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PREMESSA
In questo lavoro ci proponiamo, nel ripercorrere l’itinerario storico relativo
agli studi sulla metafora, di mettere in luce il contributo che il linguaggio
metaforico offre alla formazione del soggetto.
Più precisamente, abbiamo voluto fare riferimento agli studi che, a partire da
Aristotele, hanno continuato ad alimentare il tema della metafora con punti
di vista diversi e, insieme, “momenti di un itinerario unico”,
1
al fine di
individuare la complessa interazione fra metafora e pensiero logico-
deduttivo nello sviluppo dei processi cognitivi.
1
P. RICOEUR, La metafora viva, Jaca Book, Milano 1989, p. 1.
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Metafora è un termine che deriva dal greco parola composta
da oltre, tra) e forma secondaria del verbo portare).
Essa letteralmente significa mutazione, spostamento e indica il trasferimento
di significato da un termine ad un altro, per il quale si attua un processo di
continuità e discontinuità tra i due termini.
Il linguaggio metaforico opera, quindi, una sorta di mutamento di cui è
protagonista il soggetto che, nell’interpretare la realtà, si distacca dalle
convenzionali e tradizionali modalità di pensare, va oltre i significati
consolidati dall’uso linguistico, e introduce qualcosa in più che, pur essendo
suggerito dalla lingua, non si esaurisce con essa, ma apre “dei possibili”.
Nel suo millenario percorso storico, la metafora è stata a volte sminuita e
confinata in una mera funzione ornamentale, spesso valorizzata per il suo
potere interpretativo e creativo.
Da alcuni decenni, in concomitanza con la cosiddetta svolta linguistica e con
l’affermarsi dell’ermeneutica, essa occupa un ruolo di primo piano in ambiti
diversi, in quanto si riconosce, senza voler sminuire l’efficacia del
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ragionamento logico deduttivo, l’indispensabile ruolo svolto dai processi
metaforici nella struttura del pensiero e nelle sue procedure investigative.
Nell’ambito pedagogico-educativo l’interesse per la metafora si ritrova già
in Aristotele che afferma: “Noi apprendiamo soprattutto dalle metafore”.
2
Come vedremo, Aristotele colloca le metafore tra tutte quelle “espressioni
spiritose e di successo”, che non solo favoriscono l’apprendimento, ma
soprattutto fanno sì che esso avvenga in modo facile e piacevole.
3
Secondo Aristotele, inoltre, la metafora è in grado di produrre
apprendimento perché accresce la conoscenza dei rapporti tra le cose; essa,
mentre si aggancia a qualcosa di già conosciuto - altrimenti risulterebbe
incomprensibile - non è tuttavia ripetitiva, poiché va “oltre” il conosciuto,
produce e comunica qualcosa di nuovo.
4
Anche il discorso epistemologico, nel secolo appena trascorso, ha
valorizzato sempre di più il linguaggio metaforico e, in particolare, l’attività
metaforizzante del ricercatore all’interno della logica della scoperta. Kuhn
2
ARISTOTELE, Retorica, III, 10, 1410b 13, in Opere, Laterza, Bari 1973, vol. 7.
3
Ivi, III, 10, 1410b 10.
4
Ivi, III, 10, 1410b 20-25, 30.
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richiama più volte la ricerca di Black sulle “metafore generative” in tema di
“creatività forte”, attiva in sommo grado nei momenti di mutamento di
paradigma.
5
Pertanto, seguendo i mutamenti della metafora in ambito pedagogico e in
ambito epistemologico, nel primo capitolo, abbiamo voluto ricostruire,
attraverso il riferimento agli studi più significativi, l’itinerario che procede
dalla teoria retorica classica, attraverso la semiotica e la semantica,
all’ermeneutica, corrispondenti a determinate entità linguistiche (la parola, la
frase e, infine, il discorso) che di volta in volta sono state considerate come
unità di senso metaforico.
Vedremo che in questo itinerario, da Aristotele a Ricoeur, la metafora, da
artificio ornamentale, o, peggio, da patologia o errore del linguaggio, si
afferma sempre più chiaramente come “figura” con un proprio statuto
linguistico, funzionale alla ridescrizione dell’esperienza complessa dell’
uomo.
5
cfr. R. BOYD-T. KUHN, La metafora nella scienza, Feltrinelli, Milano 1983, p. 10.
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Nel secondo capitolo sarà esplorata la possibilità, dopo la storica “polemica
delle due culture”, di una relazione tra metafora e scienza centrata nel
“vedere come” metaforico.
