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Capitolo primo: la convenzione di Montego Bay
La Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare è un trattato
internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell'utilizzo dei
mari e degli oceani, definendo linee guida che regolano le trattative, l'ambiente e la
gestione delle risorse naturali.
Essa è stata definita durante un lungo processo di negoziazione attraverso una serie
di Conferenze delle Nazioni Unite iniziate nel 1973 ed è stata finalmente firmata a
Montego Bay in Giamaica il 10 dicembre 1982. È entrata in vigore il 16 novembre
1994, un anno dopo la firma della Guyana quale sessantesimo Stato contraente.
Questo ha segnato il culmine di 14 anni di lavori che hanno comportato la
partecipazione di più di 150 paesi, che rappresentano tutte le regioni del mondo, tutti
i sistemi giuridici e politici, tutti i gradi di sviluppo socio-economico. Quelli presenti
rappresentavano sia gli Stati costieri sia quelli geograficamente svantaggiati per
quanto riguarda gli spazi oceanici, Stati arcipelago, isole e paesi senza sbocco sul
mare. Convocata allo scopo di stabilire una regola comune per affrontare tutte le
questioni relative al diritto del mare, tenendo conto del fatto che i problemi degli
spazi oceanici sono strettamente collegati e devono essere considerati come un tutto.
Rappresenta l'apice della tendenza internazionale, acquisita in quegli stessi anni, di
ricerca di determinazioni congiunte, applicando il processo di trasformazione del
diritto ambientale in evoluzione da consuetudinario a convenzionale. Gli Stati
intervenuti si sono mostrati subito interessati e fin dal primo giorno, si registrò la
ratifica delle isole Figi. Mai prima di allora era stato dimostrato in maniera così
immediata il sostegno ad una convenzione internazionale.
La Convenzione è multiforme e rappresenta un monumento alla cooperazione
internazionale nel processo di formazione dei trattati: la necessità di elaborare un
nuovo e completo regime di diritto del mare è stato percepito, e la comunità
internazionale ha espresso la sua volontà in questo sforzo con una partecipazione e
trasporto senza precedenti nella storia. L'elaborazione della Convenzione rappresenta
un tentativo di stabilire un vera universalità nello sforzo di raggiungere un giusto ed
equo ordine economico intenzionale che ha disciplinato gli spazi oceanici.
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Questi ideali si sono concretati e trasformati dal processo decisionale al trattato nella
sostanza del testo, che di per sé è di natura unica. Esso comprende 320 articoli e nove
allegati, disciplina tutti gli aspetti degli spazi oceanici, le delimitazioni di controllo
ambientale, la ricerca scientifica, attività economiche e commerciali, la tecnologia e
la risoluzione delle controversie relative alle questioni oceaniche. L'esame del
carattere delle singole disposizioni rivela che la Convenzione rappresenta non solo la
codificazione di norme abituali, ma anche, e più significatamene il progressivo
sviluppo del diritto internazionale, e contiene gli strumenti costitutivi di due nuove
importanti organizzazioni internazionali.
E', tuttavia, il concetto di “pacchetto”, sui cui poggia la Convenzione, è la sua
più significativa qualità, e ha contribuito in particolar modo al notevole successo
della stessa. Questa qualità è frutto di una singolare natura delle circostanze da cui è
emerso, tra cui la stretta interrelazione delle diverse questioni in gioco, il gran
numero di Stati partecipanti e il gran numero d’interessi spesso in conflitto, poiché
spesso trasversali alle tradizionali linee di negoziato regionale. Inoltre, il forte
desiderio che la Convenzione sia flessibile e pratica, al fine di garantirne la durata nel
tempo, ed eviti di ledere la sovranità degli Stati membri, è stato riconosciuto come un
altro importante traguardo. Tutti questi fattori hanno richiesto che ogni singola
disposizione del testo sia soppesata nel contesto totale, per produrre un testo
equilibrato che abbia la valenza di fornire una base per la sua universalità. Il concetto
di pacchetto ha pervaso tutti i lavori della Convenzione e, di fatto, permea il diritto
del mare, come esiste oggi.
Al momento 157 Stati hanno firmato la Convenzione, 26 senza sbocco sul mare e
149 costieri. La Comunità Europea ha firmato e ratificato, gli Stati Uniti hanno
firmato ma il Senato americano non l'ha ancora ratificata, ne hanno accettata una
versione modificata, poiché applicano anche il F.O.N., Freedom of Navigation
Program, volto a contestare eventuali pretese su acque internazionali. L'Italia ha
ratificato la convenzione a mezzo della legge del 2 dicembre 1994, n. 689.
