Introduzione
2
Oggi alcune squadre della serie A italiana, sulla scorta degli esempi di società estere,
sono state quotate in borsa aprendosi così ad un mondo puramente economico che va
via via offuscando il calore della passione sportiva.
Alla luce di tutto questo, il punto di partenza della mia analisi muove dalla
constatazione che tale situazione sia stata senza dubbio aggravata dal susseguirsi dei
vari dissesti societari degli ultimi anni, dai bilanci truccati alle fideiussioni false, ai
ricorsi e le relative ingerenze del mondo giuridico in quello sportivo. Si è senza dubbio
alcuno finiti in una situazione in cui i numeri contano più delle persone.
Il lavoro presentato parte dall’analisi delle caratteristiche economiche che ha assunto il
gioco del calcio sviscerando quelli che possono essere i più significativi cambiamenti a
livello normativo ed a livello economico circa quello che è il mondo del pallone,
tenendo sempre d’occhio il modello verso cui tende questa nuova “industria del calcio”.
Importante è focalizzare da subito i diversi modelli gestionali (associazioni e poi società
per azioni) su cui sono ricadute le scelte dei club, talvolta per esigenze di economicità e
talvolta per imposizione normativa; saranno quindi analizzati gli elementi caratterizzanti
il panorama competitivo non solo a livello locale, ma anche a livello europeo, dato che
il calcio è senza dubbio lo sport maggiormente praticato nel vecchio continente.
Sono presenti, inoltre, spunti per l’analisi della gestione di una società di calcio
vagliandone tutti quegli elementi che sono alla base della condotta gestionale: analisi
delle strategie, dei fattori critici di successo e di rischio, valutazione degli elementi
positivamente e negativamente correlati con la gestione, richiami agli aspetti rilevanti
della contabilità di una squadra di calcio. In modo particolare il fulcro dell’analisi è il
legame tra successo sportivo ed economico che spesso risulta determinante, per non dire
essenziale, per la riuscita di una buona politica gestionale di un club: il successo
nell’ambito sportivo si ripercuote positivamente anche su quello finanziario della
squadra ed allo stesso modo le vicissitudini societarie di carattere economico, spesso
influenzano il buon gioco e si assiste, così, ad un pericoloso “inquinamento”. Anche se
in realtà non può essere matematicamente comprovata una relazione tra gestione
economica e sportiva, si capisce come dal punto di vista gestionale quest’influenza si
faccia sentire; chiaramente un dissesto finanziario non incide sul buon gioco della
squadra se non in via indiretta, cioè non permettendo alla squadra di fare acquisti
importanti per il suo miglioramento o, al limite, turbando la tranquillità psicologica dei
calciatori che, vedendo a rischio l’adempimento contrattuale da parte della società,
potrebbero non rendere al meglio. Tale inquinamento di cui sopra, può avere dei risvolti
Introduzione
3
negativi ma allo stesso modo positivi, provvedendo ad innescare un circolo virtuoso o
vizioso, a seconda dei casi, che ha un’influenza forte sulla gestione della società
oggetto.
Il mio lavoro va a considerare gli aspetti distintivi di natura economico-finanziaria dei
club per poter analizzare se esiste questo legame, dandone prova con una serie di analisi
di tipo statistico circa le relazioni tra variabili di tipo economico (spesa per
trasferimento dei giocatori, spesa per ingaggi, ricavi) e variabili legate all’alea sportiva
(successo sportivo, posizione raggiunta in campionato).
Costituisce, inoltre, parte importante del lavoro l’analisi del significato e dei principali
indicatori delle performance sportive e d’impresa: il successo sportivo si misura
sostanzialmente con le vittorie e con i trofei conquistati, non solo con il buon gioco, di
contro il successo economico si misura con l’analisi di indicatori di bilancio come quelli
espressivi della redditività, della liquidità e della solidità patrimoniale. L’analisi fatta in
tal senso considera tali aspetti dapprima in modo separato, per darne un’idea precisa,
poi congiuntamente dal momento che una società calcistica non può essere valutata
come una qualsiasi altra impresa, ma necessariamente il successo finanziario deve
coincidere con quello sportivo, del resto lo scopo primario dei club non è guadagnare
ma vincere.
Infine la parte finale del lavoro è occupata dal trasferimento in termini pratici
dell’analisi teorica compiuta, attraverso la presentazione dei casi di studio Juventus FC
ed Ascoli Calcio 1898.
Analizzando la gestione e gli indicatori delle squadre nelle ultime stagioni, si può
valutare se effettivamente si sia verificato per tali società l’innesco del circolo di cui
sopra. La realtà della Juventus è stata scelta perché incarna il modello di gestione di un
club che in Italia si avvicina di più ad un tipo di gestione aziendalistica di una società di
calcio come fosse una qualsiasi impresa commerciale: la squadra sembra essere quella
che nel nostro paese rivela una gestione più accorta e più business oriented delle altre,
connotandosi certamente con una particolare efficienza nelle attività proprie di un club
calcistico e sposandole al meglio con la gestione economica.
