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Capitolo primo
Il licenziamento individuale
1. NOZIONI GENERALI
Una delle principali cause di cessazione (estinzione) del rapporto di
lavoro è rappresentato dal licenziamento individuale, che rappresenta,
infatti, l’esercizio del diritto potestativo di recesso da parte del datore di
lavoro.
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Il licenziamento, per la sua particolare rilevanza sociale, riveste un
ruolo di primaria importanza: non a caso, del resto, attorno ad esso si è
andata sviluppando, nel corso del tempo, una fitta trama normativa e
giurisprudenziale. In deroga alla regola generale secondo la quale il
contratto può essere sciolto per mutuo consenso, il codice civile
identifica nel recesso unilaterale lo strumento tipico attraverso il quale
ciascuna parte può determinare la cessazione del vincolo contrattuale.
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L’art. 2118, c. 1 c.c. regola il recesso del datore di lavoro
(licenziamento) dal contratto di lavoro a tempo indeterminato,
consentendolo liberamente con il solo obbligo del preavviso. Questo
recesso, detto ad nutum (= con un cenno), non richiede, dunque, alcuna
giustificazione, ma è rimesso all’insindacabile decisione del suo autore.
Si tratta di un negozio unilaterale recettizio, che per produrre effetto
deve essere portato a conoscenza del destinatario. A tutela della parte
2
M. RINALDI, il licenziamento individuale nel rapporto di lavoro. Rassegna giurisprudenziale.
3
M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, G. Giappichelli Editore 2005, pag. 385.
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debole che subisce il recesso e deve perciò cercare un altro contraente è
previsto, tuttavia, l’obbligo del preavviso.
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Attraverso il preavviso si
differiscono gli effetti del recesso.
5
La logica che presiede alla previsione di un termine di preavviso per la
parte receduta consiste nella necessità di concedere a quest’ultima il
tempo per provvedere diversamente ai propri affari, dato l’affidamento
che essa faceva sulla durata del vincolo obbligatorio. Così il datore di
lavoro avrà il tempo di reperire un altro dipendente ed il lavoratore di
trovare una nuova occupazione.
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Il preavviso costituisce così, nel contesto del recesso ad nutum,
l’unico (blando) limite al potere di licenziamento. Secondo l’art. 2118
c.c., la durata del preavviso è determinata dalle norme corporative ( id
est: dai contratti collettivi ), dagli usi o secondo equità. Normalmente la
contrattazione collettiva gradua l’entità del periodo di preavviso sulla
base delle variabili costituite dall’anzianità di servizio del lavoratore e
dalla qualifica dal medesimo rivestita. In mancanza di preavviso il
recedente è obbligato a corrispondere all’altra parte un’indennità
equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata durante il
periodo di preavviso (art. 2118 c.c., secondo comma).
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L’obbligo del preavviso viene meno sono in presenza di una giusta
causa ovvero “ qualora si verifichi una causa che non consenta la
prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, sicché la sua
verificazione legittima l’estinzione immediata del rapporto di lavoro,
4
A. VALLEBONA, Breviario di diritto del lavoro, G. Giappichelli Editore, Torino 2010, pag. 331.
5
D’AVANZO, Recesso (diritto civile), in NDI, 1027 ss.
6
O. MAZZOTTA, i licenziamenti. Commentario, Giuffrè editore, Milano 1999, pag. 25.
7
O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, GIUFFRE’ 2010, pag. 626-627.
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parlandosi in proposito di recesso in tronco. A fronte di una giusta causa,
infatti, la parte recedente è esonerata dalla concessione del preavviso.
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A differenza del recesso libero con preavviso, il recesso per giusta
causa riguarda non solo il contratto a tempo indeterminato, ma anche
quello a tempo determinato. Quest’ultimo, infatti, essendo sin
dall’origine destinato ad estinguersi con la scadenza del termine, tollera
un recesso ante tempus soltanto in presenza di serie ragioni.
2. IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE:
EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA.
L’attuale disciplina dei licenziamenti individuali è costituita da un
complesso di disposizioni contenute in diverse leggi, che si sono
succedute nel tempo, senza che mai la legge successiva abrogasse e
sostituisse completamente la legge precedente: questa formazione
alluvionale ha dato luogo ad una disciplina dei licenziamenti
estremamente complessa, nella quale convivono regimi molto diversi tra
loro.
9
L’attuale disciplina del potere di recesso nel rapporto di lavoro è frutto
dell’intreccio, fondamentalmente, di quattro nuclei normativi:
l’originaria disciplina del codice civile, la legge 15 luglio 1966, n.604,
l’art.18 dello Statuto dei lavoratori, la legge 11 maggio 1990, n.108., e
8
M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, op. cit. , pag. 388.
9
V. BALLESTRERO, L’estinzione del rapporto, in I Contratti di lavoro, a cura di A. VALLEBONA, UTET
2009, pag. 1874.
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da ultimo la legge 4 novembre 2010,n. 183 nota come 'Collegato
lavoro'.
10
In origine la materia era affrontata nel quadro di una filosofia
puramente liberale: le parti del rapporto di lavoro così come avevano
piena libertà di costituire e disciplinare il rapporto, disponevano in piena
autonomia anche della sua successione. Un solo limite era apposto a tale
autonomia dal codice civile del 1865: nessuno poteva porsi “all’altrui
servizio che a tempo o per una determinata impresa” (art. 1628) ove è
evidente la sollecitudine del legislatore dell’epoca nel proteggere la
libertà dell’individuo nei confronti di vincoli di soggezione e durata
indeterminata.
11
L’introduzione nell’ordinamento italiano del recesso unilaterale con
preavviso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato risale al r.d. n.
1825/1924 (noto come legge sull’impiego privato, artt. 1 e 9), ma nella
pratica l’istituto era già largamente conosciuto: infatti, benché all’epoca
l’art. 1628 c.c. prevedesse la necessaria temporaneità dei vincoli
obbligatori, i contratti di lavoro sine die erano utilizzati nel settore
industriale. Il r.d. n. 1825/1924, rovesciando la regola fissata nell’art.
1628 c.c., stabilì la normale durata indeterminata del contratto di
impiego privato, prevedendo che nessuna delle parti potesse recedere dal
contratto a tempo indeterminato senza “previa disdetta e senza
indennità”. Successivamente, il codice civile del 1942 ripropose, senza
10
M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, op. cit. , pag. 389.
11
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro: il rapporto di lavoro
subordinato, sesta edizione UTET Torino 2005, pag.297.
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variazioni notevoli, la precedente disciplina del recesso unilaterale con
preavviso.
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Infatti, il principio liberistico ha trovato svolgimento nell’art. 2118 del
codice civile del 1942 secondo cui “ ciascuno dei contraenti può recedere
dal contratto di lavoro a tempo indeterminato” senza fornire alcuna
motivazione (c.d. recesso ad nutum). Conseguenza di tale disposizione
era dunque la preclusione del controllo del giudice sui motivi del
licenziamento.
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Il passaggio dalla libertà di licenziamento alla logica del
licenziamento vincolato comincerà a materializzarsi nel nostro
ordinamento soltanto verso la metà degli anni ’60 del secolo scorso, con
l’approvazione della legge 15 luglio 1966, n. 604, nonostante già da
tempo si dubitasse della compatibilità della regola del recesso ad nutum
col mutato quadro di valori accolto dalla carta costituzionale del 1948 (in
particolare con i principi del diritto al lavoro e della compatibilità
dell’iniziativa economica con l’utilità sociale: v. artt. 4 e 41, s° comma,
cost.).
Nel periodo compreso fra la fine della guerra e l’approvazione della
legge n.604, per la verità, limiti al potere di licenziamento ad nutum
erano stati introdotti dalla contrattazione collettiva, in particolare dagli
accordi interconfederali del 1950 e del 1965 applicabili nel (solo) settore
industriale.
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12
V. BALLESTRERO, L’estinzione del rapporto, op. cit. , pag. 1874-1875.
13
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro: il rapporto di lavoro
subordinato, op. cit., pag. 297.
14
M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, op. cit., pag 391.
13
Con tali accordi, l’autonomia collettiva introduceva il principio della
necessaria giustificazione del licenziamento, dando al lavoratore la
possibilità di impugnarlo mediante il ricorso a procedure conciliative o
arbitrali, all’esito delle quali poteva, in caso di accoglimento della
domanda, essere emanata una pronuncia, secondo equità, che imponeva
al datore la riassunzione ovvero, in alternativa, il pagamento di una
penale risarcitoria commisurata ad un certo numero di mensilità di
retribuzione e alle dimensioni dell’impresa. Pur dovendo segnalare
l’importanza dei principi sanciti, sono evidenti i limiti dell’intervento. Si
tratta di una regolamentazione pattizia ristretta al solo settore industriale
e che assicura, nella sostanza, una tutela solo di carattere obbligatorio.
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Una disciplina convenzionale, intrinsecamente debole anche a causa
della limitata efficacia del contratto collettivo nel nostro ordinamento,
non poteva certo porsi come fonte alternativa rispetto alla legge: di
questo la dottrina prese progressivamente atto, via via che si faceva
strada la convinzione che la regola del recesso ad nutum dovesse essere
superata, e che l’assoluta libertà di licenziamento che quella regola
consentiva non fosse più compatibile con i propri enunciati negli artt. 4 e
41, 2° c., Cost.
