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Pietro Calò e il Legendarium.
Pietro Calò nacque nella seconda metà del XIII secolo a Chioggia; nelle fonti, infatti, viene
indicato come “Petrus Calo de Clugia”. Non si conosce molto della sua vita, ma si sa che fu frate
dell’ordine dei predicatori, cioè domenicano, presso i conventi di Treviso, Ferrara, Venezia, Padova
e Cividale. Alcune informazioni si ricavano anche dalla sua opera; nella vita di s. Ilarione dice di
essere stato a Cipro nel 1342 e lì di avere visto personalmente il corpo del santo per interessamento
del re. Risulta morto nel convento di S. Domenico a Cividale (Friuli) nel 1348, sebbene alcuni
autori in passato lo ritenessero già morto nel 1310.
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La sua opera più importante è il “Legendarium”, diviso nelle “legendae de tempore”, ovvero
letture relative alle festività religiose, e nelle “legendae de sanctis”, ovvero un insieme di biografie
di santi.
Questa seconda parte appartiene al genere agiografico dei leggendari o passionari, da
distinguersi, anche se non troppo nettamente, dai martirologi. Questi ultimi erano raccolte di notizie
molto sintetiche, spesso poco più che nomi, dei vari santi celebrati dalla Chiesa, ordinati secondo il
calendario liturgico sotto le diverse date. Nei leggendari, invece, vi erano delle biografie più ampie
e spesso arricchite di dialoghi, fatti prodigiosi o “romanzeschi” o fiabeschi e, pur seguendo spesso il
calendario, come i martirologi, potevano invece seguire un ordine alfabetico, o essere ordinati
secondo altri criteri, o non esserlo affatto. I martirologi inoltre, a differenza dei leggendari,
presentavano nei loro capitoli degli incipit codificati. Entrambi venivano recitati o cantati durante le
liturgie, ma i leggendari si prestavano anche a una lettura privata, edificante e interessante al tempo
stesso.
Col tempo, però, questa distinzione originaria andò attenuandosi: se, da una parte, i martirologi
diventano meno sintetici, aggiungendo sempre più notizie, i leggendari tendono, invece, ad
abbreviarsi rispetto a quelli più antichi.
Vite e passioni di singoli santi venivano già scritte fin dal III secolo, ma il più antico leggendario
(inteso come raccolta) che ci sia noto è il “codice Velseri” del VII secolo, conservato alla biblioteca
di Monaco. Ciò non esclude che il genere esistesse già più anticamente. Da allora ne sono stati
scritti numerosi e di tipologie diverse. Si possono distinguere sia in base ai santi considerati sia in
base al lavoro svolto dall’agiografo. Vi saranno dunque leggendari locali, con le vite dei santi di un
paese o una regione, e leggendari universali che, pur non essendo strettamente locali, sono spesso
ben lungi da ogni pretesa di completezza e, anzi, possono anche trattare solo alcune categorie di
santi. Inoltre vi sono leggendari il cui autore è anche il redattore delle singole vite, ovvero le scrive
in modo originale, e altri in cui è un semplice compilatore, che copia o abbrevia altre fonti.
Altra distinzione, in questo caso diacronica, occorre operare fra i leggendari e i leggendari
abbreviati, che derivano da una sintesi di quelli più antichi. Questa trasformazione, che avviene
intorno alla metà del XIII secolo, serviva ad andare incontro alle esigenze dei predicatori, che
potevano più agilmente trovare in queste raccolte (dal formato relativamente maneggevole) degli
esempi edificanti da presentare ai fedeli. Non a caso gran parte degli agiografi appartenevano, come
Calò, all’ordine dei predicatori. Questi nuovi leggendari, però, non si limitavano a sintetizzare
quelli più antichi, ma cercavano, allo stesso tempo, di aumentare sia i santi considerati, sia le
informazioni sui santi già presenti, insomma di dire il più possibile nel minor spazio possibile,
ricorrendo a diversi tipi di fonti.
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Sulla vita si veda “Dizionario biografico degli italiani” volume 16 (1973) e A. Poncelet, “Le légendier de Pierre Calò”,
in «Analecta Bollandiana» 29 (1910), pp. 5-116, alle pp. 30-32.
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Fra questi autori occorre ricordare il domenicano Bartolomeo di Trento, importante fonte per
Calò, così come Jacopo da Varazze, la cui “Legenda Aurea” ebbe grandissima diffusione e fu anche
oggetto di ampliamenti, sintesi e traduzioni. Altra fonte importante è Vincenzo di Beauvais, il cui
“Speculum Historiale”, pur essendo un’opera storiografica, comprende anche una sorta di
leggendario, in quanto molti suoi capitoli sono dedicati alle vite, ai miracoli e agli eventuali martìri
dei santi. C’è poi lo “Speculum sanctorale” dell’inquisitore Bernardo Gui, che però non
sembrerebbe utilizzato da Calò. Dopo Calò val la pena menzionare Pietro Nadal, in quanto utilizzò
molto come fonte il nostro autore, ed è quindi un testimone indiretto.
Molti leggendari uscirono anche a stampa; fra questi un’importanza particolare riveste il
“Sanctuarium” di Bonino Mombrizio (1478), sebbene non si tratti di un’opera originale, anzi,
proprio per questo. Si tratta infatti della stampa fedele di opere più antiche, spesso perdute, ed è
dunque prezioso per individuare le fonti degli altri leggendari, anche precedenti, come si vedrà più
avanti.
