Fabienne Carbone – Introduzione
da Gotti
1
. In seguito, il capitolo 4 indaga la mutazione dalla
comunicazione scritta attraverso le nuove tecnologie: che cosa è
cambiato dalla pagina cartacea allo schermo del computer? Che cosa
offre la posta elettronica ad un’azienda? Si è cercato di investigare sul
nuovo mezzo a disposizione, Internet, sulla differenza tra il libro e la rete
e sui nuovi bisogni dell’azienda on-line (per esempio, uno scrittore
professionale che sappia scrivere un’e-mail efficace in ogni situazione).
Nella seconda parte, “L’analisi”, si tenta di riportare il modello
strutturale dell’e-mail, anche se ancora in evoluzione, e di offrire un
breve resoconto delle ricerche fatte sull’argomento negli ultimi dieci
anni. Nel capitolo 6, vengono presentati i due corpora, uno in lingua
inglese ed uno in italiano, creati sulla base di testi autentici prodotti
dall’assistenza di aziende on-line, raccolti poi in formato elettronico ed
analizzati da appositi software di gestione linguistica. Il capitolo 7
riporta l’analisi effettuata su questi due corpora e vuole evidenziare le
componenti strutturali dell’e-mail di assistenza all’utente ( linea oggetto,
apertura e chiusura) e le loro diverse realizzazioni a seconda della lingua
utilizzata. Si è cercato inoltre di schematizzare nella maniera più
intuitiva i risultati trovati, in modo da rendere esplicite le nostre
conclusioni. Il paragrafo 7.2.4 espone un confronto tra lettera cartacea ed
e-mail, tentando di dimostrare come lo scambio di elementi provochi un
rinnovamento del genere, nell’accezione di Swales, e non una mera
traslazione del testo dalla carta allo schermo. L’analisi prosegue poi con
la spiegazione delle caratteristiche linguistiche, estrapolate dai risultati
delle liste di frequenza e di concordanze. Infatti, grazie ad esse, si
possono osservare esempi concreti ed autentici.
L’ultima parte cerca di far riflettere sulle possibili “Applicazioni
didattiche” dei risultati ottenuti dall’analisi dei corpora. Innanzitutto, si è
cercato di individuare i libri di testo disponibili sul mercato per il
Business English segnando quale posto avesse l’e-mail in ognuno di essi.
L’insegnamento di tipo collaborativo e molti esempi di attività sull’e-
1
Gotti, I linguaggi specialistici: caratteristiche linguistiche e criteri pragmatici, Scandicci, La Nuova
Italia, 1991.
VI
Fabienne Carbone – Introduzione
mail di assistenza all’utente sono stati concentrati nel capitolo 9.
Abbiamo incluso esercizi tratti dalle liste di concordanze, esercitazioni
sul genere con analisi dei moves presenti nell’e-mail di assistenza, e
varie attività al computer graduati secondo il livello di lingua degli
studenti. Per finire, viene definito il ruolo dell’insegnante nella classe di
lingua per i linguaggi specialistici, cercando di far affiorare alcune
possibili difficoltà nel percorso di insegnamento.
Le appendici finali vogliono essere un ulteriore sostegno al lettore per
eventuali dubbi che possono insorgere sul campo dell’analisi (I), sui
simboli utilizzati in questa ricerca (II) e su eventuali curiosità personali
sulle liste di frequenza dei corpora (III, IV). Naturalmente, si ricorda che
bisogna sempre tener conto dei rapidi cambiamenti della comunicazione
dovuti allo sviluppo della tecnologia dei media. Molti generi sono
appena nati e non c’è stato tempo per stabilirne le norme. Per tale
motivo, questo lavoro è una “fotografia” dell’e-mail di assistenza
all’utente datata settembre 2002/gennaio 2003. Il genere in questione
continua ad evolversi ed alcuni risultati raggiunti qui non saranno
probabilmente più validi tra pochi mesi. Il confronto e la comparazione
dei due corpora sincronici di questa ricerca con altri posteriori e
osservare quindi l’evoluzione delle risposte delle aziende on-line a
distanza di almeno un anno sarebbe un progetto interessante da
intraprendere.