La realtà dell’Ascoli, invece, è stata scelta per valutare l’impatto dell’andamento
sportivo su quello economico, per un club di dimensioni molto più modeste, al fine di
dimostrare che l’influenza delle gestione sportiva ed economica avviene a livelli diversi
tra club grandi e ricchi e club piccoli ed economicamente meno dotati.
Capitolo I – Il Business del Calcio
4
Capitolo I
Il Business del Calcio
1. Aspetti socio-economici del calcio
Lo sport è stato da sempre considerato mezzo per crescere e maturare, gli sport di
squadra in particolare assolvono a questo ruolo, in primis il calcio: esso può essere
considerato momento di aggregazione e di sviluppo della personalità dell’individuo che
impara ad agire (giocare) in un gruppo. Il forte “appeal” di questo gioco, del resto, è
determinato dal senso di aggregazione di una società, intesa come comunità di tifosi che
si unisce per sostenere la propria squadra del cuore. Caratteristiche del gioco sono,
infatti, la casualità e quindi l’imprevedibilità dei risultati e degli andamenti sportivi, le
metafore che esso stesso racchiude come quella della conflittualità ma allo stesso tempo
dell’unione; tutto ciò fa del calcio qualcosa di più di un semplice sport e lo rende un
fenomeno socio-economico legato ai comportamenti ed alla cultura dei popoli, sebbene
scomodare il concetto di cultura a proposito di un gioco possa apparire una
provocazione
1
.
Un imprenditore può essere spinto a “tuffarsi” nell’avventura del calcio per ottenerne un
ritorno pubblicitario di forte impatto
2
: bisogna dire, infatti, che i risultati promozionali
di una squadra di calcio sono di immediata percezione per:
- Copertura mediatica: il calcio occupa rilevanti spazi nei mezzi di informazione, con
cadenza quotidiana e con un rilevante affollamento nei fine settimana;
- Comprensione dei risultati: i risultati di una squadra sono direttamente manifestati
da scudetti e coppe, mentre i risultati di un'azienda sono rappresentati da indicatori
economici complessi per “l'uomo comune”;
- Facilità di aggregazione presidente-squadra. La figura del presidente è direttamente
assimilabile alla squadra a causa della forte assonanza tra l'immagine dell'uomo e
del club.
Altra caratteristica da considerare è quella dell’identificazione di una squadra con la
città o il paese che rappresenta
3
. Il senso di aggregazione con la propria squadra del
1
Tanzi A., Le società calcistiche. Implicazioni economiche di un gioco. Giappichelli, 1999
2
Guarnirei A., Il calcio in crisi, in “Il messaggero”, 18 luglio 2004
3
“Analisi giuridica dell’economia” n. 2/2005
Capitolo I – Il Business del Calcio
5
cuore restituisce ai tifosi forti emozioni, per le vittorie e per le sconfitte, che
accomunano sempre di più i sostenitori, amplificando il loro senso di appartenenza e di
identificazione nella squadra, nelle bandiere, nei colori sociali e nei giocatori. In tal
modo si crea un forte legame tra città (ma ugualmente si potrebbe parlare di provincia o
regione) e società da cui entrambe traggono profitto. La presenza di una società
calcistica di successo in una città è senza dubbio un motore di crescita per l’economia
della comunità che ne trae benefici economici per via di tutte le relazioni commerciali
che un club può porre in essere
4
: si pensi alle forti economie esterne indotte dai club per
le quali le stesse non ricevono un preciso compenso sul mercato, si parla della
pubblicità delle località, l’utilizzo di alberghi e strutture affini; per non parlare
dell’interesse economico che può scaturire da parte degli enti locali. L’esempio più
recente e forse originale è quello della provincia del salento che ha sfruttato l’immagine
della sua squadra simbolo, il Lecce, per ottenere importanti ritorni pubblicitari: si tratta
di una precisa politica di marketing: sfruttamento del brand e del successo di una
“impresa” locale che opera in un settore di impatto socio-culturale particolarmente
sentito nel nostro paese, per dar lustro all’area cui la stessa squadra viene associata
5
.
Se è vero che il calcio è momento di aggregazione, è anche vero che, ultimamente, si sta
assistendo al degrado dei principi sportivi di fair play con il proliferare dei fenomeni di
violenza negli stadi con scontri nati dalla forte rivalità che si accende tra tifosi di
squadre diverse, rivalità che tocca l’apice nei derby giocati tra squadre della stessa città
o città vicine, in cui allo scontro sportivo si affianca un forte campanilismo che può
essere accentuato da motivi sociali, politici o religiosi, motivi che, chiaramente, esulano
da quelli sportivi. Basti pensare ad alcuni precedenti come la strage dell’Heysel, lo
stadio di Bruxelles dove nel maggio 1985, in occasione della finale di Coppa dei
Campioni tra Juventus e Liverpool, gli Hooligans inglesi uccisero 39 persone tra tifosi
italiani e forze dell’ordine.
