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che per la loro imprevedibilità e conseguente inopportunità. Inol-
tre le implicazioni sociali dell’essere affetto da e. sono di notevole
spessore : per disinformazione, disinteresse o trascuratezza degli
altri, il soggetto che ha presentato crisi, trova ostacoli
nell’integrazione nella scuola, nel lavoro e nella realizzazione dei
suoi diritti civili, aspetto, questo, che verrà ampiamente analizzato
nella parte dedicata a “ Medicina e morale “. L’e. esordisce nei
due terzi dei casi in età pediatrica, ed è noto che, in alcuni casi,
tanto più precoce è l’esordio della malattia, tanto peggiore è la
prognosi, poiché nell’età pediatrica l’e. ha particolari conseguenze
in quanto viene a colpire un sistema nervoso in via di sviluppo.
La malattia non si limita a provocare le crisi ma viene ad incidere
anche sullo sviluppo psicomotorio del soggetto con possibilità di
ritardi intellettivi e deficit motori. Le terapie anticonvulsivanti di-
sponibili hanno spesso un’azione sedativa a latere e quindi posso-
no esercitare un effetto negativo sull’apprendimento e sul compor-
tamento. Nell’adulto, come nel bambino, può manifestarsi un
tipo di e. in forma sia generalizzata che parziale ed il primo pro-
blema è sempre nella diagnosi precoce e nell’adattamento terapeu-
tico ottimale. La causa più comune dell’e. è la patologia anossi-
ca perinatale, che comprende tutte le alterazioni
dell’ossigenazione cerebrale, che possono verificarsi subito prima
o durante il parto e questa patologia è responsabile di circa metà
delle e. esordite prima dei quindici anni. La predisposizione co-
stituzionale è determinata geneticamente, ed è alla base delle epi-
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lessie idiopatiche generalizzate e localizzate ma la moderna epi-
stemologia ha sgomberato completamente il campo dal concetto di
ereditarietà della sindrome epilettica, introducendo però, cauta-
mente quello di familiarità. Anche i pregiudizi nei confronti del
soggetto epilettico, come vedremo dai videata dell’AICE, appaio-
no fortunatamente in riduzione: l’ottanta per cento della popola-
zione, da studi recenti, appare favorevole a che il proprio figlio
giochi con bambini affetti da epilessia ed il settanta per cento si
dichiara favorevole ad un inserimento dell’epilettico nel mondo
del lavoro. Un altro dato confortante è che solo l’otto per cento
della popolazione considera tuttora l’e. come una forma di aliena-
zione mentale, oscuro retaggio di quella psichiatria positivistica
cui si farà cenno. L’e. è una sindrome cronica, che può durare
tutta una vita. Solo in sette casi su dieci la terapia o l’evoluzione
spontanea possono determinare la scomparsa delle crisi, anche se
bisogna sottolineare che una certa percentuale di malati non ri-
sponde alla terapia farmacologica, quota per la quale è prevista,
come ultima ratio, una terapia chirurgica mirata. Molto può es-
sere fatto, sia a scopo terapeutico, cioè identificando nuove cause
e sintetizzando nuovi farmaci più efficaci e con meno effetti colla-
terali, sia a scopo preventivo, soprattutto migliorando l’assistenza
ostetrica, perchè, come abbiamo già scritto, il quaranta per cento
dei casi da causa nota è indotto da ipossia cerebrale precoce ( en-
cefalopatia perinatale, asfissia, etc.).
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Parlando di patologie infantili, importante è anche la precoce di-
stinzione tra convulsione febbrile semplice benigna e convulsione
maligna, il che consente una riduzione dei ricoveri nelle prime
forme ( evitando così tutte le implicazioni psicosociali che un ri-
covero comporta ) ed una maggiore osservazione delle seconde,
ad evitare il ripetersi di stati di male febbrili, che possono portare a
gravi conseguenze, quali paralisi o lesioni cerebrali irreversibili.
Il momento diagnostico è quindi la fase più importante per la vita
futura del soggetto, ( impostazione terapeutica corretta, assunzio-
ne di tutte le misure volte a prevenire problemi psicosociali ed e-
marginazione ). Una particolare importanza deve essere data an-
che ad una adeguata assistenza psicoterapeutica del paziente epi-
lettico, per il quale fattori pregiudiziali e stigma sociale potrebbero
costituire momenti patogeni ben più determinanti delle stesse crisi.
Importante è poi sicuramente un’organizzazione multidisciplinare
del problema e. che consentirà un’attività di riabilitazione sociale
del malato proiettato verso il mondo della famiglia, della scuola e
del lavoro. Purtroppo, spesso il malato è considerato “non nor-
male” e viene così isolato dal resto della famiglia, che altre volte
invece assume un atteggiamento esageratamente iperprotezionisti-
co, accentuando quindi il senso di inadeguatezza psicologica in cui
lo stesso paziente vive. Tale retaggio negativo vive ancora oggi
nel XX Secolo : gli epilettici restano vittime di opinioni deterrenti
negative: ed è molto difficile per un epilettico trovare una sua col-
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locazione in una società ancora sottomessa a simili pregiu-
dizi.
