5
1.1 Normativa nazionale sui marchi d'impresa
Dopo oltre cinquant'anni, trascorsi senza che il suo contenuto subisse
rilevanti modifiche
1
, la legge marchi (R.D. 21 giugno 1942 n. 929) e` stata
pressoché integralmente riscritta dal Decreto Legislativo 480/92.
La riforma della "vecchia" legge marchi ha trovato la sua occasione
istituzionale nella necessita` di dare attuazione alla direttiva C.E.E. di
ravvicinamento delle legislazioni nazionali in tema di marchi (Consiglio
C.E.E., Prima direttiva 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle
legislazioni degli stati membri in materia di marchi d'impresa)
2
. Obiettivo
della direttiva era il superamento delle numerose disparità di disciplina
riscontrabili nei vari ordinamenti nazionali tali da "ostacolare la libera
circolazione dei prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare
le condizioni di concorrenza nel mercato comune".
Per attuare la direttiva e redigere un testo di legge venne formata una
commissione di esperti di estrazione universitaria e professionale idonei a
conferire ai lavori un adeguato livello di approfondimento che, insediatasi
il 20 marzo 1990, concluse la sua opera nell'estate del 1992. La prima
alternativa che si pose alla Commissione fu se procedere ad una stesura ex
novo della legge marchi, oppure procedere con il metodo della
interpolazione della legge in vigore (il R.D. n. 929 del 1942) e delle altre
leggi che risultavano coinvolte nell'introduzione delle novità. L'esperienza
1
Le sole modifiche degne di nota apportate all'originaria legge del 1942 si riducono all'introduzione del
marchio di servizio, avvenuta con legge 1178/59 e alla modifica dell'art. 13, 2^ comma, con legge 158/67.
A ciò si può aggiungere la disciplina delle denominazioni di nuove varietà vegetali e dei rapporti fra le
stesse, di cui all'art. 5 del D.P.R. 12 agosto 1985 n. 984, successivamente modificato dal D.P.R. n. 338 del
1979 e dalla legge n. 620/1985.
2
L. 40 dell'11 febbraio 1989 in G.U.C.E..
6
suggerì di ricorrere al metodo della interpolazione, anche in
considerazione del fatto che l'impianto della vecchia legge marchi era ed e`
sicuramente assai pregevole e meritevole di conservazione
3
. Operata la
scelta dell'interpolazione, il lavoro della Commissione e` consistito
nell'esame comparato del testo delle norme vigenti e di quello delle norme
programmate nella direttiva con la formazione dei nuovi testi ottenuti o
mediante sostituzione integrale dei precedenti, oppure mediante
soppressioni o integrazioni del testo precedente. Naturalmente alla
formazione del testo finale si e` pervenuti mediante un'opera di
avvicinamento faticosa e paziente nel corso della quale sono stati composti
contrasti, risolti dubbi, chiariti concetti e migliorata la forma.
Dopo questa premessa si ritiene opportuno proporre una veloce disamina
della direttiva n. 89/104 al fine di individuarne i principi ispiratori, i limiti
e l'influenza che essa ha esercitato sulla normativa nazionale.
Coerentemente al suo dichiarato scopo di rimuovere gli ostacoli alla libera
circolazione dei prodotti e i motivi di falsamento delle condizioni della
concorrenza del Mercato Comune, la direttiva esordisce asserendo di voler
imporre un ravvicinamento delle disposizioni nazionali soltanto nei punti
che, ad avviso delle autorità comunitarie, abbiano un'incidenza più diretta
sul funzionamento del mercato interno: e precisamente nella definizione
dei segni suscettibili di costituire un marchio, nell'elencazione delle
condizioni cui siano subordinati l'acquisto e la conservazione del diritto,
con particolare riferimento, sotto quest'ultimo profilo, all'onere di
utilizzazione e alla decadenza per non uso, ed infine, negli effetti della
tolleranza del titolare di fronte all'uso altrui del suo marchio per un lungo
3
V. FLORIDIA, Marchi, invenzioni e modelli, Codice e commento delle riforme nazionali, Milano, 1993,
p. 20 e ss..