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L’opera di Calò, pur avendo in comune coi leggendari del suo tempo la tendenza ad abbreviare, è
in parte anomala, perché di grande mole. Contiene 857 vite, più altre 6, che si trovano solo in uno
dei manoscritti, il V, ma si ritiene non siano spurie, ma aggiunte dall’autore in seguito. Sono di
lunghezza disomogenea, da poche righe a molte pagine. Per distrazione dell’autore alcune vite sono
dei doppioni. I santi sono ordinati secondo il calendario, ordine che però non è seguito in modo
rigoroso. Inoltre, se la rubrica si apre effettivamente col santo celebrato in una certa data, a volte
prosegue poi con la formula “fuit alius X”, che introduce un altro santo omonimo, ma festeggiato in
tutt’altro periodo, evidentemente per mettere in guardia il lettore dal confonderli. Anche questa
eccezione, però, ha la sua eccezione, in quanto altre volte santi omonimi appaiono in rubriche
diverse, probabilmente a seconda di quando l’autore rinveniva le informazioni.
Le fonti dell’opera sono molteplici e a volte anche rare. Oltre ai già citati leggendari, vi sono
anche i martirologi, come quello, molto utilizzato, di Adone di Vienne, opere esegetiche, opere
storiografiche e anche vite di singoli santi ricercate pazientemente nelle biblioteche dei monasteri.
Ma a Venezia erano presenti anche traduzioni latine di vite greche, grazie ai rapporti con l’oriente
bizantino
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. Essendo la sua opera in gran parte inedita, sono pochi anche gli studi e si sa poco come
egli utilizzasse le proprie fonti; perciò ogni edizione parziale, compresa la presente, può contribuire
a far luce su questa questione. Nella conclusione faremo delle considerazioni sull’uso delle fonti, sia
in generale, sia nel caso specifico delle vite qui considerate.
L’opera non ha avuto grande diffusione: è conservata in 3 esemplari manoscritti segnalati da
Poncelet
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e in nessun testo a stampa.
1. Venezia, Biblioteca Marciana, latino IX.15-IX.20 (= V), manoscritto di 6
tomi che formano tre volumi, in pergamena, del XIV secolo, in scrittura gotica, su 2
colonne. E’ l’unico esemplare completo e anche l’unico ad avere le sei vite aggiunte
in seguito, dopo l’explicit: “Explicit secunda pars operis legendarum colectarum per
fratrem Petrum Calo de Clugia, Ordinis Praedicatorum”.
2. Biblioteca Vaticana, Barberiniano latino 713-714 (= B), in 2 volumi, in
pergamena, del XIV secolo, in scrittura gotica, su 2 colonne. Scritto quando era
ancora in vita l’autore. E’ incompleto.
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Sui leggendari e i martirologi vedi A. Poncelet, Ibidem, pp. 5-44.
3
Sulle fonti A. Poncelet, Ibidem, pag. 33 e R. Guglielmetti, “Le vite latine inedite di santa Irene. Studio e edizione
critica”, in
«Filologia Mediolatina» XVIII (2011), pp. 159-279, alle pp.206-211.
4
Ibidem.
4
3. York, Biblioteca della cattedrale di S. Pietro, XVI G 23 (= E), 1 volume,
pergamena, del XV secolo, in scrittura cancelleresca, su 2 colonne. E’ fortemente
incompleto, e nella seconda parte presenta delle altre vite di santi inglesi, scritte da
un’altra mano.
Oltre a questi 3, se ne trova un quarto nella biblioteca dell’Eton College
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, ma non risulta al
momento possibile la consultazione e inoltre, essendo incompleto, non contiene le vite di cui ci
siamo occupati. Ce n’era un altro anche nel convento di san Domenico a Bologna, di cui dava
notizia Leandro Alberti nel XVI secolo, ma che poi si è perduto. L’inventario del 1494 della
biblioteca di S. Eustorgio di Milano riportava inoltre 4 volumi di “Legendae sanctorum” di Calò
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.
In base a quanto è emerso dalla collazione, come si vedrà più avanti, tutti e tre i manoscritti
conservati non sembrerebbero opera di copisti molto colti. Il copista di E appare il più propenso a
innovazioni volontarie: si tratta spesso di sostituzioni sinonimiche accettabili, ma spesso invece
sono sostituzioni del tutto improprie; dunque era un copista che aveva interesse per ciò che
scriveva, non copiava in modo meccanico e a volte, probabilmente, riteneva di migliorare il testo,
ma senza essere supportato da un’adeguata conoscenza del latino o da un livello di attenzione
costante; nondimeno, rispetto all’archetipo che abbiamo ipotizzato, a volte potrebbe aver corretto
con buone congetture, a differenza degli altri due. Questi ultimi, invece, sono meno attenti e le loro
innovazioni sono per lo più dovute a distrazione, ignoranza o anche (se si ipotizza una scrittura
sotto dettatura) all’aver sentito male. Complessivamente, per queste vite, il migliore sembra il V,
che non sbaglia tanto quanto il B e non innova tanto quanto E. Per i capitoli di cui ci siamo occupati
solo in V si trovano dei titoli, aggiunti in seguito da un’altra mano, che ha commesso degli errori. In
B ed E, invece, vi è solo uno spazio ma nessun titolo: evidentemente il rubricatore se ne è
dimenticato, infatti non è pensabile che l’opera fosse concepita senza.
Si sono qui considerate le vite 576-586 (secondo l’inventario generale dell’opera redatto da
Poncelet). Prima di procedere alla recensio, si è fornita la trascrizione dei tre manoscritti, di cui si
dà in fondo riproduzione fotografica. Trascrizione e foto potranno sembrare superflue, ma hanno lo
scopo di rendere il lavoro massimamente verificabile da parte del lettore.
5
N. R. Ker, “Medieval manuscripts in British libraries”, volume II, pp.712-713.
6
“Dizionario biografico degli italiani”.