2
oxoniense di A.M. Dale
4
, di taglio più marcatamente letterario; benché
l'indagine stilistica non occupi in quest'opera un ruolo predominante, uno spazio
notevole è riservato all'attento esame filologico, sorretto da un'ampia
conoscenza della metrica tragica. Nello studio che mi accingo a svolgere, il
confronto con entrambi questi commenti, in modo particolare quello di
Kannicht, ha rappresentato un punto di partenza determinante.
Questa analisi, che non intende chiaramente rivelarsi esaustiva, si propone
soprattutto di offrire un contributo all'esegesi di questa tragedia, con il principale
intento di evidenziare certi caratteri del suo linguaggio: l'indagine prenderà in
esame alcuni fra i brani che ritengo stilisticamente più significativi, raggruppati
secondo particolari caratteristiche linguistiche e letterarie.
I passi esaminati nella prima parte di questo lavoro presentano i caratteri
specifici dell'invocazione lamentosa: sono pronunciati, con finalità diverse, da
Elena o dal Coro nei momenti più cruciali del dramma e sono contraddistinti da
un lessico molto ricercato, che, pur nelle differenti sfumature stilistiche, risulta
quanto mai indicativo per l'analisi dei criteri linguistici con cui Euripide affronta
il lamento tragico nell'Elena.
Nei primi due brani, la supplica rappresenta, per i protagonisti, l'occasione di
innalzare un intenso canto delle proprie sciagure, cercando il sostegno di due
figure mitiche strettamente connesse alla musica; la preghiera del Coro
all'a\hdwén (vv. 1107-1121), compresa nel primo stasimo, e quella di Elena alle
Sirene, che occupa la prima strofe della parodos (164-178), sono contrassegnate
infatti da un'elevata ricerca stilistica, che offre interessanti spunti di
interpretazione letteraria.
4
Euripides. Helen, With an Introduction and Commentary by A.M. Dale, Oxford Clarendon Press,
1967.
3
Prenderò quindi in esame la duplice preghiera che precede il primo stasimo
(vv. 1093-1106), nella quale diviene esplicita la polarità tra Era e Afrodite,
presente in nuce in tutta la prima parte della tragedia. Sebbene stilisticamente
meno elevato dei precedenti, questo brano si rivela estremamente significativo,
in particolare per l'impiego di un lessico più diretto e prosastico e per l'abile
costruzione retorica dell'impianto accusatorio rivolto ad Afrodite.
Concluderà la prima sezione del mio lavoro l'analisi dell'atipica preghiera
all'Eurota inclusa nell'amebeo in sostituzione del primo stasimo (vv. 348-359),
con la quale Elena invoca l'insolito destinatario come testimone al suo
giuramento di suicidio. Lo stile di questi versi è alquanto sostenuto e privilegia
l'impiego di un lessico oscuro e ricercato, che rappresenta un esempio
significativo dell'ornatus lirico di Euripide.
La seconda parte della tesi sarà dedicata all'esame stilistico delle due strofe
finali del celebre secondo stasimo (1338-1368), in cui Euripide rielabora
interamente il mito di Demetra e Persefone, adattandolo alle esigenze
drammaturgiche. Oltre ad offrire notevoli spunti di esegesi dal punto di vista
letterario e storico-religioso, il brano si presta anche ad un'interessante indagine
stilistica; gli ultimi versi sono infatti caratterizzati da un linguaggio assai
particolare, che prevede la scelta di accostamenti originali e l'impiego di una
terminologia chiaramente misterica, legata ai culti di Cibele e alla religione
dionisiaca, riecheggiata in seguito in vari luoghi delle Baccanti.
L'ultima sezione del mio lavoro, infine, riguarderà l'analisi stilistica e lessicale
del terzo stasimo, in cui la tensione drammatica, che contraddistingue i brani
precedenti, si smorza sensibilmente, lasciando il posto ad un chiaro sentimento
di speranza. Nelle prime tre strofe, la particolare struttura narrativa e il costante
impiego di un linguaggio elevato, rispecchiano l'intensa atmosfera del momento
e testimoniano la profonda partecipazione del Coro alle vicende della
protagonista.