7
periodo, ed ancora nella determinazione dell'ambito della tutela del
marchio registrato. A quest'ultimo proposito la direttiva, uniformandosi
all'orientamento ormai consolidato in dottrina e giurisprudenza
4
, muove
dall'assunto che la tutela del marchio sia volta a garantire la sua funzione
di indicazione d'origine del prodotto da una determinata impresa, e perciò
debba essere circoscritta in base alla possibilità di confusione. Posto in
rilievo che questa possibilità di confusione dipende sia dai segni in
conflitto sia dai prodotti ai quali questi sono apposti, la direttiva afferma
che la tutela non può che essere assoluta quando siano a raffronto segni o
prodotti identici, e quanto all'ipotesi di segni e prodotti che siano fra loro
soltanto simili assume una posizione estremamente rigorosa, ricordando
come la nozione di "somiglianza" fra segni e fra prodotti vada interpretata
"in relazione al rischio di confusione" e come in una tale situazione possa
acquistare particolare importanza la notorietà del marchio di cui si tratti sul
mercato.
Su questi ed altri temi, fra i quali merita particolare menzione
l'affermazione del principio dell'esaurimento comunitario, la direttiva
impegna gli Stati membri ad adeguare le proprie legislazioni alla
disposizioni che essa detta al riguardo. Accanto a queste norme, per così
dire vincolanti, se ne pongono altre che viceversa si limitano a prevedere
la possibilità per gli stati membri di tradurne in una legge nazionale il
contenuto. Si tratta generalmente di disposizioni che sono intese, non tanto
ad attribuire agli Stati una libertà in argomento, bensì in realtà a limitare
4
Nella giurisprudenza comunitaria si vedono in particolare le sentenze rese dalla Corte di Giustizia nel
caso Hag (Corte di Giustizia C.E.E., 3 luglio 1974, in causa 192/73, caso Hag, in Giur. ann. dir. ind.,
1974, p. 1457), nel caso Hoffman-La Roche (Corte di giustizia C.E.E., 23 maggio 1978, in causa n.
102/77, caso Hoffman-la Roche, in Giur. ann. dir. ind., 1978, p. 814) e nel caso Pfizer (Corte di Giustizia
C.E.E., 3 dicembre 1981, in causa 1/81, caso Pfizer, in Giur. ann. dir. ind., 1982, p. 703.
8
questa libertà col prevedere che cosa, al di là di quanto e` loro imposto, gli
Stati membri possono fare sul piano legislativo in materia, e per converso,
ovviamente, ciò che non possono fare. Queste disposizioni, dunque,
ribadiscono da un lato la tassativa imperatività di quelle della prima
categoria, ma nel contempo a loro volta determinano una serie di
preclusioni a qualsiasi tipo di regolamentazione degli argomenti che esse
trattano che non sia ad esse conforme. Ne emerge un quadro normativo
notevolmente dettagliato, che si ispira palesemente a quello del marchio
comunitario e che quindi vuole condurre ad un avvicinamento delle
legislazioni nazionali su un piano prossimo a tale modello, in tal senso
emerge con evidenza la preoccupazione del legislatore sovranazionale di
favorire la scelta del marchio comunitario rispetto a quello nazionale nel
momento dell'entrata in vigore del primo.
Specificamente poi la direttiva si occupa dei rapporti fra marchio
comunitario e marchi nazionali, essenzialmente nel senso di attribuire al
primo, se registrato anteriormente, il rilievo di privare di novità tutti i
marchi nazionali, ed inoltre di attribuirgli una sfera di protezione, in
relazione alla sua eventuale notorietà, che si svincola dal requisito della
somiglianza fra i prodotti, il che per i marchi nazionali e` previsto soltanto
in via eventuale.
Il margine di libertà che la direttiva lascia in materia di marchi agli Stati
membri risulta abbastanza ristretto, limitandosi agli argomenti di cui la
direttiva stessa non parla; così in particolare resta libera la procedura di
registrazione (con la possibilità di prevedere o meno un esame preventivo
di novità), la disciplina dei marchi non registrati, il regime da attribuire
9
alla cessione del marchio (libera o vincolata) ed il problema del titolare del
diritto di marchio
5
.
Per concludere relativamente a questo primo aspetto del presente paragrafo
ed introdurre il secondo, si può affermare che la Commissione italiana
incaricata per la predisposizione della nuova normativa nazionale sui
marchi si e` orientata verso l'utilizzazione più ampia possibile
dell'occasione di rinnovamento della disciplina vigente offerta dalla
direttiva C.E.E.: nel senso che sono state introdotte tutte le variazioni che
si sono potute valutare come utili ai fini dell'adeguamento della disciplina
alle nuove realtà industriali e commerciali, alle tendenze manifestatasi
nella gestione dei marchi, ed anche alle nuove esigenze di protezione del
pubblico dei consumatori.
