4
INTRODUZIONE
L’operatività di qualsiasi banca dipende dall’accettazione da parte del pubblico
delle proprie passività e dal rispetto degli impegni assunti verso i creditori. Per
far sì che ciò accada, l’intermediario bancario necessita di una permanente
condizione di liquidità, che richiede un’adeguata gestione dei movimenti
monetari in entrata e in uscita al fine di mantenere la fiducia da parte del
pubblico e la permanenza sul mercato.
La crisi finanziaria ha mostrato e continua a mostrare con quanta rapidità,
intensità e durata possa manifestarsi il rischio di liquidità e quali effetti esso
determini sulla stabilità degli intermediari e dell’intero sistema in condizioni di
generale incertezza nei mercati. Il presente lavoro analizza il ruolo assunto dal
rischio di liquidità durante la crisi e le tendenze gestionali in atto negli
intermediari bancari in relazione alla crisi e al processo di ri-regolamentazione in
atto.
Dopo aver definito i diversi aspetti del rischio di liquidità sopportato dalle
banche, il primo capitolo analizza il contesto di mercato e le carenze gestionali
che hanno preceduto lo scoppio della grande crisi del 2008, proseguita a livello
europeo con la crisi del debito sovrano. Le due principali risposte a tale
situazione sono state due: quella regolamentare, con al centro Basilea 3, e quella
dell’industria bancaria, con l’affinamento dei sistemi di liquidity risk
management.
Sebbene la crisi sia stata la conseguenza di molti fattori concomitanti, certamente
l’apparato regolamentare e di supervisione del settore finanziario non è stato in
grado di prevenire l’eccessiva dilatazione dei rischi o di impedire la trasmissione
delle tensioni finanziarie. Attraverso l’introduzione di regole quantitative, il
Comitato di Basilea mira a evitare che squilibri nella gestione della liquidità
possano mettere a repentaglio la stabilità del singolo intermediario e, soprattutto,
a ridurre le possibilità di contagio ad altri operatori.
Il secondo capitolo analizza le principali tecniche di misurazione, gestione e
5
controllo del rischio di liquidità in condizioni neutrali e non e la loro evoluzione
in seguito alla crisi finanziaria. Le aree su cui si è riscontrata una maggiore
evoluzione riguardano la conduzione delle prove di stress e il Contingency
Funding Plan. Per quanto concerne gli stress test, prima della crisi erano
considerati un mero esercizio teorico e venivano condotti in maniera scarsamente
strutturata e senza la dovuta integrazione tra le varie funzioni coinvolte.
L’inefficacia dello stress testing da un lato e l’evoluzione normativa dall’altro
hanno avviato un processo di affinamento delle prove di stress, mirato ad
attribuire a queste ultime un ruolo centrale all’interno del sistema di liquidity risk
management. Un analogo processo di affinamento sta interessando anche il
Contingency Funding Plan, che svolge un ruolo fondamentale nella gestione del
liquidity risk in situazioni di tensione. Un piano di emergenza strutturato e ben
definito consente infatti di guadagnare tempo in caso di crisi e di aumentare le
possibilità di sopravvivenza dell’intermediario. Avendo in mente il processo di
trasformazione delle scadenze svolto dalle banche, esse non possono detenere
riserve liquide tali da azzerare il maturity mismatch, pena il venir meno del loro
ruolo di intermediari all’interno del sistema economico. Qui entra in gioco il
piano di emergenza, che rappresenta una via intermedia tra le risorse liquide che
una banca dovrebbe mantenere in base alla propria tolleranza al rischio e le
risorse teoricamente necessarie per azzerare il mismatch delle scadenze.
Il terzo capitolo mira a fornire un quadro della situazione in cui si trovano
attualmente le banche europee: i livelli di redditività sono ai minimi da diversi
anni, il costo della raccolta è nuovamente aumentato a seguito della crisi del
debito sovrano e Basilea 3 influirà negativamente su entrambi gli aspetti appena
menzionati. In particolare viene analizzato l’impatto della crisi sulla redditività e
sul funding del sistema bancario italiano ed europeo sia sul mercato interno sia su
quello internazionale, mostrando le difficoltà attuali e i possibili scenari futuri.
