INTRODUZIONE
Animali da compagnia, animali d'affezione, animali familiari, pets, sono tutti
sinonimi impiegati per definire quelle specie animali che, sempre più in numero
maggiore, si sono introdotte nelle nostre case, ritagliandosi uno spazio definito,
individualizzandosi con un nome proprio, acquisendo e consolidando precise
abitudini, oltre a sviluppare un repertorio di segnali comunicativi che vanno al di
là di quelli di specie. Nel corso dell’evoluzione umana, la storia ha assistito ad un
continuo susseguirsi di epoche e culture, anche molto diverse tra loro. In ognuna
di esse, l’uomo ha costruito codici valoriali differenti sui quali erigere il proprio
mondo sociale. I bisogni della nostra specie, conseguenza e parte costituente dalla
cultura sociale in cui siamo inseriti, hanno inevitabilmente partecipato a tale
evoluzione. Considerando il processo storico umano, vediamo come la ‘lieson’
uomo-animale si configuri come elemento trasversale, che attraversa tutte le
epoche e che attinge dalle differenti culture le sue caratteristiche peculiari. Il
rapporto con l’animale è una costante dell’evoluzione umana; quello che nel corso
dei secoli è cambiato è il sistema dei bisogni e le ragioni che vi soggiacciono.
Nel primo capitolo della tesi, oltre a cercare di delineare un quadro generale delle
motivazioni che spingerebbero l’uomo a coltivare tale legame, vengono descritti i
benefici psicologici che la compagnia di un pet può apportare nella quotidianità, a
seconda che venga affiancato ad un bambino, ad un anziano o all’intera famiglia.
Inoltre, vengono annoverati alcuni studi esteri che hanno analizzato tale legame
alla luce di un’ottica più specificamente medica, mettendo in risalto i benefici di
ordine fisico che tale legame può generare, sottolineandone, dunque, l’importanza
anche per la salute umana.
Dall’analizzare il rapporto uomo-animale domestico nella quotidianità, si volge,
nel secondo capitolo, a considerare come questo possa essere d’aiuto nella cura
della patologia: il tema affrontato è, infatti, quello della Pet Therapy.
Ripercorrendone le origini e gli sviluppi, si arriva a darne una definizione.
Vengono successivamente descritte le finalità ed i meccanismi sui quali tale
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tecnica fa leva per poter funzionare, meccanismi che come si vedrà, quasi sempre
si potenziano tra loro, ed insistono sostanzialmente sulla relazione tra sfera
affettivo-emotiva e biologica. Infine, dopo una breve descrizione degli animali
impiegati, vengono descritte le indicazioni e le controindicazioni all’uso della Pet
Therapy.
Nel terzo capitolo si entra più nello specifico in tale tema, descrivendo il ruolo che
lo psicologo ricopre nei programmi di Pet Therapy, sempre all’interno di un
equipe multidisciplinare, menzionando i luoghi dove tali interventi si svolgono e
come appare essere, ad oggi, la situazione italiana, anche a confronto con il
panorama internazionale.
Nel quarto ed ultimo capitolo, viene proposta una ricerca volta ad indagare il
rapporto uomo-animale da compagnia nel quotidiano; il fine è quello di esplorare
se e come i soggetti percepiscano di ottenere dei benefici da tale legame. Ci si
propone inoltre di verificare se quest’ultimo sia più intenso a seconda che
l’animale sia un cane o un gatto, o se venga in qualche modo influenzato nella sua
intensità dal fatto di avere figli oppure no. Si vuole anche esplorare se i possessori
di animali siano contraddistinti da un certo Stile di Attaccamento e se vi siano
caratteristiche di personalità peculiari, che spingano ad adottare un cane piuttosto
che un gatto.
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CAPITOLO 1
IL RAPPORTO UOMO-ANIMALE DOMESTICO NEL QUOTIDIANO
UNA CONVIVENZA MILLENARIA
<<Cosa vuol dire addomesticare?>> c h i e s e i l
piccolo principe.
<<E’ una cosa da molto dimenticata. Vuol dire
creare dei legami>>, disse la volpe, <<Tu fino ad
ora non sei che un ragazzino uguale a centomila
ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai
bisogno di me. Io non sono per te che una volpe
uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi,
noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per
me unico al mondo, ed io sarò per te unica al
mondo>>.
Da <<Il piccolo principe>> di Antoine Saint-
Exupery.
