5
famosa controversia anglo-americana relativa alla caccia delle foche
nel Mare di Bering.
3
Il relativo lodo arbitrale infatti, emesso il 15.8.1893, applicava
rigidamente il principio della netta distinzione del mare in due zone: il
mare territoriale, avente una estensione di tre miglia nautiche
misurate dalla linea costiera e l’alto mare, comprensivo degli spazi
marini al di là della fascia del mare territoriale.
Peraltro, proprio in occasione di tale controversia si faceva
strada, sostenuto dagli U.S.A., una delle parti in causa, il principio
secondo cui lo Stato che manifestasse un particolare interesse nello
sfruttamento delle risorse esistenti nelle acque adiacenti il proprio
mare territoriale, poteva adottare unilateralmente le misure di
conservazione idonee a tutelare tale interesse.
E’ questa forse la prima occasione in cui si evidenzia il
particolare orientamento di uno Stato costiero a riservarsi diritti per
particolari settori di attività anche in acque internazionali, essendo poi
stata tale tendenza confermata nell’evoluzione successiva.
3
Lodo Arbitrale del 15 agosto 1893, per le fasi della controversia si veda Fur Seal
Arbitration Proceedings of the Tribunal of Arbitration, 14 vol., Washington, 1893.
6
1. I principali tratti evolutivi dei diritti di pesca. Dal
“Proclama Truman” agli anni ’70.
Con la dichiarazione del Presidente Truman del 28-9-1945
4
sulle zone di pesca costiere, si registrava l’avvio della inversione di
tendenza in merito all’interpretazione del regime della libertà di
sfruttamento delle risorse biologiche marine.
Con il proclama si istituivano per la prima volta le fishery
conservation zones per regolamentare lo sfruttamento delle risorse
alieutiche presenti in quelle zone di alto mare adiacenti alle coste degli
Stati Uniti, in cui i cittadini statunitensi già esercitavano attività di
pesca. Il regolamento e il controllo di quelle zone non avevano
carattere esclusivo in quanto prevedevano il ricorso ad accordi per
regolare l’accesso anche di pescatori di altri Stati. Questo
provvedimento unilaterale degli Stati Uniti, adottato per estendere al
di là del proprio mare territoriale alcuni diritti dello Stato, fu seguito
da una lunga serie di provvedimenti inerenti allo stesso tema ed
emanati per lo più da Stati dell’area latino-americana.
4
Testo in U.N., Legislative Series, Laws and Regulations on the Regime of the
High Seas, I, New York, 1951, pag. 112 ss.
7
Tali iniziative si differenziavano tuttavia dalla dichiarazione
statunitense in quanto, oltre a regolare e controllare le risorse naturali
nelle acque adiacenti al mare territoriale, in alcuni casi si arrivava ad
estendere la sovranità dello Stato costiero su zone di mare ampie fino
a 200 miglia nautiche (il c.d. mare epicontinentale), entro le quali
peraltro rimanevano impregiudicati i diritti relativi alla libertà di
navigazione e di sorvolo da parte di navi e aeromobili appartenenti ad
altri Stati.
5
Il successivo periodo, fino alla seconda metà degli anni settanta,
fu caratterizzato da una grande incertezza circa il regime da applicare
alla pesca; incertezza legata ai dubbi e ai contrasti sulla estensione del
mare territoriale, nonché alla indisponibilità di normativa attinente al
problema della conservazione delle risorse biologiche.
Infatti, dopo il fallimento del sistema di conservazione elaborato
dalla Convenzione del 1958 sulla pesca, nemmeno la seconda
Conferenza di Ginevra sul diritto del mare del 1960 raggiunse alcun
risultato concreto; non si ebbe la firma di alcuna Convenzione e non si
pervenne alla definizione della estensione del mare territoriale, né
all’istituzione delle zone di pesca.
5
GIDEL, Droit international public de la mer, Paris, Sirey, 1934.
8
Nel corso dei lavori emerse tuttavia la diffusa tendenza al
riconoscimento agli Stati costieri di una zona esclusiva di pesca,
ampia fino a 12 miglia dalla linea di base.
In particolare, un progetto congiunto di Canada e Stati Uniti,
presentato alla Conferenza di Ginevra del 1960, prevedeva
l’estensione del mare territoriale fino a 6 miglia e l’istituzione di una
zona di pesca fino a 12 miglia, all’interno della quale allo Stato
costiero erano attribuiti, in materia di pesca e di conservazione delle
risorse biologiche marine, gli stessi diritti esistenti nel mare
territoriale. Era altresì previsto, nella fascia compresa tra le 6 e le 12
miglia, il riconoscimento dei diritti storici di pesca, per un periodo di
dieci anni a partire dal 1960, a quei pescatori stranieri che avessero
abitualmente pescato in quelle zone nei cinque anni antecedenti il
1958.
