2
Perciò tutti i settori della tradizione romana offrono un contributo
essenziale per la ricostruzione della storia giuridica di Roma da cui,
come ho già detto, discende a sua volta tutta la storia del diritto
europeo.
Passando ora al mio elaborato cercherò di spiegare il perché di certe
scelte strutturali illustrandone ogni singola parte.
Mi è sembrato indispensabile iniziare con una breve descrizione
storico-giuridica articolata su tre punti fondamentali: il primo riguarda
la collocazione del mandato nella sistematica dei contratti; il secondo
invece si incentra su una questione che da sempre divide la dottrina: se
tale istituto sia proprio dello ius gentium o dello ius civile mentre
l’ultimo è dato dal confronto fra l’istituto del mandato e quello della
procura.
Una volta fatta questa necessaria introduzione, sono passata all’analisi
dei requisiti propri del mandato, indispensabili perché possa
configurarsi correttamente, cominciando, al capitolo due, dalla
costituzione.
Essendo il mandato un contratto consensuale bilateralmente
imperfetto, gli elementi sui quali mi sono soffermata sono stati proprio
questi e, dato l’inscindibile legame tra la bilateralità imperfetta e le
obbligazioni delle parti, ho trattato anche queste. Ho proseguito poi,
nel capitolo seguente, descrivendo la gratuità e il vario atteggiarsi
degli interessi delle parti. Ho concluso quindi la descrizione dei
requisiti con la trattazione del possibile oggetto del mandato passando
poi alle cause di estinzione. Uno dei motivi per cui ho scelto questo
argomento è la straordinaria vitalità del mandato che, sorto nel diritto
romano ha saputo attraversare i secoli, arrivare fino a noi e trovare un
posto nel nostro codice civile al capo IX, titolo III del libro IV.
3
Per questo motivo ho dedicato l’ultima parte della tesi all’evoluzione
che, nel corso dei secoli, il mandato ha subito soffermandomi solo
sulle tappe principali: partendo dall’epoca postclassica-giustinianea
attraverso il diritto comune e i glossatori fino ai codici dell’Ottocento.
Ho infine terminato con un breve scorcio della disciplina attuale,
sottolineando gli elementi che maggiormente sono mutati.
Circa lo sviluppo del mandato in diritto romano non ho avuto
difficoltà a trovare testi e fonti, necessario supporto della mia
trattazione; infatti, come sappiamo la produzione è quanto mai ricca e
articolata.
Per quanto riguarda invece la breve testimonianza portata
sull’evoluzione e sviluppo dell’istituto nel corso dei secoli, i testi da
me citati non sono molti, sia perché la produzione non è ricca quanto
quella di epoca classica, sia perché la trattazione di tale parte deve
rimanere secondaria rispetto a quella sul mandato nel diritto romano.
4
CAPITOLO I
LA NASCITA E LO SVILUPPO DEL MANDATO
Il mandato nel sistema dei contratti
Ho pensato di iniziare la trattazione del mandato fornendo qualche
breve notizia circa il sistema dei contratti e la collo cazione del nostro
istituto al suo interno.
Su tale materia la dottrina romanistica contemporanea è divisa da
contrasti profondi che riguardano, non solo molti problemi storici ed
esegetici, ma anche e soprattutto, la valutazione complessiva della
categoria dei contratti, cioè l’intero sistema contrattuale classico.
Una prima importante disputa riguarda il valore attribuito al termine
contractus: secondo la dottrina dominante
1
esso aveva, presso i
romani un valore più ristretto e differente dall’odierno contratto.
