differenza di quanto previsto dalle procedure di estradizione, si
svolge interamente a livello giurisdizionale. Viene in tal modo
eliminata la fase politico-amministrativa che caratterizzava la
procedura di estradizione e che la rendeva lenta e difficoltosa da
attuare. Inoltre, la decisione quadro prevede deroghe a principi
universalmente applicati in materia estradizionale, quali ad
esempio quelli della doppia incriminazione e di specialità
3
.
Il mandato d’arresto europeo costituisce la prima
concretizzazione del principio del reciproco riconoscimento delle
decisioni giudiziarie tra Stati membri nel settore del diritto
penale. La necessità di attuare il principio del mutuo
riconoscimento anche in tale campo
4
, avvertita dall’Unione per la
prima volta nell’ambito del Consiglio di Cardiff del 1998, e poi
ribadita nel corso del Vertice di Tampere (15 e 16 ottobre 1999),
muove dall’esigenza di facilitare la cooperazione fra le autorità
attraverso la creazione di uno spazio di libera circolazione delle
3
Sul tema si veda A. BARAZZETTA, I principi di specialità e doppia incriminazione: loro
rivisitazione nel mandato d’arresto europeo, in Mandato d’arresto europeo e garanzie
della persona, a cura di M. PEDRAZZI, Milano, 2004, p. 91 ss.
4
Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie si è da tempo affermato
nella Comunità europea al fine di garantire la libertà di circolazione di merci, persone,
servizi e capitali, attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia nota come “Cassis de
Dijon”. Si tratta della sentenza del 20 febbraio 1979, nella causa 120/78 (Rewe-Zentral), in
Racc., p. 1923. In questa causa la Corte ha sancito il principio per cui un prodotto
legalmente fabbricato e immesso sul mercato in uno Stato membro della Comunità deve
essere accettato negli altri Stati membri.
2
decisioni giudiziarie, per far sì che possano essere realizzati gli
obiettivi prefissati dal Trattato sull’Unione europea, ed in
particolare quello concernente la conservazione e lo sviluppo
dell’Unione quale spazio di libertà, sicurezza e giustizia
5
. Il
perseguimento di tale obiettivo implica che sia posta in essere
dagli Stati membri un’efficace opera di prevenzione e repressione
della criminalità, al fine di compensare il “deficit di sicurezza”
che trae origine dall’abolizione degli ostacoli alla libera
circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali.
Oggetto del presente lavoro è il mandato d’arresto
europeo, al fine di mettere in luce i contenuti della decisione
quadro 2002/584/GAI e di fornire una rappresentazione di come
l’Italia abbia dato attuazione nel proprio ordinamento giuridico
alle disposizioni in essa contenute. In tale analisi occorre
innanzitutto tenere presenti due punti di riferimento: lo spazio
giudiziario europeo e l’estradizione. Infatti, il mandato d’arresto
europeo costituisce un’alternativa semplificata all’estradizione,
realizzata in attuazione dello spazio giudiziario europeo.
A tal fine, nel capitolo primo verrà descritta l’evoluzione
5
Cfr. art. 2 TUE.
3
che ha investito gli strumenti della cooperazione giudiziaria in
materia penale, mettendo in luce i principali motivi che hanno
spinto l’Unione europea a favorire i processi di snellimento delle
procedure di ricerca e di consegna delle persone sottoposte a
restrizione della libertà personale a fini penali. Sarà pertanto
descritta la base giuridica della collaborazione degli Stati membri
nei settori della giustizia, fornendo una visione della costruzione
europea fino alla decisiva trasformazione di essa, avvenuta con il
Trattato di Amsterdam, concluso nel 1997 ed entrato in vigore il
1° maggio 1999. Verrà inoltre sottolineata l’importanza del
Vertice europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, le cui
conclusioni hanno posto le basi per l’adozione di nuovi e più
incisivi strumenti di cooperazione giudiziaria, tra cui il mandato
d’arresto europeo.
Nel capitolo secondo verrà esaminato il tradizionale
strumento di ricerca e consegna delle persone che si sottraggono
alla giustizia, consistente nella estradizione. Si parlerà della
disciplina predisposta in tale materia dal principale strumento
convenzionale elaborato in seno al Consiglio d’Europa, la
4
Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957
6
, di
alcune innovazioni in materia, introdotte dalla Convenzione
europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977 e
dalla Convenzione di applicazione degli accordi di Schengen del
19 giugno 1990
7
, nonché dei tentativi posti in essere dal
Consiglio dell’Unione di semplificare la relativa procedura, con
la Convenzione di Bruxelles del 10 marzo 1995
8
e con la
Convenzione di Dublino del 27 settembre 1996
9
.
