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fortuna; i giocatori hanno risposto positivamente con l’aumento
delle giocate e delle somme impiegate. Non è difficile, di questi
tempi, seguendo un telegiornale o sfogliando un quotidiano nei
giorni a ridosso delle varie estrazioni, apprendere di incassi record
o montepremi inusitati messi in palio, a volte accompagnati
dall’implicito invito a partecipare, informando sulla scadenza dei
termini e sulle modalità di gioco. Tutta l’Italia sembra percorsa
dalla febbre del gioco. In questo processo, non tutto è andato
sempre per il verso giusto, come si è potuto constatare in seguito
alla crisi che ha colpito le lotterie nazionali, dovuta a una contestata
estrazione della più famosa delle lotterie italiane, oppure la
vicenda di alcuni tagliandi delle lotterie istantanee che risultavano
vincenti per un errore di stampa. Nonostante gli incidenti di
percorso, le novità legate ai giochi hanno preso piede e si sono
saldamente affermate presso il pubblico, arrivando a toccare e
modificare anche il più tradizionale dei giochi italiani, il lotto. E’
proprio il lotto, con la sua storia secolare, a rappresentare la punta
5
di un iceberg di un fenomeno in espansione. I dati mostrano, in
maniera ineccepibile, come il lotto si collochi al vertice della scala
dei giochi in auge nel nostro Paese e come questo non abbia subìto
colpi d’arresto dai cambiamenti intervenuti negli ultimi tempi. E’
interessante constatare, infatti, come la tradizione sia passata
indenne e si sia rafforzata con le novità introdotte, a partire
dall’informatizzazione per finire con la doppia estrazione
settimanale, che le hanno dato una spinta propulsiva. A ben vedere,
le ultime variazioni non sono state le uniche nella storia del lotto,
ma esso ha subìto alterne vicende dalla sua introduzione ed è
arrivato sino ai giorni nostri, resistendo a polemiche roventi che nel
passato hanno visto protagonisti grandi figure di letterati, politici,
pontefici e sovrani. La prima parte di questa tesi riguarda, perciò,
l’evoluzione storica del gioco del lotto, mentre la seconda affronta
vari aspetti del gioco e riporta i risultati di una indagine da me
effettuata su un caso odierno, come quello del gioco nella città di
Salerno e il confronto di tali dati con quelli nazionali.
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7
PARTE PRIMA
8
I CAPITOLO
Le origini: il lotto a Napoli tra Sette ed Ottocento.
Il gioco del lotto fece la sua prima apparizione nella Repubblica di
Genova, verso la seconda metà del XVI secolo, quando si decise
che i cinque componenti del “Serenissimo Collegio” destinati a
sostituire quelli uscenti ogni sei mesi, dovessero essere sorteggiati
fra i centoventi candidati, ridotti poi a novanta, nominati da tutti i
cittadini.
I nomi venivano trascritti, imbussolati e infine inseriti in un’urna
per l’estrazione, chiamata “seminario”. I cittadini scommettevano
sui cinque nomi (similmente a quanto accade oggi con il cosiddetto
totoministri), dando vita in breve a un “Monte delle Scommesse”
che raccoglieva le giocate. Il governo cercò di scoraggiare il gioco
con varie sanzioni, ma nel 1642, vista l’inefficacia delle
disposizioni, decise di regolarizzarlo e di applicarvi un’imposta.
Con varie forme, come la concessione in appalto a privati, gioco
9
libero o monopolio governativo, il lotto si diffuse negli altri Stati
italiani e quindi anche a Napoli, dove arrivò nel 1682.
Questo gioco rappresentava una favorevole occasione per le casse
erariali di molti Stati, sulle quali gravava di solito il finanziamento
di logoranti campagne militari e, non a caso, a Napoli venne
introdotto all’indomani della guerra di Messina, che aveva
prosciugato i fondi del governo.
