1
INTRODUZIONE
In questa trattazione ho deciso di affrontare la tematica delle asimmetrie di genere
riscontrate nel mercato del lavoro italiano focalizzando l‟attenzione sulle modalità e le
condizioni lavorative delle donne e sugli ostacoli che tutt‟oggi esse riscontrano nell‟
esercitare il proprio diritto al lavoro. Al fine di analizzare le molteplici difficoltà che
incontrano le donne nell‟accesso e nella permanenza nel mondo lavorativo ho ritenuto
necessario analizzare il mercato occupazionale in una prospettiva di genere,
avvalendomi delle molteplici trattazioni di numerosi autori che si sono occupati di tale
tematica.
Negli ultimi anni, i cosiddetti “gender studies” hanno affrontato l‟argomento in
maniera esaustiva e da diverse prospettive e nonostante tutti gli studiosi siano concordi
nel riconoscere i notevoli progressi raggiunti dalle donne grazie alle maggiori
opportunità d‟inserimento lavorativo ad esse riconosciute è indubbio che il mondo del
lavoro non è ancora pienamente favorevole alla loro presenza.
La stessa struttura organizzativa del mercato occupazionale e il permanere di un
substrato culturale avverso ad una piena promozione della donna contribuiscono alla
mancata realizzazione delle pari opportunità nel mercato del lavoro nonostante gli
sforzi compiuti dai legislatori europei ed italiani nella rimozione delle discriminazioni
esplicite e formali esistenti e nell‟attivazione di politiche e azioni positive volte a
favorire una più consolidata inclusione femminile.
Nel primo capitolo viene quindi fornito un quadro generale della situazione
occupazionale femminile in Europa in raffronto comparato con le diverse aree
geopolitiche e in particolare con il mercato lavorativo italiano: l‟analisi delle
dinamiche occupazionali che ne è emersa ha permesso di individuare in maniera più
dettagliata gli sviluppi e i progressi compiuti e le lacune ancora persistenti. Sono stati
individuati i settori in cui si concentra maggiormente la componente della forza lavoro
femminile e i condizionamenti culturali che subiscono nella scelta del proprio percorso
lavorativo.
Vengono inoltre analizzati i meccanismi che governano i percorsi di carriera nelle
organizzazioni gerarchiche che impediscono de facto l‟ascesa delle donne nelle
cosiddette “posizioni apicali” e gli stereotipi di genere che contribuiscono ad escludere
2
le donne dai vertici dirigenziali, accentuando così in maniera sistematica lo svantaggio
delle donne nel mercato del lavoro. La differente allocazione di donne e uomini nel
mercato del lavoro, fa sì che le donne risultino segregate in occupazioni meno
redditizie e ciò si evince chiaramente dallo studio svolto sui differenziali retributivi di
genere. La distribuzione delle donne nelle diverse posizioni lavorative e retributive
risulta infatti fortemente collegata alla loro condizione nella struttura sociale che
risente di specificità sociali e culturali delle tradizionali relazioni di genere. Viene
offerta inoltre una rassegna sintetica delle politiche di genere attivate dall‟Europa nel
quadro della cosiddetta “Strategia di Lisbona” volta al miglioramento qualitativo della
struttura occupazionale femminile e le motivazioni del mancato raggiungimento degli
obiettivi occupazionali prefissi.
Il secondo capitolo ci offre una visione più analitica e dettagliata delle condizioni
lavorative delle donne italiane tenendo in considerazione anche la variabile territoriale
e ponendo l‟attenzione sui persistenti differenziali tra Nord e Sud rispetto alla domanda
di lavoro e alle reali opportunità occupazionali offerte alle donne dalle economie
locali. Viene inoltre constatato come l‟innalzamento del livello d‟istruzione delle donne
sia stato un fattore determinante nell‟incrementare il tasso occupazionale e nel
consentire una maggiore permanenza femminile nel mercato del lavoro. Tuttavia è stato
anche mostrato come sussista ancora una forte segregazione formativa che non
consente alle donne di aprirsi a scelte innovative ma le relega il più delle volte a
percorsi legati a codici di genere.