4
Le due strofe iniziali (vv. 1451-1477), occupate dal canto del futuro ritorno in
patria da parte di Elena, sono contraddistinte da un modulo narrativo irregolare
ed ellittico, che, dall'iniziale apostrofe alla nave, procede per immagini e
parentesi; la terza strofe (1478-1494), che sviluppa il motivo del desiderio di
trasformarsi in uccello, tipico della tragedia euripidea, si rivela invece alquanto
significativa per l'accurata selezione del lessico.
I motivi di questa scelta sono come ho detto soprattutto di carattere stilistico;
questo sondaggio si propone infatti di offrire vari esempi che possano
contribuire a mettere in luce alcuni aspetti del linguaggio di questa tragedia, un
brillante esempio della sperimentazione letteraria che contraddistingue l'ultimo
periodo della drammaturgia euripidea.
5
CAPITOLO PRIMO
IL LINGUAGGIO DELLE INVOCAZIONI
I. L'INVOCAZIONE COME CANTO DELLE PROPRIE SCIAGURE
1. Il Coro e l' a\hdwén.
Tra quelli che prenderò in considerazione per lo studio delle invocazioni
lamentose dei protagonisti della tragedia, questo brano si presenta forse come il
più interessante e paradigmatico, sotto diversi punti di vista.
Siamo alla fine del lunghissimo ed anomalo terzo episodio (vv. 528-1106) in
cui Elena e Menelao, dopo il faticoso riconoscimento reciproco nella celebre
reunion scene, progettano l'inganno a Teoclimeno e la fuga dall'Egitto. In questo
caso l'avvento del Coro non costituisce unicamente un momento di riflessione
sui motivi drammatici precedenti, fondato solitamente sull'inserzione di un
exemplum mitico: il primo stasimo si trasforma in una mesta rievocazione di
tutta l'amara storia di Elena e la strofe iniziale ne affronta la vicenda in forma di
preghiera e di lamento funebre, riproponendo in primo piano lo stereotipo della
figura di Elena, che proprio in questa tragedia viene riscattato ed esaltato nella
sua modernità. Il brano che mi accingo ad analizzare è il seguente
1
:
seè taèn e\nauél ⊥ei oiv u|poè dendrokoémoiv 1107
mousei%a kaiè qaékouv e\niézousan a\naboaésw,
seè taèn a\oidotaétan 1109
o"rniqa mel§doén,
1
Il testo di riferimento è Euripides, Helena, I-II, Text und Kommentar bei R. Kannicht, Heidelberg
1966-1969.
6
a\hdoéna dakruoéessan, 1110
e"lq \< w& > diaè xouqa%n genuéwn e\lelizomeéna
qrhénwn e\moiè xunergoèv
{Eleénav meleéouv poénouv
toèn }Iliaédwn t \a\ei-
douésç dakruoéenta poétmon 1115
}Acaiw%n u|poè loégcaiv,
o$t \e"drame r|oéqia pediéa barbaér§ plaétç,
o£v e"molen e"mole meélea Priamiédaiv a"gwn
Lakedaiémonov a"po leécea
seéqen, w& {Eleéna, Paériv ai\noégamov 1120
pompai%sin }Afrodiétav .
" Te, che dimori tra seggi e cori di Muse in boschetti coperti di fronde, io
invocherò, te, il più melodioso uccello canoro, usignolo incline al pianto, vieni,
vibrando gemiti dalla tua gola squillante, aiutami ad intonare lamenti, a cantare
le miserabili sofferenze di Elena e il lacrimoso destino delle donne di Ilio per
opera delle lance dei Greci. Quando Paride, l'uomo dalle nozze infauste, sotto la
guida di Afrodite, corse sulle distese di flutti con la sua nave barbara, quando
giunse, giunse portando da Sparta, o Elena, le tue nozze, rovina ai discendenti di
Priamo. "
1107 e\nauél ⊥ei oiv : la lezione e\nauleiéoiv, conservata da L e adottata solo da
ThGL
2
, è scartata da tutte le maggiori edizioni critiche
3
, che accettano la
2
Op. cit., IV, 1011, s.v. e\naulei%on. L'autore offre il passo euripideo come unico esempio di questo
termine, altrimenti non attestato, e lo traduce come habitaculum, "luogo dove si abita".
