⎯ 2 ⎯
menzionati i fattori biologici, psichici e culturali che, in una relazione causa-effetto
ancora tutta da indagare, hanno determinato differenze sessuali e di genere. Si
metterà in luce la peculiarità del rapporto fra la donna ed il linguaggio, che si
configura essenzialmente come estraniazione ed esclusione. Ciò pone la donna in
una situazione del tutto anomala, che la costringe a cercare nuove strategie
comunicative e nuovi strumenti per riappropriarsi della parola.
La donna, fuori da un linguaggio che non le appartiene, è tuttavia costretta ad
esprimersi attraverso di esso. La sua non è altro che una quotidiana attività di
traduzione da un linguaggio interiore che ancora non ha parole per dirsi, ed il
linguaggio esteriore, costruito dall’uomo per l’uomo.
2
Questa sua particolare
attitudine a farsi mediatrice fra due mondi
3
sembra essere confermata non solo da
fattori socio-culturali che l’hanno portata ad una condizione di oppressione, ma
anche da fattori biologici inerenti in particolar modo alla sua conformazione
cerebrale.
4
Il fatto che la maggior parte dei traduttori sia di sesso femminile ed il maggiore
interesse delle donne per le lingue e le materie umanistiche possono certo derivare
da altri fattori e non costituiscono una valida dimostrazione di tale ipotesi, tuttavia
non possiamo non chiederci se la dimensione biologica non svolga comunque un
ruolo rilevante in queste scelte, che sembrano essere del tutto coerenti con le
caratteristiche neurocerebrali femminili.
L’analisi si concluderà decidendo, alla luce di tutte le problematiche evidenziate, la
definizione più corretta per quello che finora abbiamo chiamato genericamente
linguaggio femminile; questa conclusione avrà in realtà un valore provvisorio: essa
potrà essere confutata o confermata solo nel momento in cui la linguistica avrà
2
Circa la distinzione fra linguaggio interiore e linguaggio esteriore, cfr. Rosa Rossi (1978), pp. 43-49 e IV.3.2.
3
Cfr. Alessandra Nannei (1992).
4
Cfr. AAVV, “La differenza sessuale: da scoprire e da produrre”, pp. 24-25, in AAVV (1987), Diotima.
⎯ 3 ⎯
indagato il legame intercorrente fra il linguaggio ed il corpo, che, in quanto strumento
percettivo, fonte di sentimenti e pulsioni, costituisce anch’esso un elemento
essenziale nell’ambito del processo di significazione.
⎯ 4 ⎯
I. CAPITOLO
IL RAPPORTO FRA SESSO E LINGUAGGIO:
LE TAPPE DI UN LUNGO PERCORSO DI RICERCA
La correlazione fra linguaggio e differenza sessuale ha interessato studiosi di
diverse epoche e discipline. Gli approcci a questa tematica, così come anche gli
scopi perseguiti, sono stati molteplici, tuttavia è possibile rintracciare zone di
intersezione e collegamenti anche tra ricerche cronologicamente molto distanti fra
loro.
In questo capitolo si presenteranno i maggiori contributi all’analisi del rapporto fra
sesso e linguaggio accennando brevemente al contesto scientifico e culturale
dell’epoca in questione e mettendo in luce lo sviluppo progressivo di questo campo di
ricerca che, da questione marginale rispetto a studi incentrati su ben altri temi, ha
acquisito a poco a poco dignità propria e costituisce ora un nodo di ricerca
particolarmente importante non solo in ambito linguistico ma, più in generale, in
relazione alla crisi della filosofia tradizionale e al rapporto con l’altro.
5
I.1. STUDI ANTROPOLOGICI ED ETNOLINGUISTICI SU POPOLAZIONI
PRIMITIVE
Le prime osservazioni sulle differenze linguistiche legate al sesso risalgono al XVI
secolo. Si tratta di qualche breve annotazione ad opera di esploratori, missionari e
antropologi che, durante i loro viaggi in Asia, Africa e America, erano stati incuriositi
dal modo di parlare delle donne appartenenti alle popolazioni indigene.
5
Cfr. IV capitolo e, in particolar modo, IV.2.