Il presente lavoro si conclude con un’analisi empirica dello stato dell’arte in
materia di liquidity risk management nei principali gruppi bancari europei. Nello
specifico, si cerca di capire come si stanno rapportando i principali intermediari
6
europei sia alla crisi del debito sovrano sia all’imminente entrata in vigore di
Basilea 3, individuando i problemi attuali e le prospettive future della gestione
del rischio di liquidità.
7
1 IL RISCHIO DI LIQUIDITÀ NELLE BANCHE E LA CRISI DEI
MERCATI: ASPETTI GENERALI
1.1 Origini e caratteristiche del rischio di liquidità nella banca
Il mantenimento di condizioni di liquidità è un fattore fondamentale nella
gestione finanziaria di qualsiasi impresa; per la banca tale condizione è ancora
più importante per il ruolo assunto, singolarmente e come sistema bancario nel
suo complesso, nel garantire le condizioni di liquidità dell'intero sistema
economico
1
. L'intermediario bancario infatti svolge due funzioni fondamentali,
strettamente interdipendenti tra loro: attraverso la funzione creditizia trasferisce
risorse finanziarie dai soggetti in surplus, che dispongono di fondi in eccesso, a
quelli in deficit, che ne difettano; attraverso la funzione monetaria, invece, la
banca trasforma le proprie passività in moneta bancaria a disposizione del
pubblico per effettuare transazioni. È evidente che il pubblico è disposto ad
accettare la moneta bancaria solamente se ha fiducia nella capacità della banca di
onorare i propri impegni: in altre parole, le esigenze di liquidità della clientela si
trasferiscono sulle banche, che devono essere in grado di garantire la conversione
in moneta legale dei propri impegni. L'attività di intermediazione creditizia
avviene attraverso la cosiddetta “trasformazione delle scadenze”, ovvero la
trasformazione delle caratteristiche temporali delle risorse finanziarie raccolte: la
banca raccoglie risorse in forma di depositi presso il pubblico, tipicamente
rimborsabili a vista, ossia su richiesta del depositante, e li trasforma in attività
finanziarie solitamente meno liquide, come i prestiti; dal mismatch temporale tra
le passività, prevalentemente a breve termine, e le attività, maggiormente
orientate al lungo termine, potrebbe derivare l'impossibilità di onorare
tempestivamente un volume di richieste di rimborso inaspettatamente elevato
delle proprie passività; in alternativa la banca, per far fronte ai rimborsi, potrebbe
essere costretta a vendere un elevato volume di attività finanziarie, e quindi
1
M. ONADO (a cura di), La banca come impresa, Il Mulino, Bologna, 2004, pag. 321.
8
realizzare un prezzo inferiore al loro valore corrente di mercato
2
. Questi eventi
sono esempi di come può manifestarsi il rischio di liquidità: esso può essere
definito come l'incapacità della banca di far fronte tempestivamente e in modo
economico agli obblighi di pagamento nei tempi contrattualmente previsti
3
.
Il rischio di liquidità è originato da diverse componenti, che nelle singole banche,
a seconda dell'organizzazione interna e della sensibilità al problema, sono
trattate diversamente. Ad ogni modo tale rischio non può essere disgiunto dalle
altre dimensioni proprie della struttura finanziaria della banca: il rischio di tasso
d'interesse, la redditività e la solvibilità. Il primo si configura ogniqualvolta
variazioni nei tassi di mercato deprimono la performance economico-finanziaria
della banca, per cui può nascere un rischio di rifinanziamento o reinvestimento,
rispettivamente secondo che il costo di rinnovo delle passività superi il
rendimento degli impieghi e che gli impieghi attuabili rendano meno delle
passività negoziate in precedenza. La connessione liquidità-redditività appare
immediata: più è alta la propensione a tutelarsi dal rischio di liquidità
accumulando stocks di attivi altamente liquidi e con rendimenti esigui
4
, più si
deprime la condizione di economicità: tra i due profili sussiste dunque un
rapporto di trade-off. C'è invece corrispondenza tra liquidità e solvibilità, due
concetti in realtà dal contenuto diverso, così come è differente la natura delle
grandezze cui si riferiscono: la prima esprime la capacità di conseguire
l'equilibrio tra le entrate e le uscite (quantità flusso) tempestivamente e in modo
economico
5
, la seconda indica la capacità di rimborsare i debiti smobilizzando le
poste attive (quantità stock); dunque un concetto squisitamente finanziario nel
primo caso, economico-patrimoniale nel secondo. La corrispondenza di cui si
accennava in precedenza deriva dalla constatazione che la solvibilità è
condizione necessaria affinché l'impresa non incorra in tensioni di liquidità, e che
2
A. SIRONI, A. RESTI, Rischio e valore nelle banche, Egea, Milano, 2008, pag. 117.
3
R. RUOZI, P. FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari,
Dipartimento di Economia Aziendale, Università degli studi di Brescia, febbraio 2009, pag. 1.
