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Introduzione
Il tema di ricerca alla base di questa tesi è l’analisi dell’evoluzione del linguaggio
politico in tre paesi del mondo arabo (Tunisia, Giordania e Siria) a cavallo tra il
2011 e il 2015, ovvero tra lo scoppio e il periodo post primavere arabe,
accompagnato dall’inasprirsi del fanatismo religioso.
Le sommosse popolari che hanno sferzato via lo status quo di alcuni paesi dell’area
araba, a cavallo tra il 2010 e il 2012, sono passate alla storia come Primavera Araba.
Il fenomeno è stato circoscritto in un’area geografica ben definita che va dal
Marocco alla Penisola Arabica, infuocando, tuttavia, anche realtà di fede islamica
a sud del Sahara.
Le richieste del popolo - per la maggioranza giovani - hanno fatto sentire la loro
eco in tutto il mondo. La classe politica di questi paesi, anacronistica e poco avvezza
ai cambiamenti, è stata per la prima volta duramente contestata dai suoi stessi “figli”
al suono di richieste quali libertà, parità tra i sessi, lavoro e democrazia.
Il mondo arabo dopo essere stato - per troppi anni - pedina dell’occidente e delle
congiunture storiche, finalmente ha vissuto la sua rivoluzione ed il suo – tanto atteso
- cambiamento. Come l’Europa e le Americhe qualche secolo prima, è sembrato
arrivare il momento della trasformazione anche per queste regioni. Come la
primavera modifica totalmente i paesaggi naturali donandogli colore, ricchezza,
luce e speranza così il mondo arabo si preparava ad allontanare da sé il grigiore del
passato.
Tuttavia, il fardello delle passate ingiustizie, dei colonialismi asfissianti di un
passato non troppo lontano, del fanatismo religioso - occulto, ma sempre presente
e pericoloso, capace di forgiare la mente di giovani ragazzi abbandonati a sé stessi
in criminali idonei nel compiere stragi di innocenti in nome di Dio - ha reso tale
percorso ancor più difficile.
Vedremo all’interno di questa ricerca - analizzando i discorsi della classe politica
ante e post primavera araba - come alcuni stati, ad esempio la Tunisia, siano riusciti
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a vincere la loro scommessa con la storia, mentre altri, invece, come la Giordania,
sono ancora in fase di stabilizzazione. Senza dimenticare, però, realtà le cui
primavere non hanno portato ad estati rigogliose, bensì ai peggiori degli inverni ed
al crepuscolo di civiltà millenarie: ne è emblema la Siria.
Il percorso che sta per cominciare è frutto di una attenta ricerca di fonti
internazionali esclusivamente in lingua inglese; attraverso gli strumenti della
discourse analysis si analizzeranno i discorsi politici; con lo scopo di accendere i
riflettori sulla classe politica araba in questo primo quinquennio degli anni ’10 del
2000.
Saranno, dunque, oggetto nonché punti nevralgici dell’intero corpus della ricerca i
seguenti discorsi:
L’ultimo discorso del presidente Zine El-Abidine Ben Ali alla nazione del 13
gennaio 2011.
Il discorso alla Chattam House di Londra di Moncef Marzouki presidente della
Tunisia (2011-2014) del 26 novembre 2012.
L’orazione del Re giordano: Abdullah II al Parlamento Europeo dello scorso
10 marzo 2015.
La declamazione di Bashar al-Assad all’Assemblea del Popolo del 30 marzo
2011.
Discorso di Bashar al-Assad in onore del “Army day”, agosto 2015.
Dietro ai rumori delle strade colme di giovani scesi in piazza, alle spalle degli
slogan mostrati con orgoglio durante le proteste, alle donne desiderose di
raggiungere finalmente la parità dei sessi, l’intera classe dirigente araba stava
vivendo dei profondi mutamenti ed è proprio dalle loro decisioni (abdicare piuttosto
che cambiare la propria politica oppure restare al potere anche se “delegittimato”
dal proprio popolo) che si sarebbe, poi, deciso l’attuale assetto geo-politico della
sponda sud del Mediterraneo e del vicino Medio Oriente.
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Capitolo 1: Tunisia
Il 17 dicembre 2010, un giovane: Mohammed Bouazizi, mercante, decise di ardersi
vivo per protestare contro il sequestro da parte della polizia del suo banco.
Mohammed […] ha studiato, ma non trova lavoro vende ortaggi e frutta sulla
pubblica piazza. (Samir, 2013, p. 21)
È questo atto estremo che ha dato il via alla Rivoluzione dei Gelsomini ed a quei
moti rivoluzionari che di lì a poco sarebbero rimasti nella memoria collettiva come
la Primavera Araba.
1.1: Il discorso di Zine el-Abidine Ben Ali: la via della riconciliazione.
Il 13 gennaio 2011, all’inasprirsi delle tensioni nella capitale e nelle maggiori città
del paese, il presidente Zine El-Abidine Ben Ali decise di pronunciare un discorso
alla nazione, tentando un riavvicinamento con il popolo che, sceso in piazza, ne
domandava le immediate dimissioni.