VII
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
PRIMA PARTE
1
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
I linguaggi specialistici
Una scienza è un linguaggio ben fatto
Condillac
Se ci soffermiamo a riflettere sulla lingua comune che utilizziamo tutti
noi, ogni giorno, possiamo notare come essa veicoli una visione
approssimativa del mondo: le parole della quotidianità sono polisemiche
e proprio per questo sono utili, comode e si possono utilizzare in ogni
situazione che non richieda precisione allo scopo di facilitare la
comunicazione e renderla chiara e rapida.
In altre situazioni però, come nella comunicazione professionale
1
, la
lingua comune risulta essere troppo vaga ed ambigua. Come afferma
Balboni “la realtà scientifica è un’astrazione della realtà fenomenica: per
avere un senso, per esistere richiede una metalingua esatta” (2000:17). La
ragione di questa esigenza nasce nel bisogno di una comunicazione non
ambigua tra coloro che si occupano di un determinato ambito
professionale. Si tratta dunque di una comunicazione che si volge su
argomenti specifici, nell’ambito di particolari settori di attività, di
mestieri (basti pensare al linguaggio aziendale, medico, commerciale).
Se poniamo la comunicazione su un continuum che va da
“approssimazione” a “esattezza”, troveremo dunque la comunicazione di
ogni giorno da una parte e quella specifica dall’altra, la quale risulterà
“chiusa” su se stessa ma comunque aperta alla lingua comune. Sottolineo
la comunicazione poiché è la comunicazione, più della forma, ad essere
oggetto d’indagine nelle ricerche degli ultimi anni. In effetti, una lingua
1
Con professionale intendiamo raggruppare sotto un’unica denominazione l’insieme dei
settori professionali scientifici e tecnici, tralasciando il linguaggio legale, pubblicitario e
politico.
2
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
specialistica prende una data forma in base alle sue caratteristiche
comunicative e pragmatiche.
Alcune funzioni
2
della lingua come quella emotiva e poetica,
caratterizzate da polisemia ed ambiguità, saranno poco presenti nei
linguaggi professionali
3
. Gli scopi pragmatici di tali linguaggi si attuano
per la maggior parte nelle seguenti tre funzioni:
• la funzione referenziale, in cui il messaggio è centrato sull’oggetto
del discorso (descrizione, spiegazione o argomentazione);
• la funzione regolativo-strumentale, centrata sul processo da far
eseguire o da regolare (si guida il ricevente nell’esecuzione di un
evento);
• la funzione metalinguistica che definisce un termine, propone un
neologismo, si descrive un oggetto non verbale per far capire al
ricevente l’esatta intenzione comunicativa.
Prendiamo ora in esame la nascita, lo sviluppo, la terminologia e la
natura dei linguaggi specialistici
4
, tenendo conto del fatto che è sempre
azzardato tentare delle generalizzazioni, soprattutto nei linguaggi
specialistici, data la rapida e crescente diversificazione dei linguaggi
scientifici e tecnici. Affronteremo dunque l’argomento seguendo il
percorso della letteratura sull’argomento, rimandando alle note per
ulteriori specificazioni e approfondimenti.
2
Ci riferiamo alla tradizione pragmatica, in particolare a Jakobson; il termine funzione
individua macro-scopi generali di suo linguistico che in glottodidattica si rispecchia nelle
funzioni pragmatiche/intenzioni comunicative.
3
Escludendo il linguaggio legale, pubblicitario e politico che fanno spesso uso della
funzione poetica e conativa.
4
Abbiamo preferito utilizzare questa definizione da Gotti in quanto pensiamo sia il termine
più corretto per indicare i linguaggi specialistici senza la presenza di connotazioni
improprie, vedi pagina 11.
3
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
1. L’evoluzione degli studi sui linguaggi specialistici
Gli Anni 20-30 e la scuola di Praga
In questo circolo, si parlava di “stile funzionale” della lingua della
scienza e della tecnica (Fried 1972) in cui la lingua specialistica veniva
considerata di livello inferiore e separata dalla lingua comune. Tale
considerazione portò gli studiosi a indagare e scoprire le differenze tra le
lingue specialistiche e la lingua comune, arrivando alla denominazione di
lingue speciali
5
.