Nel terzo capitolo, infine, a partire dalle precedenti acquisizioni, cercheremo
di esplicitare il contributo che il linguaggio metaforico ha dato alla
formazione del sapere pedagogico costituendo la pedagogia come metafora-
testo e la formazione come processo attraverso la metafora-testo, ossia la
metafora intesa come “poema in miniatura”, come “totalità ordinata,
generica e singolare”,
6
volta a creare nuovi “mondi possibili”.
6
P. RICOEUR, La metafora viva, op. cit., p. 292.
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I CAPITOLO
Il percorso storico della metafora: dalla retorica
all’ermeneutica
La metafora in Aristotele
Nel tentativo di inquadrare storicamente il tema della metafora, ci sembra
opportuno, attraverso il riferimento, seppure parziale, agli studi più
significativi, dare conto dei progressivi spostamenti di interesse avvenuti nel
corso degli anni e, innanzitutto, di quella che viene considerata la prima
teoria della metafora
Secondo Umberto Eco “dalla definizione aristotelica, sia pure in modi
diversi, dipendono tutte le teorie successive (sulla metafora), fino ai nostri
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giorni”
1
; dopo Aristotele, infatti, “la storia della discussione sulla metafora, è
la storia di una serie di variazioni intorno a poche tautologie”
2
.
Come è noto, la metafora aristotelica “ha un piede” nell’ambito della
Retorica e uno in quello della Poetica, poiché essa nell’unicità strutturale di
“trasferimento di senso” delle parole è fondamentale per la realizzazione di
due distinte e collegate funzioni: la funzione retorica e la funzione poetica.
3
Descritta come un procedimento della lexis
4
, essa è perciò sottoposta a due
diverse analisi: nella Retorica si ritrova nell’analisi dei modi dell’elocuzione
( ), quali l’ordine, la preghiera, il racconto, la minaccia,
l’interrogazione, la risposta, ecc…; nella Poetica nell’analisi delle parti
dell’elocuzione ( ), quali lettera, sillaba, particella congiuntiva,
nome, verbo, caso, proposizione.
Al di là delle differenze, è importante tenere presente che Aristotele
propone, nei due diversi ambiti, la stessa definizione: “La metafora consiste
1
U. ECO, Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi, Torino 1984, p.149.
2
Ivi, p.142.
3
P. RICOEUR, La metafora viva, op. cit., p. 14.
4
Il termine lexis, storicamente, è stato sottoposto a diverse traduzioni e indicato, a volte come discorso, a
volte come elocuzione o stile, per il fatto che riguarda l’intero campo dell’espressione.
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nel trasferire ad un oggetto il nome che è proprio di un altro; e questo
trasferimento avviene o dal genere alla specie, o dalla specie al genere, o
dalla specie alla specie, o per analogia”.
5
In questa classificazione l’interesse prevalente è per il terzo e quarto tipo; tra
i quattro, inoltre, secondo Aristotele, la metafora analogica o proporzionale è
la più bella, ed è quella in cui, considerati quattro termini, il secondo sta al
primo, così come il quarto sta al terzo.
6
Un esempio classico di questo tipo
di metafora è il seguente: “Vi è lo stesso rapporto tra la vecchiaia e la vita
che fra la sera e il giorno; il poeta potrà dire adunque della sera, che essa è la
vecchiaia del giorno, della vecchiaia che è la sera della vita”.
7
Allo stesso
modo “Pericle disse che la perdita della gioventù che scompariva dalla città
durante la guerra era come se si togliesse la primavera dall’anno”.
8
Sebbene nella Retorica affermi di non voler aggiungere nulla a quanto già
detto nella Poetica, tuttavia, egli ad un certo punto, quando introduce il tema
5
ARISTOTELE, Poetica, XXI, 1457b 6-9; vedi anche Retorica, III, 10, 1410b 13-15, 1411a 1, in Opere,
Laterza, Bari 1973, vol. 7.
6
ARISTOTELE, Retorica, III, 10, 1411a 1-2.
7
ARISTOTELE, Poetica, XXI, 1457b 25-30.
8
ARISTOTELE, Retorica, III, 10, 1411a 2-5.
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del rapporto tra metafora e similitudine, riconosce la “superiorità” della
prima rispetto alla seconda.