Si tende ad escludere questi soggetti dalla scuola, dal servizio mi-
litare, da numerose carriere, etc. L’e. non è “di moda”, nè per
chi amministra la società, né per l’opinione pubblica : quando vie-
ne citata evoca fantasmi così negativi che né gli epilettici né gli al-
tri ne parlano volentieri. Eppure, si potrebbe indurre una crisi e-
pilettica in un qualsiasi soggetto normale, semplicemente sommi-
nistrando la giusta dose di sostanza convulsivante, poiché la crisi
epilettica, di per sé, non è altro che una modalità reattiva del cer-
vello ad adeguati stimoli endogeni ed esogeni. La “soglia epilet-
togena “ è variabile secondo i diversi individui e le scariche elet-
triche che si determinano in alcune cellule cerebrali, ( i neuroni )
possono essere in rapporto ad una rottura di equilibrio dei
neurotrasmettitori. La crisi epilettica rappresenta l’espressione e-
steriore della suddetta scarica elettrica abnorme che, peraltro, vie-
ne evidenziata solo all’E.E.G. Molte persone, in situazioni parti-
colari possono presentare una crisi epilettica che non acquista pe-
rò significato di “ malattia “ epilettica , ma solo di un sintomo
legato al fatto causale, unitamente al proprio livello di “ soglia epi-
lettogena “ , che consiste nella diversa facilità del cervello a reagi-
re a stimoli adeguati appunto con una crisi epilettica. Si parla in-
vece di “ malattia epilettica “ quando le crisi si ripetono in modo
spontaneo, con andamento cronico, più o meno frequentemente,
con diverse manifestazioni cliniche. Molto importante è la ma-
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niera in cui il paziente vive la propria condizione patologica, lega-
ta sia al dialogo che ha con il medico curante, sia al rapporto che
ha con il contesto socio - familiare. E’ necessario modificare
l’idea di e. nella collettività, la quale andrebbe adeguatamente in-
formata sulla realtà di questa malattia, evitando così di fare
dell’epilettico un handicappato invece di una persona che potrebbe
essere adeguatamente inserita in ogni ambito sociale. Questi ma-
lati non devono nè essere iperprotetti dalle loro famiglie nè tanto
meno respinti dal loro “entourage” e neanche vincolati da imposi-
zioni o regolamenti, o esclusi da ambienti di lavoro, ma al contra-
rio accettati per il meglio, poiché sono soggetti che possono e de-
siderano vivere una vita normale. Non ostante la drammaticità
delle sue manifestazioni, la malattia non limita la durata di vita e
può risultare mortale solo in una piccolissima percentuale di casi,
come quando la crisi determina una caduta improvvisa su un corpo
contundente o quando una crisi si sussegue all’altra con brevissi-
mo intervallo, tale da causare insufficienza respiratoria, e conse-
guente crisi cardiaca. Molte sono le manifestazioni cliniche con
cui può presentarsi : classica nella sua drammaticità è la crisi ge-
neralizzata, cosiddetta di Grande Male. In perfetto benessere e
sovente preceduta da un urlo, la crisi provoca la perdita di cono-
scenza in maniera brutale, e caduta a terra in uno stato di contra-
zione generalizzata di tutto il corpo, che assume talora atteggia-
menti grotteschi : le mascelle serrate, la respirazione bloccata.
Tale fase tonica ha una durata di dieci o venti secondi ed è seguita
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dalla fase clonica, della durata di trenta o quaranta secondi, nel
corso della quale il rilasciamento intermittente della contrattura
muscolare, comporta scosse generalizzate, brusche, intense ( con-
vulsioni ) che si diradano progressivamente, mentre compare la
cianosi, dovuta al blocco respiratorio. Infine c’è la fase stertoro-
sa, in cui a tratti e gradualmente ricompare la respirazione, che si
conclude con il coma post critico di durata variabile. Possono,
ma non obbligatoriamente, essere presenti morsicature della lingua
( poiché durante la contrazione, questa può essere presa tra i denti
) o perdita di urine : il paziente non ha alcun ricordo di quanto è
successo. Le crisi sono spesso precedute da segni premonitori :
sintomi vaghi ed aspecifici come cefalea, sensazione di malessere,
improvvisi cambiamenti di umore e di carattere, che a volte prece-
dono l’attacco di ore, tanto che alcuni pazienti riescono a prendere
alcune precauzioni. Tale sintomatologia prodromica va diffe-
renziata da un altro fenomeno del quale scriveremo ancora più a-
vanti, quello dell’ “ aura epilettica “ che consiste nell’insieme
delle sensazioni di brevissima durata ( due o tre secondi ) avvertite
dal paziente immediatamente prima che intervenga la perdita di
conoscenza. Tali sensazioni sono in genere identiche per lo stes-
so paziente ( sintomo - segnale ) e sono usualmente costituite da :
sensazione interna di calore e costrizione gastrica, sensazione di
vento ( quel vento che sapremo nominato dal fanciullo di Galeno )
un rumore, un lampeggio improvviso, etc.
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Per quanto riguarda la terapia epilettica, la scomparsa del sintomo
non deve essere il solo obiettivo : il medico deve saper ascoltare
il paziente e la sua famiglia, instaurando un colloquio psico - tera-
peutico e cercando di sdrammatizzare la situazione. Se è vero che
la regolarità della terapia è presupposto dell’efficacia della stessa,
insieme a quei consigli igienico - dietetici ( sonno e divieto di as-
sunzione di alcoolici ) si deve sottolineare l’importanza di condur-
re una vita normale, non ossessionata dal pensiero della malattia.
Il praticare uno sport, ad esempio, può aiutare a superare una ec-
cessiva dipendenza famigliare, a favorire un inserimento sociale, a
contribuire all’integrazione dell’epilettico nella vita. L’e. è una
malattia cronica del tutto simile a tante altre. Una volta accettata,
sgombrando il campo da pregiudizi, che sono sempre frutto di
ignoranza, può molto spesso consentire di condurre una vita nor-
male o quasi.
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