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televisive e i website di/alla moda, così come evidenziato durante i tre anni di Corso di Laurea in
Scienze e Tecnologie della moda negli elaborati presentati in Appendice che hanno costituito il
presupposto di questa ricerca finale.
L’approccio sperimentale è derivato dalle frequentazioni da parte dell’autore dell’ambiente milanese
di/alla moda e dall’aver constatato che dalle chiacchiere delle front row - le prime file della sfilate -
nascono i nuovi modi di rappresentazione delle pagine di cronaca firmati dalle sagaci inviate, le
“penne” più famose, e dalle redattrici di tutto il mondo dei fashion magazine. Un meccanismo globale,
simile nelle sue modalità tra Milano, Parigi, New York, Londra che ha spinto ad una continua verifica
sul campo ed è stato lo stimolo alla raccolta del corpus.
Da una prima disamina delle pubblicazioni più recenti di/alla moda si è evidenziato un dato di fatto
importante e ormai stabile da tempo: l’Italia si trova ormai a dipendere dall’editoria USA di/alla
moda, negli ultimi 17 anni in particolare dai “capricci” del direttore di «Vogue America», Anna
Wintour. In un continuo atteggiamento misto di deferenza e emulazione da parte della stampa
italiana nei confronti della «direttora delle direttore» Wintour, le “penne” di/alla moda si esprimono
in un linguaggio che è sempre in bilico tra lingua speciale e settoriale, il sempre più intrigante e
sfuggente “giornalese” della moda, una sorta di lingua franca mistilingue ma fondamentalmente di
matrice angloamericana.
Lo studio dei meccanismi di formazione dei nuovi lemmi e l’analisi dei contesti di/alla moda,
analogamente a quanto succede in altri Corsi di Laurea presenti in Italia analoghi a Scienze e
Tecnologie della Moda, può costituire per le generazioni future una valida guida alla comprensione di
quella «generazione di senso» i cui meccanismi Barthes, purtroppo non per sua volontà, ha potuto
ricercare solo in modo limitato, nella stampa francese alla fine degli anni ’50. Per comprendere,
quindi, se l’EF (English for Fashion) possa essere elevato al rango di linguaggio specialistico, ESP (English
for Specific Purposes), al pari di altre lingue speciali il BE (Business English) o l’EMP (English for Medical
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Purposes), o altrimenti essere considerato meramente un linguaggio “settoriale” tipico del mondo
giornalistico (il “giornalese” appunto), pura espressione di un mix di mode e modi di dire in bilico tra
lo snob e la strada, si sente l’esigenza di dare una definizione up-to-date del linguaggio di/alla moda:
ancora una volta, proprio come Barthes insegna, il terreno di studio appare quello della carta
stampata, arricchito dal contributo dei new media.
L’analisi, spaziando fra l’istituzionale e il profano, tenta di ricostruire un meccanismo comune
all’italiano e all’inglese, con riferimenti anche al francese - le tre lingue più diffuse nel fashion system -
per comprendere se esiste un fil rouge nel processo di formazione dei termini tipici del ‘giornalese’ di
moda.
Partendo dalla disamina della letteratura linguistica e sociolinguistica, con riferimenti ai testi di
cultura aziendale di moda, si arriverà all’analisi del corpus di testi editoriali - sia della carta stampata
(quotidiani, settimanali, mensili) italiani e internazionali, sia dei new media (soprattutto internet) -
arricchito dal contributo di due testi fashion oriented, mai analizzati a livello accademico e nati in
contesti estremamente significativi dal punto di vista sociolinguistico:
- un romanzo, Il diavolo veste Prada (nel titolo originale The Devil Wears Prada) scritto da Lauren
Weisberger, ex-assistente chez «Vogue» di Anna Wintour, di recente riadattato a film per il
grande schermo e destinato a suscitare molti rumours nella stampa di/alla moda, un testo che
aiuta a comprendere il reale funzionamento delle redazioni dei fashion magazine e dei loro
ambienti;
- un serial TV come Sex and the City, prodotto e distribuito da HBO e trasmesso con successo da
tutto il mondo, in Italia più volte da LA7, un prodotto televisivo tra i più distribuiti e tradotti
a livello globale con interessanti implicazioni per quanto riguarda la strategia aziendale di
product placement del lusso globalizzato.
