAZIONE (esposizione del prodotto e sua comunicazione)
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Concludendo, una definizione più ampia, che coglie l’essenza della materia è
quella che definisce il merchandising come:
”il processo sistematico di esporre efficacemente i beni di consumo nel punto di
vendita, utilizzando una serie di tecniche per renderli visibili, disponibili e
attrattivi per i consumatori, allo scopo di aumentarne le vendite, adattare
l’assortimento ai bisogni del mercato e gestire il comportamento d’acquisto del
consumatore”.
Anche se gran parte di quanto esposto è mutuamente valido per la distribuzione
e la produzione, la trattazione sarà incentrata su come i produttori di beni di largo
consumo gestiscono questa leva del marketing esternamente ed internamente alla
propria struttura organizzativa, cosa dovrebbero migliorare ed il loro relazionarsi
con i distributori.
1.2. Le attività del merchandising nel trade
Il merchandising del distributore è una funzione generatrice di servizio e di
indirizzo al consumatore. Si compone di varie attività che dipendono da quanto
predeterminato a monte in termini strategici.
A monte del merchandising c’è la definizione dell’assortimento in chiave di
marketing: partendo dagli obiettivi strategici d’insegna coerenti con la
segmentazione del mercato di riferimento, posizionamento strategico, forma
distributiva, area geografica di attività, intensità della competizione, si passa
attraverso le caratteristiche fisiche del punto vendita per giungere
all’assortimento, il quale è diviso a sua volta a cascata in reparti, prodotti,
famiglie, modelli, referenze e singoli articoli.
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La classificazione viene attuata dopo aver definito il posizionamento dell’offerta
e la segmentazione del mercato obiettivo, per omogeneità dei benefici ricercati
dalla clientela; lo scopo è quello di motivare all’acquisto e agevolare la scelta del
consumatore nell’ambito dell’intera offerta.
Un metodo utilizzato per la definizione dell’assortimento è il cosiddetto ABC,
basato sulla legge di concentrazione delle vendite. Detta legge afferma che il
10% dei prodotti che sono quelli più richiesti generano il 65% del fatturato,
indicati con la lettera A; seguono i prodotti B, corrispondenti al 15% del totale
con un fatturato del 25%, e i prodotti C con il 75% di quota e il 10% di fatturato.
Importanza di questa regola è quella di fornire una base di partenza, una volta
individuati i prodotti per classi, per l’implementazione dell’assortimento, il quale
andrà via via affinato secondo ulteriori valutazioni di spazio disponibile, zona di
vendita, prezzo dei prodotti, previsioni di vendita.
Un buon assortimento si riconosce dalla sua capacità di rispondere ai bisogni
della clientela del punto vendita, essere redditizio per l’insegna in quanto
OBIETTIVI STRATEGICI
SEGMENTAZIONE, E
POSIZIONAMENTO
STRATEGICO
FORMA DISTRIBUTIVA
AREA GEOGRAFICA, E
INTENSITÀ
COMPETITIVA
PUNTO DI VENDITA
ASSORTIMENTO
REPARTO A REPARTO B
FAMIGLIA
LINEA
REFERENZA
PRODOTTO
MODELLO ARTICOLO
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combinazione efficace di margini e rotazioni dei prodotti, essere ben organizzato
dato lo spazio minimo che ad ogni articolo deve essere assegnato.
I caratteri che lo definiscono sono: ampiezza, larghezza, profondità. L’ampiezza
determinata dal numero di reparti o famiglie, ovvero dalle funzioni principali cui
i prodotti assolvono. La larghezza rappresenta il numero di modelli per famiglia,
ovvero i diversi bisogni che l’assortimento soddisfa. La profondità determinata
dal numero di referenze per modello e il numero di articoli per referenze.
Alla classificazione seguono le previsioni di vendita (come ad esempio uniforme
produttività per mq.), poi la suddivisione dello spazio, e l’inizio delle attività di
merchandising.