Bonfante
2
scrive: “Il contractus è un negotium riconosciuto come
fonte di obligatio: l’esistenza di un negotium come tale riconosciuto,
di una causa, è requisito essenziale, il consensus o la conventio nel
diritto classico non si esige per lo meno in ogni contractus…”, per lo
studioso, contratto non è sinonimo di consenso, ma piuttosto di causa,
mentre per esprimere l’accordo le parole cui bisogna riferirsi sono
conventio, pacto, pactum. Nonostante questa sia la tesi dominante,
non mancano opinioni divergenti. Riccobono
3
ritiene ad esempio,
che, anche presso i giureconsulti il termine contractus fosse sinonimo
di conventio e che alla base di ogni negozio stesse la comune volontà
delle parti. Secondo l’autore le fonti sono state interpolate dai
1
ARANGIO RUIZ, V. Il mandato in diritto romano, Napoli, 1949. WATSON, A. Contract
of mandate in roman law, Oxford, 1961
2
BONFANTE, P. Facoltà e decadenza del procuratore romano, in Scritti giuridici vari,
III, Torino, 1926, p. 250.
3
RICCOBONO, S. La giurisprudenza classica come fattore di evoluzione nel diritto
romano, in Scritti Ferrini, Pavia, p. 40.
5
compilatori
4
che ne hanno così travisato il significato originario fino a
far sorgere questa disputa moderna.
Grosso
5
ha cercato, con parziale successo, di avvicinare le due
opposte opinioni, arrivando così ad una visione più completa ed
equilibrata.
Innanzitutto egli afferma che il termine contractus non si identifica
con conventio, consensus; l’idea di un accordo è molto lontana
dall’originaria etimologia del termine che indica lo stringere, il legare.
Presso i romani il verbo contrahere è usato genericamente e non ha un
ben specifico valore tecnico- giuridico.
Se è vero che anticamente contractus indicava il vincolo già formatosi
e non un modo per creare tale vincolo, è anche vero che l’evoluzione
storica e pratica ha portato piuttosto velocemente a determinati
cambiamenti e a nuove specificazioni del ruolo e del valore di ogni
requisito del contratto ; è in questo momento di transizione che si
venne ad analizzare e ad individuare l’elemento del consensus,
cominciando a legarlo sempre più al contratto.
Ciò che per noi rileva è che il contratto, presso i giuristi romani è
considerato una fonte di obbligazione e le testimonianze numerose e
concordanti lo dimostrano: Gai III, 88: “…summa divisio in duas
species deducitur: omnis enim obligatio vel ex contractu nascitur vel
ex delicto.” D. 44, 7, 1: “obligationes aut ex contractu nascuntur aut
ex maleficio aut proprio quodam iure ex variis causarum figuris.”, I.
3, 13, 2: “… aut enim ex contractu sunt aut quasi ex contractu aut ex
maleficio aut quasi ex maleficio.” Tale ultimo passo indica il risultato
4
Spesso gli studiosi sospettano che i compilatori giustiniaei abbiano interpolato le fonti; ciò
è dovuto al fatto che essi avevano il compito di formare i codici, testi in cui si voleva
raccogliere tutto la disciplina giuridica ma allo stesso tempo darle un ordine e una linea
guida. È evidente come in quest’ottica a volte per evitare contraddizioni e dubbi, i redattori
modificassero i testi per renderli concordi con altri.
5
GROSSO, G. Il sistema romano dei contratti, Torino, 1945, pp.124 ss e 206 ss.
6
finale di un’evoluzione e di un cambiamento nella sistematica delle
fonti; viene infatti affermato, in modo definitivo e stabile,il principio
della quadripartizione delle fonti di obbligazione. Inizialmente infatti
si riteneva che le obbligazioni potessero scaturire solo da contratto o
da delitto. Già Gaio però, nelle Res cottidianae, aveva abbandonato la
bipartizione per una tripartizione, come testimonia il passo D. 44, 7, 1
prima citato.
Il giurista sottolinea come già si avvertisse l’incompletezza e
l’insufficienza della bipartizione.
In epoca successiva infine si introdussero, oltre alle due precedenti
fattispecie, quelle da quasi delitto e da quasi contratto, cioè tipologie
intermedie tali da poter ricomprendere anche ipotesi meno certe e
definite, dai contorni più sfuggenti.