Nel terzo capitolo verranno esaminate tramite l‟ausilio di una rassegna di ricerche
sull‟argomento, le nuove modalità di lavoro flessibile che hanno certamente facilitato l‟
accesso delle donne nel mercato del lavoro contribuendo all‟ampliamento dei margini
di libertà ed autonomia sia nella gestione del loro lavoro che nella conciliazione della
doppia presenza ma a sua volta ha generato maggiore instabilità ed incertezza
alimentando così differenze di genere sempre più marcate. Si è cercato di vedere inoltre
per quale motivo e in che misura le donne sono le maggiori utilizzatrici dell‟atipico, e
come vivono tale condizione, quali sono i vantaggi e gli svantaggi, le problematiche
sottese alla condizione di atipiche e i riflessi sulla vita personale delle donne.
Nel quarto capitolo abbiamo visto le difficoltà affrontate dalle donne nel conciliare gli
impegni lavorativi con quelli familiari e le diverse strategie adottate al fine di
3
riequilibrare i carichi di cura all‟interno della coppia. Le asimmetrie di genere
riscontrate all‟interno del nucleo familiare costituiscono uno dei principali limiti per
una piena realizzazione della donna al di fuori delle mura domestiche. Gli studi di
genere citati hanno ben dimostrato infatti come l‟assunzione di responsabilità familiari
costituisca la principale artefice di riproduzione delle asimmetrie anche negli altri
ambiti di vita sociale. Le strutture e i servizi attivabili sul piano nazionale possono
rappresentare un‟importante risorsa nella gestione del tempo familiare e professionale,
assieme a politiche del lavoro flessibili e cambiamenti nella cultura organizzativa.
Nel quinto capitolo invece ho delineato le caratteristiche salienti del mercato del
lavoro femminile in Abruzzo ponendo particolare attenzione all‟imprenditoria
femminile e alle azioni positive attivate nel quadro delle pari opportunità.
Infine il sesto capitolo mette in luce gli ostacoli che impediscono alle donne di
realizzarsi nell‟ambito della carriera accademica mettendo a confronto la situazione
vissuta negli atenei italiani con quelli europei. Si è cercato di dimostrare l‟esistenza di
un effetto autonomo del genere il quale influisce sulla mobilità di carriera delle donne
che risultano così fortemente penalizzate dall‟organizzazione sociale della ricerca e
dalla divisione sociale del lavoro fra i generi.
4
1 LA PARTECIPAZIONE FEMMINILE NEL MERCATO
DEL LAVORO EUROPEO
1.1 STIME DEI DIFFERENZIALI OCCUPAZIONALI E DEL DIVARIO DI
GENERE IN EUROPA
Tra le diverse trasformazioni verificatesi in Europa nel corso degli ultimi anni
sicuramente ha assunto una rilevante importanza il progressivo e crescente aumento
della presenza femminile nel mercato del lavoro. Questo significativo incremento
occupazionale delle donne ha prodotto un riassetto generale della struttura e del
funzionamento della società europea e ha certamente contribuito alla crescita del suo
sistema produttivo. Tuttavia nonostante i numerosi interventi legislativi promossi all‟
interno del quadro europeo e la promozione di svariate azioni positive volte a rimuovere
gli ostacoli sostanziali ad una piena realizzazione del “diritto al lavoro” della donna si
riscontra tutt‟oggi una evidente asimmetria di genere: mentre per l‟uomo l‟impiego
lavorativo costituisce, in primo luogo un dovere, per le donne non costituisce ancora di
fatto un diritto pienamente riconosciuto
1
. Nella maggior parte dei Paesi europei, in tutti
gli ambiti professionali, si registrano ancora disuguaglianze strutturali di difficile
superamento: non solo un tasso di occupazione ancora molto inferiore a quello maschile
e differenziali retributivi evidenti, ma insormontabili difficoltà di avanzamento di
carriera che le relegano costantemente in posizioni lavorative intermedie e in quadri
occupazionali permanentemente flessibili e atipici. L‟organizzazione del lavoro è ancora
improntata su modelli maschili e le donne sono ancora fortemente penalizzate dai
gravosi compiti di care, che svolgono senza il sostegno di appropriati sistemi welfare e
in assenza di una equa ridistribuzione degli oneri di cura con il “breadwinner”. Così
nonostante il motore di crescita europeo sia stato certamente determinato da una più
attiva partecipazione delle donne nel mercato occupazionale persistono innegabili
“gender gap”
2
prodotti da segregazioni e ineguaglianze che sono oggetto di progressiva
1
Maria Letizia Pruna, Donne al lavoro, Il Mulino, Bologna, 2007.
2
Nel dibattito scientifico la parola “genere” è stata introdotta dalla studiosa americana Gayle Rubin nel
1975, con l‟opera The Traffic in Women. Definisce il sex gender system come “l‟insieme di processi,
5
eliminazione all‟interno di quel progetto di rivoluzione strutturale della forza-lavoro che
sta attraversando attualmente l‟Europa.
Tasso di occupazione della popolazione in età 15-64 anni per sesso nei Paesi Ue -
Anno 2008 (valori percentuali).
Fonte: Eurostat.
adattamenti, modalità di comportamento e rapporti, con i quali ogni società trasforma la sessualità
biologica in prodotti dell‟attività umana e organizza la divisione dei compiti tra uomini e donne
differenziandoli l‟un l‟altro. Il termine ha certamente favorito la nascita di un‟ottica più articolata e
complessa, attraverso cui osservare l‟interazione fra i sessi, nella quale convivono insieme uguaglianza
e diversità, conflitto e complicità, sottolineando spesso l'origine sociale di caratteristiche a lungo
erroneamente considerate come naturali”. Barbara Poggio e Silvia Gherardi ci offrono in particolare una
definizione molto esaustiva del concetto di genere considerato non come un concetto statico bensì come:
“un concetto relazionale, la cui utilità principale consiste proprio nell‟esplorare come alle donne
vengano attribuite caratteristiche femminili e agli uomini maschili e come il genere costituisca una
pratica sociale che posiziona le persone in contesti di potere asimmetrico, vale a dire come sulla
differenza si fondi la disuguaglianza di opportunità sociali”.
Bruni, A., Gherardi, S., Poggio, B. All‟ombra della mascolinità. Storie di imprese e di genere, pag.2,
Guerini, Milano, 2000.
6
Analizzando le stime statistiche europee dei tassi di occupazione e disoccupazione
femminile risulta evidente come l‟Italia si collochi tra gli ultimi posti della classifica
dei 27 Stati Europei a dimostrazione di quanto sia difficile per le donne italiane l‟
inserimento lavorativo.
Comparando i diversi dati si può notare un‟elevata disomogeneità tra i diversi Paesi
europei non solo nei tassi di occupazione femminile ma anche nel divario di genere
esistente tra i Paesi.
Stati Europei UOMINI DONNE TOTALE
Belgium 67,2 56,0 61,6
Bulgaria 66,9 58,3 62,6
Czech Republic 73,8 56,7 65,4
Denmark 78,3 73,1 75,7
Germany 75,6 66,2 70,9
Estonia 64,1 63,0 63,5
Ireland 66,3 57,4 61,8
Greece 73,5 48,9 61,2
Spain 66,6 52,8 59,8
France 68,5 60,1 64,2
Hungary 61,1 49,9 55,4
Netherlands 82,4 71,5 77,0
Austria 76,9 66,4 71,6
Poland 66,1 52,8 59,3
Portugal 71,1 61,6 66,3
Romania 65,2 52,0 58,6
Finland 69,5 67,9 68,7
Sweden 74,2 70,2 72,2
United Kingdom 74,8 65,0 69,9
Euro Area 71,2 58,3 64,7
EU 27 70,7 58,6 64,6
Tasso di occupazione della popolazione fra i 15 e i 64 anni per genere in Ue.
Anno 2009, Fonte Eurostat.
Stando ai dati dell‟Eurostat infatti, il tasso di occupazione femminile in Italia è di
46,4%, seguita dalla Grecia con un tasso del 48,9%. Tra gli Stati con maggiore
occupazione femminile si annoverano i Paesi nordici e i Paesi Bassi che superano ben il
70%. Una distanza incolmabile separa quindi l‟Italia dai Paesi con più alti tassi di
partecipazione femminile al mercato del lavoro. Ma ciò che emerge con rilevanza è che
l‟Italia si discosta di molto anche dai Paesi europei più vicini, quali la Francia (60,1%) e
7
la Germania (66,2%). Anche facendo riferimento al divario di genere dei tassi di
occupazione bisogna considerare che mentre nei Paesi in cui si registrano i più elevati
tassi di occupazione il divario di genere è più contenuto, l‟Italia risulta al 4° posto per l‟
ampiezza della disparità di genere nel mercato del lavoro. Una così marcata
disomogeneità nella partecipazione lavorativa femminile tra Paesi europei aventi un
regime economico piuttosto simile è imputabile, secondo alcuni studiosi, non solo ad
aspetti culturali e sociali come la persistenza in alcuni Stati di un modello “male
breadwinner”, ma soprattutto alla diversificazione delle politiche family friendly vigenti
e ai differenti sistemi di welfare State.