Le attività principali cui si può ricondurre il merchandising della distribuzione
sono:
• Layout delle attrezzature (definizione del percorso compiuto dal consumatore
nel punto vendita e conseguente disposizione delle attrezzature)
• Layout merceologico (logica di raggruppamento delle categorie e
assegnazione della superficie espositiva alle famiglie e alle linee)
• Display (sistemazione delle referenze sugli scaffali e spazio relativo
assegnato)
• Allocazione dello spazio alle referenze
Iniziamo col definire il termine layout: indica la suddivisione della superficie del
punto vendita nelle sue diverse funzioni, ovvero l’insieme di quelle soluzioni
tecniche attuate per un uso funzionale ed efficiente dello spazio disponibile. Vi
rientrano la definizione della superficie espositiva, l’allocazione dello spazio di
vendita ai reparti, la dislocazione dei differenti reparti, la disposizione delle
attrezzature e delle vie di accesso e di uscita. Gli obiettivi che l’attività di layout
si prefigge sono:
- orientamento del flusso dei clienti
- facilitare la lettura dell’assortimento
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- costituire e ribadire l’immagine dell’insegna
- massimizzazione incrociata di vendite e margini
- razionalizzazione del rifornimento dell’area di vendita
- facilitare il riordino ed il controllo
- contribuire all’immagine ed al posizionamento del punto vendita
- facilitare e stimolare il processo di acquisto rendendolo più semplice,
gradevole e attraente.
Il Layout delle attrezzature
Tramite opportuna dislocazione delle attrezzature si può creare un percorso più o
meno vincolante per il flusso dei consumatori. Lo schema può essere di tipo “a
griglia” o “a isola”. Il modello a griglia, caratterizzato da file di scaffalature
parallele, definite “gondole” è il più diffuso nel food ed associa elevati livelli di
produttività ed efficienza di gestione. Associa infatti grande capacità di
contenimento, alla facilità di lettura dell’assortimento e di ricaricamento.
Il modello a isola, più utilizzato nel non-food, è più customer friendly e
gradevole, con attrezzature disposte irregolarmente ed un uso meno efficiente
dello spazio.
I clienti sceglieranno quindi il tragitto loro più opportuno. Tuttavia ricerche
effettuate in merito hanno stabilito che vi sono degli schemi ricorrenti.
E’ sperimentato che nel layout a griglia l’80-90% dei clienti di un supermercato
ne percorrerà il corridoio perimetrale, è per questo che il reparto “fresco” viene
qui dislocato, mentre nelle zone interne, tra le gondole, avranno collocazione i
prodotti più richiesti allo scopo di creare maggior passaggio. Vi è inoltre rispetto
Schema di
layout
“a griglia”
Schema di
layout
“a isola”
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al flusso della clientela un bilanciamento tra esigenze espositive ed esigenze
logistiche di ricaricamento delle merci.
Il Layout merceologico
Riguarda la classificazione e l’organizzazione espositiva dell’assortimento. Le
scelte in merito, attuate in base a molteplici fattori, quali occasione d’uso dei
prodotti, stile di vita del consumatore, marca (raro), flusso di clienti, stagionalità,
redditività, sono correlate alla segmentazione attuata ex-ante e a valutazioni sulla
complementarità o sostituibilità dei prodotti. In particolare la segmentazione dei
beni di largo consumo segue il seguente schema:
(fonte E. Sabbadin)
Una volta implementati, layout delle attrezzature e merceologico, vanno incontro
ad un continuo processo di verifica e ridefinizione della loro efficacia attrattiva,
sia per motivi di stagionalità che per cambiamenti della domanda e del mercato.
Indici utili a riguardo, utilizzati dal trade sono i seguenti:
™ indice di passaggio (numero di clienti che passano davanti ad una
sezione/numero di persone entrate nel punto vendita)
™ indice di interesse (numero di persone che si soffermano/numero passaggi)
™ indice di manipolazione (numero di persone che afferrano il prodotto/numero
di soffermatisi)
™ indice di acquisto (numero di persone che acquista/numero di afferranti)
™ indice di attrazione (indice di acquisto/indice di passaggio).