Considerando la grande rilevanza che un gioco nato come sport e trasformatosi in
fenomeno di costume può avere, appare opportuno valutare l’evoluzione che ha portato
il calcio a diventare un fenomeno così economicamente rilevante.
4
Zanetti L., Le diamiche di crescita delle PMI Italiane, in “Finanza, Marketing e produzione”, n.4, 1997.
5
Da www.gazzetta.it.
Capitolo I – Il Business del Calcio
6
2. Da Gioco a Business
Il calcio, come gli atri sport, nasce come un gioco che offre la capacità di formare il
carattere degli adolescenti, di impartire disciplina e di inculcare uno spirito di squadra.
La piega che ha preso il gioco del calcio ha, però, troppo spesso esulato dalla primitiva
considerazione dello stesso trasformandosi il un settore di business e dunque può essere
interessante analizzare la modificazione che lo stesso ha subito nel corso del tempo.
2.1 Cenni Storici
Il calcio nasce come attività ludica per poi trasformarsi in un vero e proprio sport nella
seconda metà dell’ Ottocento. Le sue origini sono molto discusse da momento che
presunti precursori del moderno gioco del pallone sono considerati il greco episcyros,
oppure l’ Harpastum praticato dai legionari di Giulio Cesare o ancora il Cuju o Tzu
Chu, il gioco preferito in Cina durante la dominazione della dinastia Han tra il 206 a.C.
ed il 220 d.C., ma non mancano rivendicazioni di un’origine francese (la soule),
svizzere (l’hournasse) o italiane (il calcio fiorentino di Lorenzo il magnifico)
6
;
discussioni a parte si trattava sempre di giochi lontani da quello che oggi conosciamo
come calcio, le moderne regole furono codificate dagli inglesi nel 1863
7
, i quali si
riterranno, per questo, i veri maestri del calcio.
Il gioco del calcio si sviluppa, dunque, soprattutto in Inghilterra dove viene fondata la
prima società di calcio nel 1855, si tratta dello Sheffield Wednesday, club fondato dagli
studenti dell’omonima città universitaria ed è proprio in questo paese che nel 1872 si
disputa la prima competizione ufficiale, la F.A. cup (tuttora disputata); nello stesso anno
ha luogo anche il primo incontro tra due squadre nazionali, l’Inghilterra e la Scozia.
Nel 1870 il gioco varca le soglie della manica ed approda in Europa dove in breve
diventa uno dei giochi più praticati, si parla di giochi e non di sport perché al principio i
maestri di scuola incoraggiavano i giochi di squadra come esercizi per i futuri dirigenti
di impero, elaborando ogni scuola, una propria versione del calcio.
Per quel che riguarda l’Italia, il calcio ebbe subito un influenza notevole: nel 1892
nasce, ad opera di un gruppo di inglesi, la prima squadra di calcio, il Genoa Cricket and
Athletic club e nello stesso decennio ne sorsero molte altre finchè nel 1898 nasce la
6
Cfr. Anna Tanzi. Op. Cit.
7
Il 23 Ottobre 1863 nella taverna dei Liberi Muratori, in Great Queen Street, a Londra, fu costituita la
English Football Association che codificò un regolamento molto vicino a quello attuale.
Capitolo I – Il Business del Calcio
7
F.I.F. (Federazione Italiana del Football, che diventerà poi l’odierna F.I.G.C. -
Federazione Italiana Giuoco Calcio- nei primi decenni del 1900)
8
.
In ogni caso, fatta eccezione per le isole britanniche, fino alla prima guerra mondiale il
calcio restò una pratica elitaria, appannaggio della borghesia; successivamente, tramite
l'estensione del gioco a tutte le classi, il calcio divenne un'opportunità di inserimento
sociale per le comunità che stavano vivendo un processo di nuova urbanizzazione,
questo spiega in parte come mai fattore determinante nella diffusione del calcio fu lo
sviluppo dei sistemi di trasporto. I primi campionati disputati erano ad un unico girone e
coinvolgevano solo ed esclusivamente squadre del nord, poi nacque un girone B per le
squadre del sud e solo nel 1929-1930 la Federazione creò il primo campionato a girone
unico; non a caso quelli erano gli anni dello sviluppo della rete ferroviaria italiana.