Oggetto del capitolo terzo sarà la decisione quadro
2002/584/GAI. Sarà messa in luce la particolare natura di questo
strumento e i motivi che stanno alla base della scelta del
Consiglio GAI di utilizzare questo particolare atto normativo per
disciplinare il nuovo strumento di cooperazione giudiziaria. Una
volta viste le tappe del percorso relativo all’adozione della
decisione quadro, verranno esaminate le relative disposizioni,
con particolare riguardo agli elementi più innovativi che rendono
6
Ratificata e resa esecutiva in Italia con l. 30 gennaio 1963, n. 300, in G.U.R.I. n. 84 del 28
marzo 1963.
7
Ratificata dall’Italia con l. n. 388 del 30 settembre 1993. Il testo della Convenzione è
pubblicato in G.U.C.E. n. L 239 del 22 settembre 2000, p. 19.
8
Convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri
dell’Unione europea, adottata il 10 marzo 1995 e pubblicata in G.U.C.E. n. C 78 del 30
marzo 1995, p. 1.
9
Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea, adottata il
27 settembre 1996 e pubblicata in G.U.C.E. n. C 313 del 23 ottobre 1996, p. 11.
5
la procedura del mandato d’arresto europeo diversa da quella
dell’estradizione. Inoltre, si darà un’idea delle reazioni suscitate
dall’adozione della decisione quadro nel mondo politico e
dottrinale, evidenziando le principali critiche sollevate sulla
relativa disciplina, e i pareri di coloro che, invece, confidano
nella natura garantistica del nuovo strumento di cooperazione
giudiziaria.
Nell’ultimo capitolo, infine, si parlerà della legge 22 aprile 2005,
n. 69
10
, che costituisce l’atto normativo attraverso il quale il
nostro ordinamento ha dato attuazione alla decisione quadro
2002/584/GAI. Verranno descritte le fasi del travagliato iter
parlamentare che ha condotto all’approvazione della legge e sarà
analizzata la disciplina di attuazione. L’analisi sarà condotta alla
luce dei rilievi critici di cui tale legge è stata oggetto, ed inoltre
attraverso l’esame delle prime decisioni giurisprudenziali in
materia.
10
Pubblicata in G.U.R.I. n. 98 del 29 aprile 2005.
6
CAPITOLO PRIMO
IL QUADRO DELLA COOPERAZIONE
GIUDIZIARIA PENALE NELL’UNIONE
EUROPEA
1.1 Premessa
Il mandato d’arresto europeo, nuovo strumento di
cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri
dell’Unione europea, si innesta nel solco di un percorso in atto da
alcuni decenni, e nell’ambito del quale si è andati incontro, nel
tempo, a notevoli sviluppi.
Ciò che emerge dall’analisi di tale contesto è che alla base
della tensione verso il continuo miglioramento e la più piena
realizzazione della cooperazione nel settore del diritto penale vi
7
sono, fondamentalmente, due esigenze, entrambe avvertite dagli
Stati membri.
Innanzitutto, la cooperazione giudiziaria penale ha come
obiettivo quello della lotta alla “criminalità transnazionale”. È,
infatti, un’osservazione ricorrente quella che le frontiere sono
cadute per i criminali ma non anche per la polizia e per le autorità
giudiziarie
11
. In effetti, la realtà giudiziaria testimonia come siano
sempre più frequenti i reati che interessano più Stati e i
procedimenti penali che richiedono il compimento di atti
all’estero. Si tratta di un fenomeno che trae origine dal
consolidamento dell’integrazione nei più importanti settori
istituzionali, e segnatamente dall’abolizione degli ostacoli alla
libera circolazione. L’abbattimento delle frontiere per la
circolazione delle persone e dei beni, ed il sostanziale
annullamento delle distanze, hanno fatto sì che la criminalità
organizzata potesse muoversi disinvoltamente tra diversi Stati;
viceversa, per gli apparati di polizia e per quelli giudiziari le
frontiere hanno continuato a costituire ostacoli rilevanti, che
11
In tal senso G. LATTANZI, La nuova dimensione della cooperazione giudiziaria, in
Documenti giustizia, 2000, n. 6, p. 1037.