4
Si parla a questo proposito di “liquidity warehouse”.
5
La politica della liquidità richiede interventi con tempistica diversa: si parla di “politica della liquidità”
quando gli interventi incidono sui flussi considerati in un vasto orizzonte temporale; se l'attenzione è
invece rivolta al riequilibrio immediato si parla di “politica della tesoreria”.
9
l'insorgere di queste ultime finisce per deteriorare la situazione di solvibilità.
Basti pensare che la consapevolezza del pubblico della sopraggiunta insolvenza
dell'intermediario sollecita molto probabilmente una corsa agli sportelli,
scatenando squilibri finanziari; oppure può verificarsi un deterioramento della
solvibilità dovuto allo smobilizzo dell'attivo a valori inferiori a quelli di carico,
richiesto dalla volontà di ripristinare una soddisfacente situazione di liquidità
6
.
Tornando agli aspetti definitori del rischio di liquidità, possiamo considerare due
accezioni di tale rischio, distinte in base all'area d’impatto, ma intrinsecamente
collegate, poiché si rafforzano vicendevolmente: si parla di funding liquidity risk
(o cash flow risk) e market liquidity risk
7
(o asset risk). Il funding liquidity risk è
il rischio che la banca non sia in grado di far fronte in modo efficiente, senza
pregiudicare la propria ordinaria operatività e il proprio equilibrio finanziario, a
deflussi di cassa attesi e inattesi, legati al rimborso di passività, al rispetto di
impegni a erogare fondi o alla richiesta, da parte dei suoi creditori, di accrescere
le garanzie reali fornite a fronte dei finanziamenti ricevuti
8
.
Tale rischio ha
carattere idiosincratico e può innescare molto velocemente reazioni delle
controparti di mercato, che si possono rendere indisponibili per le usuali
transazioni, oppure richiedere una maggiore remunerazione, facendo assumere al
rischio di funding le seguenti forme:
liquidity mismatch risk: rischio di non conformità tra gli importi e/o le
scadenze dei flussi di cassa in entrata e in uscita, con riferimento sia alle
scadenze contrattuali sia comportamentali;
liquidity contingency risk: rischio che eventi futuri
9
possano richiedere un
ammontare di liquidità superiore rispetto a quanto previsto dalla banca;
6
G. BIRINDELLI, Gli strumenti di gestione della liquidità bancaria, in R. CAPARVI (a cura di),
L'impresa bancaria, economia e tecniche di gestione, Franco Angeli, Milano, 2006, capitolo VII, pag. 304
e segg.
7
THE JOINT FORUM – BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, The Management of
Liquidity Risk in Financial Groups, Bank for International Settlements, Basel, 2006.
8
A. SIRONI, A. RESTI, Rischio e valore nelle banche, op. cit., pag. 115.
9
Gli eventi improvvisi possono essere originati da insolite modificazioni nelle scadenze di cash flow
certi, come nel caso di prolungamento non contrattualizzato di impieghi, oppure da un ritiro rilevante di
depositi retail.
10
margin call liquidity risk (o collateral liquidity risk): rischio di incorrere
nella necessità di ripristinare mediante garanzie (collateral o per cassa) i
margini contrattualmente richiesti a fronte di determinati strumenti
finanziari;
intraday liquidity risk: incapacità della banca di far fronte alle
obbligazioni correnti pur rimanendo in condizioni di solvibilità
finanziaria
10
.
Per market liquidity risk si intende invece il rischio che una banca si trovi
nell'impossibilità di monetizzare una consistente posizione in attività finanziarie,
o riesca a liquidarla subendo una decurtazione significativa di prezzo, a causa
dell'insufficiente liquidità del mercato finanziario in cui tali attività sono
scambiate, o di un suo temporaneo malfunzionamento.