Nel 1904 per esigenze di coordinamento delle federazioni nazionali nate negli anni
precedenti, nacque la F.I.F.A. (Federation Internazionale de Football Association) che
nel 1929 in occasione del suo 25° anniversario, indisse il primo campionato mondiale di
squadre nazionali che vide, in Uruguay, la vittoria della squadra di casa. Dal 1930 i
campionati mondiali sono stati disputati ogni 4 anni ad eccezione che nel periodo del
secondo conflitto mondiale (saltate le competizioni dal 1942 al 1950) e del 1970
(periodo di tensioni dovuti alla “guerra fredda”).
Il calcio è stato negli anni anche uno strumento di sanzione politica verso stati che non
rispettavano le leggi internazionali. Nel 1992 l’allora Jugoslavia fu estromessa dagli
europei di Svezia a causa della guerra civile in corso; nella stagione 2002/03 la UEFA
ha imposto alle squadre israeliane di giocare le proprie partite casalinghe a Cipro, a
salvaguardia delle squadre ospiti a rischio attentato dai kamikaze palestinesi; le squadre
inglesi stesse, dopo la strage dell’Heysel
9
, furono estromesse dalle competizioni
internazionali per alcuni anni. D’altra parte questo gioco è stato anche elemento di
aggregazione e di ricostruzione di legami tra altri Stati ai margini: l’Italia ha teso una
mano alla Libia giocando a Tripoli la Supercoppa Italiana 2002, o ancora accoppiamenti
casuali hanno portato a giocare su un campo di calcio partite come Iran-Stati Uniti
(mondiali 1998), Slovenia-Jugoslavia (europei 2000) o ancora Stati Uniti-Messico
(mondiali 2002), dal forte significato storico per nazioni che vivevano situazioni di
ostilità oramai estemporanee.
Sono numerosi gli interessi economici legati al calcio e riguardano soggetti diversi: le
società calcistiche, le federazioni nazionali ed internazionali, la squadra nazionale, i
8
Da www.eurosport.it
9
Vedi cap.1 par.1
Capitolo I – Il Business del Calcio
8
calciatori, i procuratori, gli sponsor, le agenzie pubblicitarie, i mass-media, le società di
scommesse, la pubblica amministrazione, i produttori e i dettaglianti di articoli sportivi,
l'industria turistica e alberghiera, trasporto e molti altri ancora, soprattutto i tifosi, vero
motore del calcio.
2.2 L’evoluzione di un gioco
Sebbene l’idea di poter associare la gestione di un club calcistico ad un’attività di
carattere lucrativo fosse deplorevole alle origini del calcio, i club che originariamente
erano semplici associazioni avrebbero presto vissuto una trasformazione economica
dovuta non solo a fattori che in economia si dicono endogeni, come la necessità di
sostenere costi sempre più alti per essere competitivi, ma anche da elementi
relativamente esogeni come l’introduzione di leggi che hanno continuamente modificato
il settore.
La primaria funzione delle società calcistiche era quella di coordinare gli incontri,
fornire gli strumenti ed i mezzi necessari per garantire con regolarità ai giocatori la
possibilità di giocare, tuttavia appena il calcio divenne uno sport diffuso, fu necessario
cominciare a fornire dei servizi agli spettatori, servizi per i quali era richiesto un piccolo
pagamento a titolo di rimborso spese per la società. In tal senso il calcio iniziò a
diventare un business
10
. Mentre il gioco del calcio, infatti, diventava sempre più
popolare, i problemi di gestione di un club calcistico si avvicinavano sempre più a quelli
di ordinaria gestione di una qualsiasi altra società: dal coprire i costi con i ricavi
(cosiddetto “metodo economico”), al miglioramento dei servizi offerti fino alla
possibilità di generare profitti.
Fattore determinante è dato certamente dalla remunerazione della “forza lavoro”, cioè i
calciatori. Essi all’inizio erano tutti dilettanti, quando poi cominciò a diventare più
importante vincere che partecipare, le società cominciarono a remunerare (prima
saltuariamente e poi regolarmente) i giocatori più forti sotto forma di rimborsi spese per
le trasferte, facilitazioni nel trovare un impiego e così via. Quello del calciatore divenne
un vero e proprio lavoro ufficialmente nel 1885, quando la English Football Association
riconobbe la figura del calciatore professionista e, quindi, stipendiato; dunque il ricavato
dalla vendita dei biglietti era destinato a coprire gli ingaggi dei calciatori prima ancora
che andare a finanziare i servizi offerti ai tifosi; quindi in linea di massima si può
10
Da www.storiain.net
Capitolo I – Il Business del Calcio
9
affermare che la trasformazione del calcio da sport dilettantistico a sport
professionistico, è funzionale all’evoluzione del calcio da sport a business
11
.