16
La questione del conflitto tra l’art. 2118 c.c. e i principi costituzionali
venne portata di fronte alla Corte costituzionale, che le respinse (con
stanza n. 45/1965), ma sfruttò l’occasione per sollecitare il legislatore ad
intervenire ponendo limiti al potere di licenziamento. Il diritto al lavoro
sancito dall’art. 4 Cost. non garantisce il diritto alla conservazione del
posto di lavoro, affermò la corte, tuttavia il potere illimitato del datore di
15
O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, op. cit., pag. 647.
16
GRANDI, Licenziamento e reintegrazione: riflessioni storico-critiche, Rivista Italiana Diritto del
lavoro, 2003, I, 3 ss.
14
lavoro di recedere dal rapporto a tempo indeterminato non costituisce più
un principio generale del nostro ordinamento, ed è anzi stato superato
anche dagli accordi sindacali, i quali dimostrano che le condizioni
economico-sociali del paese consentono una nuova disciplina. La
sollecitazione della Corte venne colta dal Parlamento l’anno successivo:
la l.15 luglio 1966, n. 604, introduceva finalmente nel nostro
ordinamento una disciplina limitata dei licenziamenti individuali che
poneva fine, sia pure nel suo circoscritto ambito di applicazione, al
potere di licenziare ad nutum.
17
Con essa tramonta definitivamente (ed a
distanza di oltre un secolo dal codice del 1865) il principio della libertà
incondizionata di licenziamento.
18
La legge n. 604 riprende, nella sostanza, i contenuti, alquanto deboli,
della disciplina stabilita in sede sindacale, la quale peraltro, a seguito
dell’intervento del legislatore fu resa di applicazione generalizzata. La
normativa del 1966, nel linguaggio adoperato soprattutto dagli operatori
sindacali, viene comunemente indicata come ‘legge sulla giusta causa’.
Si tratta, in realtà, di una denominazione impropria. La giusta causa,
come si è visto, era già prevista dal codice civile, allo scopo di esonerare
la parte recedente dall’obbligo di preavviso. Nel nuovo sistema la giusta
causa continua ad assolvere la medesima funzione, ma diventa altresì
una delle ragioni che possono essere addotte per giustificare la
legittimità di un licenziamento. La novità vera, riconoscibile nella legge
n.604, consiste appunto nella trasformazione del potere di licenziamento
da atto di autonomia privata totalmente insindacabile a negozio giuridico
la cui legittimità suppone non soltanto il rispetto di determinati requisiti
di forma, ma soprattutto l’esistenza di ragioni giustificatrici: è questo il
17
V. BALLESTRERO, L’estinzione del rapporto, op. cit. , pag. 1875-1876.
18
O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, op. cit., pag. 649.
15
senso della norma d’apertura della legge, secondo cui “ nel rapporto di
lavoro a tempo indeterminato … il licenziamento del prestatore di lavoro
non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o per
giustificato motivo”. Quest’ultimo, distinto nelle due fattispecie del
licenziamento per giustificato motivo soggettivo ed oggettivo continua a
comportare il rispetto dell’obbligo del preavviso.
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Alla rilevante novità
di principio la legge n. 604 non fece però seguire implicazioni coerenti
sul versante sanzionatorio.
Un decisivo passo avanti sul piano di una tutela effettiva della stabilità
del posto di lavoro è stato compiuto con l’art. 18 dello St. lav. Che ha
comportato il passaggio da un regime di stabilità meramente
“obbligatoria” ad un regime di stabilità “reale”. In base all’art. 18, poi
marginalmente modificato dalla L. 11 maggio 1990, n.108 (art.1),
allorquando il giudice ritenga il licenziamento non assistito da giusta
causa o da giustificato motivo, deve ordinare la reintegrazione del
lavoratore nel posto di lavoro senza alcuna possibilità alternativa di tipo
risarcitorio ovvero senza alcuna possibilità di monetizzare la stabilità del
rapporto.
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Infine di recente con la legge 11 maggio 1990 n.108 il quadro è stato
ulteriormente completato e perfezionato. La legge n. 108/1990,
approvata per scongiurare l’effettuazione di una consultazione
referendaria che, analogamente a quella svoltasi senza esito nel giugno
2003, si proponeva di generalizzare la disciplina dello Statuto, ha
comportato principalmente l’effetto di ampliare il campo di applicazione
dell’art. 18 e, soprattutto, ha reso del tutto residuale l’area di operatività
19
M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, op. cit., pag 391.
20
F. CARINCI, R. DE LUCA TAMAJO, P. TOSI, T. TREU, Diritto del lavoro: il rapporto di lavoro
subordinato, op. cit. , pag. 302.