E‟ importante ricordare infatti che i Paesi Nordici possiedono un sistema di servizi di
cura su base universalistica a differenza dei Paesi del Sud Europa in cui in genere sono
le donne che detengono in via informale i ruoli e le responsabilità di cura.
3
Tasso di disoccupazione per sesso nei Paesi Ue Anno 2008
Fonte: Eurostat, Labour Force Survey
3
Michele Raitano, Differenze di genere nel mercato del lavoro dei paesi dell‟Ue 15, de La Rivista delle
politiche sociali, pp.165-185, 2/2009.
8
1.2 IL GAP DI GENERE NELLA STRUTTURA DELL’OCCUPAZIONE
EUROPEA: LA SEGREGAZIONE ORIZZONTALE.
Le statistiche europee indicano una persistente segregazione orizzontale nei confronti
delle donne sul mercato occupazionale. Permangono ruoli stereotipati di genere
4
: la
componente femminile della forza-lavoro tende infatti a collocarsi in prevalenza in
determinati settori e ambiti professionali che richiamano le classiche forme e contenuti
del lavoro domestico. Si tratta di settori scarsamente remunerativi e che offrono
sporadiche opportunità di decision-making e di carriera. Circa il 60% di esse si
concentrano, come testimoniato dai dati della Commissione Europea, per lo più nel
settore dei servizi, della ristorazione, dell‟educazione, dell‟industria tessile, della sanità
e della Pubblica Amministrazione. Questa forte connotazione di genere è imputabile
non solo alla trasmissione di stereotipi sociali che inducono le donne a scegliere
4
Gli stereotipi di genere sono una sottoclasse degli stereotipi. Quando si associa, senza riflettere, una
categoria o un comportamento a un genere, si ragiona utilizzando questo tipo di stereotipi. Gli stereotipi
non solo condizionano le idee di gruppi di individui, ma hanno anche conseguenze sul modo di agire e
sulla società. L‟uso degli stereotipi di genere conduce infatti a una percezione rigida e distorta della
realtà, che si basa su ciò che noi intendiamo per “femminile” e “maschile” e su ciò che ci aspettiamo dalle
donne e dagli uomini. Si tratta di aspettative consolidate, e non messe in discussione, riguardo i ruoli che
uomini e donne dovrebbero assumere, in qualità del loro essere biologicamente uomini o donne. Si tratta
di “formule” che ci permettono di categorizzare, semplificare la realtà e orientarci in essa, rapidamente e
senza dover riflettere. Ci serviamo di immagini generalizzate che riducono la complessità dell‟ambiente,
ma annullano al contempo la differenza individuale all‟interno dei singoli gruppi. Gli stereotipi di genere
sono tra i più frequenti e anche maggiormente condivisi dalla società: la donna, giudicata sulla base di
stereotipi, si ritrova come ingabbiata in uno stile di vita e in situazioni che ne limitano l‟azione e il
pensiero: ad esempio, fatica non poco a far comprendere che le proprie aspirazioni e attitudini non si
limitano al ruolo materno e alla cura dei propri familiari.
Gli stereotipi per motivi di genere fanno difficile il raggiungimento delle pari opportunità tra uomini e
donne, essendo la sua ripercussione più immediata quella della segregazione professionale del mercato
del lavoro. L‟esistenza di stereotipi di genere ha delle conseguenze negative nell‟ambito lavorativo,
collocando gli uomini e le donne in certi determinati settori della produzione (segregazione orizzontale)
ed in certe determinate categorie professionali (segregazione verticale). Inoltre, le funzioni assegnate
tradizionalmente agli uomini ed alle donne condizionano l‟accesso al lavoro, la permanenza, la
promozione, l‟accesso alla formazione, le retribuzioni salariali, l‟usufrutto dei congedi ed altre condizioni
lavorative.