Ne e` emerso in questo modo un quadro normativo profondamente
rinnovato, all'interno del quale, a fianco dei valori tradizionalmente
oggetto di tutela, altri, espressione della mutata realtà economico-sociale,
sono stati promossi fino ad oggetto di protezione. Più precisamente può
rilevarsi come il dato di fondo che emerge dalle nuove linee della
disciplina e` che, relativamente ai marchi costituiti da segni dotati di un
particolare valore attrattivo, idoneo a tradursi sul piano commerciale in un
corrispondente potere di vendita, estendibile e sfruttabile in ambiti
merceologici tanto più vasti quanto più ingenti siano gli investimenti
dedicati a tal fine, il legame tra marchio e impresa, fino ad ieri considerato
5
V. VANZETTI, Commento alla direttiva C.E.E. sul ravvicinamento delle legislazioni degli stati
membri in materia di marchi di impresa, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 1989, p. 1428 ss.. Per
ulteriori approfondimenti sui contenuti della direttiva 89/104 si vedano: SORDELLI, Significato e finalità
della direttiva C.E.E. sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi
registrati n. 89/104, in Riv. dir. ind., 1989, I, p. 14 ss.; FLORIDIA, La direttiva sul ravvicinamento delle
legislazioni nazionali in materia di marchi nella prospettiva del mercato unico europeo, in Riv. dir. ind.,
1990, I, p. 349 ss..
10
indissolubile, coerentemente alla sola funzione del marchio di indicatore
della provenienza dei prodotti da una determinata e costante fonte
produttiva, risulta nella nuova normativa, sciolto, o comunque fortemente
allentato.
Infatti, mentre nella concezione classica il segno distintivo nasceva, era
tutelato, circolava e si estingueva in relazione ad una determinata realtà
aziendale di cui era elemento di identificazione sul mercato, ora invece il
marchio può nascere anche prima ed indipendentemente da qualsivoglia
entità aziendale-produttiva, può essere tutelato anche fuori da precisi
confini aziendali, può circolare separatamente da, ed anche in assenza di
un qualsiasi nucleo produttivo originario, può sopravvivere infine al
dissolversi dell'azienda e dell'impresa. In questo senso può dirsi che il
marchio, nella configurazione che emerge dalla nuova legge, ha subito un
processo di smaterializzazione che lo ha avvicinato ad un autonomo bene
immateriale tutelato in se` in relazione al valore commerciale che
racchiude ed esprime
6
.
A questo punto si ritiene opportuno accennare alle principali innovazioni
che la normativa nazionale del 4 dicembre 1992 ha introdotto nel sistema
dei marchi italiani.
Nella nuova versione dell'art. 22 in tema di titolarità, alla regola secondo
cui può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi lo utilizzi o
si proponga di utilizzarlo nella fabbricazione o nel commercio di prodotti o
nella prestazione di servizi della propria impresa, si affianca ora la
disposizione secondo cui può ottenere la registrazione anche chi si
proponga unicamente di far utilizzare il marchio ad imprese di cui abbia il
6
V. CAVANI, Commento generale alla riforma, in La riforma della legge marchi, Antologia a cura di
GHIDINI, Padova, 1995, p. 5 ss..
11
controllo o che ne facciano uso con il suo consenso. Chiunque dunque può
registrare un marchio, anche nell'ipotesi estrema in cui in capo al
richiedente non sussista, neppure in prospettiva, una realtà produttiva
attuale o potenziale rispetto alla quale il marchio sia destinato a svolgere il
ruolo di indicatore di provenienza.
A legittimare la registrazione diviene sufficiente l'idoneità del segno ad
essere utilizzato commercialmente; vale a dire l'idoneità a sfruttarne,
mediante l'associazione a prodotti o servizi, l'intrinseca capacita` di far
vendere.
Conseguentemente l'irrilevanza di ogni attuale o potenziale connessione
fra marchio e impresa-azienda, si ripresenta sotto il profilo dell'ambito
della tutela accordata al marchio. Tutto il valore attrattivo insito nel
marchio, senza confini merceologici, costituisce oggetto della riserva
monopolistica di sfruttamento riconosciuta al titolare del marchio. La
tutela travalica i confini della confondibilità circa la provenienza del
prodotto, atteso che il bene protetto non e` più l'interesse dell'imprenditore
alla non confondibilità dei propri prodotti, bensì l'interesse di chi abbia
reso rinomato il segno a non vedersi sottratte o pregiudicate le utilità
economiche che da tale rinomanza possano essere ricavate. Appunto in
questi termini l'art. 1 l.ma. traccia i nuovi confini della tutela del marchio
che gode di rinomanza, consentendo al titolare di vietare a terzi, salvo il
proprio consenso, di usare un segno confondibile anche per prodotti o
servizi non affini qualora ciò, senza giusto motivo, consenta di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza o rechi
pregiudizio agli stessi
7
.