GRUPPO
DI SEGMENTAZIONE
FUNZIONI D’USO
MOMENTI,
OCCASIONI D’USO
CLASSE DI ETÀ
STILE DI VITA, VALORI
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Il Display
Il display è la sistemazione sugli scaffali delle referenze, in base a fattori quali
redditività, elasticità, rotazione, caratteristiche fisiche dei packages, costi di
stoccaggio, qualità dello spazio. Obiettivi che si prefigge l’attività di display
sono:
- informare la clientela sulle componenti dell’offerta merceologica
(assortimento)
- creare la disponibilità dei prodotti
- presentare adeguatamente i prodotti
- orientare le scelte nel senso indicato dalla politica di mercato del punto
vendita
- ricordare ai clienti gli acquisti da effettuare
- stimolare l’acquisto d’impulso
- ridurre i costi di gestione
Gli schemi possibili di display che si possono creare lungo le due dimensioni,
ipotizzando una gondola a 5 livelli-scaffale, sono:
(1) orizzontale per famiglia e marca (2) orizzontale per marca e verticale per
famiglia, (3) verticale per famiglia e per marca.
(1) (2) (3)
La distribuzione predilige un display dei prodotti di tipo verticale per linea e
orizzontale per marca, offrendo vantaggi quali: facile lettura dell’assortimento da
parte dei clienti, chiara distinzione tra una linea e l’altra, utilizzo del livello a
famiglia A
famiglia B
famiglia C
marca 1 marca 2
marca 1 marca 2
marca 1
marca 2
marca 3
f
a
m
i
g
l
i
a
A
f
a
m
i
g
l
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a
B
f
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A
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1
m
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f
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l
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a
B
m
a
r
c
a
1
m
a
r
c
a
2
Il merchandising del produttore, un nuovo approccio analitico
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scaffale per gestire gli acquisti d’impulso e di marca (utilizzabile nella trattativa
commerciale). Vi è inoltre la priorità di sottolineare il ruolo di selezionatore
dell’offerta industriale, che porta alla rottura dell’esposizione per marca,
riducendo così l’effetto visivo e corporate sui consumatori a scapito delle aziende
produttrici.
A quanto sopra vanno aggiunte le valutazioni in merito alla qualità dello spazio
assoluta e determinata dal livello a scaffale. Il livello a scaffale gioca infatti un
ruolo fondamentale nella scelta del prodotto da parte del consumatore.
Ricerche hanno dimostrato che prodotti spostati da un livello ad un altro sono
soggetti a significative variazioni nelle vendite. Nel grafico seguente sono
riportate le variazioni nelle vendite di prodotti che sono stati spostati da un livello
ad un altro. Ad esempio un prodotto che passa dal primo livello suolo al terzo
livello scaffale ha un aumento delle vendite del 100%.
5.
4.
3.
2.
1.
Si nota come i livelli a scaffale di maggior effetto per le vendite siano il terzo ed
il quarto, corrispondenti alla fascia che parte da 1,10 mt fino a 1,70 mt. Questi
delimitano quindi lo spazio qualitativamente migliore secondo la dimensione
verticale. La qualità è determinata da aspetti quali una maggior visibilità
oggettiva e la possibilità di raggiungere il prodotto facilmente; il consumatore
individua prima ciò che è al livello degli occhi e delle mani, per comodità per una
certa pigrizia, e non meno determinanti sono le sue caratteristiche fisiche
(altezza, vista, mobilità).
1?2 = +30%
2?3 = +50%
1?3 = +100%
2?4 = +20%
4?5 = -20%
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L’Allocazione dello spazio
Altrimenti detta “space allocation” riguarda lo spazio assegnato ai settori o
reparti, giungendo fino allo spazio allocato a scaffale per singola referenza.
L’allocazione dello spazio attuata in base a criteri che combinano le variabili di
prodotto quali vendite, rotazione, caratteristiche fisiche, costi logistici e di
gestione del punto vendita da ripartirsi tra i prodotti assortiti. Come criteri base si
parte dall’assegnare lo spazio proporzionalmente al fatturato ed ai costi di
stoccaggio, per poi introdurre valutazioni delle quote di mercato, oppure
ponderare il fatturato con il suo tasso di incremento, o utilizzare il margine lordo
o rettificato (di quei costi logistici direttamente imputabili).
Criteri più elaborati sono poi lo Slim (store labour and inventory management) ,
che attribuendo lo spazio in base al fatturato introduce il vincolo logistico della
dimensione del package, oppure il metodo Dillon definito misto in quanto
combina il margine con le dimensioni verticale e orizzontale del display (per
approfondimenti Progressive Grocer 1960, Corstjens Doyle 1981, Collesei 1986,
Lugli 1988).