6
La categoria del contratto era, almeno da una certa epoca in poi,
7
a sua
volta suddivisa in ulteriori quattro gruppi: obligationes re contractae,
verbis contractae, litteris contractae, consensu contractae.
Tale suddivisione della categoria del contractus è molto significativa;
essa, nonostante le inevitabili lacune, dimostra la maturità e la
lungimiranza del diritto romano, visibile nel tentativo di creare gruppi
eterogenei in grado di accogliere il maggior numero possibile di
fattispecie. Passando ad un’analisi più attenta delle singole categorie,
ciò che si nota subito è la contrapposizione fra le prime tre e quella
dei contratti consensuali: infatti mentre in quelli l’elemento obbligante
è immediato e si realizza in una causa obbiettiva, concreta, fisica (re)
o in una forma verbale solenne (verbis) o scritta (litteris), in questo è
sufficiente l’accordo fra i contraenti.
6
Per un maggior approfondimento si veda RICCOBONO, S., Dal diritto romano classico
al diritto moderno, Annali Sem. giur. Palermo, III-IV, 1917, pp. 274 ss.
7
Ci testimonia tale suddivisione anche Gaio per cui essa doveva essere stata inserita quasi
contemporaneamente all’introduzione del contratto stesso.
7
Ciò che rileva è la comune volontà delle parti, requisito necessario e
sufficiente perché si possa configurare correttamente il contratto.
Perché tale volontà abbia rilevanza è però necessario che le parti la
rendano manifesta come è testimoniato da Gaio nel passo Gai. III,
136.
8
Il mandato, assieme alla compravendita, locazion-conduzione e
società
9
rientra in quest’ultima categoria, caratterizzata dal fatto che:
“alter alteri obligatur de eo quod alterum alteri ex bono et aequo
praestari oportet.”;
10
l’elemento obbligante è il consensus.
Fra il
concetto che l’obbligazione si contrae col consenso e la bilateralità o
pluralità di obbligazioni nascenti dal contratto esiste un nesso molto
stretto.
Gaio nel passo Gai III, 155
11
trattando proprio del mandato parla della
bilateralità limitandosi ad affermare che da tale contratto discendono
obbligazioni reciproche.
Solitamente la bilateralità è facile da individuare: ciò vale per la
compravendita, la locazione e la società: l’obbligazione di una parte
trova la giustificazione obiettiva in quella dell’altra parte.
Ad esempio, nella compravendita, all’obbligazione di una parte, il
compratore, di pagare il prezzo corrisponde l’obbligazione dell’altra
parte, il venditore, di consegnare l’oggetto e di garantire l’acquirente.
8
Gai III 136: Ideo autem istis modis consensu dicimus obligationes contrahi, quod neque
verborum neque scripturae ulla proprietas desideratur, sed sufficit eos, qui negotium
gerunt, consensisse. Unde inter absentes quoque talia negotia contrahuntur, veluti per
epistulam aut per internuntium, cum alioquin verborum obligatio inter absentes fieri non
possit.
9
Sono tutti contratti consensuali, GROSSO, G. Il sistema romano dei contratti, cit. pp.161
ss
10
Gai III 137: Item in his contractibus alter alteri obligatur de eo, quod alterum alteri ex
bono et aequo prestare oportet, cum alioquin in verborum obligationibus alius stipuletur
alius promittat et in nominibus alius expensum ferendo obliget alius obligetur.
11
Gai III 155: “ Mandatum consistit, sive nostra gratia mandemus sive aliena. Itaque sive ut
mea negotia geras, sive ut alterius, mandaverim, contrahitur mandati obligatio, et invicem
alter alteri tenebimur in id, quod vel me tibi vel te mihi bona fide prestare oportet.”
8
Meno evidente è la bilateralità del mandato
12
e infatti nonostante la
testimonianza di Gaio, la maggior parte degli storici
13
propende per la
bilateralità imperfetta, cioè per una disparità fra le due obbligazioni:
secondo tale teoria ad un’obbligazione principale del mandatario
corrisponderebbe un’ obbligazione solo eventuale del mandante, non
necessaria quindi, perché si possa costituire la fattispecie di mandato.