Sebbene agli inizi il calcio si curasse poco dell’aspetto finanziario, il successo nel gioco
è indirettamente legato alla buona gestione della società: se una società genera profitti
avrà a disposizione più risorse economiche da impiegare nel potenziamento della
squadra, nell’investire e sviluppare talenti e, in generale, nell’assicurare alti livelli di
performance. Per questi motivi oggi le società si trovano a dover effettuare molteplici
investimenti per vendere il prodotto calcio ai propri clienti: investimenti nel marketing e
nella promozione, nello sviluppo delle infrastrutture, nella gestione degli impianti
sportivi, nella creazione di uno staff tecnico di primo ordine. Si tratta di elementi che
non possono essere trascurati dal momento che tra successo sportivo e finanziario esiste
un legame sempre più stretto.
La trasformazione del calcio non può prescindere dall’evoluzione del quadro normativo
di riferimento che ha cambiato il modello di società di riferimento per i club.
2.2.1. Le Associazioni “non riconosciute”
Originariamente le società calcistiche erano delle semplici “associazioni non
riconosciute”, assoggettate, quindi, ad una disciplina molto elastica che permetteva loro
di autoregolarsi e gestirsi autonomamente.
Le associazioni sono delle organizzazioni di persone fisiche create spontaneamente e
stabilmente per perseguire uno scopo di interesse comune a carattere non economico
12
.
Lo schema di riferimento era quello del codice civile
13
il quale delinea la fattispecie di
associazione dividendola in associazioni riconosciute ed associazioni non riconosciute.
Il riconoscimento formale dallo Stato è un atto (automatico o dietro richiesta dell’ente
costituendo) mediante il quale l’associazione viene ad esistere a tutti gli effetti
acquisendo lo status di persona giuridica con la conseguente acquisizione di autonomia
patrimoniale. Non è obbligatorio che un’associazione ottenga suddetto riconoscimento,
in mancanza si parla di un ente di fatto e non di diritto, la differenza sostanziale tra le
due è che i primi non hanno autonomia patrimoniale né personalità giuridica
14
. Le
associazioni calcistiche nascono proprio come enti di questo tipo con tutte le
caratteristiche relative: l’attività primaria, stabilita dall’atto costitutivo che nella
11
Cfr. Lago, Baroncelli, Szymanski. “Il business del calcio. Successi sportivi e rovesci finanziari”. Egea,
2004.
12
Vedi A.Torrente, P.Schlesinger, Manuale di diritto privato, diciassettesima edizione. Giuffrè, 2000.
13
Capitolo III, Titolo II <<Delle Persone Giuridiche>>.
14
Vedi Alpa G., Lezioni di diritto privato, seconda edizione, UTET, 2002.
Capitolo I – Il Business del Calcio
10
fattispecie è quella sportiva, viene espletata attraverso la creazione di un fondo comune,
si viene, cioè a creare un patrimonio alimentato dai contributi di tutti gli associati i quali
sono beneficiari dell’attività svolta dall’ente stesso. I club calcistici dei primi tempi
annoverando tra gli associati i calciatori, fornivano loro i mezzi di poter giocare,
escludevano sempre dai loro statuti qualunque fine di lucro ed arrivavano a prevedere
che, in caso di scioglimento, ciò che residuava del fondo comune dovesse essere
devoluto alle altre attività sportive inerenti. Fermo restando le limitazioni legislativa di
questa
15
struttura, essa permetteva agevolmente di creare un apparato di attrezzature
sportive, impianti (come piccoli stadi) e soprattutto permetteva una gestione
particolarmente flessibile e semplificata, esprimendo un’ampia autonomia organizzativa
stabilita dallo statuto dell’ente stesso: si trattava dello schema ideale e per questo
costituisce ancora una delle tipologie organizzative maggiormente utilizzata dalle
associazioni dilettantistiche. Inoltre la snellezza operativa era assicurata anche dal fatto
che non esistevano problemi di carattere finanziario. Gli enti di questo tipo erano spesso
gestiti da un “mecenate” e rispondevano alle esigenze di bilancio mediante un semplice
rendiconto finanziario che si riferiva genericamente alle entrate ed alle uscite, ma si
trattava di un prospetto lontano da quello indicato ai fini civilistici, dal momento che
tutti i rapporti economici tra club e giocatori erano regolati semplicemente “per cassa” e
non “per competenza”
16
. Col diventare sempre più complessa la gestione dell’
associazione, si notò che “la mancanza di norme precise e la diffusa prassi di
compensare alcuni costi imputati ai dirigenti con taluni ricavi, dava ai valori risultanti
dalla contabilità un notevole grado d’incertezza
17
” ed a questo bisogna aggiungere che:
• La vecchia associazione sportiva non poteva sostenere più le proprie spese
contando semplicemente sui contributi degli associati e si ricercavano nuove
fonti di introiti rivolgendosi al mercato ed assumendo, così, una connotazione
più imprenditoriale;
15
Secondo gli artt. 2659 e segg. Le associazioni non possono ricevere donazioni o legati ma possono
acquistare immobili.