Le due accezioni del liquidity risk sono strettamente collegate tra loro: è chiaro
che la banca, per far fronte a deflussi di cassa inattesi, potrebbe convertire in
denaro posizioni più o meno consistenti su attività finanziarie, e se per farlo è
costretta a subire una significativa riduzione di prezzo, il danno causato dal
rischio di liquidità sarà più marcato
11
.
È interessante osservare come la presenza del market liquidity risk, benché nota
da tempo, non sia stata adeguatamente contemplata dalle unità organizzative
preposte, relegandola a un ruolo marginale all'interno del sistema gestionale del
rischio di liquidità
12
. Infatti, prima dello scoppio della recente crisi finanziaria si
attribuiva grande enfasi alla liquidità di mercato (ritenuta abbondante in ogni
situazione) nella gestione dei flussi finanziari, determinando di conseguenza una
sistematica sottovalutazione da parte degli operatori del crescente market
10
F.M. V ALENTE, F. VITALE, La prossima sfida per le banche: il liquidity risk management, in
“Banche e Banchieri” n.1/2011, pag.72.
11
A. SIRONI, A. RESTI, Rischio e valore nelle banche, op. cit., pag. 115-116.
12
”La liquidità di una qualunque azienda di credito è collegata da rapporti di reciproca soggezione con la
liquidità del mercato. La possibilità di conservare l'equilibrio delle entrate e delle uscite monetarie si
riannoda infatti al volgere delle congiunture economiche e queste a loro volta risentono degli effetti delle
condizioni di liquidità di tutti gli istituti che compongono il sistema bancario”. R. RUOZI E P. FERRARI,
Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, op. cit., pag. 5.
11
liquidity risk
13
. Va precisato che è il rischio di liquidità nel suo complesso a
essere stato per lungo tempo considerato un rischio secondario e subordinato
rispetto alle problematiche connesse ai rischi primari (credito, mercato e
operativo); in altre parole, la gestione della liquidità bancaria è stata per molto
tempo meno attenta rispetto a quella riservata ad altre fattispecie rischiose
14
.
Il rischio di liquidità, come detto, è intrinseco all'attività bancaria: esistono
tuttavia alcuni elementi che possono accentuare l'assoggettamento a tale rischio.
Il riferimento va ad alcuni prodotti forniti da una banca alla propria clientela, che
rendono più aleatorio il profilo temporale dei suoi flussi di cassa, e ad alcuni
fattori che possono inaspettatamente esacerbare questa tipologia di rischio. Per
quanto concerne i prodotti, risultano particolarmente critici quelli che lasciano
alle controparti un alto grado di discrezionalità nel determinare i flussi di cassa
futuri: per esempio le passività a vista, che possono rimanere in essere per anni o
essere ritirate senza preavviso; oppure le garanzie personali prestate dalla banca,
che possono essere escusse a semplice richiesta del creditore; inoltre, le linee di
credito irrevocabili concesse a favore di imprese o di veicoli societari creati, per
esempio, per gestire programmi di cartolarizzazione
15
. Infine, risultano altrettanto
critici i contratti derivati negoziati su mercati non regolamentati, che richiedono
il versamento di margini di garanzia, che possono aumentare in maniera inattesa
e dare luogo al già accennato margin call liquidity risk.
Riguardo invece ai fattori suscettibili di accentuare il rischio di liquidità, questi
possono essere specifici o sistemici. I primi sono eventi riguardanti l'operatività,
la governance o la reputazione della banca che, indebolendo la fiducia del
pubblico e degli operatori, possono determinare una difficoltà di funding. Alcuni
esempi sono il downgrade dell'intermediario, o altri eventi, anche di tipo
reputazionale, riconducibili a danni di immagine o a perdite di fiducia del
13
P. LA GANGA, G. TREVISAN, Il rischio di liquidità dopo la crisi: verso nuove regole e nuovi modelli
gestionali, in “Bancaria” n. 6/2010, pag. 47.
14
G. BIRINDELLI, P. FERRETTI, Basilea 3: contenuti e finalità, in F. TUTINO, G. BIRINDELLI, P.
FERRETTI, Basilea 3. Gli impatti sulle banche, Egea, Milano, 2011, pag. 18.