⎯ 5 ⎯
Nel XVII e nel XVIII secolo si avanza per la prima volta l’ipotesi che uomini e
donne di queste società cosiddette primitive parlassero lingue diverse.
Un esempio classico è il dizionario caraibico-francese del dominicano Breton
(1665), in cui si osserva che gli uomini delle Piccole Antille usavano termini o
espressioni che le donne capivano ma non utilizzavano e, viceversa, si segnalano
termini ed espressioni ad uso esclusivo delle donne, tanto che, se utilizzati da
uomini, sarebbero stati motivo di derisione.
Di questo periodo datano inoltre alcune descrizioni di lingue esotiche che
presentano il genere grammaticale;
6
tale caratteristica, riscontrabile anche nelle
lingue d’origine dei ricercatori stessi, dovette apparire ai loro occhi come un
fenomeno assolutamente banale. Lo studio del genere grammaticale fu quindi
immediatamente accantonato e nessuno si interrogò sul legame che poteva esistere
fra questo fenomeno linguistico e quelli legati al sesso del locutore.
Nel XIX secolo le ricerche su linguaggio e sesso si iscrivono nell’ambito dello
studio sugli effetti della colonizzazione, ovvero sui mutamenti rintracciabili nelle
lingue delle colonie dopo essere venute a contatto con le lingue occidentali.
Sarà solo con l’antropologo Frazer (1900) che il fenomeno del genere
grammaticale (che egli definisce genere oggettivo) e le differenze linguistiche
connesse al sesso del locutore (genere soggettivo) verranno messi in relazione.
Occorre però precisare che, se per Frazer tale relazione è di natura storica, per Ann
Bodine
7
come per altri studiosi di epoche più recenti è piuttosto espressione di una
stessa tendenza sociale, psicologica e cognitiva, ovvero di categorie che fanno parte
6
“Dire che una lingua presenta il genere significa che tutte le parole, o la maggior parte di esse, che si riferiscono
alle donne sono differenti, dal punto di vista grammaticale, da tutte le parole, o la maggior parte di esse, che si
riferiscono agli uomini. Per esempio, i sostantivi che servono per riferirsi alle donne possono differire dai
sostantivi che servono per riferirsi agli uomini, tramite gli aggettivi che rispettivamente li modificano o tramite i
pronomi, gli articoli o i verbi che essi reggono.”
Ann Bodine, “Sexocentrisme et recherches linguistiques”, nota n. 2, p.71 (trad. nostra), in AAVV (1983),
Parlers masculins, parlers féminins?
7
Op. cit., p. 42.
⎯ 6 ⎯
del nostro essere nel mondo, della nostra realtà intra-psichica e delle nostre modalità
percettive e conoscitive.
Nel 1922 Otto Jespersen dedica un intero capitolo del suo saggio Language, Its
Nature Development and Origin al linguaggio femminile. Nonostante i numerosi
stereotipi rintracciabili nelle sue affermazioni, egli si schiererà contro l’ipotesi
all’epoca fortemente accreditata dell’esistenza di due vere e proprie lingue distinte
parlate l’una dalla popolazione maschile e l’altra da quella femminile delle isole
caraibiche. Dobbiamo infatti ricordare che i Caribi avevano occupato l’isola
dominicana sterminando la popolazione degli Aruachi, che vi abitava
precedentemente. Le uniche ad essere risparmiate furono le donne, con le quali i
Caribi si sposarono e popolarono l’isola. La lingua degli Aruachi continuò ad esistervi
proprio per mezzo di queste donne, che la tramandarono alle figlie. Ecco perché gli
studi antropologici rilevarono la presenza di due lingue differenti: la prima era quella
parlata fra uomini, la seconda, d’altronde molto simile a quella degli Aruachi che
vivevano sul continente, era quella parlata fra donne. È chiaro che, alla luce di
quanto affermato più sopra, la causa prima di questa differenziazione non dipendeva
dal diverso sesso del locutore ma piuttosto dalla storia stessa degli abitanti dell’isola,
ovvero dal contatto con una popolazione che parlava una lingua differente.
Non si trattava di un caso isolato, bensì di un fattore che gli antropologi presero
sempre più in considerazione, pur attribuendogli eccessiva rilevanza.