Tale proposta, per quanto non attuata, e sebbene il diritto
internazionale generale non sembrasse ammettere una zona contigua
in materia di pesca, era meritevole della massima attenzione e avrebbe
influenzato i successivi comportamenti unilaterali e gli accordi
internazionali in materia.
9
Infatti, lo sviluppo ulteriore della prassi internazionale fece sì
che nel corso degli anni ’60 molti Stati estendessero fino a 12 miglia
la propria giurisdizione esclusiva in materia di pesca o il limite del
proprio mare territoriale. L‘istituzione di zone esclusive di pesca
venne peraltro “legittimata” da accordi internazionali.
Il primo trattato multilaterale nel quale si disciplinarono le zone
esclusive di pesca fu la Convenzione europea sulla pesca sottoscritta a
Londra nel 1964 da dodici Stati.
6
Con tale Convenzione venivano istituite due diverse zone di
pesca: la prima fino a sei miglia, sulla quale lo Stato costiero aveva un
diritto esclusivo di pesca; la seconda, tra sei e dodici miglia, sulla
quale lo Stato costiero aveva solo un diritto preferenziale, mentre
erano riconosciuti diritti storici illimitati nel tempo alle navi da pesca
degli altri Stati contraenti.
L’esistenza di tale zona di pesca non poteva impedire agli Stati
non costieri di esercitare, nelle stesse acque, le attribuzioni loro
consentite in alto mare, relativamente ad attività diverse dalla pesca.
6
Si veda VIGNES, La conférence européenne sur la peche et le droit de la mer, in
Annuaire Français de Droit International, 1964, pag. 670-688. VOELCKEL,
10
2. La sentenza della Corte internazionale di Giustizia del 25
luglio 1974.
Allo stesso limite di 12 miglia si riferì d’altra parte la stessa
Corte internazionale nella sentenza del 1974 relativa alla controversia
tra Gran Bretagna e Repubblica Federale di Germania da una parte e
Islanda dell’altra. La Corte infatti giunse alla conclusione che gli Stati
costieri potessero, in presenza di determinate circostanze, rivendicare
diritti preferenziali di pesca oltre le loro acque territoriali soltanto in
quelle zone di mare comprese nell’ambito delle 12 miglia dalla costa.
La controversia era sorta in seguito alla misura attuata in via
unilaterale dall’Islanda nel 1972 con l’adozione di una zona di pesca
esclusiva di cinquanta miglia di ampiezza a partire dalla linea di base.
L’iniziativa, contestata da Gran Bretagna e Germania perché in
contrasto con i diritti loro riconosciuti in virtù degli accordi bilaterali
stipulati con l’Islanda fin dal 1961, fu portata davanti alla Corte
Internazionale di Giustizia, la cui competenza fu però contestata
dall’Islanda.
Aperçu sur l’application de la Convention européenne des peches, in Annuaire
Français de Droit International, 1969, pag. 761-773.
11
La Corte, dopo aver stabilito la propria competenza sul caso
passò al merito della controversia.
Le ragioni addotte dai paesi coinvolti e la decisione presa dalla
Corte nel merito della vicenda risultano molto interessanti anche per le
affermazioni relative alla rilevanza del diritto consuetudinario in
materia in un momento di particolare evoluzione e trasformazione
quale quello che esso stava attraversando.
La Gran Bretagna e la Germania negavano infatti l’esistenza di
regole consuetudinarie che potessero permettere allo Stato costiero
l’ampliamento della zona di sfruttamento esclusivo delle risorse
biologiche al di là delle dodici miglia dalla linea di base; né
l’applicazione di regole consuetudinarie poteva essere giustificata
dalla necessità di misure per la conservazione delle specie biologiche,
vista la possibilità e l’opportunità di conseguire specifiche intese
relative alla disciplina della pesca, che possono sempre derogare a
eventuali norme consuetudinarie.
Peraltro Gran Bretagna e Germania, pur difendendo i diritti
delle proprie flotte da pesca, tradizionalmente operanti nella zona in
questione, si dichiaravano pronte a riconoscere all’Islanda un
trattamento preferenziale in virtù della sua particolare dipendenza
12
economica dallo sfruttamento delle risorse nelle acque adiacenti al suo
mare territoriale.
L’Islanda, da parte sua, riaffermava invece il suo diritto a
stabilire, in via unilaterale, il limite delle proprie zone di pesca.
La Corte, nella sua decisione del 25 luglio 1974, accolse le
richieste degli Stati ricorrenti, sottolineando l’illiceità della estensione
unilaterale operata dall’Islanda nei confronti di Gran Bretagna e
Germania.