Le ricerche portarono ad evidenziare delle differenze morfologiche e
soprattutto lessicali di queste lingue speciali in confronto alla lingua
comune. Uno dei risultati fu un “vocabolario specialistico” (vedi Harold
Palmer) che si doveva aggiungere alla “lingua fondamentale”. Invece
oggi, sappiamo che queste differenze non sono specifiche delle lingue
professionali (sono, infatti, presenti caratteristiche lessicali e morfo-
sintattiche della lingua generale), anche se è sicuramente vero che
ricorrono con più frequenza.
Inoltre, i due concetti “vocabolario specialistico” e “lingua
fondamentale” sono stati e lo sono ancora, usati nella letteratura in
francese
6
.
Gli anni 50
In quel periodo, gli studiosi non si concentrarono solo sull’analisi
lessicale e sull’analisi del registro allo scopo di identificare le
caratteristiche stilistiche dei linguaggi specialistici. Oltre a questo tipo di
ricerche, ce ne furono molte altre di tipo statistico quantitativo che
indagarono tutti gli aspetti dei linguaggi specialistici che differissero dal
livello naturale della lingua comune. Ma con l’internazionalizzazione
della ricerca, della produzione e del commercio, si sarebbero trovate
diverse, nuove possibili soluzioni.
5
Per le definizioni in questo capitolo, vedi 1.2.
6
Affermato da Balboni, Le microlingue scientifico-professionali: natura e insegnamento, 2000, p.7.
4
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
Gli anni 60-70
In questo periodo, la concezione della lingua cambia: non viene più vista
come sistema acontestualizzato ma come strumento di comunicazione
che si utilizza in molti contesti diversi. Per questo motivo, gli studiosi si
concentrano sull’aspetto lessicale dei linguaggi specialistici, stilando
tassonomie e tipologie dei caratteri distintivi dei vari tipi di varietà
situazionali (in realtà sottocodici). Infatti, per tutti gli anni settanta, le
lingue specialistiche furono intese come:
1. Una varietà in ambito sociolinguistico che voleva sottolineare il
concetto di lingua come polisistema, una prospettiva che identifica
le varietà sulla base dell’utente, della sua provenienza, del suo
livello sociale, del suo ambito professionale (questa prospettiva
portò a svariate terminologie: linguaggi settoriali, tecnoletto,
sottocodice
7
);
2. Una terminologia specialistica: l’aspetto lessicale è il più
chiaramente marcato, ma abbiamo avuto modo di notare come
questo vocabolario specialistico, già presente in forma meno
evoluta negli anni 30, non sia totalmente assente dalla lingua
comune o prettamente specifico delle lingue specialistiche.
Inoltre, nel 1975 il Consiglio d’Europa pubblicava il Treshold Level che
stilava gli atti comunicativi (communication function) ritenuti universali;
Tre anni dopo Munby li riprese dando loro spessore teorico nel suo
Communication syllabus design, che includeva gli atti comunicativi in un
modello centrato sui bisogni dell’allievo. Seguirono molte ricerche e
studi in questa direzione, ma il cristallizzarsi sui sillabi “specialistici”,
anche se ristretto ad una determinata situazione professionale, risultò
essere una ricerca utile ma incompleta, come lo era stata la ricerca sulla
terminologia specialistica degli anni sessanta.
7
Per le varie definizioni, vedere 1.2.
5
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
Gli anni 80
Quando nel 1968 il British Council organizzò il convegno “Languages
for Special Purposes”, l’acronimo LSP si diffuse molto rapidamente e
dopo dieci anni, si decise il passaggio da Special a Specific per
sottolineare la specificità dei bisogni linguistici degli studenti. Sono
infatti gli anni del dibattito sulla ‘S’ di Language for Specific Purposes in
cui è appunto quest’ultimo termine a prevalere. E’ sempre in questo
periodo che il livello lessicale della ricerca degli anni precedenti passa ad
un livello più pragmatico-testuale.
Nel 1981 Ciliberti adotta una prospettiva pragmalinguistica, definendo la
lingua usata in ambiti professionali sulla base degli scopi che persegue. Il
risultato è un’impostazione utilitaristica tipiche delle aziende inglesi ed
americane, dove la necessità prima è quella di inserire rapidamente
l’immigrato o lo studente straniero.