Per spiegare l’esistenza di lingue diverse per uomini e donne essi si basavano in
effetti su due fattori:
1) l’esogamia
8
2) il tabù.
8
Matrimonio con persone esterne alla propria comunità linguistica.
⎯ 7 ⎯
Negli anni Venti fu stilato un inventario delle differenze linguistiche fra uomini e
donne in lingue africane, amerindiane e aborigene d’Australia e si rilevò il divieto di
nominare i membri della propria famiglia acquisita (o, persino, di pronunciare parole
foneticamente simili); le differenze erano riconducibili a questo particolare divieto in
quanto, trattandosi di società a filiazione unilineare, i termini tabù erano diversi per
uomini e donne ed il lessico da essi adoperato variava quindi considerevolmente.
9
Grazie alle conoscenze psicanalitiche dell’epoca, si mise in luce come queste
censure operassero su nomi designanti persone con cui si intrattengono relazioni
difficili. Trent’anni dopo Reik (1954) mostrò che alcune differenze linguistiche fra
uomini e donne derivavano proprio da modificazioni operate dagli uni o dalle altre per
evitare parole con una forte carica emotiva, proprio come facevano i pazienti in
psicanalisi.
10
Grazie a questa singolare analogia fu finalmente trovato il primo
collegamento con il mondo occidentale e per la prima volta, come suggerì lo stesso
Reik, si intravide la possibilità e l’interesse di estendere gli studi alle lingue europee.
Un altro apprezzabile spunto di ricerca era stato nel 1944 quello fornito da Furfey,
che per la prima volta aveva inserito la differenza sessuale in un contesto più ampio
(quello della differenza fra classi sociali). Tuttavia negli anni immediatamente
successivi la relazione intuita da Furfey tra il linguistico ed il non-linguistico rimarrà
ancora inesplorata.
Le ricerche continuano quali semplici descrizioni di differenze fonologiche,
11
morfologiche
12
e lessicali
13
che vengono ingenuamente segnalate per provare
9
Cfr. T. Reik (1954), pp. 13-15.
10
Per approfondimenti sulla tematica del tabù linguistico, cfr. II.2.2.2.
11
Vedi, per esempio, le differenze di pronuncia a seconda del sesso del locutore riscontrate nella tribù Gros
Ventre del Montana. Cfr. R. Flannery (1946), pp. 133-135.
12
Vedi, per esempio, il linguaggio degli Yana, in California: i vocaboli utilizzati dagli uomini quando parlano fra
loro sono più lunghi per l’aggiunta del suffisso –na. Si tratta della variabile più antica, mentre le donne
utilizzerebbero quella più recente. Cfr. E. Sapir, (1929) pp. 206-212.
13
Vedi, per esempio, la terminologia parentale (kinship terminology) degli abitanti delle isole Tobriand (nell’
Oceano Pacifico) organizzata secondo 2 criteri: stesso sesso / sesso differente; più vecchio / più giovane
⎯ 8 ⎯
l’esistenza di due vere e proprie lingue distinte fra loro.
Occorre inoltre ricordare che fino al 1930 si parla esclusivamente di lingua
femminile sottolineando il suo essere deviante rispetto alla lingua normale, ossia
quella maschile. Solo più tardi si parlerà sia di lingua femminile che di lingua
maschile riconoscendo in esse due varianti
14
; ciò implica evidentemente un
cambiamento sul piano ideologico, anche se in realtà, dal momento che molti
considerano ancora quella maschile come variante base, le due forme non godono
tuttora della stessa considerazione.
I.2. DALLE LINGUE ESOTICHE A QUELLE EUROPEE:
LO STUDIO DEI DIALETTI RURALI
L’antropologia e l’etnolinguistica si erano limitate allo studio di linguaggi parlati
da popolazioni primitive senza interessarsi alle lingue europee. Ciò deriva dal fatto
che le differenze di linguaggio fra uomini e donne in queste popolazioni erano
piuttosto eclatanti e difficilmente sarebbero sfuggite ai ricercatori. Lo stesso non
poteva certo dirsi per le differenze riscontrabili nelle loro lingue d’origine, senza
dubbio molto meno evidenti.