Prima di chiudere questa breve presentazione dei contratti, bisogna
ricordare che vi erano più elementi attraverso i quali tali negozi
venivano suddivisi. Infatti possiamo avere contratti a titolo oneroso o
gratuito (il mandato era in diritto romano normalmente gratuito), a
seconda che entrambe le parti si procurassero un vantaggio economico
o una si impegnasse senza pretendere un corrispettivo in denaro. Altro
criterio è quello della forma: vi erano alcuni contratti in cui il rispetto
di particolari requisiti formali veniva richiesto a pena anche di nullità
e altri in cui si lasciava maggior libertà alle parti. Infine, non bisogna
dimenticare la differenza fra contratti causali e astratti, a seconda che
l’efficacia fosse legata all’esistenza di una causa o la forma fosse
sufficiente a produrre effetto indipendentemente dalla causa.
14
Il mandato, dunque, si configurava come un contratto in cui dal
semplice accordo liberamente concluso dalle parti discendono
obbligazioni reciproche, anche se non equivalenti: per il mandatarius
si profilava l’obbligo di portare a termine l’incarico assunto in modo
corretto, preciso e fedele e per il mandator quello di rimborsare il
mandatario delle spese e dei danni eventualmente subiti.
12
Per una più ampia trattazione si veda il cap.II
13
ARANGIO RUIZ, V., Il mandato in diritto romano, cit. pp. 81 ss. e PROVERA, G.,
Mandato, in Enc. dir., Milano, 1975, p. 312. e MARTINI, R., Mandato nel diritto romano,
in Enc. giur. Digesto, 1967, p.199.
14
Per uno studio approfondito dei contratti, GROSSO, G. Il sistema romano dei contratti,
cit. pp.1 ss.
9
Le origini dell’istituto: ius gentium o ius civile?
Uno dei problemi che da sempre è stato più discusso in dottrina è
quello delle origini del mandato.
Valga innanzitutto una premessa che, qualunque sia la soluzione data,
è degna di rilievo
15
: troviamo nel diritto romano una serie di istituti
destinati a realizzare una gestione per conto di altri; l’agire
nell’interesse altrui, pur escludendo la rappresentanza diretta, che
sempre è stata estranea al diritto romano, era infatti ben presente al
pensiero degli antichi
16
.
Difficile è stabilire i rispettivi confini; alcuni infatti trovano le loro
origini nei rapporti sociali dei quali l’ordinamento giuridico cittadino
non si occupava esplicitamente, considerandoli propri
dell’organizzazione familiare
17
; altri sono sorti da relazioni
commerciali come istituti del ius gentium, valevoli cioè nei rapporti
tra romani e stranieri, ma successivamente adottati nei rapporti tra
romani; altri ancora sono stati posti in essere dal diritto pretorio per
situazioni limitatissime e poi portati dalla giurisprudenza a nuove
applicazioni
18
.
Da ciò deriva innanzitutto un’oscillazione della terminologia ma,
soprattutto, la “refrattarietà” delle nostre fonti agli sforzi di chi
vorrebbe ad ogni costo introdurvi concetti univoci e reciprocamente
impermeabili, tali da evitare ogni interferenza ed intreccio. E’
opportuno dunque “abituarci a fare i conti con cerchi le cui
circonferenze si intersecano, per modo che certi settori sono
15
ARANGIO RUIZ, V. Il mandato in diritto romano, cit., pp.1.
16
Come è documentato dalle commedie di Plauto, nelle quali, a proposito dell’incarico dato
per l’acquisto di uno schiavo, viene adoperato correntemente il verbo mandare e persino il
participio sostantivato mandatum. WATSON, A. Contract of mandate in roman law, cit ,
pp. 11.
17
E’ il caso dell’antica figura del procurator, prima derivazione del servus actor.
18
La vera e propria gestione d’affari e il procurator ad litem.
10
appartenenti a più d’uno. E’ questo d’altronde un fenomeno che nel
diritto romano classico, risultante dal reciproco aggiustamento di tanti
e diversi sistemi di norme, è ben più frequente di quel che
generalmente si creda”
19
.
Fatta questa premessa, si passa all’analisi delle due opinioni
principali,
20
la prima che fa capo ad Arangio Ruiz, la seconda a
Watson.
La dottrina maggiomente seguita
21
ritiene il mandato un istituto del ius
gentium: si basa sulla considerazione che gli altri contratti
consensuali, compravendita, locazione e società, hanno trovato
riconoscimento e tutela giudiziale nell’ambito del ius gentium e,
pertanto, anche l’origine del mandato deve ricollegarsi alle esigenze
del commercio internazionale, sviluppatosi sempre più intensamente
tra romani e peregrini dal terzo secolo a.C. La loro protezione
giudiziaria si è perciò avuta in un primo momento davanti al pretore
peregrino, che appunto inter cives et peregrinos ius dicebat
22
: solo
posteriormente i contratti in questione sono stati accolti nei rapporti
fra romani e protetti nel tribunale del praetor urbanus, onde si è
parlato di ricezione del ius gentium nel civile
23
.
L’esplicito riferimento alla fides bona contenuto nell’intentio delle
formule dell’actio mandati, come in quella delle formule degli altri
contratti consensuali, non lascerebbe dubbi sul fatto che le parti si
vincolano non sul piano del ius civile, ma su quello della lealtà e della
correttezza commerciale, sul piano, in buona sostanza, di quella fides
19
ARANGIO RUIZ, V., Il mandato in diritto romano, cit. p. 2
20
La ragione fondamentale del distinguere tra ius civile e ius praetorium sta nell’elemento
formale (GROSSO, G., Il sistema romano dei contratti, cit. pp. 80 ss.), al fine di cogliere il
sistema romano nella sua organica individualità storica ( GROSSO, G., Il sistema romano
dei contratti, cit., pp. 268 ss.).
21
Secondo Provera è quella di Arangio Ruiz,PROVERA, G., Mandato, cit. p.312.
22
ARANGIO RUIZ, V., Il mandato in diritto romano, cit. pp 45 ss.
23
cfr. anche VOCI, P., La dottrina romana del contratto, Milano 1946, p.165.
11
bona che deve necessariamente presiedere alle relazioni tra soggetti
appartenenti ad ambienti giuridici diversi, di quelle esigenze di lealtà
senza le quali non possono sussistere relazioni commerciali fra uomini
di popoli diversi
24
.
La connessione del mandato con l’allargarsi dell’attività dei
commercianti romani nel campo internazionale e con il conseguente
moltiplicarsi di reciproci servigi fra commercianti romani e stranieri è,
d’altra parte, non meno evidente che per gli altri contratti consensuali.
Nel momento in cui i commerci e i traffici hanno assunto maggiori
proporzioni, era inevitabile sia che i romani comprassero da mercanti
stranieri e che eventualmente vendessero loro la parte della loro
produzione in eccedenza sulla domanda italiana (per esempio olio e
vino), sia che uomini di diverse città dovessero necessariamente
associarsi a fini di commercio non potendo fare a meno di stringere
con stranieri convenzioni comprese nella vasta casistica della locatio
conductio.
In questo panorama è naturale che si sia conferito incarico al
mercante, incontrato occasionalmente, di procurare questa o quella
merce preziosa, reperibile in altra piazza nella quale egli stava per
recarsi, mentre non aveva interesse ad andarvi il committente
25
.
A questa interpretazione si oppone quella che vuole l’origine
dell’istituto prettamente romana
26
: il mandato infatti avrebbe trovato
protezione e tutela nell’ambito del ius civile sul presupposto della
esistenza tra le parti di particolari legami o doveri. Il che significa che,
ancora prima di tale riconoscimento, il vincolo tra mandante e
mandatario, che impegnava quest’ultimo a compiere gratuitamente un
24
Così anche GROSSO, G., Il sistema romano dei contratti, cit., pp. 159 ss.