16
Il principio di cassa è quel principio in base al quale costi e ricavi sono imputati nell’esercizio in cui si
sostengono effettivamente e si valutano semplici variazioni numerarie delle disponibilità liquide, il
principio di competenza, invece, impone che i ricavi siano imputati all’esercizio in cui si sostengono
effettivamente ma i costi sono di competenza dell’esercizio in cui trovano la corrispettiva contropartita.
Esempio: se lo stipendio dell’anno 1 viene pagato ad un calciatore nello stesso anno, per entrambi i
principi il costo è di competenza di quell’anno. Se l’ingaggio relativo all’anno 1 però viene pagato
all’inizio dell’anno 2, per cassa il costo è di competenza dell’anno 2, per competenza rimane invece
imputabile all’anno 1.
17
Cfr. Marzola, L’industria del calcio, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1990.
Capitolo I – Il Business del Calcio
11
La creazione (ufficialmente nel 1981) della figura del calciatore professionista
che scompare dalla compagine associativa è diventa un soggetto che presta la
sua opera in cambio di un corrispettivo in denaro;
La nascita delle prime S.p.A. calcistiche (Torino nel 1959 e Napoli nel 1964)
che contrastava con l’allora regolamento del CONI in base al quale “le società
sportive non devono avere scopo di lucro”.
Tutto questo portò al collasso del sistema fondato sulle associazioni calcistiche e spinse
la FIGC ad imporre una nuova veste giuridica.
2.2.2. Il professionismo
La FIGC per ovviare ai problemi gestionali occorsi, impose l’assunzione della veste di
Società Per Azioni come condizione necessaria per l’iscrizione al campionato
1966/1967
18
. Le società per azioni sono caratterizzate dall’acquisizione di una
personalità giuridica non comparabile a quella delle associazioni di fatto, dalla
limitazione della responsabilità dei soci limitatamente al capitale conferito, dalle quote
rappresentate da azioni e dalla struttura di tipo corporativo, tutte caratteristiche proprie
di una comune società commerciale ma ancora lontane da quelle di un club calcistico.
Infatti per le società di questo campo si parlava ancora di SPA anomale dal momento
che non c’era la parificazione a tutte le altre SPA commerciali: sebbene lo status di
società di capitali introducesse i club sportivi nel mondo delle società lucrative, lo
stesso regolamento del CONI imponeva l’assenza dello scopo di lucro ed il
reinvestimento integrale degli utili nell’attività sportiva. Inoltre essi continuavano a
mantenere un’organizzazione interna “flessibile”, non erano, infatti, ad esse applicate le
norme che impongono l’obbligatorietà di una struttura corporativa di stampo
capitalistico ed infine le quote rappresentative del capitale erano sì rappresentate da
azioni, ma non erano di fatto né negoziate né trattate come tali, dal momento che
continuavano, nella prassi ad essere considerate semplici quote di proprietà come
accadeva in precedenza
19
. Dal punto di vista contabile, invece, era già da ritenersi che
tali società potessero essere equiparate alle altre società di capitali dato
l’assoggettamento alle norme relative la redazione di un bilancio d’esercizio e delle
18
In realtà il regolamento della FIGC concedeva e concede tuttora la possibilità di scegliere tra Società
per Azioni o Società a Responsabilità Limitata con tutte le differenze normative e gestionali tra le due,
oggi molto ridotte rispetto al passato.
19
Le azioni non erano neanche scambiate su mercati borsistici da momento che i club non erano ancora
quotati in borsa.
Capitolo I – Il Business del Calcio
12
scritture contabili obbligatorie
20
, fermo restando una serie di norme che cercano di
adattare il carattere di impresa alle particolari caratteristiche socio-sportive dei club
calcistici.
Un cambiamento radicale della normativa si ha con la legge n.81 del 23 marzo 1981
che:
1. Disciplina per la prima volta la figura dell’atleta professionista in tutte le società
sportive, recita infatti che “sono professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori
tecnici-sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo
oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal
CONI e che conseguono la qualificazione dalle federazioni sportive nazionali
21
”
2. Impone alle società sportive la scelta di una veste giuridica SPA o SRL
3. Consente alle società il cosiddetto lucro oggettivo, la possibilità, cioè, di
produrre utili nell’ambito dell’attività sportiva, ma continua a vietare il lucro
soggettivo, impedendo, in pratica, la distribuzione degli utili ai soci.
Il terzo punto in particolare, merita una riflessione: le SPA si avvicinano al modello
commerciale puro ma rimangono ad essere considerate anomale per via del divieto di
lucro soggettivo; viene creata una scissione tra reddito di impresa – riconosciuto – e
dividendo dell’imprenditore – non riconosciuto – che verrà in seguito indicato come il
fattore principale dell’incapacità delle società sportive di produrre stabilmente risultati
positivi, del resto da un punto di vista aziendalistico la previsione di una remunerazione
del capitale investito avrebbe attivato un meccanismo di autocontrollo delle società con
effetti benefici sull’attività esercitata
22
.