Le popolazioni d’Asia, d’Africa, d’Australia e d’America che tanto incuriosirono gli
studiosi europei costituivano microsocietà all’interno delle quali i ruoli sessuali erano
molto rigidi. Qui uomini e donne differivano nel modo di parlare in termini di varianti
Mentre nelle lingue europee tali termini variano a seconda del sesso della persona di cui si parla, in questa
lingua, come anche nella lingua Yana e in altre, essi variano a seconda del sesso del locutore. Cfr. Malinowski
(1929).
14
Il termine variante indica “ciascuna delle realizzazioni di un fonema in una data lingua. Il rapporto intercorrente
tra le varianti, tra loro differenziate per uno o più tratti fonetici non pertinenti, è detto variazione. Si dice variante
fondamentale di un fonema quella fra le sue realizzazioni che dipende in minor grado da condizionamenti
contestuali o stilistici, mentre sono dette varianti accessorie tutte le rimanenti.” (G.L. Beccaria (1994), voce
variante.) Le varianti accessorie si suddividono ulteriormente in combinatorie (dette anche posizionali o
contestuali) e in libere (dette anche facoltative o stilistiche). Ex. And- e vad- sono le varianti combinatorie dello
stesso morfema con significato “andare” perché figurano in contesti esclusivi; in italiano [r] polivibrante
apicoalveolare è la variante fondamentale del fonema /r/ mentre le altre possibili realizzazioni (come la fricativa)
sono varianti libere perché funzionalmente identiche ma stilisticamente connotate.
⎯ 9 ⎯
esclusive, ossia di varietà
15
che, in relazione alla variabile sesso del locutore, erano
utilizzate in modo esclusivo dalle donne oppure dagli uomini.
La società occidentale invece è molto più eterogenea e conflittuale ed il rapporto
lingua-sesso del locutore si stabilisce in termini di varianti preferenziali. Ciò significa
che si rintracciano sì caratteristiche tendenzialmente più presenti nel linguaggio di un
sesso o dell’altro (ovvero, donne e uomini preferiscono nella maggior parte delle
circostanze parlare in un determinato modo piuttosto che in un altro), ma nulla vieta
che un uomo adotti forme più frequenti nell’uso linguistico femminile o viceversa.
I primi dati relativi alle varietà femminile e maschile nelle lingue europee ci sono
forniti dalla dialettologia. L’intento primario di questa disciplina è in origine l’analisi
delle trasformazioni linguistiche in ambiti rurali e lo studio del declino dei dialetti. Al
centro delle ricerche troviamo quindi la variabile spazio,
16
ma i dialettologi si
troveranno necessariamente a fare i conti anche con la variabile sesso del locutore.
La prima problematica metodologica da risolvere riguardava infatti chi intervistare.
Quali sarebbero stati gli informatori più rappresentativi del dialetto in questione? I
primi dialettologi si affidarono alle credenze popolari prediligendo innanzitutto i
locutori più anziani. Ma circa la scelta di uomini o donne i pareri erano discordi.
Alcuni sostenevano che le donne fossero informatrici migliori a causa del loro
innato conservatorismo
17
, che giustificavano con il fatto che esse:
a) lasciavano più raramente degli uomini il proprio luogo d’origine
b) passavano la maggior parte del loro tempo in casa
c) non facevano il servizio militare
15
Il termine varietà (varietà di lingua) verrà utilizzato spesso, soprattutto nella prima parte di questo lavoro, poiché
espressione generica e sgombra da qualsiasi connotazione particolare, sinonimo di lingua, dialetto, vernacolo,
parlata, favella, idioma ecc. Per una definizione più precisa cfr. la nostra conclusione.
16
I dialetti, infatti, possono essere ugualmente definiti varietà diatopiche (dal greco topos = spazio).
17
La tematica del conservatorismo verrà esposta ulteriormente in II.3.
⎯ 10 ⎯
Le motivazioni qui elencate possono essere così sintetizzate: le donne entravano
più difficilmente in contatto con locutori di altri dialetti; c’è da notare che (a
prescindere dalla loro fondatezza e rilevanza) esse non dimostrano affatto un
innatismo,
18
ma fanno piuttosto pensare a probabili influenze socio-culturali.