25
ARANGIO RUIZ, V. Il mandato in diritto romano, cit. p. 46.
26
WATSON, A., Contract of mandate in roman law, cit. pp.18 ss.
12
qualcosa a favore del primo, sarebbe stato operante sul piano del
costume e della morale sociale, non su quello del diritto
27
.
Il contratto vero e proprio sarebbe sorto perciò nel momento in cui, in
seguito alla sua attrazione nelle sfere del diritto, il dovere morale di
eseguire l’incarico affidato da un amico si trasformò in un obbligo
giuridico, assunto sempre gratuitamente dal mandatario, mentre il
mandante si impegnava a sua volta, sullo stesso piano, a rifondergli le
spese e a risarcirgli i danni, eventualmente sofferti per il compimento
dell’affare.
Watson contesta due punti fondamentali della costruzione
dell’Arangio-Ruiz: innanzitutto sottolinea che, mentre nessun testo
attribuisce il mandato al ius gentium,
28
sono numerosi quelli che lo
fanno per gli altri tre contratti consensuali.
Poiché alcuni autori
29
ritengono la consensualità come una
conseguenza dell’essere un contratto proveniente dal ius gentium per
Arangio Ruiz l’inclusione del mandato fra i contratti consensuali è di
per se stessa decisiva e sufficiente per poter affermare la derivazione
dal ius gentium anche del mandato come degli altri istituti.
Per rispondere a questa osservazione, Watson precisa che è incerto se
la formula ius gentium fosse sempre stata utilizzata per intendere che
gli istituti in questione si siano presentati nelle corti del praetor
peregrinus.
Anche se talvolta è stata usata in questo senso, l’espressione spesso
indica solo che l’istituto in questione era aperto a tutti, romani e non
romani.
Watson si appoggia ad alcuni passi per sostenere la propria teoria, per
27
D. 17, 1, 1, 4, “ ... originem ex officio et amicitia trahit”.
28
WATSON, A., Contract of mandate in roman law, cit. p. 18.
29
ARANGIO RUIZ, V., Il mandato in diritto romano, cit. pp. 48 ss.
13
affermare, non solo, come il mandato rimanga sempre escluso dagli
elenchi dei contratti di ius gentium ma anche come non sia vero che la
consensualità derivi dal fatto che un istituto sia sorto nell’ambito del
diritto delle genti. Il primo testo è Gai III, 93: “Sed haec quidam
verborum obligatio, dari spondes? Spondeo propria civium
Romanorum est, ceterae vero iuris gentium sunt; itaque inter omnes
homines, sive cives romanos sive peregrinos, valent…”. Senza entrare
nella questione se questo testo significhi che originariamente le
stipulazioni fatte senza la formula del dari spondes? Spondeo fossero
invalide tra cittadini romani, ma avessero forza solo nelle corti del
pretore peregrino (cosa che è molto dubbia), si potrebbe dire che il
testo privi di molta della sua forza uno dei passi sui quali Arangio
Ruiz basa il proprio convincimento, D. 19, 2, 1: “Locatio et conductio
cum naturalis sit et omnium gentium, non verbis sed consensu
contrabitur, sicut emptio et venditio”. Infatti in Gai III, 93 abbiamo un
contratto che non è consensuale, ma verbale ed è stato dichiarato
tuttavia appartenente al ius gentium. Infine non bisogna dimenticare il
passo D. 2, 14, 7pr (Ulpian. 4 ad ed.): “Iuris gentium conventiones
quaedam actiones pariunt, quaedam exceptiones. 1. Quae pariunt
actione, in suo nomine non stante, sed transeunt in proprium nomen
contractus: ut emptio venditio, locatio conductio, societas,
commodatum, depositum et ceteri similes contractus. ” Stando al
regime del testo dobbiamo aggiungere alla lista dei contratti del ius
gentium il comodato e il deposito, nessuno dei quali è un contratto
consensuale.