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L’intento finale è quella di fornire uno strumento didattico per le future generazioni di studenti del
Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Moda dell’Università degli Studi di Bari, al fine di
meglio comprendere e interpretare non solo il linguaggio giornalistico di/alla moda in italiano, in
inglese e in francese, ma soprattutto come questo si origina e qual è il suo contesto di riferimento
specifico: le redazioni, le sfilate, le feste, la strada.
La letteratura in materia di linguistica applicata alla moda sensu strictu è praticamente assente.
Partendo dalla celebre definizione post-saussuriana di Barthes (le più che note corrispondenze
lingua→costume, parola→abito) fino alla messa in crisi di questa da parte dei più recenti interventi
come quello di Grant McCrackern in Requiem per una metafora, il linguaggio della moda non è mai
stato analizzato in modo organico e come lingua specialistica. I concetti guida - le modalità di
interscambio tra le lingue e le relative influenze sull’italiano - arrivano pertanto dalla linguistica
generale e dalla letteratura sul linguaggio specialistico medico e legale, il primo dei quali soprattutto,
ancora una volta, legato all’American English.
Per la moda, in particolare, risultano importanti due meccanismi di contaminazione:
- esotismo o prestito non adattato (sono i termini mutuati dal francese o dall’inglese, da cui sono
poi derivati spesso lemmi italiani, spesso per affissazione, come fashionista);
- calco linguistico o prestito semantico, «categoria sfuggente e affascinante» costituita dai «morfi di
una lingua aggregati secondo il modello di parole straniere». L’esempio più classico nel campo
della moda è prêt-à-porter (alla lettera, “pronto da indossare”), espressione che sempre più
spesso si ritrova ormai nella stampa di tutto il mondo, più o meno filoamericana, come ready
to wear.
L’inglese della moda si è formato alla fine del XIX sec. ed è derivato fondamentalmente dal francese
e poco dall’italiano. Determinanti sono stati, come fattori di interscambio linguistico aldilà della
Manica, e il conseguente sviluppo di uno spirito denso di “anglomania”:
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- un tipico trend linguistico, una inclinazione inglese→francese, conseguente alla precedente
forte influenza del francese sull’inglese che si era avuta per tutto il corso del XVIII e XIX
secolo;
- l’interesse per il romanzo storico e per la stampa periodica inglese, con il conseguente
abbandono della pronuncia francofona a vantaggio di quella british.
Un altro elemento caratterizzante il ‘giornalese’ di/alla moda sembra essere la verticalizzazione,
processo che rende il who’s who, l’élite, la “casta” dei giornalisti di/alla moda, tipicamente distaccata
dalla massa dei consumatori e che nella realtà si traduce in una serie di atteggiamenti di reciproca
‘complicità’ tra fashion designer e ‘penne’, soprattutto internazionali, atteggiamenti più sbilanciati a
senso unico quanto più potente è la giornalista in questione (emblematico il caso di Anna Wintour).
La ricerca ha evidenziato la presenza sul mercato di tre tipi di pubblicazioni in relazione a tre tipi di
target/lettore, ogni gruppo caratterizzato da un preciso tipo di registro di “giornalese”:
target lettori caratteristiche prevalenti testate di riferimento
addetti ai lavori
lingua tecnico - economica
- nominalizzazione
- forestierismi
- giustapposizioni nominali
- uso di sigle e acronimi
MFF
la Repubblica Affari e Finanza
Fashion
fashionable people
lingua brillante - gergale
- wordplays
- multilinguismo
- linguaggio gergale cool
- calchi semantici
- parole-macedonia
Vogue
D la Repubblica delle Donne
Io Donna
Elle - Marie Claire
Amica - Flair - Grazia
Cosmpolitan - Glamour
pubblico di massa
lingua popolare
- sintassi lineare
- polisemia
- glosse esplicative
Donna Moderna
Chi
Star TV
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La conseguenza di questo status quo, analogamente a quanto succede per le pubblicazioni di
divulgazione scientifica, è che le riviste di/alla moda parlano e comunicano solo per chi comprende e
si esprime nella stessa lingua. Lo stesso “circo della moda” sembra in un certo qual senso implodere al
suo interno: un po’ per ribellione, un po’ per precise strategie aziendali di qualche eccellente nome
del nostro Sistema Moda (come Giorgio Armani), cominciano ad essere registrate headline
pubblicitarie e dichiarazioni alla stampa con calchi semantici inglese→italiano.
