7
Inversione di marcia.
Ripartiamo ab origine.
In che modo i parlanti intendono le espressioni figurate?
Nel linguaggio figurato, il significato inteso non coincide con i significati letterali
delle parole e delle frasi che sono utilizzate.
Nella metafora ad esempio, il significato letterale è spesso assurdo, non
corrispondente ai significati logici di significazione.
Nelle espressioni idiomatiche, la relazione tra il significato letterale ed idiomatico
potrebbe essere totalmente opaco come nella frase di punto in bianco che significa
“all’improvviso”, ma le persone non hanno idea di come o perché questa
espressione significhi ciò che esprime.
Tradizionalmente, il linguaggio figurato, come metafore ed espressioni
idiomatiche, è stato considerato come derivante da un linguaggio letterale più che
semplice e lineare, molto complesso e difficile.
A mio parere il linguaggio figurato è nato per coprire un vacuum che spesso le
parole creano (lo si nota soprattutto ascoltando i discorsi di bambini molto
piccoli).
Servirebbe a far intendere ad altri ciò che spessi si ritiene dentro e non si riesce ad
esprimere.
Un approccio contemporaneo, descritto non solo dal filone di ricerca psicologica,
ma anche da quello filosofico e linguistico, è che il linguaggio figurato comprende
gli stessi tipi di operazioni linguistiche e pragmatiche che sono impiegate per
l’ordinario linguaggio letterale.
Potremmo identificare due tipi di operazioni linguistiche che le persone
utilizzano per comprendere un discorso.
Un gruppo comprende operazioni come l’accesso lessicale, l’analisi sintattica e
così di seguito.
Un secondo gruppo consiste di operazioni meno definite, ma non meno
importanti, se non necessarie in maniera rilevante per il processo di
comprensione, di solito raggruppate sotto il termine di “pragmatica”.
Nonostante l’utilità di queste due distinzioni, il linguaggio letterale richiede
l’impiego di entrambi i tipi di operazioni, non meno di quelle richieste per il
8
linguaggio figurato.
La mia ricerca tenta di fare luce su come i parlanti comprendano espressioni
appartenenti al linguaggio figurato, ponendo al centro del mirino della mia
discussione le espressioni idiomatiche, non disdegnando uno sguardo panoramico
ai processi di comprensione della metafora che per alcuni aspetti assomigliano a
quelli relativi alle espressioni idiomatiche.
Tutto infatti è partito dal mio interesse per il tropo per eccellenza, la metafora.
Un interesse, inizialmente circoscritto alla natura poetica e retorica, piuttosto di
ornamento, di tale figura, ma della quale avevo intuito la portata di valido
strumento concettuale, poi esteso ad altri aspetti interessanti, tutti riordinabili
all’interno di una categoria sovraordinata duplice: quella di strumento tanto
linguistico, quanto cognitivo.
Partita dalla metafora, ho poi orientato il focus sulle espressioni idiomatiche, un
po’ per restringere il campo, un po’ per curiosità nei confronti di un aspetto del
linguaggio figurato che inizialmente non mi intrigava tanto quanto la metafora,
ma che gradualmente è riuscito a coinvolgermi con la stessa se non maggiore
intensità.
Mi sono così ritrovata ad analizzare il linguaggio ordinario e le espressioni
connesse, utilizzate quotidianamente dai parlanti, che ricorrono con maggiore
frequenza sulle riviste e quotidiani, ma che provengono in larga misura anche da
altri media.
Simili per molti aspetti alle metafore, così come vicine ai proverbi, per una sorta
di sostrato culturale affine, ma fondamentalmente diverse per altre caratteristiche
che lungo i vari capitoli andrò a descrivere con dovizia di dettagli, il loro
trattamento ruoterà soprattutto attorno alle principali teorie che in questi ultimi
trent’anni sono state elaborate da numerosi psicologi per fare luce sui meccanismi
della loro comprensione in termini puramente cognitivi, ma non solo, come
vedremo.
Il mio lavoro si articola in sette capitoli, ognuno dei quali gode di una propria
autonomia, capitoli comunque legati l’uno all’altro da un fil rouge logico spesso
invisibile, che secondo un moto convergente, partendo da alcune teorie
fondamentali nel panorama canonico degli studi sulla metafora, lentamente si
9
focalizza con maggiore attenzione sulle espressioni idiomatiche, descritte
estesamente nel terzo capitolo.
Il primo capitolo funge da nota introduttiva all’intero lavoro.
In esso spiego la differenza tra metafore vive e metafore morte o congelate.
Nel secondo, dopo brevi considerazioni sulla metafora secondo un approccio oltre
che linguistico, anche filosofico e scientifico, mi soffermo sull’approccio per così
dire classico e tradizionale della metafora, che ne situa il locus nella parola o, più
in generale, nel discorso.