Dalla linguistica applicata arrivarono la linguistica testuale e l’analisi
lingusitica globale che individuano le caratteristiche dei testi specialistici
a livello fonologico, morfosintattico e intercodico (lingua e codici grafici,
matematici).
Inoltre, il Centro di Linguistica dell’Università Cattolica (CLUC)
organizzò il convegno “Il linguaggio delle scienze ed il suo
insegnamento” (1988), in cui molti studiosi raccolsero e sistematizzarono
le ricerche. Il risultato fu ed è molto importante in quanto il linguaggio
specialistico fu associato al concetto di varietà linguistica caratterizzata
in ogni suo aspetto. All’analisi di tipo statistico quantitativo degli anni
cinquanta subentra un’analisi qualitativa che tiene conto non solo del
lessico, ma anche dell’aspetto pragmatico-testuale.
6
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
Dalla fine degli anni ottanta in poi, diversi studiosi e centri di ricerca
cercano la terminologia più adatta per definire quest’ambito di studio:
¾ Il Centro di Ricerca sulle Microlingue di Venezia, (CRMV 1988)
sceglie il termine microlingue per la serie di peculiarità che investe
la lingua specialistica nel suo complesso, ma ridotta (“micro”)
nell’ambito d’uso.
¾ Gotti (1991) preferisce un’analisi linguistica dei linguaggi
specialistici con implicazioni glottodidattiche: la lingua
specialistica come strumento con valenza veicolare e
comunicativa, che si ricollega all’uso che gli specialisti fanno del
linguaggio per riferirsi a realtà tipiche del proprio ambito
professionale.
¾ Balboni (2000) preferisce invece un recupero della funzione socio-
culturale delle lingue specialistiche: la lingua viene modificata in
ogni livello per ragioni di natura pragmatica (uso strumentale) e
sociale (prerequisito per il tecnico / specialista che fa parte di
quella corporazione / azienda). Infatti, le caratteristiche retoriche
delle “microlingue scientifico-professionali”, come preferisce
definire i linguaggi specialistici Balboni, possono ridurre le
ambiguità della comunicazione tra specialisti, ma anche accentuare
il proprio ruolo sociale (specialista di un settore).
Inoltre, imposta la glottodidattica di questo microlinguaggio con
nozioni psico-pedagogiche (soprattutto di andragogia,
l’insegnamento agli adulti).
7
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
2. La terminologia
La scelta del termine da utilizzare per designare l’area di studio in
questione è stata negli ultimi vent’anni oggetto di accese discussioni e
grandi dibattiti. Basterà infatti osservare la sottostante bibliografia
riguardante tale disciplina per ritrovarsi di fronte a differenti definizioni
per designare lo stesso ambito di ricerca:
A.Ciliberti, L’insegnamento linguistico per scopi speciali (1981);
G.L. Beccaria, I linguaggi settoriali in italia (1987);
M.A Cortelazzo, Lingue speciali, la dimensione verticale (1990);
M. Gotti, I linguaggi specialistici (1991);
E. Borello, L’incomunicabilità di massa – Linguaggi settoriali:
funzionamento e apprendimento (1994);
Centro di Linguistica dell’Università Cattolica (CLUC), Il
linguaggio delle scienze e il suo insegnamento, (1994);
P. Lerat, Les langues spécialisées (1995);
P. Balboni Le microlingue scientifico –professionali: natura e
insegnamento (2000).
Cerchiamo ora di fare chiarezza su tutti i termini che sono e sono stati
utilizzati per definire i linguaggi specialistici in modo da capire perché
alcune terminologie non sono adatte a definire questo ambito di studio e
perché in questo lavoro, si è preferito utilizzare linguaggi specialistici
piuttosto di altro.
Restricted languages
Questo termine impiegato da Firth (1981) è stato utilizzato per designare
i codici ristretti contenenti alcune frasi della lingua comune per la
comunicazione di tipo specialistica (per esempio i controllori di volo). I
codici ristretti non possono essere considerati linguaggi specialistici in
quanto quest’ultimi fanno un uso del codice linguistico più variato. Il
concetto di restricted è stato ripreso da Balboni per chiarire il suffisso
8
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
micro- in “microlinguaggio” recentemente, ma rimane inadatto e troppo
restrittivo.