Forti sono le influenze sul “giornalese” da parte del mondo dell’advertising, sia per quello che
concerne i contesti e i comportamenti, sia soprattutto per i meccanismi di formazione di nuovi lemmi
di/alla moda. La competizione tipica che pare caratteristica essenziale della “casta” giornalistica
italiana, unita alla compresenza tra le esperienze professionali - molto frequentemente succede
proprio tra le ‘penne’ di/alla moda - di precedenti attività da copyright all’interno delle agenzie
pubblicitarie milanesi (ambiente anch’esso molto competitivo) ha esaltato non solo lo spirito di
emulazione delle varie testate internazionali tra loro, fino a veri e propri casi di “eccesso di
ispirazione”, ma soprattutto la capacità inventivo-ludica delle ‘penne’ di/alla moda nel senso del
multilinguismo: la diffusione e il successo negli ultimi dieci anni di un settimanale come «D la
Repubblica delle Donne» ha dato grande impulso a invenzioni linguistiche tipiche, come parole-
macedonia e wordplay. Due firme prestigiose di/alla moda italiane, peraltro, sembrano uscire
decisamente fuori dal coro: la prima, Sofia Gnoli su «il Venerdì di Repubblica», per il gusto della
ricerca e della cura dei particolari grafici; l’altra, Anna Piaggi su «Vogue Italia», per l’estro inventivo
linguistico per la sua perfetta sintonia tra copy e art.
Andando a verificare nel corpus le caratteristiche lessicali, sintattiche e testuali del “giornalese” di/alla
moda, l’attenzione si è concentrata poi sul sistema moda USA e sulle relazioni al suo interno tra
fashion house e magazine. Due testi, uno scritto, l’altro tele-visivo, sono apparsi subito, seppur con le
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dovute riserve della fiction, una perfetta rappresentazione di quelle connessioni tra stampa e stilisti che
sono ormai replicabili in tutto il mondo, dalla redazione newyorchese di «Vogue» alle settimane della
moda/semaine de la mode di Milano e Parigi.
The Devil Wears Prada, il best-seller in assoluto tra i libri di/alla moda editi negli Stati Uniti, nasce dalla
‘penna’ di Lauren Weisberger, una scrittrice che per un anno è stata junior assistant di Anna Wintour.
La sua forza, come è stato evidenziato in questa ricerca, è quella di unire alla capacità di sviluppare
l’intreccio narrativo una grande cura formale, alternando il registro più elegante - denso di
forestierismi francesi e anche italiani - allo slang di New York, con una attenzione ‘grafica’ nell’usare i
termini tecnici del fashion system, di cui fornisce una abbondante casistica, e una spiccata tendenza alla
ricerca dell’eufonia ottenuta attraverso un sapiente uso dal punto di vista testuale di figure retoriche
tipiche del “giornalese”, come le domande retoriche e le metafore, sintatticamente la sequenza
aggettivo-aggettivo-sostantivo e il tricolon. La realizzazione di un film per il grande schermo, la grande
cura del costume design ad opera di Patricia Field (la stessa costumista di Sex and the City) e la grande
attesa da parte del mondo della moda, specie le giornaliste, non fanno che confermare la sua
importanza nel rendere fruibile un mondo che, per la sua capacità di generare senso, va incontro allo
sconforto di chi soffre di décalage, quel senso di inadeguatezza sociale tipico di chi vorrebbe possedere
abiti costosi e invece può solamente adorarli in vetrina o sui fashion magazine.