15
A. SIRONI, A. RESTI, Rischio e valore nelle banche, op. cit., pag. 116-117.
12
pubblico
16
; va ricordato a questo proposito che spesso i finanziamenti che la
banca riceve da controparti istituzionali prevedono clausole automatiche
(triggers), che comportano la restituzione dei crediti ottenuti o il versamento di
consistenti garanzie al peggiorare del rating. I fattori sistemici, invece, sono fuori
dal controllo della banca, poiché originano da fattori di mercato o congiunturali:
una crisi dei mercati finanziari, per esempio, può comportarne la temporanea
inattività, rendendo impossibile la pronta liquidazione delle attività finanziarie
quotate, oppure allargare a dismisura il divario tra prezzi di acquisto e di vendita,
rendendo economicamente penalizzante la vendita di titoli
15
. Infine crisi
economico-politiche, catastrofi naturali o eventi terroristici, coinvolgendo uno o
più paesi o l'intero sistema bancario, a livello locale o internazionale, possono
determinare crisi di fiducia generalizzate e scatenare corse agli sportelli. Le due
tipologie di fattori di rischio possono manifestarsi singolarmente o
contemporaneamente, evidenziando legami di correlazione.
Il rischio di liquidità ha inoltre una caratteristica peculiare rispetto ad altri rischi
in capo all'intermediario bancario, ovvero il fatto di non poter essere fronteggiato
attraverso un accantonamento di capitale: è anche definito un rischio di “secondo
impatto”. Tale rischio quindi richiede una copertura diversa da tutti gli altri:
l’obiettivo è infatti quello di bilanciare i flussi di cassa in uscita con quelli in
entrata, in un certo intervallo temporale, che può essere un giorno, un mese o
orizzonti più lunghi; esso dipende da così tanti fattori che il capitale non si presta
bene a questo tipo di copertura. Il bilanciamento dei flussi in entrata e in uscita è
l'obiettivo della politica della liquidità, che può essere definita come l'insieme
degli interventi che la banca definisce per realizzare la combinazione desiderata
tra flussi in entrata e in uscita nel medio e lungo termine. La funzione preposta
allo svolgimento di tale compito è detta Asset and Liability Management (ALM).
Nel caso in cui la dinamica dei flussi in entrata e in uscita non si riveli adeguata
ad assicurare il regolare svolgimento dell'attività bancaria, la banca adotta misure
correttive al fine di sistemare rapidamente ed economicamente lo squilibrio
16
R. RUOZI E P. FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili
regolamentari, op. cit., pag. 8.
13
creatosi; l'insieme degli strumenti attivabili a tale scopo è l'oggetto della politica
della tesoreria, che può essere intesa come l'insieme degli interventi che hanno
l'obiettivo di mantenere l'equilibrio tra flussi in entrata e in uscita in ogni
momento della gestione bancaria, minimizzando gli oneri connessi a tali
operazioni. Attraverso le manovre attuate dalla Tesoreria, la banca è in grado di
raccogliere liquidità supplementare, se la domanda dovesse risultare superiore a
quella prevista; tali manovre sono eseguite rispettando gli obiettivi generali
previsti dalla politica della liquidità, definiti in base ai vincoli imposti dalle
autorità monetarie, relativamente all'ammontare minimo di base monetaria da
detenere in forma di riserva obbligatoria e alle operazioni consentite per
soddisfare temporanee esigenze di liquidità impreviste
17
. Inoltre, a seconda dello
scenario economico in cui si trova l’intermediario bancario, a livello gestionale è
possibile distinguere tra il rischio di liquidità affrontato in condizioni di normale
operatività (going concern liquidity risk) e il rischio affrontato in situazioni di
stress (contingency liquidity risk). Nel primo caso la banca fa fronte al proprio
fabbisogno di liquidità utilizzando la propria capacità di funding. In un going
concern scenario, la misurazione del rischio di liquidità è basata sull’evoluzione
delle entrate e delle uscite monetarie adottando ipotesi neutrali sull’andamento
delle grandezze aziendali. Nel secondo caso, il rischio viene affrontato in
condizioni di stress (non neutrali) che derivano da fattori individuali o sistemici:
si realizzano stress test per valutare il rischio di liquidità in condizioni di stress, e
vengono predisposte misure straordinarie con la stesura di un piano di emergenza
(Contingency Funding Plan). Tale documento formalizza le strategie di
intervento, classifica le tipologie di tensione di liquidità (in base alla natura
sistemica o specifica, alle poste di bilancio interessate), individua le azioni di
emergenza che il management deve intraprendere e contiene stime di back-up
liquidity necessarie per fronteggiare un'eventuale crisi di liquidità
18
.