3
Euripidis Fabulae, III, ed. G. Murray, Oxford Clarendon Press 1902-1909, v. 1107; Euripide, Hélène
– Les Phoeniciennes, Text établi et traduit par H. Grégoire et L. Méridier (avec la collaboration de F.
Chapoutier), Paris, Les Belles Lettres, 1973, p. 95; Euripidis Helena, ed. K. Alt, Bibliotheca
Teubneriana, Leipzig 1964, p. 44; Kannicht, Op. cit., p. 166; Euripides. Helen, with an Introduction
and Commentary by A.M. Dale, Oxford Clarendon Press 1967, p. 45; Euripidis Fabulae, III, ed. J.
Diggle, Oxford Clarendon Press 1994, p. 47.
7
correzione dello Scaligero. Come sostantivo, e"naulov compare in altri due
passi euripidei, con il valore di "antro", "caverna", HF 370-372:
kaiè Phliaédev qeraépnai
suégcortoié q \{Omoélav e"nau-
loi
e Ba. 120-122:
w& qalaémeuma Kourhé-
twn zaéqeoié te Krhétav
Diogeneétorev e"nauloi .
Nel nostro caso, però, tale significato non sembra molto calzante: già in Esiodo
infatti, il vocabolo indica i luoghi all'aperto dove risiedono le Ninfe e le altre
divinità: un passo significativo in cui il termine assume, a mio avviso, il valore
più adatto al nostro contesto sembra essere Hes. Theog. 129-130:
geiénato d \ou"rea makraé, qea%n cariéentav e\nauélouv
Nuémfewn .
Il confronto trova pure un'importante conferma in un brano degli inni omerici
dove i luoghi abitati dalle Ninfe sono descritti in termini simili, Hymn. 26, 5-10:
o| d \a\eéxeto patroèv e$khti
a"ntr§ e\n eu\wédei metariéqmiov a\qanaétoisin.
au\taèr e\peiè dhè toénde qeaiè poluéumnon e"qreyan,
dhè toéte foitiézeske kaq \u|lhéentav e\nauélouv
kiss§% kaiè daéfn+ pepukasmeénov: ai| d \a"m \e$ponto
8
nuémfai, o| d \e\xegei%to: broémov d \e"cen a"speton u$lhn .
Un'altro elemento interessante è offerto dal topos tradizionale del locus
amoenus, che fa da sfondo ad alcune descrizioni omeriche delle Ninfe, collocate
come l'a\hdwén
4
in luoghi all'aperto, solitamente boschivi e ricchi di vegetazione.
Due brani indicativi sono Il. XX 7-9:
ou"te tiv ou&n potamw%n a\peéhn, noésf \}Wkeaénoio,
ou"t \a"ra Numfaéwn, ai| t \a"lsea kalaè neémontai
kaiè phgaèv potamw%n kaiè piésea poihéenta
ed Od. VI 122-124:
w$v teé me kouraéwn a\mfhéluqe qh%luv a\u=thé,
numfaéwn, ai£ e"cous \o\reéwn ai\peinaè kaérhna
kaiè phgaèv potamw%n kaiè piésea poihéenta .
Infine, a conferma di questo valore, si può citare l'opinione di Chantraine
5
, il
quale sottolinea, sia per l'aggettivo che per il sostantivo, la contrapposizione fra
e"naulov e quéraiov, confermando anche la traduzione proposta da Kannicht
6
"draußen unter Laubdächern" che rende perfettamente il valore di u|poé,
indissolubilmente legato al composto dendrokoémoiv.
ibid. dendrokoémoiv : dendroékomov (deéndron, komaéw) è hapax in Euripide e,
dal riscontro dei lessici, compare solamente un'altra volta, in Aristoph. Nu. 280.
Fra i termini impiegati nei primi quattro versi è sicuramente quello che più
4
Cfr. anche i brani citati in seguito, pp. 14-16: Od. XIX 518-523; Hymn. 19, 14-18; Eur. fr. 88
Nauck
2
; Eur. fr. 773, 23-26 Nauck
2
; Eur. Phoen. 1508-1518; Aristoph. Av. 209-216.