Necessariamente, dopo il breve excursus di tali teorie, sposto l’attenzione dalle
teorie del linguaggio a quelle del pensiero (in prima fila Glucksberg e Lakoff),
delle quali mi servo per dare una spiegazione quanto più efficace del linguaggio
figurato in generale, ma soprattutto di alcuni meccanismi che utilizzati per la
metafora filano perfettamente anche per esemplificare il processo di elaborazione
in termini mentali delle espressioni idiomatiche.
Il terzo capitolo è una disamina sulle caratteristiche proprie del linguaggio
letterale e figurato e del loro rapporto più che agli antipodi, assai intrecciato.
Il quarto è un capitolo altamente descrittivo, nel quale riassumo tutti gli elementi
distintivi soprattutto di carattere linguistico delle espressioni idiomatiche in
generale.
Il quinto si risolve in un’ampia disamina sulle maggiori teorie canoniche del
passato, non disdegnando quelle del presente inserite nel panorama dell’attuale
ricerca, che forniscono ognuna modelli diversi della comprensione delle
espressioni idiomatiche.
Nel sesto capitolo descrivo nei minimi particolari la teoria della rilevanza che ha
suscitato maggiore attenzione da parte mia, perché tenta di spiegare i meccanismi
di comprensione di tali espressioni alla luce di alcune valide teorie della
pragmatica che ho sempre incontrato lungo questi anni di studio in molte
discipline e esami da me approfonditi.
A mio parere, nella semplicità degli assunti che dettano riescono a spiegare
validamente non tutti, ma alcuni importanti aspetti connessi al linguaggio, tra i
quali quello del contesto, o più estesamente della pragmatica, pare che negli ultimi
anni sia stato ripreso seriamente in considerazione.
10
Il settimo capitolo è costruito interamente su una mia piccola ricerca, elaborata
all’interno del campus di Fisciano, basata sulla somministrazione di alcuni test
contenenti espressioni idiomatiche a carattere nominale ad un campione di
studenti universitari, per saggiare il loro grado di familiarità, frequenza e distanza
in termini di significato idiomatico e letterale.
Tramite questo esperimento ho cercato di capire se nel processo di comprensione
di tali espressioni idiomatiche nominali fosse applicabile o meno la teoria della
composizionalità o meno.
I risultati ottenuti in termini di analisi di dati sono sembrati per alcuni aspetti assai
interessanti e hanno condotto a dar credito alla teoria della composizionalità.
Desidero in primis ringraziare il Chiar.mo Professore Alessandro
Laudanna, per l’opportunità concessami e per la professionalità e
l’impegno con cui ha seguito la realizzazione di questa tesi, al quale
sono particolarmente grata per la disponibilità da lui dimostratami
soprattutto nella fase di ricerca del materiale sul quale ho poi
lavorato, e per avermi instillato una curiosità sempre crescente su
tutto ciò che concerne il linguaggio figurato, in tutte le sue possibili
sfumature. Lo ringrazio vivamente per avermi riportato spesso con i
piedi per terra e per aver sopportato tutti i mie voli pindarici sul tema
in questione, spesso esuli dai rigorosi criteri scientifici della
psicologia cognitiva. Ciò che resterà impresso ad encausto nella mia
memoria dopo aver dimenticato tutto sarà questo insegnamento: senza
verifica nulla si può dimostrare.
Un ringraziamento anche al professore Roberto Cordeschi in qualità
di correlatore.
Un grazie speciale va ai miei genitori, Alfonso e Filomena che mi
hanno sostenuto e permesso di studiare serenamente e al mio
fidanzato Michele che mi è stato sempre vicino e che con il suo affetto
ha contribuito a farmi percorrere gli ultimi passi di questo piccolo
traguardo che a volte mi sembrava irraggiungibile.
11
PRIMO CAPITOLO
LA PERVASIVITÀ DELLA METAFORA DAL LINGUAGGIO ORDINARIO
AL FIGURATO. INCIPIT PER UNO STUDIO APPROFONDITO
DELLE ESPRESSIONI IDIOMATICHE
Siccome la lingua naturale non è mai denotativa, ma plurivalente, vivere sotto la minaccia
costante della metafora rappresenta uno stato normale, è una “condizione umana”.
A.J. Greimas
1.1 La pervasività della metafora.
“La notte impone a noi la sua fatica magica”.
Disfare l’universo, le ramificazioni senza fine di effetti e di cause che si perdono
[…]”. Questi pochi versi di Jorge Luis Borges, sono solo uno dei tanti usi che
della metafora viene fatto in poesia e in letteratura, terreno dove tra l’altro questa
figura retorica, conosciuta e apprezzata come tale, fin dagli albori della civiltà
mediterranea, affonda profonde e antiche radici.
Questo tropo, questo elegante artificio apprezzato quantitativamente e
qualitativamente da filosofi del passato, quali Gorgia di Leontini, Isocrate,
Aristotele, Cicerone, Sant'Agostino, per citarne solo alcuni, e ancora da filosofi
moderni, (Derrida, Ricoeur
1
che spiega la metafora come un processo
1
Per Ricoeur la metafora è una trasgressione che apre nuove prospettive, smentendo così le
rigidità dello strutturalismo. Vediamo così che nel momento in cui la filosofia ammette come
essenziale il linguaggio metaforico, deve affrontare il problema di una nuova identificazione
teorica della metafora stessa, che la sottragga dalla mera considerazione di mero artificio
linguistico con valore poetico-ornamentale; stesso problema che hanno cercato di risolvere anche
svariati linguisti e psicologi. Ciò che distingue una vera e propria metafora (una metafora viva) da
una metafora lessicalizzata (metafora morta) è l’effetto di contrasto provocato dal senso
metaforico nei confronti del senso letterale: abolire il senso letterale, usuale, significa non poter
più riconoscere lo scarto in rapporto all’isotopia del contesto che la metafora provoca. Bisogna
evitare di intendere il “senso proprio” come senso originario”; esso indica semplicemente il
significato comune, abituale di un termine. La differenza letterale-figurato può essere conservata
se intesa in un modo nuovo. La metafora potrà così distinguersi per il fatto di instaurare una nuova
pertinenza semantica provocando un’aggiunta di senso rispetto ai significati lessicalizzati o una
prospettiva inedita da cui riconsiderare l’argomento o l’oggetto in questione. A questo punto è
necessario specificare i due possibili utilizzi della metafora nel testo filosofico: il primo si ha
quando, al sopraggiungere di un diverso modo di proporre i problemi, è necessario esprimere
nuovi significati, e non trovando a disposizione un linguaggio appropriato si ricorre a delle
12
interattivo)
2
, linguisti e psicolinguisti, poeti, matematici
3
, scienziati (Miller A. I.,
metafore, che per così dire “prendono a prestito” da un diverso campo semantico. Queste metafore
vengono lentamente integrate nel senso letterale, perdendo così la loro caratteristica di
“impertinenza” e diventando metafore morte. È un po’ la stessa cosa che avviene spesso a livello
di discorso scientifico, dove spesso capita che le vecchie teorie non vadano più di moda e sono
così soppiantate da nuovi modelli, adatti questi ultimi più per le scienze dure che per quelle
morbide le quali a loro volta si indirizzano più che altro alle metafore. Una seconda possibilità è
invece che il discorso filosofico ricorra alla metafora non per necessità, ma deliberatamente, al fine
di far emergere nuovi aspetti della realtà grazie all’innovazione semantica.Si ha creazione di senso
metaforico non solo inventando inedite ridescrizioni, ma anche rivitalizzando metafore morte;
questo è possibile perché il più delle volte l’immagine, anche se attenuata a causa della
lessicalizzazione, è ancora percepibile. Bisogna rinnovare le metafore morte anche perché i campi
metaforici “fondamentali” ai quali attingere, seppur polimorfi, sono pochi; si contano sulle dita di
una mano: nascita, unione, viaggio, morte.
2
Questa teoria dell’interazione, o della tensione, è applicata da Ricoeur a tre differenti livelli: c’è
infatti tensione tra i due soggetti dell’enunciato, tra senso (interpretazione) letterale e senso
(interpretazione) metaforico e , a livello della referenza, tra è e non è, conservati entrambi nel
come se dell’enunciazione metaforica. L’innovazione semantica è prodotta dalla tensione che si
instaura tral’interpretazione letterale e quella metaforica, tensione che genera una sorta di “visione
stereoscopica”, visione d’insieme in prospettiva volumetrica, a tutto tondo. Possiamo pertanto
parlare della referenza metaforica come di una referenza sdoppiata, o meglio considerare la
somiglianza instaurata dalla metafora appartenenti ad un piano diverso, un piano d’irrealtà.
Attraverso la metafora noi abbiamo la possibilità di far apparire un campo referenziale che ci
sarebbe inaccessibile direttamente, facendo ricorso a delle espressioni predicative di cui
possediamo già il significato al fine di “esplorare oggetti o fenomeni ignoti, per i quali non
possediamo un linguaggio adeguato. Il significato primo, letterale del termine viene disancorato
dal campo referenziale cui originariamente apparteneva e proiettato nel nuovo campo di referenza,
contribuendo a farne emergere la configurazione. Proprio in base a questa loro caratteristica,
Ricoeur le pone sotto il segno dell’immaginazione creatrice e dello slancio a “pensare di più” che
la caratterizza.
3
Le metafore scientifiche più interessanti, tuttavia sono quelle in cui “le espressioni metaforiche
costituiscono, almeno per qualche tempo, una parte insostituibile del meccanismo linguistico di
una teoria scientifica: i casi in cui gli scienziati usano, per esprimere tesi teoriche, metafore per le
quali non si conosce alcuna parafrasi letterale adeguata”. Sono quelle che Boyd chiama “metafore
costitutive”, nel senso che non si limitano a svolgere una funzione puramente interpretativa, ma
costituiscono esse stesse le teorie che esprimono. Il funzionamento delle metafore costitutive è
diverso da quello delle metafore letterarie:l’invenzione di un autore, se ripresa da altri autori,
variata o meno, alla lunga “si congela in una figura del linguaggio o in una nuova espressione
letteraria”. Quando invece le metafore scientifiche costitutive hanno successo, “diventano di
proprietà dell’intera comunità scientifica e le loro variazioni vengono esplorate da centinaia di
autori di opere scientifiche, senza che la loro qualità d’interazione vada perduta”. I lavori condotti
sinora sulla metafora nei linguaggi specialistici e nella divulgazione scientifica di carattere
generale o relativi a singoli domini hanno evidenziato le molteplici funzioni che la metafora
assume nel discorso scientifico. Tra esse emerge il ruolo di illustrare e semplificare, ma anche di
produrre nuovi termini (in questo ambito, con particolare attenzione al linguaggio specialistico,
notiamo che fioriscono miriadi di espressioni idiomatiche) e assume il ruolo non secondario di
formulare e riformulare teorie, di costruire e decostruire modelli.
13
1996)
4
, psicologi
5
, psicopatologi e psicoterapeuti, è stato analizzato da diverse
angolature e secondo i più autorevoli modelli; tropo ancora adulato, smembrato,
posto sotto i raggi x da discipline a sé stanti o integrate alla linguistica come la
fraseologia, la semiotica, la stilistica, la poetica e la retorica
6
(come
emblematicamente emerge nei lavori del Gruppo µ), oggi non appare più come
tale, ingabbiato ed ubbidiente ad un’unica e routinaria identità ferma agli strati
superficiali del gioco persuasivo, ma ne acquisisce un’altra, più profonda e
ancestrale, intimamente legata a processi cognitivi consci ed inconsci.
Ed è così che la metafora, ergendosi a colonna importantissima del pensiero, si
scopre sotto nuove vesti, ammiccando da un’angolatura quasi metalinguistica ad
altri ruoli tra i quali quello di strumento concettuale mai banale.
A volte non ce ne accorgiamo, tanto il fenomeno è quantitativamente esteso, ma la
lingua che usiamo nella sfera del quotidiano è profondamente permeata di
metafore, la maggior parte cristallizzate dall’uso, altre nuove, altre perfino ancora
non dette.
4
Se la metafora sta alla base del processo scientifico (Metapohors play an essential role in a
theory"s formulation .... Metaphors are essential for exploring scientific progress) come ci mostra
estesamente Miller, ciò vale per la meccanica quantistica quanto per la psicologia dove ad esempio
l'Edipo, la metafora base della psicoanalisi rappresenta la perenne oscillazione tra il padre e la
madre con tutti i pericoli di una fissazione su uno dei due, e che può realmente fare impazzire le
persone. Ci sembra che queste due branche della scienza, appunto la psicoanalisi (vedi anche il
fiorire di sottodiscipline non ancora riconosciute scientificamente- la PNL, programmazione
neurolinguistica - ma che si servono largamente della metafora come strumento di guarigione nella
tecnica teraupetica ) e la meccanica quantistica apparentemente agli opposti, oggi stanno
utilizzando la metafora come elemento-strumento creativo irrinunciabile. Provando a prendere in
esame un buon testo di psicoanalisi contemporanea ed un buon articolo sulla meccanica quantistica
troveremo che molti concetti base sono identici, non solo come terminologia, ma anche come
significato, ovviamente applicati al mondo microscopico degli affetti uno, della materia l'altro.
5
L'uso della metafora è essenziale al linguaggio umano in quanto consente di trasmettere pensieri
e concetti altrimenti difficili da comunicare. Lo stato d'animo di un paziente depresso si visualizza
in metafore comuni quali: "sono giù"; "il mio morale è basso"; "mi sento a terra" ecc. In ambito
terapeutico, la metafora può essere utilizzata come strumento elettivo, come mezzo fondamentale
di comunicazione fra paziente e terapeuta. Ad essa si può far ricorso sporadicamente, a seconda
degli accadimenti della seduta. Alcuni terapeuti, per una loro particolare attitudine immaginativa,
la inseriscono frequentemente nel colloquio, altri solo in casi eccezionali.
6
La stilistica viene a volte contrapposta alla retorica; la seconda studierebbe delle figure
sociolettali, la prima idiolettali. La retorica viene però spesso intesa come immissione nel testo
verbale di una sistematica esterna complementare alla organizzazione mediata dal sistema
linguistico (Lotman 1980, 158). Tuttavia, “l’effetto retorico nasce quando di scontrano segni che
appartengono a registri diversi e, quindi, quando si ha un rinnovamento strutturale del senso del
confine tra mondi di segni in sé chiusi. L’effetto stilistico, invece, si crea all’interno di un
determinato gruppo lessicale, unificato da un comune significato di registro” (ivi, 160).
14
In effetti ognuno di noi dispone nel vasto raggio delle proprie competenze
linguistiche anche di una competenza metaforica
7
(Maiguashca, 1989).
Ci troviamo ogni giorno ad utilizzare espressioni idiomatiche zoomorfiche del
tipo Pierino è un asino, Chiudi il becco, Giù le zampe, Paola è un’oca
riconducibili tutte ad un’unica matrice metaforica che è “l’uomo è un animale”.
Un fenomeno analogo di proiezione metaforica dell’ “umano” al “non umano” si
osserva quando si studia il comportamento dei verbi che denotano attività o
funzioni specificamente umane, sia a livello puramente biologico o fisiologico
(come nascere, morire, mangiare, bere, dormire, camminare, invecchiare, e via
dicendo) sia a livello psicologico (come parlare, sussurrare, fare i capriccci,
urlare, sorridere, accarezzare, e così via).
Quando questi verbi vengono riferiti a “cose,” cioè a esseri inanimati o entità
astratte, queste ultime vengono umanizzate, o meglio “personificate”.
C’è da notare che nel linguaggio quotidiano questo fenomeno di personificazione
avviene quasi senza che i parlanti ne siano coscienti.
È cosa comune dire, per esempio, che il sole nasca e muoia ogni giorno, o che la
città si addormenti la sera e si risvegli la mattina.
È pure del tutto normale sentire espressioni come le seguenti: le idee nascono e
muoiono, i cervelli vanno in tilt, gli affari di cuore sono legati ad un colpo di
fulmine o ad un ritorno di fiamma, le macchine bevono, l’affitto mangia metà del
nostro stipendio.
La stessa cosa avviene per espressioni idiomatiche del tipo: le braccia della
poltrona, i piedi della montagna, la faccia della luna, il collo della bottiglia, la
gola del vulcano; come possiamo non accorgerci che sono tutte da ricollegare a
metafore antropomorfiche, dove si attribuiscono in modo del tutto generico a
elementi della natura caratteristiche proprie degli esseri umani?
Non è difficile comprendere ed osservare che sostantivi come faccia, testa, collo,
7
Un aspetto importante della competenza linguistica è quella che possiamo chiamare la
“competenza metaforica,” cioè l’abilità che i parlanti nativi hanno di recepire e produrre metafore.
Chiariamo subito che si sta usando il termine “metafora” in senso molto lato e inclusivo, per
intendere tutto il linguaggio figurato o non letterale, dalla parola singola usata in senso traslato
fino a quelle forme più estese che vanno sotto il nome di “espressioni idiomatiche,” “modi di dire”
e proverbi. Questa dimensione della lingua è importante non solo in senso quantitativo - dato che
si tratta di un fenomeno generale, di portata vastissima - ma anche in senso qualitativo perchè le
metafore sono portatrici di cultura e come tali sono idiosincratiche.
15
cuore, gambe, piedi e cosi via, vengono frequentemente usati in senso traslato per
riferirsi a “cose,” in base a una somiglianza di forma o a un’analogia di funzione.
A proposito di questi usi traslati dei nomi indicanti parti del corpo c’è da notare
che uno dei motivi per cui i parlanti non percepiscono tali espressioni come
metaforiche o figurate risiede nel fatto che esse sono troppo correnti.
Per esempio, quando parliamo di gambe del tavolo, denti del pettine, l’uso dei
termini “gambe” e “denti” è sentito piuttosto come letterale, perchè manca un
altro termine che sia più specifico o più appropriato per designare gli oggetti in
questione.
Spesso la metafora “colma i vuoti del vocabolario” (Black 1954, 50).
Sono le cosiddette metafore di denominazione (es. “il dente di una montagna” ),
che sono passate sotto il nome di catacresi, sorta di metafore necessarie, che
perdono il loro statuto figurale una volta che sono state socializzate (si noti come
oggi la catacresi indichi piuttosto il processo di cristallizzazione di una metafora).
Alcuni teorici hanno infatti ipotizzato delle “mancanze” o “insufficienze” nel
lessico di una lingua: quando ciò avviene, quando cioè si deve designare un certo
oggetto o nozione per cui non c’è un termine specifico, si ricorre all’uso estensivo
di un termine già esistente nella lingua
8
.
Metafore in origine, dunque, ma necessarie per riempire una lacuna lessicale, e
come tali immediatamente codificate e cristallizzate dall’uso. In ultima analisi
esse fanno parte delle cosiddette metafore “spente” o “morte.”
In altri casi, invece, è ancora possibile cogliere le metafore al vivo.
Questo avviene chiaramente quando esiste un termine più specifico, più preciso
con cui è possibile sostituire quello metaforico.
Si parla normalmente dei piedi della montagna e anche dei fianchi della
montagna, però non è difficile per qualsiasi parlante sostituire alla prima
espressione “la base” o “la parte più bassa della montagna” e alla seconda “le
pendici” e riscoprire così la metafora.
8
Composti catacretici e metafora sono casi linguistici associati già nelle pertinenti
caratterizzazioni di Hermann Paul (1880) a) necessità espressiva rispetto a un deficit locale del
patrimonio lessicale, b) caratterizzazione icastica, c) matrice analogica. Ecco che una "gamba del
tavolo" nasce per coprire un vuoto terminologico e si serve di una analogia per costruire un
sintagma efficace alla caratterizzazione di qualcosa. Si concepirà in questo senso la catacresi non
come una metafora avvizzita, ma come un sintagma innovativo che andando a coprire un deficit
lessicale non potrà che facilmente cristallizzarsi (è la posizione, come vedremo, di Max Black).
16
Lo stesso vale per espressioni ormai cristallizzate come i muri hanno orecchi, le
bugie hanno le gambe corte, e simili, in cui le immagini antropomorfiche sono
ancora perfettamente percepibili.
E per fare un ultimo esempio, se sentiamo dire che Manhattam è il cuore di New
York, o che Central Park è il polmone verde della città, ci troviamo senz’altro di
fronte a metafore “vive,” attuali.
Il carattere affettivo della metafora all’interno delle espressioni idiomatiche è stato
riconnesso alla sua espansione progressiva a partire da valori tematici fortemente
euforici o disforici; vale a dire che “se ad un certo punto una serie di idee diviene
così carica di passione che induce una parola a estendere la sua sfera e a cambiare
il suo significato, possiamo tacitamente aspettarci che altre parole che
appartengono allo stesso complesso emotivo metteranno in variazione il loro
significato” ( Sperber H. 1923, 67).
Le metafore non sarebbero così episodiche, ma tenderebbero a fare sistema, a
rimotivarsi attorno a un asse tematico sensibilizzato (per esempio, l’uso
coordinato di metafore usate per ridenominare i vari alimenti in tempo di guerra).
L’affettività rinvia poi al corpo, e non occorre aspettare Lakoff & Johnson (1980)
perché questo divenga il principale centro di espansione metaforica (Sperber H.
1923; Ullmann 1964, p.85).
In modo analogo la linguistica storica ha cercato di comprendere se le metafore
avessero un fondamento translinguistico, se per esempio la “comprensione” fosse
stata oggetto di espressioni metaforiche equivalenti nelle varie lingue legate
all’azione di “catturare”, “afferrare” (cfr. Ullmann 1964, p.81) (il che porta alla
ricerca di un fondamento esperienziale delle metafore, ma anche - secondo alcuni
- all’evidenziazione che molte metafore si basano su “analogie pure” non correlate
nell’esperienza (Nyckees 1997, p. 51).
Per altri versi la connessione tra metafora e rimotivazione linguistica è stata molto
studiata in fonetica (Sapir 1929; Fonagy 1979), soprattutto per ciò che concerne le
sinestesie; il fatto che si usino delle designazioni metaforiche dalle caratteristiche
fonetiche e prosodiche (consonanti dure e molli, toni ascendenti e discendenti, di
tensione frastica, o di forza argomentativa, ecc.) nasconderebbe delle motivazioni
profonde, delle esemplificazioni metaforiche di proprietà per via intersensoriale.
17
Albert Henry (1971), come molti altri, ritiene che la metafora metta in gioco due
termini appartenenti a campi associativi alquanto diversi valorizzando il fascio di
semi che possono essere messi in comune.
In questo senso la metafora crea commensurabilità intercategoriale.
La permanenza dei tropi in lingua (estensioni, traslati, metafore cristallizzate)
finisce per articolare la semiotica della cultura come una logica dei concetti
sfumati (Eco 1975, p. 355) e per invitare la parole a inerpicarsi lungo nuovi
ragionamenti figurali (Fabbri, 1998).
Tutte le espressioni idiomatiche che ci capita di utilizzare ogni giorno si servono
per la maggior parte di questa figura del pensiero ed altre (ad es. metonimia)come
ho potuto verificare di persona analizzando a volo d’uccello le circa seicento
espressioni idiomatiche nominali che ho raccolto da dizionari e riviste
giornalistiche, e successivamente da me raggruppate in un mini corpus suddiviso a
sua volta in sottoinsiemi riconducibili a delle matrici metaforiche.