Il verbo “addomesticare” deriva dal latino “domesticus” che significa
“appartenere alla casa”. Ciò sta ad indicare che “addomesticare un animale”, vuol
dire qualcosa di più rispetto a “renderlo sottomesso ai nostri bisogni” o
“assoggettarlo alle nostre volontà”, bensì indica la possibilità di farlo entrare nella
casa e, di conseguenza, nei luoghi prettamente umani. Infatti, è importante
sottolineare che, usualmente, questo verbo viene usato solo per animali quali cane
e gatto, quelli con i quali l’uomo, negli anni, ha instaurato un rapporto tipicamente
affettivo e non solo utilitaristico.
L’addomesticamento del cane è avvenuto attraverso un lentissimo processo di
compromessi e influenze reciproche. Uno dei lati migliori del cane è senz’altro la
duttilità che lo ha portato a modificarsi in modo anche radicale.
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Un discorso a parte merita invece il gatto, che possedendo caratteristiche molto
differenti rispetto al cane, entrerà a far parte delle nostre case con un processo più
lento e quasi impercettibile.
E L’UOMO INCONTRO’ IL CANE
Le opinioni sull’origine dell’uomo sono nebulose e discordi, e altrettanto lo sono
quelle del suo amico cane.
L’interrelazione uomo-cane è un binomio ancestrale la cui origine si perde nella
notte dei tempi e può essere considerata l’alleanza più antica che la nostra specie
abbia realizzato.
Da quale canide discenda il Cane domestico non è facile stabilire e molti
naturalisti vi si sono cimentati senza pervenire a conclusione precisa: è probabile
tuttavia la discendenza dal lupo. Seguendo questa strada, è possibile ipotizzare
che la collaborazione tra Homo sapiens e lupo abbia preso avvio poiché entrambi
possedevano la medesima organizzazione sociale; vivevano in branco, alle
dipendenze di un capo e si procuravano il cibo con la caccia. Tuttavia l’uomo
aveva a disposizione armi superiori per catturare le prede ed è facile ipotizzare
che lasciasse gli avanzi a quegli animali famelici che si aggiravano intorno ai
villaggi rudimentali. Col tempo il lupo iniziò a seguirlo durante la caccia e,
probabilmente, a considerarlo come capobranco. L’uomo, per addomesticare
cavalli, renne e altri animali, ha dovuto catturarli e piegarli con la forza al suo
volere. Diverso sembra essere, invece, il rapporto con il lupo, nato per
collaborazione e per interesse reciproco.
Non è chiaro come lupo e cane, pur avendo avuto comuni antenati, abbiano poi
seguito strade evolutive diverse: l’uno ha mantenuto selvatichezza e ferocia,
l’altro è divenuto domestico.
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Recenti studi genetici ritengono che il Canis familiaris risalga a cinquecentomila
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anni fa. Le origini certe del rapporto con il cane sono state studiate a partire dai
reperti archeologici: in Palestina è stata trovata una tomba risalente a dodicimila
anni fa nella quale sono stati rinvenuti i resti di un uomo e di un cane. Ulteriori
esemplari di cani sono venuti alla luce da altri insediamenti più o meno
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contemporanei ma dislocati in tutto il mondo: in Cina, in Iraq, in Cile.
Tale periodo si colloca nell’ultima Era Glaciale, lasciando supporre che il cane
abbia accompagnato l’uomo nella transizione dalla condizione nomade di
cacciatore-raccoglitore a quella di agricoltore.
Dal settimo al quarto millennio a.C., con la diffusione dell'agricoltura e
dell'allevamento del bestiame, l'utilità del cane si estese ulteriormente. Il cane
dovette rivelarsi indispensabile ai primi agricoltori perchè, non solo poteva essere
addestrato per condurre il bestiame, ma era anche in grado di difenderlo dai
predatori e poteva tenere lontani gli ungulati erbivori dalle coltivazioni pregiate
(Thorne, 1992).
Niente di strano, dunque, se il cane, addomesticato ed utilizzato in ogni epoca
storica per la custodia delle greggi e della casa, diventi il fedele compagno di
caccia e di vita dell'uomo e si ritrovi ad essere protagonista di miti e leggende,
ruoli in cui viene restituito ai posteri dall'archeologia e dalle arti.
Bisogna arrivare a quattromilacinquecento anni a.C. per veder apparire le prime
raffigurazioni pittoriche di cani, immortalati nell’atto di aiutare gli uomini nella
caccia. Contemporanea è l’incisione, su un manico di un coltello, di un cane con il
collare, prima prova certa che il cane fosse utilizzato anche come guardiano.
Cane da guardia, da caccia o da compagnia, è anche il guardiano degli inferi o dei
moribondi, simbolo di vigilanza, di fedeltà e di obbedienza, oppure maledetto,
legato alla morte e alle forze del male.