Dopo pochi anni, il lotto fu abolito, ma i napoletani continuarono a
giocare sulle estrazioni di altre città. Il danno procurato fece in
modo che il gioco fosse ripristinato nel 1712 e dato in appalto a
privati. Il lotto a Napoli diventò subito popolarissimo e attecchì
presso tutti gli strati della società cittadina, diventandone col tempo
un forte fattore di caratterizzazione culturale, tant’è che ancor oggi
si tende a identificarlo con la città stessa. Del resto, già era
presente, anche in altri Stati, un retroterra consolidato di lotterie
nazionali, giochi a premi ed altre forme di scommesse più o meno
legalizzate sul quale si innestava il nuovo gioco. Per esempio, nel
10
Quattrocento, in alcune città italiane, i vari governi promossero
lotterie “blanches”, che prevedevano la vendita di biglietti bianchi
perdenti o con un testo riportante il premio vinto, mentre a Firenze
nel 1530 si tenne la prima lotteria con premi in denaro
1
. A Napoli
le scommesse e i giochi d’azzardo erano praticati abitualmente nel
500 da soldati, marinai, mercanti e nobili facoltosi, ma solo in
luoghi appositi come castelli e quartieri militari, per evitare che
alcune categorie ritenute più vulnerabili rovinassero le proprie
sostanze. Un esempio era costituito dalle norme che vietavano la
partecipazione ai giochi ad ecclesiastici ed ai cosiddetti “figli di
famiglia”, ovvero i rampolli di ricche casate, che avrebbero potuto
impegnare il patrimonio familiare. Per questo motivo il lotto,
quando venne reintrodotto nel secondo decennio del XVIII secolo,
era ancora gravato dalla condanna morale che lo accomunava al
resto dei giochi d’azzardo. Nel 1727 arrivò anche la scomunica di
Benedetto XIII e così gli “ecclesiastici [...] non solamente non
giocavano più, ma consigliavano che, per non entrarsi in scrupolo,
1
Cfr. Macry, “Giocare la vita: storia del lotto a Napoli tra Sette ed Ottocento”, 1997.
11
conveniva non giocare”
2
. Ciò diede adito alla richiesta dei
concessionari del lotto di Napoli di abbassare il canone,
lamentando una caduta del numero dei giocatori. Il problema si
risolse per opera della stessa Chiesa che, nel 1731, con Clemente
XII, riammise la pratica del gioco. Sebbene il fenomeno delle
lotterie fosse comune nel 700, il lotto, nel suo processo di
diffusione, si configura come un gioco praticato dalle popolazioni
latine e meridionali, perché, come sostenne J. Durant de Saint-
André nel 1891, “les peuples du Midi sont, par tempérament,
extremament portés vers les jeux de hasard”
3
, oppure, come
scriverà più tardi Carlo Weidlich, perché: “La psiche napoletana e
siciliana è naturalmente tratta ad adorare l’imprevisto, il rischio e
l’avventura: quindi il giuoco del lotto incontra necessariamente le
simpatie dei meridionali”
4
. Queste tesi si possono inscrivere in una
corrente di pensiero etnografica che, basandosi sulla popolarità dei
giochi d’azzardo un tempo fortemente praticati in Paesi come
2
Citaz. Cont. in Macry, op.cit.
3
Citaz. Cont. in Macry, op.cit.
4
C. Weidlich, “La questione del lotto”, 1922.
12
Cuba, Brasile, Guatemala, Nicaragua, Colombia, Messico, nonché
in Spagna e in Italia, sostiene, per induzione, che il fenomeno sia
caratteristico di “popolazioni relativamente oziose”, costituendo
una “derisione del merito”, che deriva unicamente dal lavoro, dalla
concorrenza e dalla competizione insiti nel mondo capitalista, così
come dice in epoca contemporanea il sociologo R. Callois
5
. Tale
tesi potrebbe trovarsi in contraddizione con se stessa, qualora si
considerasse che la stessa sfida nei confronti del futuro, lo stesso
rischio di fallire nell’impresa di controllare variabili incerte, sono
elementi precipui del capitalismo, della finanza internazionale e
delle speculazioni borsistiche che compaiono proprio nel XVIII
secolo. Infatti, se si prendono in esame alcuni elementi del periodo
considerato, che vede la nascita del moderno capitalismo, non si
può non notare che le prime grandi imprese si affermano, o
falliscono, proprio in virtù di “scommesse”, vuoi sulla fertilità
delle colonie, vuoi sull’andamento dei prezzi oppure sull’esito di
conflitti militari. Del resto, la fortuna di famose compagnie di
5
Cfr. Macry, op.cit.; cfr. anche Imbucci, “Il gioco. Lotto, totocalcio, lotterie. Storia dei comportamenti sociali”, 1997.
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assicurazione, come i Lloyds di Londra, capitale di un Paese di
allibratori e bookmakers, fu procurata da scommesse vinte, per
esempio, contro i pericoli del mare affrontati dalle società di
navigazione. Lo stesso principio animava la concessione dei prestiti
in denaro che, in poco tempo, fece sorgere il moderno sistema
creditizio. E’ quindi in un contesto di forte mobilità monetaria e di
investimenti in operazioni rischiose da parte della borghesia
emergente che si colloca il successo delle varie lotterie. La sfida al
caso appare giustificata a livello sociale come possibile fonte di
progresso economico, ancorchè individuale. Su un altro versante, il
fenomeno è visto come uno strumento utile per finanziare, oltre le
guerre a cui si è accennato, anche l’accresciuta macchina
burocratica delle grandi monarchie e, considerato il gioco come un
fattore ineliminabile, lo Stato doveva “faire tourner au profit de la
chose publique une passion indestructible”
6
. Ciò spiega la ragione
del ricorso al monopolio governativo. Proprio in questa veste,
Carlo di Borbone nel 1735 riorganizzò il lotto napoletano, che già
6
Citaz.. Cont. in Macry, op.cit.