Il futuro deposto presidente tunisino – all’indomani della sua fuga in Arabia
1
Saudita – scelse di usare, per la sua ultima declamazione, l’idioma locale: l’arabo
tunisino, indirizzandosi – nell’incipit – a tutti i tunisini dentro e fuori i confini. La
strada percorsa dal ventennale presidente fu quella della riconciliazione – vista la
situazione precaria in cui lo stesso discorso veniva pronunciato – dimostrando,
quindi, un principio fondamentale della discourse analysis: “Discourse […] involves
social conditions which can be specified as social conditions of production, and social
conditions of interpretation”. (Fairclough, 2001, p. 20)
Emblema ne sono questi passi che seguono: estrapolati dal suo discorso, affrontato
con molto “self control”, ma sempre in pieno stile dittatoriale, seppur Ben Ali, come
già detto, fosse aspramente contestato. Le telecamere che lo ritraevano, sono state
1
President Zine al-Abidine Ben Ali forced out. BBC, 14 gennaio 2011.
http://www.bbc.com/news/world-africa-12195025 Ultima consultazione: 28/09/2015
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sempre focalizzate sul suo mezzo busto, alle cui spalle era presente la bandiera
tunisina.
“I would like to say again, and contrary to what some claim, I pledged on
November 7
th
, 1987 that there would no lifetime presidency, no lifetime
presidency!” (Ali, 2011)
2
“I have understood you, I have understood you all!” (Ali, 2011)
Il discorso di Ben Ali fu un continuo andirivieni di inviti al ritorno alla calma
invocando: i costumi del popolo tunisino: “[…] destruction is not part of Tunisian
tradition. Tunisians are civilized and tolerant. Violence has never been part of our customs
or a part of our behaviour.” (Ali, 2011), e di auto proclamazioni – accompagnate da
toni pacati e da gesti profondamente accomodanti – in cui, lo stesso, elencò i suoi
numerosi incarichi nelle varie istituzioni del paese, nelle quali ha speso ogni giorno
della sua vita sempre al servizio della nazione: “Every day of my life was and will
always be in the service of my country”. (Ali, 2011)
L’uso del “will” – nel precedente passo, estrapolato dall’intervista - che in lingua
inglese traduce il futuro, presuppone la ferma convinzione - del presidente del paese
maghrebino – che la sua figura avrebbe, comunque, avuto un prosieguo nelle
istituzioni della Tunisia. Egli era persuaso che le proteste, di quei giorni, potevano
essere solo una dolente parentesi da chiudere al più presto.
Gli studi di discourse analysis condotti dal linguista inglese Norman Fairclough,
professore emerito di linguistica presso l’università di Lancaster, ci permettono di
affermare che il discorso (discourse) a differenza del testo (text) - che ne è una parte
- si alimenta necessariamente - sia nella sua produzione come testo (orale), che nella
sua interpretazione - delle interazioni con il contesto sociale.
2
Tunisian Dictator's Final Speech (English translation)
President Zine Al Abidine Ben Ali gives a speech 24 hours before escaping to Saudi Arabia (with
English translation)
Caricato il 29 gen 2011. https://www.youtube.com/watch?v=Ou6Oqnz4O4I
Ultima consultazione 27/09/2015
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A text is product rather than a process - a product of the process of text production.
But shall use the term discourse to refer to the whole process of social interaction
of which a text is just a part. This process includes in addition to the text the process
of production, of which the text is a product, and the process of interpretation, for
which the text is resource. (Fairclough, 2001, p. 20)
Dunque, ritornando all’ultimo discorso di Ben Ali, possiamo affermare – alla luce
di una attenta analisi linguistica - che l’infuocata ondata di disordini legata alla sete
di giustizia e libertà che accese gli animi del popolo tunisino a cavallo tra i mesi di
dicembre del 2010 e gennaio del 2011, offrì le giuste condizioni sociali affinché
venisse “prodotto”, dall’allora presidente tunisino, un discorso del tutto nuovo, dal
sapore riformista e conciliante.
Possiamo scorgere, dunque, il novello animo elastico e progressista del futuro ex
presidente tunisino all’interno delle sue parole quando con voce ferma - dopo una
brevissima pausa – affermò che lo stesso aveva affidato al governo il compito di
alzare gli stipendi medi e di diminuire, invece, il costo dei beni di prima necessità
(entrambi motivi che come ben sappiamo avevano spinto il popolo tunisino in
piazza). “[…] in addition, I have entrusted the Government with decreasing the commodity
prices, basic services, and increasing the budget of equalization.” (Ali, 2011)
Un’ulteriore campo, nel quale Ben Ali promise cambiamento ed innovazione, è
quello della politica. Ponendo la sua mano sul petto più volte, concesse le libertà
che lo stesso “aveva deciso” (“I have decided” (Ali, 2011) ) al suo popolo. Tra queste
abbiamo potuto ritrovare: libertà per tutti i mezzi di informazione, nessun blocco a
nessun sito internet, il rifiuto di ogni tipo di censura, “nel rispetto – aggiunse Ben
Ali – della nostra etica e dei principi della professione giornalistica” - “[…] while
respecting, of our ethics and the principles of the journalistic profession.” (Ali, 2011)
Lo stesso promise, altresì, l’instaurazione di una commissione composta da
individui indipendenti aventi la funzione di esaminare casi di corruzione,
clientelismo ed abusi; in conclusione, affermò che da quel giorno in poi in Tunisia
vi sarebbe stata piena indipendenza di espressione politica.
“From today onwards, there will be full freedom of political expression […].” (Ali, 2011)