Su questa figura si continuerà a scrivere a dismisura
9
.
Non passa un giorno che non si scopra un nuovo campo di applicazione
10
.
1.2 Metafore vive e metafore morte
Riassumendo abbiamo visto come all’interno di questo traslato illimitato, già
definito sopra architrave del pensiero umano, sia stato possibile operare una
prima distinzione tra metafore vive e metafore morte.
In particolar modo riferendoci alle seconde, siamo talmente abituati alla loro
presenza, sono metafore talmente entrate nell’uso che non ci accorgiamo più che
sono figure create attraverso l’immaginazione, la creatività smisurata del nostro
pensiero. Si dice, per questo, che si tratta di metafore morte, che hanno perduto
cioè la loro vivacità originaria e si usano ormai come vocaboli qualsiasi.
9
Del resto, metafora è una categoria dai confini sfumati che può essere attribuita a vari fenomeni
del discorso che includono figure retoriche come similitudine, sineddoche, metonimia,
personificazione, per le quali non è semplice delineare una distinzione precisa.
10
Non per ultimo Ikujiro Nonaka illustra nel marketing, come il caso Honda City mostri in che
modo i manager giapponesi utilizzino il linguaggio figurativo per formulare i loro insight,
linguaggio che assumendo la forma di metafora o analogia risulta assai importante nel processo di
sviluppo di nuovi prodotti.
18
Le somiglianze su cui si basano sono talmente ovvie, evidenti per tutti, che non vi
facciamo più caso.
Tale è in effetti lo scopo dell’immaginazione di cui solo il primo creatore può
essere ritenuto il primo inventore: “il primo che paragonò la donna ad una rosa è
un genio – diceva Nerval – il secondo è un imbecille”.
Parlando e scrivendo vengono inventate ogni giorno nuove metafore, che sono
dunque metafore vive, fresche, capaci di produrre somiglianze che nessuno prima
aveva ancora considerato, ma non solo all’interno del linguaggio quotidiano,
anche all’interno di vasti campi del sapere ( Ricoeur, 1975)
11
.
Le nuove metafore ci offrono pertanto un processo, sono di per se stesse un
processo; non ci si limita più ad una comparazione fotografica-analogica tra due
similarità; come in parte ci ha detto Black, la metafora è in continua interazione
con il veicolo metaforico che fa emergere nuovi significati, man mano che i vari
aspetti evolvono.
Le nuove metafore, basate forse anche sull’immagine visiva ci aiutano di più a
capire il cambiamento indotto, in itinere, ma soprattutto evitano il pericolo della
staticità che ha fatto dire a molti: “la metafora è uno strumento meraviglioso, ma
altrettanto pericoloso”, facendo riferimento a metafore tipo: l'uomo è come
macchina o l'universo è come un orologio che, se hanno favorito inizialmente lo
sviluppo scientifico, l'hanno poi paralizzato, e questo vale anche per altri campi
disciplinari, incluso la psicologia.
Chiunque di noi ne può produrre e ne produce di frequenti.
Questo è permesso dall’estrema flessibilità della nostra lingua che ci dà
l’opportunità di cambiare il significato di uno stesso termine, trasferendolo dal
significato primario, oggettivo ad un significato nuovo, soggettivo ed emotivo.
Insomma, il genere umano continuerà ad utilizzare questo meraviglioso strumento
che è il linguaggio, dibattendosi tra i poli del letterale e del figurato, e in senso
figurato attraverso i traslati.
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Seguendo un percorso filosofico, basta soffermarsi sull’opera del filosofo Paul Ricoeur “La
métaphpore vive”, dove appunto la teoria della metafora viva si intreccia al destino della
dicotomia metafora viva-morta, teoria che si batte contro il semplice fenomeno di sostituzione, ma
appoggia quello di nuova predicazione che altera i termini. In questo sta la dimensione creativa e
immaginativa della metafora viva, cioè la capacità di spezzare le precedenti categorie per crearne
di nuove. Il discorso metaforico ha il potere di ridescrivere il reale, aprendo inedite dimensioni di
esso.
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Abbiamo visto che il linguaggio figurato è ricco di espressioni, alcune delle quali
a furia di essere ripetute sono ormai conosciute come idiomatiche, codificate
dall’uso, come ad esempio: brillare per la propria assenza,; fare mente locale,
mettere a tacere, non avere più la pallida idea, spaccare un capello in quattro.