5
Dictionnaire 'Etymologique de la Langue Grecque - Histoire de Mots, par P. Chantraine, Paris 1968,
p. 139, s.v. aulhé.
9
richiama il topos epico della Mou%sa locmaiéa, presente nei due passi omerici
citati poc'anzi e rintracciabile, seppure con variazioni lessicali, in molti brani
dedicati al tema dell' a\hdwén, alcuni euripidei ed altri collocabili nella tradizione
letteraria precedente o contemporanea ad Euripide
7
.
1108 mousei%a kaiè qaékouv : secondo A.M. Dale
8
si tratta di endiadi. In effetti,
per mousei%a, in LSJ, s.v., e nelle Concordanze di Allen-Italie
9
è riportato il solo
significato di "choirs" - solitamente, ma non necessariamente, delle Muse - ,
sicuramente più frequente anche nello stesso Euripide
10
; solamente ThGL
11
attribuisce a questo sostantivo anche il significato di "cori" in senso locativo,
come luoghi dove si intonano i canti, citando a sostegno un passo di Aristoph.
Ra. 92-93:
e\pifulliédev tau%t \e\stiè kaiè stwmuélmata,
celidoénwn mousei%a, lwbhtaiè teécnhv
tradotto musea hirundinum, in quibus garriunt; senonché una simile
interpretazione del termine è in questo passo totalmente da verificare e a mio
avviso meno calzante rispetto a quella più comune. Dai riscontri lessicali è
quindi possibile affermare che toè mousei%on con questo valore non compare
prima di Euripide e, anche in seguito, è attestato comunque molto raramente:
scartando il passo di Aristofane, l'unica testimonianza indicativa si trova in Plat.
Phaedr. 278B nwè katabaénte e\v toè Numfw%n na%ma te kaiè mousei%on
h\kouésamen loégwn ktl., riferito al luogo in cui si svolge tutto il dialogo.
6
Op. cit., II, pp.281; 283.
7
Cfr. nota 4.
8
Op. cit., p.137.
9
A Concordance to Euripides, by J.T. Allen and G. Italie, Univ. of California Press Berkeley and Los
Angeles – Cambridge Univ. Press, London 1954, p. 404.
10
Cfr. ad esempio il brano della parodos (vv. 164-178) che analizzerò in seguito, nel quale
l'espressione qrhénwn e\moiè xunergoév (v. 1112) è riecheggiata nella variante mousei%a qrhnhémasi
xun§daé, dove mousei%a assume proprio questo significato. Cfr. inoltre fr. 88 Nauck
2
citato in seguito.
10
Tuttavia, come per l'accostamento di e\nauéloiv e dendrokoémoiv, molto spesso
in Euripide, un termine di uso raro o dal valore non attestato è associato ad un
altro di uso più frequente già ampiamente connotato, che lo precisa. In questo
caso, il significato assolutamente inusuale di mousei%a è spiegato da qa%kouv,
che nella tradizione epica (qw%kov, qoéwkov) è riferito frequentemente al trono di
Zeus o di altre divinità, come in Od. V 3-4:
oi| deè qeoiè qw%koénde kaqiézanon, e\n d \a"ra toi%si
Zeuèv u|yibremeéthv, ou& te kraétov e\stiè meégiston
Il. VIII 438-439:
Zeuèv deè pathèr ’Idhqen e\u^trocon a"rma kaiè i$ppouv
Ou"loumpoénde diéwke, qew%n d \e\xiéketo qw%kouv
ed Hymn. 3, 345-347:
ou"te pot \ei\v eu\nhèn Dioèv h"luqe mhtioéentov
ou"te pot \ei\v qw%kon poludaiédalon w|v toè paérov per
au\t§% e\fezomeénh pukinaèv frazeésketo boulaév
fra le quali sono comprese anche le Ninfe, come testimonia un altro passo
omerico, Od. XII 318:
e"nqa d \e"san Numfeéwn kaloiè coroiè h\deè qoéwkoi .
11
Op. cit., VI, 1224-1225.