Lingue Speciali (Cortelazzo 1990)
In questo termine si raggruppano tutti i linguaggi che usano regole
proprie e simboli particolari diversi dalla lingua comune. Per esempio, il
codice Q delle telecomunicazioni che ha forme autonome pur facendo
uso di lettere, numeri e punteggiatura (QOD5?=Can you communicate
with me in Italian?).
Linguaggi settoriali (Beccaria 1988)
Settoriale <set to rià le> agg., Linguaggi settoriali,
distinti in base al settore di attività o alla categoria
sociale. [Der. di settore]
(Devoto, Oli, Il dizionario della lingua italiana)
Gotti definisce questi termini come vaghi, in cui il variare della lingua è
dovuto al contesto d’uso: in effetti se si considerano i vari settori
(giornalistico, politico, televisivo, sportivo, tecnico, medico) si può
notare come alcuni facciano riferimento al canale utilizzato (giornale/tv),
altri all’argomento (sport). Si finisce per dare molta, forse troppa,
importanza al carattere lessicale dei linguaggi settoriali per l’alta
frequenza di tecnicismi
8
e di vocaboli presi dalla lingua comune e
ridefiniti in maniera univoca (come forza del fisico).
Beccaria spiega bene questi fenomeni nel capitolo dedicato ai linguaggi
settoriali in Italiano antico e nuovo
9
: “[le parole prese dalla lingua
comune ridefinite con un nuovo significato specialistico] hanno sminuito
la più intensa connotazione di partenza e si sono convenzionalizzati in
tecnicismi distintivi: sono diventati nomenclatura, cioè un insieme di
termini di una determinata disciplina che hanno una definizione
concettuale esplicita”.
8
Per tecnicismi si intendono quei termini propri di un determinato settore.
9
Beccaria, Italiano antico e nuovo, 1988, p.160.
9
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
Inevitabilmente, ci si focalizza sul solo aspetto terminologico del
linguaggio di un determinato settore ed il termine ‘settoriale’ risulta
essere effettivamente troppo vago.
Tecnoletto
Questo termine è nato dalla letteratura sociolinguistica, ma oggi è
scomparso il suo uso. Indicava una varietà identificata sulla base
dell’utente e compariva assieme a ‘dialetto, regioletto, idioletto,
socioletto’ che rispettivamente indicano la regione dell’utente, le sue
idiosincrasie, il suo livello sociale. Le definizioni di oggi sono diventate
‘diastratiche, diatopiche, diamesiche’ in quanto si è scelto di evidenziare
la differenziazione attraverso dia- anziché ciò che rimaneva comune
attraverso -letto.
Sottocodice
Sottocodice <sot to cò di ce> s.m. in lingusitica sistema di relazioni particolari
che gli elementi del codice globale della lingua assumono in determinati usi
funzionali o in determinate situazioni comunicative [comp. di sotto- e codice]
(Devoto, Oli, Il dizionario della lingua italiana)
Questa varietà si occupa di alcuni elementi costitutivi del codice, ma il
risultato è che l’oggetto non è identificabile: può infatti riguardare i
gerghi, le formule religiose, il linguaggio scientifico-professionale.
Questo termine non è stato perciò molto utilizzato.
