INTRODUZIONE
PerchØ il Cavaliere
La mia generazione, troppo giovane per appassionarsi alla politica prima della “discesa in
campo” del 1994, ha vissuto e sta vivendo in parte ancora oggi, l’era Berlusconi. L’8 maggio
del 2008, il Cavaliere è stato infatti nominato per la quarta volta nella sua carriera politica,
capo del governo.
Anche se, dopo le dimissioni dell’8 novembre, si sta aprendo una fase nuova di cui è difficile
individuare precisamente i contorni, noi giovani facciamo ancora fatica ad immaginare con
lucidità un futuro politico per il nostro Paese che non sia direttamente legato alla figura del
Cavaliere, che ha presieduto tutti i governi di centrodestra che si sono avvicendati dalla fine
della così detta “prima repubblica” ad oggi, diventando il protagonista assoluto sulla scena
politica italiana.
Silvio Berlusconi è infatti l’uomo-simbolo della fase politica del Paese che personalmente ho
vissuto ed osservato con piø intensità e costanza. Ma egli è anche il leader politico che, grazie
alle sue televisioni, che ne hanno raccontato - piø o meno obiettivamente - la vita privata, le
passioni, i vizi e le ambizioni, potremmo sostenere di “conoscere” maggiormente sotto piø
punti di vista.
La sostanziale continuità con cui egli ha dominato il contesto socio-politico italiano, ha
contribuito a definire un vero e proprio “modello berlusconiano” di pensare la politica e le
istituzioni, un universo nuovo di valori e concetti, approvato da quella parte di società italiana
che ha riconosciuto in lui un vero e proprio leader, se non anche una sorta di divinità (cfr.
Amadori, 2003).
La sua immagine, che è apparsa in televisione, nei manifesti elettorali e sui giornali, ha fatto
dell’ex premier un uomo onnipresente sulla scena non solo politica, ma anche e sopratutto
sociale, italiana: come una fiction televisiva, od un reality show, Silvio Berlusconi è riuscito
ad entrare nelle case degli italiani grazie essenzialmente al potere che egli ha esercitato sui
media (cfr. Boni, 2008). Tuttavia, il rapido processo di sgretolamento della sua maggioranza,
trasmesso proprio dal quel mezzo televisivo che in decenni Berlusconi ha brandito come
scettro, ha contribuito a definire la sua stessa sconfitta politica (cfr. Spinelli, 2011); anche se
non può ancora dirsi con esattezza se essa investirà solamente la figura del Cavaliere, o
arriverà a colpire le fondamenta di quel radicato ed efficientissimo sistema di potere mediatico
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che egli è riuscito a costruire, grazie soprattutto al sostegno ed al controllo sui canali televisivi
che egli stesso possiede.
PerchØ il linguaggio ed il potere
Non si deve però pensare al potere di controllo sul mezzo televisivo come unico segreto del
successo e del forte consenso elettorale che in diciassette anni il Cavaliere è riuscito ad
ottenere.
Egli ha infatti il merito di aver compiuto per primo delle importanti ed innovative scelte nel
campo della comunicazione e del linguaggio politico, smarcandosi nettamente dalla pomposità
linguistica di quel “politichese” formatosi negli anni precedenti alle inchieste di Tangentopoli,
ed introducendo in primo luogo un linguaggio nuovo e composto di periodi chiari e brevi: un
linguaggio comprensibile che avrebbe contraddistinto il proprio modello di comunicazione ed
avrebbe segnato la storia della nascente “seconda repubblica” (cfr. Bolasco, Giuliano, Galli
de’ Paratesi, 2006).
La promozione di questa metodologia comunicativa così estranea al panorama politico italiano
degli anni ’90, ha provocato come effetto diretto, una normalizzazione e ri-armonizzazione
progressiva dei rapporti tra i cittadini e le istituzioni, ridando fiducia ed aspettative agli elettori
italiani, arresisi di fronte al largo coinvolgimento non solo dei partiti ma del sistema statale in
generale negli affari della corruzione (Ibidem).
Silvio Berlusconi è stato dunque il politico, l’uomo delle istituzioni, che - come vedremo nei
capitoli successivi del lavoro qui presentato - piø di ogni altro “ha perseguito la strategia di
costruire una relazione seduttiva con i cittadini, riuscendo pienamente nell’intento” (Amadori,
2003, p.198), e che, riuscendo in sostanza anche a comprendere, in un periodo così buio come
quello appena descritto, la volontà degli italiani di rinnovamento sul piano politico-morale, è
divenuto il fautore di un modello innovativo di interpretare e concepire - ma anche e
soprattutto, di comunicare - il messaggio politico.