7
V. VANZETTI-DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., p. 182 ss.; LA VILLA, Commento
alla nuova legge sui marchi, in Riv,. dir. ind., 1993, I, p. 286 ss.; LEONELLI-PEDERZINI-COSTA-
CORONA, La nuova legge sui marchi di impresa, Milano, 1993, p. 7 ss..
12
Per quanto concerne la circolazione del marchio, come già accennato,
viene abbandonata la regola dell'inscindibile connessione fra azienda e
marchio in occasione del suo trasferimento; e d'altro canto si afferma
esplicitamente il principio secondo cui il marchio può essere oggetto di
cessione anche parziale o di licenze anche non esclusive (art. 15 l.ma.).
Inoltre, coerentemente con l'ampliamento della legittimazione alla
registrazione del marchio in capo a chiunque anche non imprenditore,
scompare dal tessuto normativo la causa di decadenza rappresentata dalla
definitiva cessazione, da parte del titolare del marchio, della produzione o
del commercio bastando, sia per la sua registrazione che per la sua
sopravvivenza, la mera possibilità che altri con il consenso del titolare usi
il marchio. Rispetto alla normativa del 1942, a livello nazionale ed
internazionale, si assiste oggi ad un'evidente tendenza all'allargamento ed
al rafforzamento della protezione del marchio, quale linea guida
dell'evoluzione dell'istituto; va pero` precisato che tale tendenza non e` ne`
occasionale ne` isolata, essa infatti rappresenta una tappa di un più ampio
processo evolutivo in atto, a livello internazionale, in tutti i settori della
proprietà industriale ed intellettuale.
A fianco di un generale e generoso irrobustimento della tutela, si colloca
una consistente mutazione dei tratti classici dell'istituto, data dal
riconoscimento al titolare di un marchio rinomato di un diritto esclusivo di
sfruttare il proprio segno non solo come strumento di differenziazione sul
mercato e quindi nei soli limiti di impedirne un'utilizzazione non
autorizzata che crei confondibilità tra fonti produttive, bensì più
ampiamente come strumento di monetizzazione di ogni utilità economica
di cui il segno si sia caricato in ragione della sua rinomanza. Si creano in
questo modo i presupposti perché il monopolio sul valore suggestivo del
13
segno si traduca, o comunque si avvicini, ad un monopolio od un
oligopolio tout court con probabili e pesanti cadute negative sul piano
concorrenziale. Pertanto si e` reso necessario introdurre correttivi
incentrati sul controllo della pubblicità commerciale, dato che e` appunto
la pubblicità a creare il valore suggestivo del marchio e a promuovere
l'estensione ultramerceologica.
In tale prospettiva si collocano le disposizioni della legge marchi volte a
presidiare l'interesse collettivo alla non ingannevolezza dei segni distintivi
sia in relazione all'ipotesi di decettivita` intrinseca e originaria del segno
stesso (art 18 l.ma.), sia all'ipotesi di decettivita` sopravvenuta (art. 41
l.ma.); l'effettività di tali disposizioni e` stata significativamente rafforzata,
nel nuovo testo della legge marchi, dalla previsione della nuova sanzione
della decadenza per l'ipotesi di decettivita` insorta a causa del modo o del
contesto in cui il marchio viene utilizzato dal titolare o con il suo consenso
(art 11 l.ma.)
8
.
A fianco di tali disposizioni si impone una più attenta e rigorosa
repressione della pubblicità ingannevole (imposta anche dalla recente
normativa nazionale in materia D.lg. 25 gennaio 1992, n. 74), in modo da
contenere quelle ascese alla notorietà fondate su richiami pubblicitari, il
cui contenuto attrattivo possa oscurare o comunque creare ingannevoli
aspettative circa le effettive e reali caratteristiche del prodotto cui il
marchio e` associato
9
.
Sotto un altro aspetto la nuova legge marchi sembra chiaramente orientata
verso una maggiore salvaguardia degli investimenti dedicati dal titolare al
8
Su tali profili v. GHIDINI, Decadenza del marchio per "decettivita` sopravvenuta", cit., p. 211 ss.