Così facendo, senza esprimersi sulla liceità generale della
misura adottata dall’Islanda, la Corte riaffermò il diritto-dovere delle
parti di concordare i limiti dei rispettivi diritti di sfruttamento,
ritenendo applicabili regole convenzionali specifiche in luogo di
eventuali regole del diritto consuetudinario per la risoluzione di
controversie tra Stati costieri e Stati terzi in materia di estensione
unilaterale di zone esclusive di pesca
7
.
7
La maggioranza dei componenti della Corte, nonostante avesse riconosciuto che
l’iniziativa islandese era allineata con la tendenza generale in atto , si rifiutò di
incoraggiare tale tendenza, non avendo questa ancora conseguito il livello di
diritto positivo: “La Cour n’ignore pas qu’un certain nombre d’Etats ont décidé
d’élargir leur zone de peche. Elle connait les efforts poursuivis actuellement sous
les auspices des Nationes Unites en vue de faire avancer, lors d’une troisième
conférence sur le droit de la mer, la codification et le développement progressif de
cette branche du droit; elle n’ignore non plus les proposition et les documents
préparatoires divers soumis à cette occasion, qui doivent etre considérés comme
manifestant les thèses et les opinions des Etats à titre individuel et comme
13
3. La prassi dei Paesi in via di sviluppo.
Tuttavia la tendenza all’istituzione di zone di pesca più ampie
divenne nel corso del periodo 1958-1974 sempre più spiccata e
l’evoluzione del diritto del mare in materia di pesca si manifestò
soprattutto nelle misure unilaterali assunte dai paesi costieri e
caratterizzate dalla crescente differenziazione tra i limiti del mare
territoriale e i limiti della zona di pesca.
Nello stesso periodo, però, era in atto il processo di
decolonizzazione, e quindi la comparsa sulla scena internazionale di
nuovi paesi, soprattutto del continente africano, che, non essendo
indipendenti all’epoca della codificazione del diritto del mare, non
avevano preso parte alle Conferenze del 1958 e del 1960.
Questi Stati cominciarono, attraverso misure legislative e
dichiarazioni unilaterali, ad adottare una politica decisa in materia di
diritto di pesca e di diritto del mare, del tutto autonoma sia dai risultati
delle codificazioni del 58-60, sia dalle determinazioni
successivamente assunte dai paesi partecipanti alle Conferenze .
traduisant leurs aspirations et non comme exprimant des principes du droit
existant”.
14
Il denominatore comune delle misure unilaterali dei paesi in via
di sviluppo era essenzialmente la pretesa dello sfruttamento esclusivo
delle risorse biologiche ben al di là delle 12 miglia del mare
territoriale.
Inoltre, le rivendicazioni dei paesi in via di sviluppo (africani,
asiatici e latino-americani) avevano un’importanza che andava oltre il
solo aspetto inerente la pesca. Queste rivendicazioni in effetti
facevano parte del processo di rifiuto delle norme del diritto
internazionale che erano state prodotte senza la loro partecipazione e
rappresentavano uno degli aspetti più significativi nello sforzo di
conseguire, nell’ambito della comunità internazionale, “un nuovo
ordine economico internazionale”; per tutto questo il loro effetto
complessivo era destinato ad avere un impatto notevolissimo sulle
future trattative internazionali in materia.
Le misure unilaterali in materia di pesca adottate dai paesi in via
di sviluppo tra la fine degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70
non erano peraltro omogenee fra loro; l’estensione del mare
territoriale al di là delle dodici miglia era di ampiezza differente tra
Per la dottrina si veda FLEISCHER, La peche, in Dupuy e Vignes, Traité du
nouveau Droit de la Mer, Paris – Bruxelles, 1985, pag. 860 ss.
15
Stato e Stato così come le normative emanate per la gestione di questi
spazi marini
8
.
L’esigenza di un coordinamento a livello regionale per
armonizzare tali iniziative fece sì che il Comitato consultivo giuridico
afroasiatico includesse il diritto del mare nella sua agenda dei lavori
previsti per la riunione di Colombo del 1971, nel corso della quale fu
raggiunto un notevole consenso sulla legittimità della estensione fino
a duecento miglia di una “zona esclusiva di pesca” contigua alle acque
territoriali.
Anche l’Organizzazione per l’Unità Africana si è occupata a più
riprese della questione dello sfruttamento delle risorse biologiche,
pervenendo ad importanti risoluzioni; in particolare nella
dichiarazione di Addis Abeba del 1973 e, soprattutto, in quella di
Mogadiscio del 1974 fu affermata la nozione di zona economica
esclusiva nell’ambito della quale gli Stati africani rivendicavano la
propria sovranità permanente su tutte le risorse, biologiche e
minerarie, esistenti nelle duecento miglia di mare contiguo a quello
territoriale.