Altri studiosi invece sostenevano la tesi opposta, considerando le donne
maggiormente innovatrici e prediligendo quindi informatori uomini. Fra questi Louis
Gauchat, il quale affermava:
On ne parle pas sans raison du toit paternel, mais de langue maternelle.
A la campagne, le père quitte la maison de bonne heure pour vaquer à ses
travaux, au milieu desquels on le voit, taciturne et souvent isolé, toute la
journée. Tel père parle plus, en été, è ses bêtes qu’à ses enfants. La mère,
qui passe beaucoup plus de temps à la maison, en société, à cuisiner, à
laver, parle beaucoup plus.
19
Se nel primo caso gli uomini erano descritti come persone che viaggiavano, e che,
anche a causa del servizio militare, avevano più occasioni di incontrare locutori di
altri dialetti, qui sono invece dipinti come taciturni e solitari, dunque in grado di
parlare un dialetto più puro perché meno soggetto a contaminazioni.
È chiaro che queste spiegazioni non sono attendibili e che variano a seconda
dell’esperienza personale degli osservatori.
Ci si aspetterebbe a questo punto che, a seconda delle posizioni brevemente
esposte qui sopra, i dialettologi si siano rivolti a informatrici donne nel primo caso e
uomini nel secondo. Invece, anche coloro che avevano inizialmente formulato pareri
favorevoli nei confronti di informatrici donne finirono poi per escluderle per altri
motivi.
20
Pertanto, gli studi dei primi dialettologi furono essenzialmente effettuati da
intervistatori uomini su informatori uomini.
18
Ciò si ricollega al dibattito natura/cultura che affronteremo in III.1.
19
Louis Gauchat (1905), p. 44
20
Alcuni ritenevano ad esempio che le donne si imbarazzessero troppo di fronte ad intervistatori uomini, altri
addirittura che non fossero in grado di mantenere l’attenzione per tutta la durata dell’intervista o che fossero
troppo imprecise.
⎯ 11 ⎯
Nonostante molte ricerche non specifichino il sesso dell’intervistato, grazie alla
struttura stessa dei questionari possiamo costatare che questi si rivolgevano
principalmente agli uomini; erano presenti solo alcune sezioni che facevano
direttamente riferimento alle donne e che riguardavano ambiti tradizionalmente
femminili (come le attività domestiche, la cura dei figli ecc.).
La dialettologia si occupava infatti principalmente del lessico ed era proprio sul
piano lessicale che il linguaggio di uomini e donne, in funzione alle attività da essi
svolte nella società, differiva maggiormente.
È interessante notare che le sezioni dedicate alle attività femminili erano
periferiche rispetto alle sezioni maschili. Il punto di vista era androcentrico, come
dimostra anche il fatto che le interviste venivano effettuate essenzialmente in luoghi
di ritrovo maschili (nelle taverne, dal barbiere ecc.).
I.3. LA SOCIOLINGUISTICA E L’APPROCCIO QUANTITATIVO
La sociolinguistica è lo studio del linguaggio nel suo contesto sociale, ossia lo
studio delle varietà di lingua in relazione alla variabile stratificazione sociale (varietà
diastratiche). Concetto centrale nello studio sociolinguistico è il vernacolo,
21
ovvero la
varietà usata spontaneamente da persone che si conoscono bene fra loro, e che
appartengono quindi allo stesso gruppo sociale.
Uno dei motivi per cui le prime ricerche sociolinguistiche non hanno accordato
importanza alle caratteristiche specifiche della varietà femminile è proprio il fatto che
ancora le donne non erano percepite come gruppo sociale. L’approccio linguistico
era per altro un approccio per minoranza (minority approach) in termini di potere e
controllo che una maggioranza, costituita dalla comunità linguistica nel suo insieme,
21
“Termine generico per indicare una varietà di lingua d’uso locale, contrapposto alla lingua più diffusa. Quindi
può essere sinonimo di dialetto”. Giorgio Raimondo Cardona, (1989), voce vernacolo.