Tale convenzione stabilisce a carico degli Stati l'obbligo di proteggere e
preservare l'ambiente marino (art. 192), conciliando lo stesso con il diritto sovrano di
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ogni Stato a sfruttare le proprie risorse naturali secondo le proprie politiche in ambito
ambientale (art. 193). A tal fine il trattato obbliga gli Stati di cooperare per
proteggere e preservare l’ambiente marino.
La Convenzione detta le regole sulle attività marine ed introduce una serie di
indicazioni specifiche, di fatto, trasformando in regola quanto fino ad allora era stato
l'uso consuetudinario. I punti salienti sono: la zonazione delle aree marine, la
navigazione, lo stato di arcipelago e i regimi di transito, zona economica esclusiva,
giurisdizione della piattaforma continentale, attività estrattive minerarie nel fondo
marino, regimi di sfruttamento, protezione dell'ambiente marino, ricerca scientifica e
soluzione di dispute. Pone i limiti delle varie aree marine identificate e misurate in
maniera chiara e definita a partire dalla cosiddetta linea di base. La linea di base (art.
7), detta così in quanto base di partenza per la definizione delle acque interne e delle
acque internazionali, è una linea spezzata che unisce i punti notevoli della costa. Lo
spazio di mare all'interno di suddetta linea racchiude le “acque interne”. La fascia
marina di 12 miglia nautiche successiva comprende le “acque territoriali” dove
vigono le leggi dello Stato costiero e dove è permesso l'attraversamento in modo
continuo e inoffensivo che non comprende attività come la pesca, attività inquinanti,
pratiche armate e pratiche spia. La “zona contigua” si estende per successive 12
miglia nautiche in cui lo Stato costiero può continuare a fare valere le proprie leggi
rispetto, principalmente, al controllo del contrabbando o dell'immigrazione
clandestina.
Importante concetto, dal punto di vista ambientale, nato in questa convenzione,
è quello della “zona economica esclusiva” (art. 55) che si estende per 200 miglia
nautiche dalla linea di base in cui lo Stato costiero può esercitare lo sfruttamento
esclusivo delle risorse naturali. Questo principio nasce dall'intenzione di frenare lo
sfruttamento indiscriminato della pesca non sostenibile. Ma è stato recentemente
utilizzato anche per lo sfruttamento minerario esclusivo, con le nuove tecniche che
permettono trivellazioni anche in acque profonde. Nella zona economica esclusiva lo
Stato costiero gode dei diritti sovrani ai fini dell'esplorazione, dello sfruttamento,
della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non
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biologiche, che si trovano sia nelle acque soprastanti il fondo del mare e il suo
sottosuolo, sia ai fini di esplorazioni e lo sfruttamento economico della zona, come la
produzione di energia derivante dall'acqua, dalle correnti e dai venti. Sulla stessa area
ha il diritto esclusivo di costruire e di autorizzare e disciplinare la costruzione, la
conduzione e l'utilizzo di isole artificiali (art. 60) sulle quali ha piena giurisdizione
esclusiva. In caso di necessità lo Stato costiero può istituire, intorno a tali
installazioni, delle zone di sicurezza. La larghezza di dette zone viene stabilita dallo
Stato competente, ma non oltre i 500 metri intorno ad esse. Tutte le navi debbono
rispettare tali zone di sicurezza, conformemente alle norme internazionali accettate.
Per quanto concerne le attività condotte in queste aree l'articolo 145 sulla protezione
dell'ambiente marino, obbliga all'adozione di tutte le misure necessarie ad assicurare
efficacemente la protezione dell'ambiente marino dai danni ambientali, nonché ogni
interferenza del suo equilibrio ecologico, che potrebbero provocare attività quali la
trivellazione, lo scavo, il dragaggio, l'eliminazione dei rifiuti, la costruzione o
manutenzione di installazioni o di oleodotti o di altre strutture collegate a detta
attività. Lo Stato costiero è tenuto a proteggere e conservare le risorse naturali
dell'area prevenendo i danni alla flora e la fauna dell'ambiente marino.
Importante concetto nato dalla Convenzione è quello del diritto di passaggio
inoffensivo (art. 17). In base a questo principio le navi di tutti gli Stati godono del
diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale. Il passaggio è definito
inoffensivo quando non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza
dello Stato costiero. Gli Stati costieri possono emanare leggi e regolamenti conformi
alla convenzione, in merito al suddetto passaggio inoffensivo, prevedendo la
costituzione di appositi corridoi di traffico e di opportuna separazione. Lo Stato
costiero può attuare le misure necessarie per impedire, nel suo mare territoriale, il
passaggio che non sia inoffensivo (art. 25), ma non può imporre alcuna tassa per il
solo motivo di tale passaggio (art. 26).
Lo Stato costiero non ha giurisdizione penale a bordo delle navi straniere in
transito (art. 27), salvo nei casi che le conseguenze del reato si estendono al suo
territorio, o che disturbi la pace e il buon ordine, o l'intervento sia stato chiesto dal