La presenza di molteplici metodi è indice dei limiti e delle imperfezioni presenti
nei medesimi, primariamente dovuti all’incapacità di racchiudere tutte le variabili
rilevanti, quali: elasticità dei prodotti allo spazio, elasticità incrociata tra prodotti,
qualità dello spazio, redditività di prodotto, costi di stoccaggio e gestione a
scaffale.
Un modello che comprendesse tutte queste variabili dovrebbe inoltre considerare
gli aspetti strategici inerenti l’allocazione della superficie e non basarsi su regole
empiriche (come avviene attualmente).
In generale vi sono delle linee guida di allocazione dello spazio a seconda che un
bene appartenga alle seguenti categorie:
- nei beni ad acquisto programmato per famiglia e referenza, vi è una
penalizzazione nella qualità dello spazio, ma non nella quantità.
Il merchandising del produttore, un nuovo approccio analitico
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- nei beni ad acquisto programmato per famiglia e di impulso per referenza
(bassa brand loyalty), la qualità dello spazio è fondamentale. Qui avviene lo
scontro trade-industria, uno spazio di bassa qualità implica riduzione delle
vendite per il produttore e un semplice spostamento di referenza per il
distributore, soprattutto se il margine assicurato rientra nella media di
famiglia.
- nei beni ad acquisto d’impulso per famiglia e referenza, la situazione non è
conflittuale essendo per il trade merci ad alta redditività.
Lo spazio attribuito al prodotto ha un minimo e un massimo, in termini di lineare.
Il minimo affinché il prodotto sia visibile è di 20 cm per un piccolo supermercato
e di 50 cm per un ipermercato. Il massimo segue invece l’andamento di una
curva che rispecchia l’elasticità del lineare.
E’ stato appurato che il prodotto oltre un certo livello di spazio assegnatogli a
scaffale, non giova più di vendite incrementali, che tendono quindi a stabilizzarsi
(grafico segue).
Inoltre studi empirici hanno determinato l’elasticità (delle vendite) allo spazio dei
prodotti, e, come si può confermare intuitivamente, l’elasticità aumenta passando
dalle commodities ai prodotti con alto acquisto d’impulso (Curhan 1972).
Volume di
vendita
(unità di
prodotto)
Lineare
assegnato
(cm)
Livello di
stabilizzazione
Lineare
massimo
Lineare
ottimale
Lineare
minimo
0
Il merchandising del produttore, un nuovo approccio analitico
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Anche per l’allocazione dello spazio vi è un monitoraggio continuo e una
misurazione della performance gli indicatori più utilizzati dal trade sono vari. Vi
sono indici di redditività dell’assortimento, quali il semplice margine di prodotto
(vendite al netto dell’i.v.a. meno il costo del venduto) rettificato o meno con gli
sconti di fattura, premi fine anno, contributi promozionali e differenze
inventariali; oppure il più sofisticato Gmroi (gross margin return of inventories)
unione di margine e rotazione di prodotto. Il Gmroi è stato introdotto come
misura della performance, alla luce della nuova considerazione data al concetto
di investimento, inteso non più solo come stock (Roi), ma anche come costo della
superficie espositiva occupata.
Altro parametro è il Dpp (direct product profitability), calcolato tramite metodi di
contabilità analitica tenendo conto dei costi variabili e dei costi fissi speciali,
direct product costing (per un approfondimento sul tema si veda Sabbadin 1991,
Lugli 1988).
Quale che sia il sistema adottato vengono attuate valutazioni della performance
di categoria, singola referenza, reparto, e buyer.
Le attività di merchandising, così come esposte sono presenti in un’ipotesi di
canale evoluto, catene della grande distribuzione nazionale e multinazionale.
Nella realtà del mercato il produttore, quanto più è di largo consumo e alla
ricerca di alta copertura, interfaccia molteplici tipologie di canali distributivi più
o meno evoluti, tanto più deve attuare un approccio di tipo flessibile, ovvero
diversificato per canale. Per questa ragione il merchandising deve essere
affrontato in maniera analitica e strutturale, essendo queste condizioni necessarie
per la sua corretta implementazione e per un controllo rigoroso.