9
percorsi scolastici rivolti per lo più al campo umanistico e sociale ma anche a rigidità
organizzative che producono esplicite forme di esclusione dell‟offerta-lavoro femminile
da mestieri che presentano orari di lavoro meno regolari e incompatibili con le
responsabilità familiari fortemente vincolanti per la donna. Anche il fenomeno della
segmentazione è sempre più presente: nei diversi ambiti professionali non vi si presenta
un uniformità distributiva per cui ad esempio nel settore medico le donne ricoprono
ruoli rivolti per lo più alla cura dei bambini e delle donne e sempre più raramente le
ritroviamo a svolgere attività di chirurgia e ortopedia. La persistenza del lavoro
femminile in lavori scarsamente qualificanti e l‟impari distribuzione di genere nei
diversi settori occupazionali assieme alle basse retribuzioni e scarsa mobilità
occupazionale ha contribuito a perpetrare il gap di genere.
5
Paesi come la Finlandia e la
Danimarca già da tempo hanno raggiunto soglie elevate di occupazione in cui le donne
trovano uguale inserimento rispetto agli uomini nei diversi settori occupazionali a
differenza di Paesi quali l‟Italia, Malta, la Grecia e la Polonia che si collocano ancora in
posizioni piuttosto deboli.
Il trend generale sicuramente conferma un avvenuto miglioramento delle condizioni
lavorative delle donne ed un innalzamento del tasso occupazionale e ciò sembra
diffondersi seppur lentamente anche ai restanti Paesi europei grazie ad una maggiore
terziarizzazione e una crescente flessibilizzazione degli orari e tempi di lavoro oltre che
da una sensibile specializzazione delle professioni anche se rimane ugualmente difficile
riconoscere una sostanziale equiparazione geografica tra Nord e Sud d‟Europa.
5
Francesca Sartori, Differenze e disuguaglianze di genere, pp.111-113, Il Mulino, Bologna, 2009.
10
Share of part-time workers in total employment, in EU Member States - 2001 and
2006
Women
2001 2006
Men
2001 2006
EU (25 countries) 29.8 32.9 6.2 7.7
Belgium
Czech Republic
Denmark
Germany
Estonia
Greece
Spain
France
Ireland
Italy
Cyprus
Latvia
Lithuania
Luxembourg
Hungary
Malta
Netherlands
Austria
Poland
Portugal
Slovenia
Slovakia
Finland
Sweden
United Kingdom
Bulgaria
Romania
36.8 42.6
8.6 8.7
31.6 35.9
39.3 45.8
10.4 11.6
7.2 10.4
17.3 23.5
30.4 30.7
31.3 :
17.8 26.7
12.9 12
12.1 8.7
10 11.8
25.6 38.2
5.1 5.7
17.1 21.8
71.3 74.7
33.6 40.7
12.6 13.5
16.7 15.9
7.4 11.8
3.8 4.8
16.7 18.2
32.7 40.3
44.3 42.6
3.9 2.7
19.1 10.2
5.2 7.9
2.2 2.3
10.2 12.8
5.3 9.3
4.7 4.6
2.3 3
2.8 4.5
5.0 5.8
6.5 :
3.8 4.7
5 4.6
7.9 4.6
7.6 6.5
1.8 2.5
2 2.8
3.7 4.5
20 23.2
4.3 6.5
8.2 7.1
6.9 7.5
5 7.8
1.2 1.2
7.6 9.2
10.8 11.7
9 10.6
3.1 1.6
14.7 9.3
Eurostat, Labour Force Survey (LFS) - Spring results
Un altro importante dato da prendere in considerazione è che circa l‟80% delle donne
sono occupate nei lavori part-time dimostrando come questo costituisca il tempo di
lavoro preferenziale per la donna ancora oberata dal lavoro domestico.
Solo in Paesi quali l‟Italia, la Spagna e la Francia le medie si aggirano al 25% e ciò è
imputabile non solo ad una presenza femminile nel mercato del lavoro più recente e
limitata ma anche alle difficoltà che si riscontrano in questi Paesi ad importare modalità
di impiego più flessibili.
Anche la relazione tra il tasso di occupazione femminile e il tasso di fecondità offre
spunti interessanti: mentre nei Paesi nordici ad alti tassi di occupazione corrispondono
alti tassi di fecondità (1,9%), favoriti da politiche genitoriali di sostegno all‟
occupazione delle donne, in Paesi quali la Germania, i Paesi baltici, l‟Austria e l‟Italia, a
bassi tassi di occupazione si accompagnano discreti tassi di fecondità a dimostrazione
della scarsa presenza di azioni positive che incoraggino l‟accesso della donna nel
mercato del lavoro e della rinuncia alla maternità che molte donne compiono al fine di
intraprendere un percorso lavorativo.