17
A. BANFI, V . CAPIZZI, L. NADOTTI, M. V ALLETTA, Economia e gestione della banca, McGraw-
Hill, Milano, 2010.
18
R. RUOZI E P. FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili
regolamentari, op. cit., pag. 9.
14
1.2 Il liquidity risk management: riflessioni sulla crisi
Il rischio di liquidità nelle banche, come detto, è stato gestito per lungo tempo in
maniera più blanda rispetto ad altre tipologie di rischio, tanto da essere stato
definito “the forgotten risk”
19
. Tali carenze nel liquidity risk management sono
state messe in luce dalla dilagante crisi di liquidità scoppiata nel 2007,
contribuendo ad amplificarne gli effetti.
Dall’altro lato, durante il decennio antecedente la crisi i mercati finanziari erano
caratterizzati da una situazione di liquidità particolarmente favorevole, con bassi
tassi d’interesse e un’ampia offerta di fondi da parte delle banche centrali, cui si
accompagnava una bassa sensibilità al rischio da parte degli investitori e spread
creditizi contenuti. Queste condizioni hanno impedito di apprezzare
opportunamente i fattori che aumentavano l’esposizione al rischio di liquidità, e
di attivare i necessari affinamenti dei modelli di gestione del liquidity risk
20
.
Negli anni precedenti la crisi, i principali framework per la gestione di tale
rischio si distinguevano per l’accentramento o il decentramento operativo. Il
primo modello, utilizzato prevalentemente da gruppi operanti a livello nazionale,
prevedeva l’accentramento da parte della capogruppo delle decisioni principali
riguardanti la politica di liquidità del gruppo, come la gestione delle riserve di
liquidità presso la funzione di tesoreria della holding, al fine di sfruttare le
economie di scala nella gestione della liquidità e la migliore reputazione della
capogruppo nei finanziamenti presso la banca centrale
21
. Nell'ambito di tale
modello, molti gruppi bancari allocavano presso filiali estere i fondi strettamente
necessari nel brevissimo termine: questa modalità operativa ha accentuato le
tensioni di liquidità delle filiali a seguito di difficoltà della capogruppo, e in
alcuni casi ha portato al default delle legal entities estere al verificarsi del
fallimento della casa madre, come nel caso di Lehman Brothers.
19
KPMG, Basel briefing, n. 13, January 2008, available at www.kpmg.com.
20
G. BIRINDELLI, P. FERRETTI, Basilea 3: contenuti e finalità, op. cit., pag. 18-19.
21
P. LA GANGA, G. TREVISAN, Il rischio di liquidità dopo la crisi: verso nuove regole e nuovi modelli
gestionali, op. cit., pag. 45-46.
15
Il secondo framework, diffuso tra gli intermediari internazionali, si fondava sulla
responsabilizzazione delle società appartenenti al gruppo; tale modello, da un
lato riduceva la complessità di gestire il rischio di liquidità a livello consolidato,
dall'altro non consentiva di ottimizzare il costo del funding, per la mancata
compensazione interna dei flussi di segno opposto e la scarsa profondità
dell'analisi del rischio di liquidità svolta dalla singola unità del gruppo.
Prescindendo dai modelli organizzativi, in presenza di un’attività di
intermediazione bancaria svolta prevalentemente secondo il modello Originate to
hold, la liquidità dei principali gruppi bancari internazionali, tra cui quelli
italiani, era gestita in modo tradizionale, e il liquidity risk management era volto
essenzialmente a misurare e monitorare il rischio di finanziamento del
fabbisogno finanziario derivante dal maturity mismatching, relegando ad un
ruolo marginale il market liquidity risk
22
.