Queste citate nell’esempio sono espressioni idiomatiche a carattere verbale, ma ce
ne sono tante altre a carattere nominale (ad es. oca giuliva, all’acqua di rose, di
punto in bianco), forse ancora più diffuse di quelle verbali, che si presentano sotto
forma di binomi, trinomi o con struttura più complessa e allargata, certamente più
difficili da sottoporre ad uno studio di carattere cognitivo vista la mancanza di un
fattore assai dinamico e importante, perno della realtà linguistica, quale solo il
verbo può essere.
Altre espressioni figurate nascono mentre si parla, dettate dall’emotività personale
e vengono personalizzate, comprese solo dagli astanti e dal soggetto in un
determinato contesto.
Altre ancora sono gergali o generazionali, destinate a cadere in disuso, una volta
che si è esaurito il fenomeno di moda o culturale tanto passeggero quanto
effimero che le ha generate ( ad es. camomìllati, limonare).
Proporre nuove metafore agli altri e a se stessi significa essersi impossessati di
uno dei meccanismi più potenti che la lingua ci mette a disposizione per variare ed
arricchire i significati.
La metafora in effetti è quel meccanismo che permette di piegare le parole, quasi
violentarle, per strappare ad esse il loro senso comune, stereotipato, ingabbiato
dalle evidenti regole linguistiche e che permette di affibbiargliene
presuntuosamente uno tutto nuovo.
La sua funzione più importante è quella di sospendere , di “straniare”
l’interlocutore, cioè di allontanarlo da ciò che gli è familiare per rivelargli un
aspetto insolito di qualcosa che già conosce.
Un improvviso cambiamento di scena, una variazione sull’ordine previsto è
spesso un modo efficace per conquistare l’attenzione di un lettore, o di un
ascoltatore distratto.
Nell’uso figurato del linguaggio si deve però stare attenti a due trappole di segno
opposto: da una parte l’uso di immagini complesse che rischiano di risultare
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incomprensibili e dall’altra la scelta di immagini logore e sfruttate, come “occhi di
cielo” che potrebbero apparire troppo convenzionali.
A questo proposito, alcuni oppongono con determinazione le metafore individuali,
creative, originali a quelle che abbiamo chiamato metafore collettive, o false
metafore, o, con rigore ancora maggiore, metafore morte, meglio note come “frasi
fatte”.
Mentre nelle prime polo connotativo e polo denotativo
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sono in continuo
equilibrio e la sfida, sia per il parlante che per l’ascoltatore, consiste proprio nel
varcare entrambi i confini senza correre il rischio dell’incomprensibilità, nelle
seconde, frasi fatte, proverbi
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, luoghi comuni, quello che prevale è il polo
denotativo e l’individuo non deve ricercare nuovi significati, non deve fare sforzi
per dissipare l’ambiguità, ma si trova anzi su un binario facile da seguire.
Ciò non significa che sia meno interessante studiare i passaggi che l’individuo
attua nel realizzare la comprensione di espressioni a lui familiari, caratterizzate da
due piani di significato, uno letterale e l’altro idiomatico e non significa che
questo percorso sia più facile.
Mi impegnerò a dimostrare e rendere tangibile questo interesse, anche se in
confronto all’illimitatezza creativa delle prime mi schiererei, come sostiene anche
Max Black, dalla parte dei sostenitori che si soffermano sulle metafore “vitali”,
(così definite da Ricoeur
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), ma per un approccio critico esaustivo: penso che i
loro critici (filosofi, scienziati, matematici e logici) abbiano ragione nel chiedere
che vengano prese in esame anche metafore meno “vitali”, e meno “creative”.
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Valore denotativo della lingua: OGGETTIVO. Significato di base, primario, usato da tutti
coloro che parlano una stessa lingua. Viene così definito in quanto denota un qualcosa, lo indica
chiaramente. Fa parte della comunicazione quotidiana, descrittiva, argomentativa, informativa.
Valore connotativo della lingua: SOGGETTIVO, che fa ampio uso della metafora. Serve a
comunicare opinioni ed emozioni, a stabilire un contatto emotivo fra chi parla e chi ascolta.
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I proverbi non vanno confusi con le frasi idiomatiche che sono appunto delle formule
idiomatiche di uso discorsivo, mentre i proverbi hanno la struttura semantica di un sapere o di una
sentenza.
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La metafora secondo ricoeur è spesso “ una impertinenza predicativa flagrante”. Le metafore
nascono e muoiono, né vengono formulate sempre di nuove, anche se alcune di esse si confermano
per divenire patrimonio comune. Le metafore nuove, quelle vive, “le metafore in festa”, sempre
come le definisce Ricoeur, sono frutto dell’attività creativa, appropriate allo scopo, comprensibili,
fantasiose, ma pertinenti, frutto di una vivace immaginazione. Le metafore che resistono al tempo
sono, ad esempio, le grandi metafore religiose,le metafore ontologiche che riguardano l’Essere, le
metafore, aggiungerei che rinviano agli archetipi.