⎯ 12 ⎯
esercita sui locutori dei vernacoli. Mancavano per le donne quegli elementi che
caratterizzano gli altri gruppi sociali, ovvero:
1) l’omogeneità del gruppo (il fatto di vivere a stretto contatto con gli altri
membri del gruppo o avere luoghi di ritrovo specifici)
2) l’esistenza di una sottocultura ben definita
3) la consapevolezza dell’appartenenza di gruppo.
22
L’omogeneità di gruppo per le donne era occultata dal loro vivere a stretto contatto
con l’uomo nel rapporto di coppia; esse non percepivano il fatto di possedere una
subcultura specifica, né il fatto di appartenere ad un gruppo. Inoltre, se gli altri gruppi
sociali si definiscono in base al conflitto minoranza vs maggioranza (gruppo marcato
vs gruppo non marcato), per le donne le cose erano più complicate perché tale
conflitto non era manifesto ed il rapporto con la maggioranza si configurava anche
come un rapporto sentimentale (e di dipendenza emotiva).
Se la dialettologia aveva realizzato le sue ricerche in contesti rurali e si era servita
di informatori anziani, con la sociologia ci spostiamo invece in ambito urbano e si
prediligono informatori solitamente più giovani.
Ricerche sociologiche classiche che rispecchiano le caratteristiche appena
menzionate sono quelle realizzate da William Labov a New York (1966) e da Peter
Trudgill a Norwich (1971), che rientrano nel filone della ricerca variazionista rivelando
l’esistenza di una correlazione fra la variabile sesso del locutore e la pronuncia di
determinate variabili fonologiche. Queste ricerche finiscono per rilevare differenze
significative fra uomini e donne circa il loro atteggiamento nei confronti delle norme
linguistiche e, in modo particolare, relativamente all’adozione o il rifiuto delle forme
vernacolari.
23
22
Cfr. Jennifer Coates (1986), p. 7.
23
Cfr. II.2.3. e, in particolare, II.2.3.3.
⎯ 13 ⎯
Gradualmente le donne cominciano ad acquisire consapevolezza della propria
appartenenza di gruppo, nascono i primi movimenti femministi ed anche i
sociolinguisti iniziano a considerare il sesso del locutore come variante specifica.
Gli studi degli anni ’70-’80 rispondono alla volontà di provare in modo scientifico
tramite un approccio quantitativo le affermazioni di coloro che si erano
precedentemente occupati della co-variazione lingua–sesso del locutore e, in modo
particolare, si rifanno ad un libro che aveva suscitato grande interesse all’epoca ma
che prendeva le mosse dall’esperienza personale dell’autrice, senza apportare prove
concrete a sostegno delle sue tesi. Si tratta del celebre saggio di Robin Lakoff del
1975, Language and Woman’s Place, che, seppur fortemente criticato per la chiara
adesione agli stereotipi correnti, ha il pregio di fornircene un’ampia descrizione.
24
Le categorie interpretative adottate dalla riflessione sociolinguistica sono
riconducibili alle seguenti:
orientamento del deficit, o della dominanza
orientamento della diversità culturale
Entrambe sono prese in prestito alla ricerca sulla co-variazione lingua–classe
sociale e riadattate poi a quella fra lingua e sesso del locutore.
Il primo orientamento è proprio di coloro che interpretano la varietà femminile
come deficitaria e subordinata a quella maschile. Sarebbe la dominanza maschile a
spingere le donne ad operare scelte linguistiche di subordinazione.
L’approccio della diversità culturale consiste invece nel considerare i due sessi
come due culture, due mondi separati dei quali la lingua si farebbe espressione. La
comunicazione fra uomini e donne si configurerebbe quindi come una comunicazione
interculturale, con le difficoltà che essa comporta. Questa problematica verrà
24
Per ulteriori informazioni sul contenuto di questo saggio, cfr. II.1.
⎯ 14 ⎯
sviluppata in modo particolare nell’ambito della ricerca interazionale
25
che dominerà
dagli anni 80 in poi non solo in campo sociolinguistico ma anche in quello dei
Women’s Studies.