8
generalmente ritardano e a volte addirittura bloccano le indagini.
È dunque proprio per questo motivo che la lotta alla “criminalità
transnazionale” costituisce un’esigenza imprescindibile per
l’Unione europea, al fine di evitare che il crimine organizzato
possa continuare a sfruttare le diversità presenti nei sistemi
giuridici dei vari Stati membri. Si è resa quindi necessaria, a
latere delle politiche economiche, un’azione tesa ad assicurare
una protezione uniforme ed effettiva contro la criminalità
organizzata.
In secondo luogo, si può rilevare come a muovere l’azione
dell’Unione in questo settore non sia solo la logica delle misure
compensative, vale a dire delle misure destinate a colmare il
“deficit di sicurezza” correlato alla caduta dei controlli alle
frontiere
12
. In effetti, l’obiettivo degli Stati membri – così come
si è delineato nell’ambito delle esperienze di cooperazione
maturate dagli anni ’70 ad oggi – riveste caratteri più generali, e
si configura come volontà di realizzare una vera e propria Unione
12
Cfr. L. SALAZAR, La cooperazione giudiziaria in materia penale, in Giustizia e affari
interni nell’Unione europea. Il “terzo pilastro” del Trattato di Maastricht, a cura di N.
PARISI e D. RINOLDI, Torino, 1996, p. 133 ss. Sul punto l’Autore ritiene che un tale
approccio potrebbe rischiare di apparire eccessivamente limitativo, in quanto non terrebbe
in conto adeguato le esperienze in tema di cooperazione giudiziaria in materia penale tra gli
Stati membri maturate precedentemente agli accordi di Schengen. Su tali accordi v. infra,
pp. 15-16.
9
politica fondata su una comunanza di intenti e di azione in
materia penale e di politica criminale.
Tuttavia, se da un lato appare evidente come gli Stati
membri abbiano rivolto un’attenzione sempre crescente nei
confronti di queste tematiche, dall’altro lato è necessario tenere
in debita considerazione gli ostacoli che, purtroppo, continuano a
frapporsi in tale percorso. Tali ostacoli derivano dal fatto che nel
settore del diritto penale si fa notevolmente sentire il
nazionalismo giuridico, poiché si tratta di un campo che
costituisce rilevante espressione della sovranità statale. Infatti,
come è noto, l’esercizio del potere punitivo repressivo è
tradizionalmente considerato l’estrinsecazione massima del
principio di sovranità di ogni singolo Stato
13
. Pertanto, la
creazione di uno spazio giudiziario, e non solo giuridico, europeo
comporta, inevitabilmente, da parte di ogni Stato, una parziale
rinuncia al principio di sovranità. A ciò si aggiunga che
all’effettiva possibilità di una regolamentazione del settore a
13
La Commissione ha infatti puntualizzato in talune occasioni che il diritto penale “è una
materia che non entra nella sfera di competenza della Comunità, ma appartiene ad ogni
Stato membro” (Commissione delle CE, VIII Rapporto sull’attività, 1974).
10
livello sovranazionale osta l’obiettivo contrapporsi, nei diversi
Stati membri, di differenti concezioni e filosofie di intervento.
Premesse tali considerazioni, l’analisi dello sviluppo della
cooperazione giudiziaria in materia penale sarà svolta nel quadro
di alcune tappe fondamentali che rappresentano importanti punti
di riferimento rispetto agli sviluppi che hanno condotto fino
all’adozione della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al
mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati
membri.
1.2 Le origini dello “spazio giudiziario europeo”: dal
Consiglio europeo di Bruxelles al Trattato di
Maastricht
I primi passi verso la realizzazione di una comunanza di
intenti e di azioni in materia penale e di politica criminale sono
stati mossi negli anni ’70, quando l’emersione di alcuni diffusi
problemi di sicurezza interna ha evidenziato la necessità di una
risposta concertata da parte degli Stati membri, pur non
11
esistendo, nell’ambito delle Comunità europee, strutture adatte ad
intraprendere un’azione collettiva in tale settore.
L’attivazione di una cooperazione di questo genere nasce
dall’idea della creazione di uno “spazio giuridico europeo”,
lanciata dal presidente francese Giscard d’Estaing in occasione
del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo tenutosi a
Bruxelles nel 1977
14
. Sorgeva così il progetto di aprire un
capitolo nuovo, e non contemplato dal sistema comunitario allora
esistente, nelle relazioni tra gli Stati membri della Comunità.