1
Budiansky S., L’indole del cane. Origini, stravaganze, abitudini del “Canis familiaris” (2000),
Cortina, Milano 2004, pp. 37-38.
2
Clutton-Brock, Origins of the Dog cit., pp.10-12.
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Il cane è stato considerato in modi molto diversi a seconda delle epoche e delle
civiltà: venerato e rispettato presso gli antichi egizi, sacrificato agli dei nei riti
precolombiani, considerato il paria degli animali nel Vecchio Testamento e
boccone prelibato in Oriente.
Aristotele fu il primo a classificare tutte le razze canine definendole con il nome
del paese d’importazione, Ovidio e Varrone a scrivere manuali sull’acquisto e
sull’accudimento dei cani.
Nell'impero romano, la condizione del cane nella società evoluta è quella propria
dell'animale domestico. Esso è guardiano del focolare così come un aiuto prezioso
nella caccia. Appare come un compagno in tutte le situazioni, fedele e del tutto
dedito al suo padrone. Tali cani sono essenzialmente superbi molossi, tanto
impressionanti quanto feroci, che difendono l'accesso del loro focolare dagli
stranieri.
E’ in quest’epoca storica che il cane inizia ad essere utilizzato anche in guerra,
accompagnando il suo padrone.
Il Medioevo, invece, risultò essere un’epoca buia e oscura anche per il cane, al
quale, tuttavia, non toccò l’esistenza travagliata subita dal gatto. E’ in questo
periodo storico che nacquero tutte le frasi di cattivo gusto che sono diventate di
uso quotidiano “solo come un cane”, “figlio di cani”…
La deposizione di Romolo Augustolo, nel 476 d.C., segnò la fine dell’Impero
Romano d’Occidente e diede anche inizio alle invasioni di popoli barbari che
distrussero ogni traccia di vita urbana e rurale. I contadini, venute a mancare tutte
le altre risorse, dovettero rifugiarsi nelle foreste per evitare le orde che li
minacciavano e i cani seguirono i loro padroni nella fuga. In tal modo, agli inizi
del Medio Evo, i nostri più fedeli compagni avevano ritrovato molti
comportamenti dei loro antenati. Tornati quasi allo stato selvatico, vagavano in
branchi coprendo vaste aree e diffondendo, naturalmente, diverse malattie tra cui
la rabbia. La costante carenza di cibo, e dunque la fame, spinse molti di questi
animali a riprendere il loro antico ruolo di spazzini attorno agli insediamenti
umani, cibandosi di carogne e anche di cadaveri sepolti.
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La presenza di esemplari feroci alla periferia degli accampamenti generò paura e
superstizione. I Gallo-Romani cominciarono a considerare i cani creature
demoniache, “cani dell’inferno”, e sarebbero dovuti trascorrere molti secoli prima
che questa immagine svanisse completamente.
Man mano che, sul finire del Medioevo, i costumi si addolcirono e tornò a
diffondersi il benessere, crebbe anche l’amore disinteressato per il cane. Certe
crudeltà, che purtroppo ancor oggi si ritrovano verso gli animali, altro non sono
che un retaggio di oscuri periodi di miseria, di ignoranza e di cattive superstizioni.
Alle porte del Rinascimento possedere un bel cane era diventato persino una sorta
di snobismo, ed ecco apparire nei dipinti il cane da compagnia. Raffigurato ai
piedi delle dame su morbidi cuscini, sulle loro ginocchia, sotto ricchi banchetti
imbanditi, impegnato nella caccia con nobili signori. Tutto ciò è sintomatico di un
atteggiamento psicologico e sociale della classe nobiliare prima e borghese poi,
che fa di questo animale una parte essenziale della vita sociale e privata. Più
recentemente, nei secoli XIX e XX, le mute dei grandi cani da caccia, che erano a
servizio dei sovrani di un tempo, scomparirono, per lasciare spazio a cani quasi
esclusivamente da compagnia e, più raramente, a cani da gregge e cani da guardia.
Fino al primo Novecento questo rapporto si è sviluppato sempre in crescendo:
tutte le vicende dell’uomo, nella miseria e nella ricchezza, sono state
accompagnate dalla presenza del cane.
IL DOMESTICO INFEDELE: IL GATTO
Come sopra anticipato, il rapporto tra uomo e gatto ha avuto un processo molto
differente rispetto a quello con il cane. Non solo per quanto riguarda
l’addomesticamento, che sembra essere iniziato non prima di cinquemila anni fa,
ma anche per il tipo di rapporto connotato, per millenni, da una forte ambivalenza.