Un’altra caratteristica frequente all’interno dei gruppi bancari era la mancata
interazione e l’assenza di coordinamento tra l’unità incaricata di gestire la
liquidità operativa (Tesoreria) e quella cui spettava il controllo della liquidità di
medio-lungo periodo o strutturale (Asset and Liability Management).
Inoltre, le tecniche di misurazione dell’esposizione al rischio di liquidità erano
scarsamente sofisticate, fondate prevalentemente su schemi di gap analysis e su
indicatori di liquidità basati su variabili stock (come la Cash capital position
23
),
caratterizzati da scarsa robustezza statistica e da analisi circoscritte alle sole
condizioni finanziarie prevalenti nel mercato. In conseguenza di ciò, la dinamica
aleatoria dei flussi di cassa legati a prodotti finanziari complessi, a fonti di
wholesale funding e da altre poste patrimoniali senza una scadenza contrattuale
definita non è stata considerata con la necessaria attenzione, determinando
esigenze di liquidità superiori alle attese in seguito alla situazione di tensione
verificatasi con la crisi.
22
P. LA GANGA, G. TREVISAN, Il rischio di liquidità dopo la crisi: verso nuove regole e nuovi modelli
gestionali, op. cit., pag. 46-47.
23
Fornisce una misura della capacità della banca di resistere a tensioni di liquidità nel caso in cui non sia
possibile accedere a finanziamenti non garantiti; viene calcolata sottraendo alle attività monetizzabili le
passività volatili.
16
Infine, il liquidity buffer
24
era avvolto dall’incertezza, in quanto le disomogeneità
e le lacune informative rendevano difficile quantificare il collateral
effettivamente disponibile a livello consolidato. Lo dimostra per esempio la rarità
dei controlli sulla eligibilità presso la banca centrale e sul grado di liquidabilità
dei titoli inclusi nel buffer, data l’abbondante liquidità nei relativi mercati
22
.
La gestione del rischio di liquidità descritta sinora ha dovuto scontrarsi con
l’evoluzione degli strumenti finanziari e delle tecniche di intermediazione
bancaria. Nel decennio precedente alla crisi, infatti, l'innovazione finanziaria ha
visto le banche, soprattutto negli Stati Uniti, trasferire ad altri investitori i crediti
erogati, secondo il modello Originate to distribute
25
, contribuendo inoltre alla
crescita esponenziale del settore finanziario non bancario e all’integrazione
globale dei mercati dei capitali
26
. Il sistema finanziario ha assunto rischi in
misura ben maggiore rispetto al passato. La concorrenza in aumento e la
compressione dei margini, infatti, hanno spinto gli intermediari a ricercare
combinazioni di attività e passività più redditizie (talvolta rischiose), riducendo al
minimo le poste liquide detenute, confidando nella funzionalità dei mercati
secondari e interbancari
27
. Individui e istituzioni che in precedenza avevano
difficoltà di accesso al credito potevano indebitarsi su vasta scala grazie alla
tecnologia finanziaria, che trasformava attività rischiose in investimenti giudicati
di buon merito creditizio. L’introduzione di meccanismi di assicurazione e di
swap permetteva un’agevole copertura dal rischio di credito, che diveniva
facilmente trasferibile. Ne è seguita l’esplosione dell’indebitamento, che
accresceva il rischio sistemico, mentre il mercato si convinceva che la
24
Ammontare di riserve liquide che le banche devono detenere costantemente in relazione alla soglia di
tolleranza al rischio prescelta. Tali riserve possono comprendere: cassa/depositi liberi presso la banca
centrale, attività prontamente liquidabili (riserve di prima linea), altre attività finanziarie (riserve di
seconda linea).
25
Modello di intermediazione bancaria in cui la banca che eroga il prestito lo trasferisce attraverso
operazioni di securitisation, consentendo la conversione in denaro di poste in precedenza illiquide; si
contrappone al modello tradizionale di intermediazione bancaria Originate to hold, in cui il prestito viene
mantenuto fino all’estinzione.
26
M. DRAGHI, Intervento al Congresso Aiaf, Assiom, Atic Forex, Crisi di liquidità e futuro dei mercati,
aspetti operativi e regolamentari, Bari, 19 gennaio 2008.
27
I.C. PANETTA, P. PORRETTA, Regolamentazione e best practice per allontanare le crisi sistemiche,
convegno ADEIMF, Capri, 13-14 Giugno 2008.