9
V. MELI, La repressione della pubblicità ingannevole, Torino, 1994.
14
proprio segno distintivo, e dunque a preservare nella maggior misura
possibile l'avviamento che intorno ad esso si sia consolidato, grazie ad un
intenso ed esteso rafforzamento della tutela accordata al titolare. Alcune di
queste nuove disposizioni sono funzionali al principio monopolistico,
privilegiando un'affermazione del valore commerciale acquisito dal
marchio, a costo di un affievolimento della distintivita` del segno; altre
invece sono coerenti con una tutela della funzione distintiva e appaiono
pertanto rispettose di quell'interesse concorrenziale alla distinzione sul
mercato e ad una più razionale scelta da parte dei consumatori.
Una consistente serie di modifiche introdotte dalla nuova legge esprime
poi una tendenza a salvare il diritto di marchio dalla nullità e/o dalla
decadenza in misura sensibilmente maggiore rispetto alla disciplina
previgente. Innanzitutto, ai sensi .dell'art. 17.1f, si e` posto il marchio
registrato al riparo dagli effetti distruttivi della sua novità che invece
potevano, nel vigore della precedente legge, farsi derivare da marchi pur
inutilizzati da innumerevoli anni in virtù della loro vitalità, anche solo
formale, al momento del deposito del successivo marchio.
Per quanto concerne il regime della decadenza le nuove disposizioni
tendono a favorire generosamente il registrante e ad abbassare la soglia di
controllo concorrenziale sulla monopolizzazione di segni del linguaggio
che costituisce la ratio della norma sulla decadenza. Questa tendenza viene
pero` controbilanciata sul piano interpretativo dalla definizione di uso
necessario a preservare il marchio dalla decadenza (che deve essere un uso
effettivo).
Sensibilmente ampliata risulta poi la disciplina della convalida del marchio
(art. 48 l.ma.); ulteriori profili di rinnovato favore da parte del legislatore
verso la conservazione del marchio, sono inoltre rappresentati dal
15
riconoscimento del cd. secondary meaning e dall'abbandono della tesi
oggettiva in tema di volgarizzazione.
Ultimo segnale della rilevata tendenza della nuova legge ad espandere e
rafforzare la tutela del marchio, si rinviene nella marcata propensione
verso il superamento del principio della territorialità della tutela, sia in
relazione al momento dell'acquisizione del diritto sul marchio che a quello
della sua tutela. A tale proposito si accenna a due disposizioni della nuova
legge marchi: l'art. 17.1b ("si considera altresì noto il marchio che ai sensi
dell'art. 6bis della Convenzione dell'Unione di Parigi sia notoriamente
conosciuto presso il pubblico interessato anche in forza della notorietà
acquisita nello Stato attraverso la promozione del marchio") che si ritiene
rappresenti un'innovazione nel senso di ammettere che tale notorietà possa
rilevare indipendentemente e prima di un uso effettivo sul territorio
nazionale
10
. D'altro canto l'art. 22, 2° comma che in termini generali
preclude la registrazione in malafede di un marchio, sembra destinato ad
abbracciare tutte quelle ipotesi di "pirateria" di altrui marchi rispetto ai
quali, pur non essendosi ancora completata tramite l'uso e/o la
registrazione la fattispecie acquisitiva del diritto esclusivo sul segno,
taluno possa pur vantare una legittima aspettativa di tutela della quale il
registrante in malafede sia consapevole nel momento in cui effettua il
deposito.
Sotto il profilo dell'allargamento territoriale della tutela, degne di nota
sono quelle norme che attribuiscono rilievo anche alla mera esportazione
dei prodotti contrassegnati. Dunque l'art. 1.2 che consente al titolare di
"vietare ai terzi di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno
10
V. VANZETTI, La nuova legge marchi, cit., p. 82 ss..
16
stesso", e l'art. 42.2, secondo il quale vale ad integrare uso del marchio
idoneo ad evitarne la decadenza anche "l'apposizione nello Stato del
marchio sui prodotti o sulle loro confezioni ai fini dell'esportazione di
essi".