8
Il limite del mare territoriale fu esteso a duecento miglia dalla Guinea con un
decreto del 31 dicembre 1965 , a cento miglia dal Gabon nel 1972 e a cinquanta
miglia dal Camerun , con una legge del 5 dicembre 1974.
16
4. Segue: i Paesi latino-americani.
Queste misure si aggiungevano alle rivendicazioni avanzate
molto tempo prima dai paesi dell’America latina
9
(vds. prec. “mare
epicontinentale”) e riproposte di nuovo da quegli Stati, nella seconda
metà degli anni sessanta, per mezzo di nuove misure legislative.
In particolare in America latina era molto acceso il confronto
tra i paesi cosiddetti “territorialisti” e i paesi favorevoli alla
separazione del mare territoriale da una zona adiacente dove esercitare
alcuni diritti di sfruttamento economico
10
.
I tentativi compiuti per conciliare le differenti posizioni, con le
riunioni di Montevideo e di Lima nel 1970, non portarono a risultati
conclusivi e, soprattutto, le dichiarazioni non indicavano la natura
giuridica e l’estensione della zona sulla quale erano rivendicati diritti
esclusivi di sfruttamento e gestione delle risorse.
9
Per la dottrina si veda CASTENEDA, La position des Etats latino-américains dans
les appropriations nationales des richesses des espaces maritimes, in Société
français pour le Droit international, Colloque de Montpellier, maggio 1972,
Actualités du droit de la mer, Pedone, 1973, pag. 158-163.
10
Il Nicaragua e l’Argentina dichiararono rispettivamente nel 1965 e nel 1966,
una zona di pesca di duecento miglia; l’Ecuador nel 1966, Panama nel 1967 e il
Brasile nel 1970 portarono per contro a duecento miglia l’ampiezza del proprio
mare territoriale.
17
Successivamente, in vista dell’avvio dei lavori della terza
Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, le diverse
posizioni dei paesi latino-americani subirono un deciso
riavvicinamento fino allo sviluppo e consolidamento della nozione di
“mare patrimoniale”, nel cui ambito si ritrovavano, tra i principali
aspetti, quelle rivendicazioni che erano già state avanzate in passato
dagli stessi paesi con la dichiarazione di Santiago del 1952 ed, in
particolare, l’estensione fino a duecento miglia dello sfruttamento
esclusivo delle risorse marine da parte dello Stato costiero.
Nel “mare patrimoniale” erano peraltro salvaguardate le
tradizionali libertà di comunicazione e di movimento, al contrario di
quanto previsto dalla precedente dichiarazione di Santiago, che
prevedeva, per le unità di altra bandiera, il solo transito inoffensivo.
Tutte le differenti posizioni e pretese relative al mare territoriale
e alle zone di pesca di cui si è detto sopra, furono in qualche modo
accolte nell’ambito del Comitato per i fondi marini, istituito in seno
alle Nazioni Unite fin dal 1968 e competente a preparare la revisione
del diritto internazionale del mare. Fu infatti in tale Comitato
internazionale che iniziò a diffondersi l’idea di una giurisdizione
esclusiva dello Stato costiero sulle risorse viventi e non, presenti in
18
una fascia di mare di 200 miglia marine, denominata prima “mare
patrimoniale” e poi “zona economica esclusiva”.
5. Il regime giuridico della zona economica esclusiva nella
Convenzione di Montego Bay.
Finalmente si giunse all’adozione, nel 1982, della Convenzione
di Montego Bay che rappresenta una disciplina organica dei vari
aspetti del diritto del mare.
L’art. 55 della parte V di tale Convenzione definisce la zona
economica esclusiva come una zona adiacente al mare territoriale, la
cui estensione massima non può superare le 200 miglia nautiche dalla
linea di base a partire dalla quale si misura il mare territoriale. Essa si
sovrappone quindi ad un’ampia fascia di alto mare, dando luogo in
tale zona ad un regime giuridico particolare, stabilito dalle norme
della Convenzione.
11
11
BARDONNET, La largeur de la mer territoriale, Revue Géneral de droit
international public, 1962, pag. 34 ss.
ALEXANDER, Breadths of Territorial and Other Offshore Zones, 1968, in Law of
the Sea: Rules and Organization of the Sea, Proceedings of the Third Annual
Conference of the Law of the Sea Institute, Kingston (R.I.), 1969, pag. 313 ss.
MARTINEZ, The Politics of Territorial Waters: 12 Miles or 200, British Yearbook
of Int. Law, 1976-1977, pag. 321 ss.