Questo nuovo tipo di normativa vedeva a capo del sistema del calcio il CONI (Comitato
Olimpico Nazionale Italiano) che esercita compito di regolamentazione tecnica,
legislativo e contabile della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) e della LNP
(lega nazionale professionisti), quest’ultima riferita alle serie A e B. Accanto a questi
vengono creati altri organi, il più importante è la Co.vi.so.c. (Commissione di Vigilanza
delle Società di Calcio) che ha in particolare il compito di controllare che la gestione
economico-finziaria delle società professionistiche, sia conforme alle norme della lega.
Questo sistema ha regolamentato il mondo del pallone fino al 1995, quando ci fu una
svolta epocale segnata dalla cosiddetta “sentenza Bosman”.
20
Artt. 2423 e segg. del Codice Civile.
21
Capo Primo, Legge 23 marzo 1981 n.91
22
Conn D., The football Business: fair game in the 1990s, Mainstream, Edimburgh, 1997
Capitolo I – Il Business del Calcio
13
Il 15 Ottobre 1995, il calciatore Jean Marc Bosman, tesserato dal RFC Liegi, aveva
espresso la volontà di trasferirsi presso un’altra società, il Dunkerque, ma il club
proprietario del suo cartellino, negava il passaggio senza il pagamento della clausola
rescissoria che la società francese si rifiutava di pagare. Il calciatore adì alla Corte di
Giustizia Europea sostenendo che come libero cittadino della Comunità Europea, aveva
la libertà di movimento e di lavoro all’interno dei confini comunitari
23
e che tale sistema
violava questo diritto impedendo ai calciatori senza contratto di lasciare il vecchio
club
24
. La Corte di Giustizia diede ragione al calciatore scatenando così una catena
interminabile di conseguenze sul mondo del pallone che coinvolge club, calciatori e,
indirettamente, sponsor, pay-tv e via dicendo. La conseguenza immediata fu che i
campionati si riempirono di giocatori stranieri tanto che si dovettero creare prima norme
che impedivano di far giocare più di tre giocatori stranieri, poi altre che impedivano di
tesserare più di tre giocatori di nazionalità di paesi non appartenenti all’Unione
Europea.
2.2.3. Lo scopo di lucro
Un punto di svolta nell’evoluzione dei modelli di business, si deve alla legge n.586 del
18 novembre 1996 che sancisce di fatto il passaggio dal mondo calcistico ad un mondo
orientato al business: suddetta norma, infatti, riconosce, finalmente, lo scopo di lucro
alle società calcistiche ampliando il campo della propria attività affermando che “l’atto
costitutivo deve prevedere che la società possa svolgere attività sportive ed attività ad
esse connesse o strumentali”. Si tratta di una norma fondamentale per l’evoluzione
definitiva dei club calcistici in società commerciali (sia la scelta di SPA che quella di
SRL ordinaria, concessa già dal regolamento del 1967, lascia ai club la possibilità di
scegliere il modello di gestione preferito; tuttavia pressoché tutte le società calcistiche
hanno scelto la veste di società per azioni) poiché si rendono i club liberi di sfruttare a
pieno le caratteristiche economiche del settore di business nel quale operano senza
essere più penalizzati, in questo, dal divieto di lucro soggettivo
25
. Da allora i club sono
considerati delle vere e proprie società di capitali in tutto e per tutto con la facoltà di
distribuire gli utili ai soci (essendo stato eliminato l’obbligo di reinvestimento),
23
Art. 48 del Trattato di Roma, 1952
24
La normativa precendente stabiliva, infatti, che nessun calciatore appartenente ad una società non
poteva in alcun modo e per nessuna ragione trasferirsi senza l’assenso della società di appartenenza.
L’assenso veniva concesso dietro il pagamento di un prezzo di trasferimento che il nuovo club doveva
pagare al vecchio.
25
S. Grasselli, Società sportive e orientamento giuridico, Centro Universitario Sportivo Senese, 1994.
Capitolo I – Il Business del Calcio
14
produrre reddito e generare, quindi, profitti, finanziarsi sul mercato o attraverso altre
fonti, creare valore per gli azionisti ed avere, insomma, una gestione managerialistica al
pari di una qualsiasi altra società commerciale. In particolare l’introduzione di un
orientamento al lucro ha come conseguenze da un lato di portar la necessità di
remunerare il capitale investito con politiche e strategie di impresa volte a coprire i
costi, a generare profitti e perseguire un equilibrio economico-finanziario nonché una
solidità patrimoniale nel lungo periodo e dall’altro porta anche l’esigenza di
modificazione della struttura gestionale del club stesso che vive un momento di
“aziendalizzazione” che porta a crearsi una struttura molto vicina a quella di una società
industriale (tra le altre cose la legge 586/96 introduce anche il collegio sindacale
obbligatorio); il tutto senza perdere d’occhio l’attività primaria, quella sportiva.