Microlingua (Balboni 2000)
Microlingua <mi cro lìn gua> s.f. Linguaggio settoriale molto semplificato sul piano
morfosintattico e privo di connotazioni stilistiche. [comp. di micro- e lingua]
(Devoto, Oli, Il dizionario della linga italiana)
E’ espresso molto bene in questa definizione quanto questo termine
descriva un linguaggio che non abbia tutte le possibilità di espressioni
offerte dal sistema linguistico standard. Ma i linguaggi specialistici non
10
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
sono semplificazioni della lingua comune, anzi, hanno tutte le
potenzialità di natura lessicale, fonetica, morfosintattica e testuale tipiche
della lingua comune e vengono regolarmente utilizzate nei testi
specialistici. Nella prassi didattica tuttavia, questa definizione nasce dalla
considerazione della lingua come polisistema (quello che Freddi
definisce macrolingua) che include registri e varietà. Con il termine
microlingua dunque Balboni intende il concetto di lingua con
grammatica, scopi pragmatici, contesti comunicativi e rapporti interattivi
con altri codici, precisato però in maniera quantitativa: micro, limitato
(vedi Restricted languages sopra). Anche Balboni comunque denota che
così definita, la microlingua potrebbe includere gerghi e risultare non
precisa. Dunque per ovviare a tale vaghezza, le microlingue sono
diventate prima settoriali poi microlingue di specializzazione/specialità
per arrivare in seguito ad una definizione più precisa a seconda del
settore al quale si rivolge. Per esempio, le microlingue scientifico-
professionali nel caso di testi microlinguistici finalizzati al sapere di
carattere relazionale operativo.
Linguaggi specialistici (Gotti 1992)
Questo è il termine secondo me più coerente e corretto da utilizzare per
definire quest’ambito di studi. Continuerò ad utilizzarlo per definire
l’oggetto di studio nel mio lavoro. La ragione è che questo termine si
ricollega all’uso che gli specialisti fanno del linguaggio per riferirsi a
realtà tipiche del proprio ambito professionale. Inoltre, denota l’uso del
linguaggio con tutte le sue possibilità di realizzazioni in strutture e forme
che non si distinguono da quelle della lingua comune (a differenza della
terminologia presentata fino ad adesso). Infine, non presenta termini che
danno l’idea di un linguaggio diverso da quello comune o che fanno
intendere di appartenere ad una sotto-categoria del linguaggio standard
(come nel caso di microlinguaggio), riuscendo comunque a delimitare
l’area dei linguaggi specialistici professionali. Le tre condizioni
necessarie per designare un linguaggio specialistico poste da Gotti (1991)
sono porre l’enfasi sul tipo di utente (ambito didattico), sulla realtà a cui
si fa riferimento (ambito pragmatico-funzionale) e sull’uso specialistico
del linguaggio (ambito linguistico-professionale).
11
Fabienne Carbone –1. I linguaggi specialistici
Queste tre condizioni risultano inglobare tutti gli aspetti principali in cui
un linguaggio specialistico si possa realizzare. Inoltre, esse riflettono su
cosa si determina la scelta di un linguaggio specialistico: non
dall’argomento trattato, come nei linguaggi settoriali, ma dall’attività
professionale dei parlanti e dalla conoscenza dei referenti del lessico
utilizzato.
Si può aggiungere inoltre, che linguaggio specialistico è la più adatta a
tradurre Language for special purposes, che come spiega bene Lerat
“[LSP] bénéficie de l’ambiguïté de language: activité de langage et
langue à la fois. En français, où la différence est nécessaire dans la
tradition saussurienne de distinction entre la langue et la parole, il y
aurait avantage, me semble-t-il, à parler de langue spécialisée”
10
.
3. Le caratteristiche del linguaggio specialistico
In un discorso conciso lo scienziato riesce
a dire ciò che nel linguaggio ordinario
richiederebbe una gran quantità di parole
Bloomfield
Osservati ad un livello di struttura e formazione linguistica, i linguaggi
specialistici non presentano limitazioni o semplificazioni rispetto alla
lingua comune (come lo lasciavano intendere le terminologie resctrited
language o microlinguaggio), ma sono dotati di tutte le potenzialità di
natura lessicale, fonetica, morfosintattica, retorica e testuale tipiche della
lingua standard. Inoltre, un linguaggio specialistico è il mezzo di
riconoscimento tra membri della comunità scientifica e professionale, in
modo da comunicare in maniera chiara e veloce. Per questo motivo, si
possono incontrare, soprattutto ad un livello lessicale molti termini
tecnici e notare l’alta frequenza con la quale appaiono, ma le regole di
formazione e la loro realizzazione non saranno diverse da quelle della
lingua comune. Quello che diventa specifico dei testi specialistici,
differenziandoli dalla lingua comune, è una serie di fattori:
10
Lerat, P., Les langues spécialisées, Paris, PUF, 1995, p.20.
12