A differenza del cane, il gatto manca di impulsi cooperativi e di istinti sociali, è
più timoroso ed è un animale notturno; queste caratteristiche hanno sicuramente
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contribuito a rendere il processo di addomesticamento molto più difficoltoso. Ciò
lo ha preservato, nel corso dei secoli, dal subire i profondi cambiamenti, sia dei
caratteri somatici, sia del comportamento, che invece sono spettati al cane.
I gatti sono nati dall’evoluzione dei Miacidi circa trenta milioni di anni fa, in
particolare dal Felis sylvestris libico, ovvero dal gatto africano. E’ proprio in
Africa, e precisamente nell’Antico Egitto, che ebbe inizio il lungo sodalizio fra
uomini e gatti.
Inizialmente utilizzati per tenere lontani i topi dai granai e da altri magazzini,
entrarono presto a far parte delle case degli antichi egizi, dove venivano
considerati come veri e propri animali da compagnia. Intorno al millecinquecento
a.C. il loro valore nella società crebbe ulteriormente, in quanto associati alla
divinità Bastet, dea della fertilità, della maternità, del focolare domestico e della
bellezza femminile. Essa veniva infatti rappresentata con il corpo di donna e la
testa di gatto; proprio per questo legame con il divino, il gatto venne tenuto in
massima considerazione da parte di tutto il popolo.
Si diffusero dall’Egitto in Grecia e solo successivamente nell’Impero Romano,
tuttavia non sono presenti testimonianze di una diffusa presenza di gatti intorno
alle case greche e romane nell’antichità. La funzione di tenere lontani i topi era
assegnata ai furetti.
Si deve aspettare fino al IV secolo d.C. per veder apparire le prime raffigurazioni
di gatti in Europa ed il termine specifico latino “catus” nel Trattato
sull’agricoltura di Palladio. Il gatto visse un momento di gloria durante l'Impero,
quando da animale da cortile divenne un elemento di decoro dello sfarzo
imperiale. I Romani copiarono le usanze orientali, in quanto da secoli in Persia e
in India il gatto era partecipe della vita di sovrani e nobili, per via della sua
intrinseca bellezza ed armonia.
Solo secoli dopo i gatti, passando per la Persia e per l’India, giunsero fino
all’Estremo Oriente. In Cina e Giappone erano tenuti in gran conto, erano
considerati gli unici animali da compagnia dei dignitari di corte e degli imperatori.
Lo stesso rispetto era, ed è tutt’ora, dedicato loro anche in Thailandia; avevano il
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compito di impedire ai roditori di rosicchiare i testi sacri nei monasteri e ai
bambini veniva insegnato di considerarli un esempio di operatività. In Oriente
questo atteggiamento rispettoso rimase fino ai tempi moderni; in Europa, invece,
il gatto divenne, a seguito degli assurdi strali dell'Inquisizione, un simbolo del
male, del satanismo, delle streghe. Venne perseguitato, torturato e sacrificato per
secoli, e con lui venivano bruciate al rogo le persone che lo tenevano in casa.
L’apice si ebbe quando, nel 1233, papa Gregorio IX in una bolla lo indicò come la
presenza terrena del demonio sulla terra. Fu macabra usanza ardere vivi nelle
piazze la notte di San Giovanni centinaia di gatti rinchiusi in ceste, così come
simbolo di buon auspicio murarli vivi nelle case in costruzione.
Tutto questo sadismo portò ad un quasi completo sterminio del gatto europeo che
fu causa di una proliferazione incontrollata di topi e ratti soprattutto nelle grandi
città. Questo pesante sbilanciamento degli equilibri ecologici, unito a cattive
condizioni sanitarie e malnutrizione, fu una delle cause dell’esplosione della Peste
Nera.
Fu soprattutto per questo che si cominciò a riprendere in considerazione il gatto
come animale domestico indispensabile.
In America i gatti furono introdotti dai primi europei che vi si stabilirono nel
Seicento.
Solo nel Settecento il gatto venne accettato come animale domestico all’interno
della classe media e della borghesia, continuando però ad essere considerato un
animale di scarso valore, accolto in casa perché utile. La premura morale nei
confronti degli animali si diffuse in questo periodo, quando la legge religiosa che
escludeva le bestie da quest’ambito lasciò spazio ad una moralità di tipo
sentimentale: iniziò a prendere forma un’opposizione sistematica alla violenza nei
loro confronti.
Nell’Ottocento i gatti erano considerati a pieno titolo come animali da compagnia,
ma non contribuivano al prestigio del padrone come cavalli e cani. Venivano
definiti come gli inquilini di tante case umili dove non c’era posto per un cane,
considerati animali senza valore perché i loro padroni erano poveri. La regina
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