2.2.4. La quotazione in Borsa
Il cammino di sviluppo dell’economia dei club passa anche attraverso la quotazione in
borsa, diretta conseguenza dell’assunzione di un modello di business orientato al
mercato. Si tratta di un fenomeno recente per l’Italia (le uniche squadre attualmente
quotate sono: S.S. Lazio nel 1998, A.S. Roma nel 2000 e Juventus F.C. nel 2001) ma
non certo per l’Inghilterra, dove la mentalità di business ha trovato applicazione nel
campo sportivo molto più che in altri paesi, generando un modello di business dei club
calcistici esemplare dal punto di vista prettamente economico. Non a caso è stato il club
inglese Tottenham Hotspur la prima squadra del mondo a quotarsi in borsa ne 1983 e da
allora pressoché tutte le squadre della premier League inglese hanno deciso di aprire i
propri capitali ad un mercato sempre più globale. È stato più volte stimato che il giro
d’affari in Inghilterra del calcio, a seguito delle continue quotazioni in borsa delle
squadre, ammonti a svariati miliardi di euro
26
. La procedura di quotazione non è certo
semplice e richiede l’ottenimento ed il mantenimento nel tempo di determinati requisiti,
in particolare la Borsa Italiana SpA regolamenta
27
:
- Le condizioni di ammissione e di partecipazione al mercato;
- Le regole di condotta degli operatori;
- I contratti ammessi;
- Le modalità di negoziazione degli strumenti finanziari sui vari tipi di mercati.
26
C. Regoliosi, Le società di calcio: bilancio e revisioni, Cisu, Roma, 2004
27
Vedi Regolamento quotazione, da www.borsaitalia.it
Capitolo I – Il Business del Calcio
15
Per l’ingresso e la permanenza è necessario dimostrare che gli assetti organizzativi e
patrimoniali siano in grado di assicurare ricavi stabili nel tempo per attenuare
l’aleatorietà dei risultati sportivi (per loro stessa natura incerti), per questo la quotazione
dei club ha loro imposto una ristrutturazione dell’assetto societario, l’impiego di efficaci
strumenti di controllo di gestione, la razionalizzazione dei costi e, soprattutto, la
differenziazione dei ricavi. La scelta della quotazione in Borsa per molte società è una
mossa importante perché assicura loro una nuova fonte di finanziamento per far fronte a
spese sempre più ingenti anche se la particolarità dell’attività svolta da tali società può
portare a delle oscillazioni elevate del prezzo del titolo quotato: possono bastare un paio
di risultati sportivi negativi o un infortunio al giocatore di spicco della squadra, per
provocare una discesa del prezzo, così come qualche vittoria potrebbe suscitare rialzi
effimeri dello stesso
28
. In definitiva la quotazione in borsa sembra poter essere fonte di
soddisfazione solo per grandi club capaci di mobilitare grossi interessi economici e
sportivi e, soprattutto, capaci di trovare un’efficace metodo di gestione ed integrazione
tra l’attività sportiva e quella finanziaria.
2.2.5. Il calcio e gli Aiuti di Stato
Un passo importante nell’evoluzione di carattere normativo del settore calcio, è
rappresentato dal cosiddetto “decreto salvacalcio”. La legge di conversione del D.L. n.
282 del 24/12/2002, la n. 27 del 21/02/2003 (il decreto salvacalcio), permette alle
società di calcio di dividere su dieci anni anziché su tre la svalutazione del parco-
calciatori, consentendo di abbattere il passivo e nel contempo di diluire il pagamento
delle tasse
29
, in presenza di una “perdita durevole” nel tempo
27
. Se, per esempio, una
società ha iscritto in bilancio per un valore di 50 i diritti alle prestazioni di un calciatore
vincolato per cinque anni, risulta un ammortamento annuale di 10; se al secondo anno il
calciatore risulta non essere stato un buon acquisto, anzi ci si accorge che non vale più
di 15, la società potrà svalutarlo di 50 meno 10 (l’ammortamento del primo anno), meno
15 (il valore attuale), ossia di 25, con il risultato di imputare in bilancio per i successivi
dieci anni un ammortamento pari a 2,5 in aggiunta al nuovo ammortamento di 3,75
calcolato su 15 per quattro anni; si consente in tal modo di sostituire l’ammortamento
28
Falsanisi, Giangreco, Il calcio italiano del 2000: dal marketing alla quotazione in borsa,Rubbettino,
2001.
29
Web: www.calcioinborsa.com.
27
Francesco Melidoni, Gian Marco Committeri “Bilanci nel pallone: vecchi problemi e nuovi scenari”,
tratto da ”Amministrazione e finanza” n.20/2003.