Un'ultima breve annotazione merita la nuova disciplina del marchio
collettivo e quella del marchio geografico. Se una tendenza vuole scorgersi
al riguardo, essa può individuarsi in un allargamento dei confini, e dunque
della rilevanza in campo economico, del marchio collettivo. Da un lato si
pone l'ampliamento della gamma dei soggetti legittimati alla registrazione
di un marchio collettivo: non più solo gli enti e le associazioni legalmente
costituiti, bensì "tutti i soggetti che svolgano la funzione di garantire
l'origine, la natura o la qualità di determinati prodotti o servizi". Dall'altro,
sottratta all'area del marchio individuale la registrabilita` di denominazioni
geografiche, una tale possibilità viene invece fatta salva per i marchi
collettivi, i quali, dunque, vengono a godere di una vistosa eccezione in
ragione dell'interesse collettivo, o diffuso, di cui tendenzialmente essi sono
portatori
11
.
11
V. CAVANI, Commento generale alla riforma, cit., p. 54 ss..
17
1.2 Il marchio nel quadro delle Convezioni internazionali e
dell'ordinamento comunitario (Regolamento 40/94/C.E. del 20
dicembre 1993)
Il marchio, oltre che dalla normativa nazionale, e` disciplinato da tre
importanti disposizioni internazionali: la Convenzione di Unione di Parigi,
l'Accordo di Madrid e l'accordo Trips.
La Convenzione di Unione di Parigi per la protezione della proprietà
industriale, stipulata il 20 marzo 1883, e` stata più volte riveduta e corretta
da ultimo a Stoccolma nel 1967: ad essa aderiscono oltre cento Stati tra cui
l'Italia.
La Convenzione dispone anzitutto (art. 2) che il cittadino di ciascuno Stato
aderente all'Unione gode, negli altri Stati unionisti, di tutti i vantaggi in
materia di proprietà industriale ivi riservata ai cittadini.
Disciplina poi le procedure di deposito articolato: chi abbia depositato una
domanda di registrazione di marchio in uno degli Stati aderenti, il cd.
Paese di origine, può estendere entro sei mesi in ciascuno degli altri Stati
aderenti all'Unione la domanda di registrazione per lo stesso segno, i cui
effetti retroagiscono alla data della prima domanda (cd. priorità
unionistica). In tal modo il depositante e` protetto contro il rischio che un
concorrente depositi, in altri Stati unionisti, una domanda di registrazione
per lo stesso segno, in data successiva al suo primo deposito nel Paese
d'origine, purché le successive domande di registrazione siano depositate
entro sei mesi dalla prima. Tale Convenzione contiene poi alcune norme di
diritto sostanziale, fra le quali si deve sin d'ora ricordare l'art 6bis che,
riconoscendo l'efficacia del marchio notoriamente conosciuto in uno
qualsiasi dei Paesi aderenti, supera, con riguardo a tale caso, il principio
18
della efficacia territoriale dei marchi nazionali. L'art. 6quinquies della
Convenzione impone a ogni Paese unionista di concedere al marchio una
tutela alle stesse condizioni che sono applicate per la sua valida
registrazione nel Paese d'origine; tuttavia una volta effettuata la
registrazione, le varie discipline nazionali restano indipendenti.
Alcuni Stati aderenti alla Convenzione di Unione di Parigi sottoscrissero il
14 aprile 1891 l'Accordo di Madrid, disciplinante la cd. registrazione
internazionale dei marchi di fabbrica e di commercio. Accordo anch'esso
più volte revisionato, da ultimo a Stoccolma nel 1967 e modificato nel
1979; vi aderiscono ultimamente 35 Stati, inclusa l'Italia. Il 1 aprile 1996,
dopo l'adozione del regolamento di esecuzione del 18 gennaio 1996, e`
divenuto operativo il Protocollo adottato a Madrid il 27 giugno 1989,
relativo all'Arrangement di Madrid. L'Accordo di Madrid prevede un
sistema di deposito e registrazione dei marchi tale da valere in tutti gli
Stati aderenti; il titolare di un marchio registrato nel Paese d'origine può
infatti chiedere all'amministrazione di quel Paese il deposito del marchio
stesso presso l'Ufficio Internazionale per la protezione della proprietà
industriale (O.M.P.I.) di Ginevra, il quale provvederà alla relativa
registrazione. Questa ha efficacia in tutti gli Stati aderenti designati all'atto
del deposito, ad eccezione di quelli che rifiutino la protezione; la
registrazione internazionale ha una durata di venti anni ed e` rinnovabile
12
.
12
Cfr. BENUSSI, Marchio nazionale, marchio comunitario e marchio internazionale: le imprese di
fronte ad una scelta, in CCIAA Treviso, Tutela della proprietà industriale, Seminari maggio-giugno 1996,
p. 11-33.