Sex and the City, serial dal successo planetario tratto dal libro della socialite newyorchese Candace
Bushnell, ancora in onda in Italia su LA7, si è imposto in tutto il mondo per l’aver diffuso il
«glamour metropolitano» di Manhattan, con la complicità di molte redattrici di/alla moda sparse per
il mondo, realizzando quello che è stato definito non solo il fashion editor’s dream (“il sogno dei fashion
editor”, talmente efficace al punto che qualsiasi giornale parli o citi Sex and the City attira
inevitabilmente lettrici), ma anche la felicità dei fatturati di molti brand del lusso globalizzato tramite
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mirati fenomeni di product placement, fenomeno esemplificato dal successo nel mondo dei sandali
Manolo Blahnik.
In Italia, come si è evidenziato dalle problematiche enucleate nella presente ricerca (la peculiarità del
sistema moda italiano, profondamente diverso da quello americano; il sempre problematico
“matrimonio” tra moda e televisione in Italia reso complesso dalle leggi sulla pubblicità “occulta”; i
problemi legati alle TV ‘generaliste’ impossibilitate a trasmettere un prodotto dai contenuti troppo
espliciti) il serial è rimasto un fenomeno di nicchia per le “fashionistas” e le “penne” di/alla moda,
salvo restando la grande capacità di fare notizia da parte di Sex and the City e di Carrie, interpretata
dall’attrice Sarah Jessica Parker, visti i continui rimandi e wordplay ancora presenti sulla stampa
italiana non solo di/alla moda.
In un panorama come quello delineato, la lingua italiana sembra non essere più così di moda.
Il modo migliore per arginare questa deriva della lingua nazionale di/alla moda sembra
paradossalmente proprio uno studio approfondito dell’EF, English for Fashion, declinato nella sua
variante più glamourous, il “giornalese” della moda. Gli esperti di marketing suggerirebbero una
accurata “analisi della concorrenza” degli altri corsi di laurea presenti in Italia e analoghi a quello in
Scienze e Tecnologie della Moda dell’Università degli Studi di Bari: la conseguenza naturale sarebbe
trasformare il corso di Inglese in un modulo più specifico per la moda, inserendo nei programmi di
studio i testi letterari e tele-visivi analizzati e unendo al lavoro didattico-frontale un maggior
contributo di ricerca nel senso di un vero e proprio laboratorio linguistico, in cui dalla lettura mirata
dei fashion magazine si possa comprendere la linguistica e la sociolonguistica di/alla moda così come è
stato fatto nel presente lavoro.
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Pertanto, le prospettive future di ricerca si potrebbero riassumere nei seguenti punti:
- compilazione di un dizionario comparato tra le tre lingue dei termini di/alla moda,
giornalistici e sartoriali, alla stregua di quello che è stato realizzato nel 1999 per il BE (Business
English) dalla De Agostini in collaborazione con «Il Sole 24 Ore», attraverso la consultazione
comparata, meglio si direbbe “contrastiva”, tra dizionari tecnici in italiano, inglese e francese;
- studio diacronico dal 1967 ai giorni nostri delle uscite di «Vogue Italia», in modo analogo per
le principali edizioni italiane delle testate di/alla moda, per capire come e quando sono
cominciati i primi meccanismi di contaminazione tra “fashionistas”;
- implementazione di un software compatibile con il Wordsmith Tools che consenta di applicare
il “metodo dei corpora” ai testi editoriali di/alla moda, tale da eliminare le immagini dagli
articoli e rubriche per consentire la sola analisi del testo;
- ricerca e confronto tra le varie testate settimanali e mensili per comprendere la corrispondenza
tra impostazione editoriale della testata e la struttura lessicale/sintattica/testuale, andando ad
indagare le eventuali connessioni tra moda e politica e le influenze della seconda sul sistema
editoriale italiano.
L’esempio finale di due testimonial che dalla Puglia si sono affermati nel mondo, Anna Dello Russo
(già direttore de «L’Uomo Vogue») ed Ennio Capasa (designer del brand Costume National), invita a
cogliere in giro, ad apprendere, a rielaborare e a riportare i risultati ottenuti in Puglia, per contribuire
allo sviluppo di un locale “sistema moda”, con lo stesso spirito che da tre anni a questa parte
caratterizza proprio la mission del Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie della Moda, ultimo nato
all’interno della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Bari.