Ancora una volta si nota come solo il mandato è stato omesso dalla
lista dei contratti del ius gentium che menziona gli altri tre istituti.
14
Watson cita infine alcuni testi
30
in cui si legge che accepilatio, traditio
e occupatio sono propri del ius gentium; appare quanto meno
improbabile che tali passi vogliano affermare che questi istituti furono
per primi riconosciuti dal praetor peregrinus.
L’ultima interessante osservazione mossa da Watson nei riguardi di
Arangio Ruiz riguarda i testi sui quali ha basato le proprie
argomentazioni; infatti, delle tre fonti citate, quella che si riferisce alla
società non fa della consensualità una conseguenza della provenienza
dal ius gentium. Le altre due, relative alla vendita e al nolo lo fanno,
ma è indicativo che siano dello stesso autore.
Il fatto che la teoria di Paolo circa il collegamento tra contratti e ius
gentium non sia condivisa dagli altri giuristi emerge evidente dai testi
prima citati;
31
Paolo sembra pensare che solo i contratti consensuali
fossero propri del ius gentium mentre la visione di Gaio e di Ulpiano è
più ampia e completa.
Il secondo punto che viene fortemente messo in discussione da
Watson è quello che riguarda la derivazione del mandato dall’attività
commerciale.
L’autore ritiene che questa considerazione non sia così convincente.
Perchè, si chiede,
32
è inevitabile che un mercante dia ad un altro, in
un’altra città, mandato per comperare beni per lui? I mercanti fra
l’altro “are not philanthropists” e vorrebbero avere una ricompensa
per i loro servizi. Anche se, all’occasione, uomini d’affari hanno
operato in questo modo è difficile che questa evenienza fosse così
frequente da far sì che il praetor peregrinus ne prendesse nota.
Si potrebbe obiettare che il mercante mandante avrebbe potuto
30
D. 46, 4, 8, 4 e D. 41, 1, 9, 3
31
cfr. anche D. 18, 1, 1, 2(Paul 35 ad ed.) “Est autem emptio iuris gentium, et ideo
consensu peragitur.”
32
WATSON, A., Contract of mandate in roman law, cit. pp. 20 ss.
15
ricambiare il servizio del mandatario con un altro equivalente e questo
potrebbe spiegarne, apparentemente, la gratuità.
L’argomentazione, tuttavia, è scarsamente valida. Non ci sono testi
nelle fonti ai quali, con certezza, possano essere ascritti casi di un
mercante che dia in una città, ad un altro mercante, mandato di
comprare per lui in altro luogo e questo è un argomento convincente
che raramente è stato così usato.
Inoltre è unanimemente accettato che la vendita sia stata riconosciuta
prima del mandato e un modo assai più probabile per il mercante in
Roma di risolvere il suo problema, quando si presentava, era di dire al
mercante in Napoli, dove il vino era in quel momento più economico,
se poteva comprargliene ad un prezzo leggermente più alto rispetto a
quello di mercato, ma più basso rispetto a quello corrente a Roma.
Così entrambi i mercanti avrebbero potuto trarre un profitto dalla loro
transazione. In alternativa sarebbero potuti entrare in una società di
vario tipo, dato che la società è probabilmente più antica del mandato.
In entrambi i casi tutti e due sarebbero stati obbligati nei confronti
dell’altro.
Nessun mercante avrebbe chiesto ad un altro di agire gratuitamente
nel proprio interesse, prima che il mandato fosse introdotto, non
avendo così alcun rimedio, quando agendo come sopra egli avrebbe
potuto avere le azioni corrispondenti alla vendita o alla società.
Conseguentemente un’agire non legale è assai più probabile che si
rinvenga fra amici o parenti, che non tra uomini d’affari rivali.
Watson, riconfermando la sua interpretazione, ritiene dunque che il
mandato non fosse per nulla un contratto di tipo commerciale, anche
se in quell’ambito fu usato.