L’aspirazione dichiarata in tale occasione era quella
dell’affiancamento di una nuova dimensione a quella puramente
economico-commerciale dei Trattati istituitivi delle Comunità
europee. Accanto ad un “mercato comune” doveva essere
costruito uno “spazio giudiziario”: cadute le frontiere nel primo,
si dovevano far cadere anche le frontiere nel secondo, superando
così, dopo quello commerciale, il “protezionismo” giuridico e
14
La dichiarazione fatta in tale occasione precisava, tra l’altro, che “Les traités de Paris et
de Rome ont jeté les bases d’un espace economique, le Marché commun, et aussi d’un
espace commercial […]. La construction de l’Europe devrait s’enrichir d’un nouveau
concept, celui de l’espace judiciaire. Je suggère donc que, par l’adoption d’une convention
d’extradition automatique assortie des garanties appropeiées pour les cas de crimes
particulièrement grave, quels qu’en soient les mobiles, les Neuf mettent en place le premier
élément d’un espace juridiciare unique”. Si veda la dichiarazione di Giscard d’Estaing in
CRABIT, Recherches sur la notion d’espace judiciaire européen, Bordeaux, 1988, p. 1.
12
giudiziario. È stato rilevato come, in quel momento, l’esigenza
ispiratrice fosse prima di tutto quella di impedire che le frontiere
costituissero un vantaggio per la criminalità, soprattutto per
quella terroristica, in quanto occasione di rifugio in paesi diversi
dal proprio: la dimensione prioritaria era, dunque, quella penale.
Ciò è testimoniato dal fatto che Giscard d’Estaing proponeva,
quale primo passo verso l’auspicato “spazio giudiziario
europeo”, l’adozione di una convenzione di estradizione
“automatica”
15
.
Tuttavia, i primi tentativi di cooperazione in campo penale
furono segnati da scarsi risultati sul piano pratico, poiché i lavori
sfociarono in un affastellarsi di gruppi operativi a vari livelli
16
. Si
trattava di iniziative dalle quali non derivava alcuna norma, né
precisi impegni di carattere giuridico. Il metodo seguito era di
carattere intergovernativo, ed inoltre i processi decisionali erano
dotati di scarsa trasparenza, poiché la Commissione risultava, in
15
R. ADAM, La cooperazione nel campo della giustizia e degli affari interni: da Schengen
a Maastricht, in Riv. dir. eur., 1994, n. 2, p. 225 ss.
16
Nonostante il Trattato di Roma non fornisse alcuna base giuridica per la loro creazione,
vennero ugualmente poste in essere una serie di strutture ad hoc, quale ad esempio il
gruppo TREVI. TREVI è l’acronimo di “Terrorism, Radicalism, Extremism et Violence
International”. Tale gruppo era inizialmente limitato al problema del terrorismo, ed ha
successivamente esteso la propria competenza alle questioni di ordine pubblico, alla grande
criminalità ed al traffico di droga.
13
taluni casi, del tutto esclusa. L’unico prodotto di rilievo di quei
primi anni fu l’accordo di Dublino del 4 dicembre 1979, relativo
all’applicazione tra gli Stati membri della Comunità della
Convenzione europea di Strasburgo del 27 gennaio 1977 per la
repressione del terrorismo. Tale accordo mirava a facilitare
l’adozione della Convenzione del Consiglio d’Europa da parte di
quegli Stati membri che non ne erano parti
17
.
Gli anni seguenti furono segnati da una battuta di arresto
delle iniziative riguardanti la cooperazione penale fra gli Stati
membri: il dibattito sul punto riemerse solo nella metà degli anni
ottanta, quando l’adozione dell’Atto unico europeo del 1986
contribuì alla ripresa effettiva dell’attività degli Stati membri in
questo campo.
Con l’Atto unico europeo si è assistito
all’istituzionalizzazione della cooperazione politica europea
18
;
ciò ha fatto sì che le iniziative in materia di cooperazione penale
potessero trovare un quadro di riferimento capace di
17
F. MOSCONI, L’accordo di Dublino del 4 dicembre 1979, le Comunità europee e la
repressione del terrorismo, in Leg. pen., 1986, p. 543 ss. Per il testo dell’accordo si veda
Boll. CE, 12/79, p. 99 ss.
18
Si tratta, come è noto, del titolo III dell’Atto unico europeo, contenente disposizioni sulla
cooperazione europea in materia di politica estera, e composto da un solo articolo (art. 30).
14