Franca Orletti (2001) osserva come le due categorie interpretative del deficit e
della diversità culturale stabiliscano un parallelo fra svantaggio sociale e
appartenenza al sesso femminile: come la varietà di lingua delle classi inferiori era
considerata deficitaria rispetto a quella delle classi gerarchicamente superiori, così
avviene anche per le donne.
26
Allo stesso modo anche l’appartenenza ad una cultura
differente viene spesso interpretata come l’appartenenza ad una subcultura in termini
qualitativi e non semplicemente ad una cultura altra. La linguista esprime il suo
stupore per il fatto che le studiose degli anni ’90 abbiano continuato a adottare
queste categorie senza riconoscerne il carattere discriminatorio.
27
I.4. IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE
È al femminismo che dobbiamo il contributo teorico più rilevante nell’analisi del
rapporto fra sesso e linguaggio, e in particolar modo al femminismo di seconda
ondata, che fa della differenza sessuale la sua tematica centrale.
Il primo femminismo, che vedeva nell’uguaglianza giuridica con gli uomini il suo
obiettivo prioritario (1848-1918), entrerà in crisi durante la guerra e nell’immediato
dopoguerra. I diritti conquistati non avevano cambiato la situazione di subordinazione
delle donne, occorreva individuare nuovi percorsi, perseguire nuovi obiettivi, che già
25
La ricerca interazionale analizza le differenze di linguaggio riscontrabili in situazioni di interazione fra persone
dello stesso sesso e fra persone di sesso diverso. Saranno quindi da prendere in considerazione tre tipi di
interazione: uomo – uomo; donna – donna; uomo – donna.
26
Ciò è dimostrato anche dal fatto che i fautori di questo orientamento incoraggiano un’ “educazione
compensativa” per colmare questo deficit ed insegnare alle donne a parlare come gli uomini.
27
In realtà, a nostro avviso, il secondo orientamento non è sempre necessariamente discriminatorio perché vi
sono pensatrici che hanno sviluppato questa categoria interpretativa rivalutando positivamente la cultura
femminile. Tuttavia concordo con Rachel Giora (2001): con tale rivalutazione si corre il rischio di accettare
passivamente la situazione attuale senza promuovere i necessari cambiamenti.
⎯ 15 ⎯
si ravvisavano nelle opere a cavallo fra il primo ed il secondo femminismo, fra cui in
particolar modo Una stanza tutta per sé (1929) e Le tre ghinee (1938) di Virginia
Woolf, e Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir.
Le cause della sottomissione della donna si rivelano essere ben più profonde di
quanto si credeva: esse non si limitano né al campo giuridico (come aveva invece
sostenuto la corrente liberale), né al campo socio-economico (come avevano fino ad
allora ritenuto le femministe della corrente socialista, che lottavano contro la
proprietà privata quale causa prima di tutte le subordinazioni). Si trattava di andare
alle radici di una tradizione occidentale che poneva uomini e donne in una posizione
gerarchica di subordinazione e di esclusione, si trattava di aspirare non più
all’uguaglianza, ma alla differenza, perché solo nella differenza la donna avrebbe
potuto liberarsi dall’oppressione, rivendicare la sua specificità senza omologarsi
all’uomo, acquistare autonomia e dignità senza doversi alienare da sé.
Il pensiero della differenza sessuale deve innanzitutto uscire da un pensiero che
non pensa la differenza sessuale: si pone quindi essenzialmente come critica e
decostruzione di quello che viene definito ordine patriarcale, androcentrico o ancora
fallocentrico o fallologocentrico a seconda della disciplina in questione, ossia quel
sistema di pensiero, quella visione del mondo, quella struttura simbolica che assume
il solo sesso maschile a paradigma dell’intero genere umano e che si traduce con il
dominio storico e culturale dell’uomo sulla donna.
Per leggere tale ordine maschile le femministe ricorreranno ad un modello
particolarmente efficace, un sistema ad economia binaria in grado di illustrarne la
struttura oppositiva, duale e gerarchica che, a partire dalla dicotomia primaria
uomo=soggetto vs donna=oggetto, mette in luce il modo in cui il sesso maschile si
autorappresenta e rappresenta la donna come immagine riflessa di se stesso in
negativo corrispondente ai suoi desideri e bisogni.