14
subiva la concorrenza di quello romano. Il gioco venne pertanto
anche incoraggiato: le estrazioni annuali aumentarono di numero
così come le ricevitorie, aperte “in luoghi lontanissimi, quasi ne’
confini del Regno affinchè non manchi ai giocatori il comodo di
prontamente giocare”
7
. Il lotto di Roma si allineò in pochissimo
tempo all’aumento delle estrazioni napoletane e la stessa cosa
accadde con l’aumento delle quote assegnate ai premi. Allo stesso
tempo, furono repressi i giochi di carte e dadi, le riffe e le lotterie
ambulanti, così come il “piccolo gioco”, ovvero il lotto clandestino,
che potevano rappresentare una forma di concorrenza nei confronti
del lotto o “Lotteria Regale”. Questa, invece, continuò a
diffondersi, lentamente ma progressivamente, fino al periodo del
dominio francese, quando il governo in carica decretò addirittura
l’apertura di ricevitorie lungo tutto il confine con lo Stato
Pontificio. Con il ritorno al potere dei Borbone, nel 1816, il lotto
conobbe il periodo di più grande popolarità, che perdurerà per tutto
l’inizio del XIX secolo, grazie anche alle normative che, nel 1818,
7
Citaz. Cont. in Macry, op. cit.
15
portarono a cadenza settimanale le estrazioni. Escluso questo
cambiamento, la macchina del lotto restò immutata, seguendo il
solco della tradizione, che, a Napoli, sembrava garantire le fortune
del gioco. Anche la più piccola innovazione, prima di essere
applicata, avrebbe dovuto ricevere il consenso popolare, altrimenti
si sarebbe potuti incorrere in forti manifestazioni di protesta, come
accadde, per citare un esempio, con la tentata introduzione di
un’urna di cristallo al posto di quella in uso, al fine di rendere
trasparente il momento dell’estrazione
8
. Di fronte al fallimento di
molti intenti di riforma, già nel 1827, lo stesso direttore
dell’azienda affermò ironicamente che “La lotteria si chiama noli
me tangere”
9
e, nel 1833, che “lo spirito di novità profuso dal
Governo Francese per correggere i nostri sistemi si arrestò alla
nostra Lotteria”
10
. Dunque il lotto aveva già assunto i connotati di
una radicata tradizione refrattaria alle novità, se quest’ultime non
godevano dell’approvazione dei giocatori. Ci volle lo
8
Cfr. Macry, op.cit.
9
Cfr. Macry, op.cit.
10
Cfr. Macry, op.cit.
16
stravolgimento politico dell’Unità d’Italia per interrompere questa
continuità: nel Settembre del 1860 con decreto dittatoriale,
Garibaldi abolì il gioco. Tre anni dopo, con Regio Decreto del 5
Novembre, n° 1534, il Governo Italiano dichiarò il lotto mantenuto
a vantaggio dello Stato, rendendo però più semplice la sua
organizzazione e razionalizzando l’apparato burocratico preposto.
Una serie di leggi regolamentò minuziosamente le giocate minime
e massime, il tipo di bollette su cui erano registrate, le assunzioni
per concorso del personale. Probabilmente, in questo modo si
voleva rendere evidente una volontà di riforma in ogni aspetto della
vita sociale che si rifaceva alla più generale politica piemontese. In
effetti, sulle prime si prevedeva di far scomparire il gioco, che,
nello stesso decreto richiamato, era considerato “temporaneamente
mantenuto”. Erano molte le riserve espresse sulla sua
reintroduzione, soprattutto da parte di intellettuali meridionali che,
proprio in quegli anni, si scagliavano contro il vizio del gioco,
ritenuto incompatibile con la nuova Italia, dando il via a frequenti
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dibattiti che si protrassero per lungo tempo. Sintomatico è il
discorso di Giustino Fortunato al Parlamento nel 1883: “innanzi
tutto, i simboli e l’apparato del giuoco, non dico già si dileguino,
ma che si attenuino il più che possibile; e lo spettacolo delle
estrazioni, in alcune grandi città, capoluoghi di dipartimento, in
Napoli soprattutto, spettacolo, al quale intervengono assessori
comunali e consiglieri di prefettura, riesca meno solenne, non fosse
che per la dignità dello Stato e la serietà del Governo”
11
.
Comunque, dopo le iniziali diffidenze e il ricorso al gioco
clandestino, i napoletani ripresero a praticare ciò che Matilde
Serao, osservando la realtà a lei contemporanea, definì “l’acquavite
di Napoli”.
11
Cont. in Macry, op.cit.