11
Dunque, secondo queste brevi considerazioni, l'ipotesi di A.M. Dale mi pare
alquanto riduttiva, poiché porterebbe a trascurare l'effettiva differenza fra i due
termini e la ragione stilistica del loro accostamento.
ibid. e\niézousan : il composto è alquanto raro prima di Euripide; attestato una
sola volta in Omero nella forma e\nizaénw
12
, come variante del più frequente
kaqeézomai
13
, è assente in Eschilo e in Sofocle; in Euripide è praticamente
hapax, in quanto l'altra ricorrenza testimoniata nelle Concordanze di Allen-
Italie
14
, Hel. 358, risulta di fatto una congettura di Badham di e\niézon<ti> in
luogo di sebiézon<ti>, accolta solamente da Diggle
15
. L'immobilità suggerita dal
verbo nella usuale costruzione con il dativo è attenuata dall'idea di moto
espressa dai due accusativi mousei%a e qaékouv. Ne scaturisce così un'immagine
di freschezza e movimento tipica di un usignolo, svolta però in un unico luogo,
quasi uno "svolazzare" di ramo in ramo "tra seggi e cori di Muse" che
contribuisce a rafforzare la distinzione interpretativa dei due precedenti
sostantivi.
a\naboaésw : a\naboaéw è uno dei verbi maggiormente usati nelle tragedie
euripidee dell'ultimo periodo (Elena, Oreste, Troiane, Ifigenia in Aulide,
Baccanti), che C. Prato
16
inserisce nella lista dei composti con valore tecnico
specifico in Euripide: è spesso utilizzato anche per le frequenti sostituzioni nel
trimetro a causa della sua forma prosodica ( ε ), che consente al
preverbio di essere inserito nella parte in tesi di un dattilo (cfr. Or. 103; Ba. 731)
o nelle ultime due sillabe brevi di un tribraco (cfr. Ba. 1079). Nell'Elena ricorre
cinque volte e può avere il significato di "urlare a gran voce", oppure di
12
Cfr. Il. XX 11.
13
Cfr. Il. XXIV 126; 522; Od. I 372; III 406; IX 417.
14
Op. cit., p. 222.
15
Op. cit., p. 18.
16
Ricerche sul trimetro dei tragici greci, a cura di C. Prato, A. Filippo, P. Giannini, E. Pallara, R.
Sardiello, Roma 1975, pp. 168-169.
12
"lamentarsi di qualcosa", come al v. 190 Panoèv a\naboç% gaémouv. Qui
significa semplicemente "invocare", forse con un tono di sottomissione,
suggerito dal preverbio a\naé, che sottolinea il movimento verso l'alto della
preghiera, con una sfumatura di intenzionalità e partecipazione personale
implicita nel futuro, usato spesso dai tragediografi, come sostiene Kannicht
17
,
per esprimere un lamento o uno sfogo, come provano gli esempi di Aesch. Pers.
338-340:
kakomeéleton i\aèn
Mariandunou% qrhnhth%rov
peémyw poluédakrun i\acaén
ibid. 949:
klaégxw d \au& goéon a\riédakrun
Soph. Paean. 1, 2 (PMG 737 Page)
18
:
e\naérxomai [u$mnon] e\gersiboéan
ed Eur. Andr. 1198-1199:
o\ttotototoi%, qanoénta despoétan goéoiv
noém§ t§% nerteérwn kataérxw .
17
Op. cit., II, p. 283.
18
Poetae Melici Graeci, edidit D.L. Page, Oxford Clarendon Press, 1962, p. 381.
13
1109 a\oidotaétan : come aggettivo a\oidoév è hapax in Euripide, che lo usa
solo qui in forma superlativa; nella tradizione compare una sola volta, riferito
proprio all' a\hdwén, in Hes. Op. 208:
t+% d \ei&v +/ s \a!n e\gwé per a"gw, kaiè a\oidoèn e\ou%san .
Il fatto che l'unica ricorrenza di questo termine sia in forma superlativa è di
grande significato, in quanto sembra conferire un distacco ancora maggiore fra il
Coro e l' a\hdwén, relegando quest'ultimo ad una sfera superiore, quasi divina.