9
“Così Archita disse che un arbitro è come un
altare: ad entrambi, infatti, si rifugia chi ha subito un’ingiustizia. E così se
qualcuno dice che l’ancora e l’amo sono la stessa cosa: entrambe sono
appunto la stessa cosa, solo che l’uno funziona di sopra, l’altra di sotto”.
10
Nella teoria di Aristotele lo spazio in cui è collocata la metafora è quello del
nome. Nell’analisi delle parti dell’elocuzione egli distingue, da un lato, quei
suoni e quelle voci prive di significato (lettera, sillaba, congiunzione) e,
dall’altro, tutte quelle parti che a partire dal nome, possiedono un significato
ben preciso (nome, verbo, discorso, ecc…).
Il nome viene definito da Aristotele come “una voce significativa composta;
non contiene idea di tempo; nessuna delle parti che lo compongono presa per
9
Per ben sei volte, nella Retorica, Aristotele afferma la superiorità della metafora rispetto alla similitudine.
(III, 4, 1406a 20; III, 4, 1406b 25-26; III, 4, 1407a 14-15; III, 10, 1410b 17-18; III, 11, 1412b 34-35; III,
11, 1413a 15-16) Secondo Aristotele, la similitudine è una sorta di metafora; elemento comune ad
entrambe è, infatti, la percezione di un’identità nella differenza tra i due termini. La metafora, tuttavia, è
superiore perché permette al soggetto di mettere in moto la propria mente ed esaminare la relazione tra i
due termini; essa identifica i due termini, fa pensare, fa fare uno sforzo logico, fa produrre pensieri. La
similitudine, invece, innanzitutto è meno piacevole poiché è più lunga; inoltre, il poeta con essa non suscita
nel soggetto la spinta ad analizzare la relazione. E’ il termine come, aggiunto alla similitudine e omesso
nella metafora che fa la differenza, segna la superiorità della metafora, la sua capacità, non solo di produrre
apprendimento, ma soprattutto, di farlo con facilità e in modo piacevole. (ARISTOTELE, Retorica, III, 10,
1410b 13-19.)
10
Ivi, III, 11, 1412a 14-16.
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se stessa ha significato”.
11
Il ruolo cardine da esso svolto nell’elocuzione è
dovuto al fatto che esso si oppone sia al suono indivisibile (lettera), sia al
suono privo di significato (sillaba, articolo, congiunzione).
Utilizzando le parole di Ricoeur, possiamo affermare che il nome si può
considerare come l’unità di misura della lexis.
Subito dopo l’enumerazione della parti del discorso, Aristotele afferma:
“Ogni nome, o è una parola d’uso comune, o è una parola forestiera, o è una
metafora, o è una parola ornamentale, o è una parola coniata artificialmente,
o è una parola allungata, o accorciata, o alterata”.
12
La metafora è qualcosa che concerne il nome; essa nella Poetica è
considerata parte della lexis.
“Come la parola era detta una parte della lexis, così quest’ultima è, a sua
volta, una parte della tragedia…La metafora, avventura della parola, viene
connessa attraverso la lexis, alla tragedia o alla poetica della tragedia”.
13
11
ARISTOTELE, Poetica, XX, 1457a 10.
12
Ivi, XXI, 1457b 1.
13
P. RICOEUR, La metafora viva, op. cit., p. 50.
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La tragedia è definita da Aristotele come “imitazione delle azioni umane”
(mimesis). Essa è costituita da una serie di elementi, articolati e tenuti
insieme dal mythos o favola; è proprio il mythos che consente di realizzare la
mimesis.
14
Ricoeur osserva che esiste un legame tra il mythos della tragedia e la lexis
entro la quale è inserita la metafora. La lexis, infatti, si può definire come la
forma esteriore del mythos; essa è quel “discorso” che serve ad esplicitare,
ad esteriorizzare l’ordine interno del mythos.
15
Avendo citato il termine mimesis, è opportuno chiarire il significato che esso
assume nel pensiero di Aristotele evitando, come spesso accade, di
ricondurre tale termine ad una semplice imitazione.
Aristotele nella Poetica sostiene che tutte le arti in generale sono delle
imitazioni; i mezzi, gli oggetti e i modi che sono tutti riducibili al contenuto,
daranno fogge sempre diverse delle arti, ma non cambieranno, né potranno
14
Questo legame tra mythos e mimesis si può associare al legame tra finzione e ridescrizione presente nella
metafora; discuteremo meglio quest’aspetto nel II capitolo.
15
P. RICOEUR, La metafora viva, op. cit., p. 49-61.
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mai cambiare l’essenza stessa dell’imitazione, la quale per Aristotele è
innata nell’uomo.
16
Dalla corretta interpretazione del termine mimesis e del significato che esso
ha in Aristotele, è possibile notare come, parlarne in termini di imitazione
non è completamente esatto, perché può farci intendere la mimesis come una
semplice copia ripetitiva della realtà.
Essa non è una semplice copia o ripetizione di ciò che è, bensì
un’interpretazione, una riproduzione che è produzione. La mimesis è poiesis
e viceversa; il suo paradosso consiste nella presenza di una duplice tensione
tra la vicinanza e la distanza dalla realtà umana, la stessa tensione che si
riscontra nella trasposizione operata dalla metafora.
Si ritrovano nella riflessione aristotelica in nuce due teorie e due possibili
sviluppi. Se considerata come “semplice fatto del linguaggio” la metafora
“potrebbe essere ritenuta un semplice scarto rispetto al linguaggio ordinario,
16
“L’imitare è un istinto di natura comune a tutti gli uomini fino dalla fanciullezza; ed è anzi uno dei
caratteri onde l’uomo si differenzia dagli altri esseri viventi, in quanto egli è di tutti gli esseri viventi il più
inclinato all’imitazione. Anche, si noti, che le sue ‘prime conoscenze l’uomo le acquista per via di
imitazione; e che dei prodotti dell’imitazione si dilettano tutti” (ARISTOTELE, Poetica, IV, 1448b 5).
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accanto alla parola rara, insolita, allungata, abbreviata”. Se, invece è “situata
sullo sfondo della mimesis, la metafora perde ogni aspetto di infondatezza e
di arbitrarietà”; ricondotta “all’imitazione delle azioni migliori essa
partecipa della duplice tensione che connota l’imitazione: soggezione alla
realtà e invenzione immaginifica; restituzione ed elevazione”;
17
In altre parole, se considerata astrattamente, la metafora si esaurisce nella
funzione di sostituzione e “si spreca nella funzione ornamentale”; lasciata
senza una meta “si perde nei giochi del linguaggio”.
18
Se, invece, viene
valorizzata per il suo collegare in una proporzione termini che altrimenti
sarebbero separati, induce a vedere nel linguaggio qualcosa di nuovo.
In sintesi, quindi, possiamo dire che questa duplice tensione presente nella
metafora, da un lato segnerà per molti secoli il suo destino e cioè quello di
appartenere al nome e non al discorso, ma dall’altro lato, contiene un
orientamento verso un nuovo modo di intendere la metafora come atto
ermeneutico.
17
P. RICOEUR, La metafora viva, op. cit., p. 56.
18
Ibidem.
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Aristotele, nella Poetica, ad esempio, afferma che la metafora è un nome
coniato: “Parola coniata artificialmente è quella che non fu adoperata mai
prima da alcuno, e se la foggiò da se stesso il poeta”.
19
La capacità del poeta
è quella di trovare metafore, di vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma
che non tutti vediamo e di cui non siamo consapevoli.
Aristotele, dunque, pone le premesse per considerare la metafora come atto
creativo. Il poeta, infatti, conia delle nuove parole, le crea. La metafora,
quindi, non ha solo una funzione ornamentale, ma ha anche un’importante
funzione interpretativa e creativa.
Il primato della parola, tipico della tropologia, viene confermato da
Aristotele nella Retorica, dove insieme alla funzione di “scoprire in ogni
argomento ciò che è in grado di persuadere”
20
egli indica nella metafora uno
di quegli elementi che consentono di produrre un’espressione spiritosa e di
19
ARISTOTELE, Poetica, XXI, 1457b 30.
20
Aristotele afferma: “Definiamo, dunque, la Retorica come la facoltà di scoprire in ogni argomento ciò
che è in grado di persuadere. Questa, infatti, non è la funzione di nessun altra arte; ciascuna delle altre arti
mira all’insegnamento e alla persuasione intorno al proprio oggetto…La Retorica, invece, sembra poter
scoprire ciò che persuade, per così dire, intorno a qualsiasi argomento dato; perciò affermiamo che essa
non costituisce una tecnica intorno ad un genere proprio e determinato…La sua funzione non è il
persuadere ma il vedere i mezzi di persuadere che vi sono in ciascun argomento…” (ARISTOTELE,
Retorica, I, 2, 1355b 25-27.)