Seguendo l’impostazione di questo lavoro di tesi, prima di trattare dello stile comunicativo e
del linguaggio del Cavaliere (vero protagonista di questa ricerca), verrà promosso un esame
dettagliato sulla funzione e l’impiego degli stili comunicativi e del discorso politico
“classico”, caratterizzanti la leadership di potere a livello generale. La conoscenza e la
comprensione di questi temi, affrontati nel primo capitolo, è funzionale all’ottenimento degli
strumenti fondamentali per poter compiere un’analisi critica sullo stile comunicativo di Silvio
Berlusconi.
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Il secondo capitolo della tesi, si incentra invece sull’analisi e l’approfondimento delle tecniche
comunicative, della retorica politica e delle caratteristiche del linguaggio del Berlusconi -
oratore: dall’uso, il valore delle parole e la scelta che egli ne fa in base al mutare del contesto e
della platea, dal significato e dalla concezione arbitraria, “berlusconiana”, di termini, categorie
e concetti della politica e delle istituzioni, fino ad arrivare ad una riflessione sulla sua capacità
“seducente” di inventarsi, di raccontarsi e raccontare.
Capire il linguaggio per comprendere il successo
Il capitolo conclusivo sarà dedicato interamente a quei personaggi che hanno fatto del
processo di imitazione del loro leader un “credo”, interiorizzandone e imitandone le azioni e
gli atteggiamenti comunicativi: un vero e proprio processo di emulazione e devozione alla
causa berlusconiana, un esempio di sistema di relazioni che nel linguaggio antropologico
“potremmo chiamare davvero “tribale”” (Amadori, 2003, p. 98), legato com’è al fascino e
all’intento condiviso dell’esaltazione del proprio “Capo”.
L’approfondimento di quest’ultimo aspetto sarà dunque anche di fondamentale importanza
per comprendere appieno le dimensioni dell’impianto di potere berlusconiano e della sua
efficacia.
La fine di un’epoca?
Preso atto che la stagione del berlusconismo stia avviandosi verso il declino, occorre chiedersi
se il sistema di comunicazione su cui per anni si è incentrata, possa svilupparsi ed avere un
seguito. Secondo Barbara Spinelli, giornalista e scrittrice italiana, la comunicazione del
Cavaliere avrebbe le sue radici nel sistema di linguaggio dello spot promozionale: “insistente,
sempre eguale a se stesso, sempre indirizzato al cittadino […] sempre pronto ad annusare il
possibile cliente in chi sta appeso alla Tv.” (Spinelli, 2011, p.1): un tratto, questo appena
descritto, fortemente indicativo dell’ “antipoliticità” del linguaggio adottato dal Cavaliere.
Sarà interessante allora seguire i principi comunicativi che adotteranno i successori di
Berlusconi: se ne rigetteranno tecniche e stili comunicativi condivisi dall’ormai vecchia
maggioranza, se lo riprenderanno in parte o totalmente.
Ciò che appare tuttavia chiaro, però, è che il Cavaliere non sembra ancora aver abbandonato la
sua storica linea comunicativa.
La teoria dell’ “insistenza” del messaggio berlusconiano così come descritta da Spinelli, ha
trovato un’ulteriore applicazione nelle dichiarazioni seguenti alla prima uscita pubblica del
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Cavaliere da ex capo del governo
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. Egli non ha fatto intravedere in effetti, segnali di
cedimento o abbandono rispetto alla persecuzione della sua storica strategia di linguaggio,
ribadendo il suo decennale “impegno contro i comunisti”; impegno da cui tra l’altro trasse la
spinta legittimante per scendere in politica nel 1994. (cfr. Bolasco, Giuliano, Galli de’
Paratesi, 2006).
Ad ogni modo, analizzando la fase appena precedente alle dimissioni del governo, fa riflettere
la velocità con cui il consenso intorno a Berlusconi, sia venuto meno proprio all’interno del
Pdl. Basti pensare a tutti quei parlamentari, ritenuti tra i piø fidati del Cavaliere, che hanno
fatto mancare il sostegno all’Esecutivo, passando all’opposizione, nel momento clou del voto
dell’8 novembre 2011 sul rendiconto finanziario dello Stato. Questo fenomeno può portare ad
una considerazione che metterebbe in evidenza una sostanziale lacuna nella “macchina del
successo” berlusconiano.
Si può parlare, per dirla secondo una formula adottata dal sociologo Ilvo Diamanti, di quel
“consenso senza fiducia” (Amadori, 2003, p.13) che ha caratterizzato l’atteggiamento del
corpo elettorale nei confronti dell’ex maggioranza di Berlusconi, partendo già dal 2003,
restringendo le maglie del consenso attorno a Forza Italia. Un processo dunque, che avrebbe
mosso i suoi primi passi già da tempo, ma che solo oggi avrebbe fatto conoscere i suoi riflessi
sui componenti del vecchio governo, andando a minare dunque le basi di potere su cui il
Cavaliere poteva contare.
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Il 26 Novembre 2011, intervenendo durante il convegno dei Popolari Liberali, a Verona.
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