Anche i poeti successivi si accorsero dell'originalità di questa forma, come si
può notare, sempre in riferimento all'usignolo, in Theocr. 12, 6-7:
o$sson a\hdwèn
sumpaéntwn liguéfwnov a\oidotaéth petehnw%n
e, riguardo ai cigni, in Call. Hymn. 4, 252:
Mousaéwn o"rniqev, a\oidoétatoi petehnw%n .
1109a mel§doén : anche questo composto, come dendrokoémoiv, non compare,
con il valore di aggettivo, prima di Euripide; come il precedente, appartiene alla
sfera semantica del canto e a volte è usato dal poeta anche in riferimento alle
Muse, come in due passi del Reso, 351 ta%v mel§dou% Mouésav ; 393 mel§dou%
mhteérov Mousw%n mia%v . Si tratta dunque di un altro probabile conio euripideo
inserito nel tradizionale topos della Mou%sa locmaiéa, a fianco di altri termini
più frequenti.
1110 a\hdoéna : dopo un'intensa climax giungiamo finalmente all'oggetto di
tutta l'invocazione inserita nella prima strofe dello stasimo, l'a\hdwén. Il topos
14
dell'usignolo è già consolidato nella tradizione precedente ad Euripide con
palese riferimento al mito di Procne, trasformata in uccello dopo le sue sventure.
Il dolore acuto ed irrefrenabile per la morte del figlio Iti, che porta alla tristezza
e alla dolcezza assolute del suo canto, è il tratto più specifico della precedente
tradizione letteraria. Nella figura epica prevalgono i toni di una triste e languida
dolcezza, cfr. ad esempio Od. XIX 518-523:
w|v d \o$te Pandareéou kouérh, clwrhi'v a\hdwén,
kaloèn a\eiéd+sin e"arov neéon i|stameénoio,
deéndrewn e\n petaéloisi kaqezomeénh pukinoi%sin,
h$ te qamaè trwpw%sa ceéei poluhceéa fwnhén,
pai%d \o\lofuromeénhn ’Itulon fiélon, o$n pote calk§%
ktei%ne di \a\fradiéav, kou%ron Zhéqoio a"naktov .
ed Hymn. 19, 14-18:
toéte d \e$sperov e"klagen oi/on
a"grhv e\xaniwén, donaékwn u$po mou%san a\quérwn
nhédumon: ou\k a!n toén ge paradraémoi e\n meleéessin
o"rniv h$ t \e"arov poluanqeéov e\n petaéloisin
qrh%non e\piproceéous \a\ceéei meliéghrun a\oidhén.
Nella tragedia, invece, soprattutto in Eschilo e in Sofocle, si coglie una
sofferenza così acuta da portare quasi alla follia, come in Aesch. Ag. 1140-1146:
frhnomanhév tiv ei& qeofoérhtov, a\m-
fiè d \au\ta%v qroei%v
noémon a"nomon oi/a tiv xouqaè
15
a\koérestov boa%v, feu%, talaiénav fresièn
’Itun ’Itun steénous \a\mfiqalh% kakoi%v
a\hdwèn moéron.
i\wè i\wè ligeiéav biéov a\hdoénov .
e Soph. El. 107-109:
mhè ou\ teknoleéteir \w$v tiv a\hdwèn
e\piè kwkut§% tw%nde patr§éwn
proè qurw%n h\cwè pa%si profwnei%n.
In Euripide, il tema dell'usignolo compare in altri tre passi: nei primi due però,
l'a\hdwén non è oggetto di invocazione diretta, ma solo di descrizione, cfr. fr. 88
Nauck
2
(Alcm.)
19
:
poluèv d \a\nei%rpe kissoèv eu\fueèv klaédov,
a\hdoénwn mousei%on
e fr. 773, 23-26 Nauck
2
(Phaeth.):
meélpei d \e\n deéndresi leptaèn
a\hdwèn a\rmoniéan
o\rqreuomeéna goéoiv
’Itun ’Itun poluéqrhnon.
Nel terzo passo invece, più simile al nostro, l'usignolo è invocato indirettamente
da Antigone come sun§doév ai suoi dolori, cfr. Phoen. 1508-1518: