55
Il Regno Unito mi ha offerto un soggiorno interessante e
fruttifero. A Londra ho svolto ricerche generali sulle ONG e sulla
globalizzazione nella immensa biblioteca della “London School of
Economics”, dove il tema del mio lavoro iniziava a delinearsi più
chiaramente.
Il soggiorno a Manchester è stato decisivo, lì ho potuto
frequentare il gruppo locale di F.o.E. e capire come agiva, nonché
frequentare il centro di Studi Internazionali sulla Globalizzazione
(I.G.S., coordinato dal professore Paul Kennedy) della “Manchester
Metropolitan University”. L’associazione che stavo frequentando
non faceva altro che insistere sulla globalità dei problemi ambientali,
e sulla necessità di esserne informati a livello locale. Non a caso
molti dei membri dell’I.G.S. (“Institute for Global Studies”) sono
iscritti ad associazioni ambientaliste o umanitarie e collaborano con
Paesi in via di sviluppo, come lo Zimbabwe e l’Angola.
La lettura di autori quali Zygmunt Bauman, Anthony Giddens,
Clifford Geertz e Ulrich Beck ha stimolato ancor più la mia curiosità
verso il tema della globalizzazione e la connessione esistente con la
straordinaria crescita di organizzazioni non governative degli ultimi
venticinque anni.
La seguente affermazione di Clifford Geertz mi sembra un
ottimo punto di partenza per parlare di globalizzazione:
“Come il famoso colpo d’ali di una farfalla nell’oceano
Pacifico può provocare un temporale nella penisola
iberica, così un cambiamento in un luogo qualsiasi del
mondo può provocarne altri in un luogo diverso”.
1
Queste parole attestano un dato di fatto (quasi) inequivocabile:
ormai i popoli, le civiltà, le culture, i sistemi economici, politici e
sociali del nostro pianeta sono profondamente interconnessi, grazie
1
C. Geertz, Mondo globale, mondi locali, cultura e politica alla fine del
ventesimo secolo, Il Mulino, Bologna, 1999, p. 57.
66
allo sviluppo delle telecomunicazioni e dei trasporti ed al progresso
della scienza.
Non sempre la globalizzazione, come processo
multidimensionale di interconnessione globale, è portatrice di
benessere e progresso. Anzi, in molti casi, è proprio questo fenomeno
ad alimentare aspri fondamentalismi, a creare divisioni e conflitti.
Consideriamo l’Amazzonia, l’ultimo luogo in cui la terra
conserva intatta la sua verginità; paradossalmente, è anche il luogo in
cui si manifestano le aberrazioni della globalizzazione economica e
le conseguenze ecologiche dello sviluppo: isolamento delle
popolazioni “non civilizzate”, disboscamento, sfruttamento delle
foreste con enormi conseguenze sulle popolazioni indigene (conflitti
tra indigeni e coloni) e malattie dovute ai cambiamenti climatici (a
loro volta causati dall’inquinamento atmosferico). Sono anche queste
le immagini con cui siamo costretti a confrontarci oggi.
Stiamo vivendo in un mondo dove le cosiddette “autostrade”
dell’informazione non ci nascondono nulla (senza entrare in merito al
dibattito sull’intensità delle influenze dell’informazione e sul
complesso rapporto tra messaggio e fruitore).
2
I nuovi mezzi di
comunicazione ci permettono di essere virtualmente in luoghi
diversi nello stesso momento, spettatori di ciò che accade oltre le
mura della nostra casa. Attraverso di essi la nostra individualità si
connette alla globalità, attraverso di essi si crea un legame tra la
rappresentazione del “mondo intorno a noi” che vediamo e
tocchiamo ogni giorno (il “locale”) e l’insieme di cui facciamo
parte, (il “globale”). Su tale legame, creato anche dalla
mondializzazione dell’economia e dall’abbattimento di confini
politici,
3
si basa l’oggetto del presente lavoro.
2
Su questo argomento vedi: M. Wolf, , “Le discrete influenze”, Problemi
dell’informazione, Il Mulino, Bologna, vol. 21, n. 4, 1996, pp.134-142.
3
I confini degli stati-nazione sono sempre più permeabili; le comunità al
loro interno diventano multietniche e multiculturali, “comunità mondiali” in uno
spazio locale.
77
Infatti, molte ONG , organizzazioni private e indipendenti
politicamente, senza fini di lucro, sono nate e crescono proprio
sull’onda della globalizzazione intesa come interpenetrazione di
globale e locale. Le ONG ambientaliste, interessate ai destini del
nostro ecosistema, sono tra quelle con maggiore visibilità; inoltre
ogni richiesta di tutela dell’ambiente a livello locale deve
confrontarsi con la dimensione complessiva, motivo per cui il legame
tra locale e globale diviene fondamentale.
L’organizzazione scelta come esempio dell’importanza di tale
“articolazione” tra “particolare” e “universale”
4
nel mondo
contemporaneo, è “Friends of the Earth” (Amici della Terra in Italia).
Non a caso uno dei suoi motti è “Pensa globalmente, agisci
localmente”.
Friends of the Earth è una Ong internazionale, nata negli Stati
Uniti alla fine degli anni ’60, con sedi in moltissimi paesi, tra cui
l’Italia e il Regno Unito, prima nazione europea ad accoglierla nel
1971. Nei due paesi l’organizzazione persegue gli stessi obiettivi
globali con strategie e ruoli locali differenti.
Attraverso le interviste condotte e gli studi fatti in Italia e nel
Regno Unito, si è potuto rilevare come nel Regno Unito sia più
importante il ruolo “politico” delle ONG in generale e la loro
capacità di esercitare “pressione” sul governo piuttosto che la
sensibilizzazione dei cittadini. In Italia, invece, le campagne
condotte e le tattiche adoperate mirano a una funzione educativa
delle associazioni e possibilmente a un ruolo che non prevarichi
quello del governo e delle autorità istituzionali. Ogni tessera del
puzzle globale non può permettersi di ignorare il contesto
complessivo, ma conserva le sue peculiarità locali.
Nel primo capitolo verranno presentate le principali teorie sulla
globalizzazione abbracciando quelle che sembrano più consone a
4
Vedi R. Robertson, Globalizzazione: teoria sociale e cultura globale,
Asterios Editore, Trieste, 1999, pp.139-141.
88
interpretare la ricerca condotta e quindi quelle teorie che non
trascurano il “locale”. La globalizzazione, infatti, restituisce a
quest’ultimo un ruolo di cui la “geografia nazionale” lo aveva privato
in passato. La mondializzazione si nutre della dinamica delle
produzioni locali, degli assestamenti locali, delle iniziative delle
città, della cooperazione tra collettività che condividono gli stessi
bisogni; trova equilibrio sia nella costituzione di regioni trasversali
occupate da migrazioni e scambi interculturali (non esistenti ancora
sulla carta), sia in grandi sincronie regionali mondiali, come
dovrebbe essere l’Unione Europea.
Verrà poi considerato il ruolo di mediazione tra locale e globale
che le ONG hanno e possono avere nel mondo di oggi. Gli attivisti
internazionali hanno delle grandi responsabilità poiché devono
conciliare forze globali e forze locali. In quanto membri di
un’organizzazione transnazionale, essi agiscono in base ad una
prospettiva globale che considera il mondo nella sua interezza. Come
cittadini di uno stato, dovrebbero obbedire al principio di sovranità e
dunque difendere gli interessi del proprio paese. Bertrand Badie
sostiene che il principio di sovranità è decaduto:
La sovranità non è soltanto decaduta o aggirata: viene
anche superata dall’irruzione di nuove poste in gioco,
di problemi prima sconosciuti che sono intuitivamente
identificabili. Sfide che derivano dall’ecologia
mondiale, complessità crescente dello sviluppo,
contrasti provocati dalla mondializzazione o nati
dall’evoluzione erratica della demografia che non
sopportano un trattamento di natura stato-nazionale.
5
5
B. Badie, Il mondo senza sovranità, Asterios Editore, Trieste, 2000,
p.133.
99
Ormai l’azione internazionale è valutata non soltanto in base a
una decisione sovrana, ma anche secondo il grado di soddisfazione
dei bisogni di altre comunità, locali, regionali e mondiali.
Nel secondo capitolo l’attenzione sarà rivolta a cosa sono
effettivamente le ONG, come sono nate, come sono cresciute e per
quali ragioni. Le ONG sono cresciute insieme alla globalizzazione;
di questa straordinaria crescita sono state individuate cinque cause
principali.
Innanzitutto sono importanti i mutamenti del sistema politico
internazionale, dovuti alla globalizzazione, che deve fare i conti con
l’ingresso di nuovi attori non governativi, di multinazionali e
organizzazioni intergovernative.
In secondo luogo l’accresciuto interesse verso i temi ambientali
e i rischi ad essi collegati hanno creato nuove arene d’azione per le
ONG. Le ONG possono essere una risposta alle conseguenze dei
rischi ecologici nucleari, chimici e biologici contemplati dalla “teoria
della società mondiale del rischio”.
6
Altro fattore di crescita è il fallimento degli stati-nazione nello
svolgimento di determinate attività, come appunto la politica
ambientale o la politica di integrazione razziale, problema cui si
dedicano molte ONG. In Europa, in paesi più eterogenei come
l’Olanda e il Belgio dove lo Stato incontra problemi con la
polietnicità e la multiculturalità della popolazione, è più facile che si
creino movimenti trasversali e spontanei come le ONG.
In terzo luogo, lo sviluppo delle telecomunicazioni,
l’importanza soprattutto della Rete Internet, ha creato un terreno
prolifico per le ONG. Tutte le ONG italiane dispongono di un sito
Internet, di forum di discussione collettivi e di mailing lists tramite
le quali le persone che ne fanno parte possono comunicare e
coordinare al meglio le proprie attività.
6
Cfr. U. Beck, La società mondiale del rischio, verso una seconda
modernità, Carocci, Roma, 2000.
1010
Infine, la sperimentazione di nuovi progetti, che altrimenti i
singoli governi non porterebbero avanti, è assegnata alle ONG.
Generalmente, è difficile che uno stato intraprenda delle vie
innovative nell’attuazione delle proprie politiche. Preferisce delegare
la sperimentazione di nuovi progetti ad altri organismi: il possibile
utilizzo di energie rinnovabili deriva dalla ricerca di esperti facenti
parte di organizzazioni non governative ambientaliste, per lo meno
nel nostro paese.
Il terzo e quarto capitolo esplorano il mondo dell’ambientalismo
contemporaneo, corrente in cui domina il concetto di sviluppo
sostenibile, ossia una configurazione dell’uso delle risorse e dello
sviluppo economico che non mette a repentaglio le risorse non
rinnovabili, non danneggia gli ecosistemi esistenti, né le singole
specie animali e vegetali. Questi ultimi due capitoli sono frutto di
ricerche condotte in Italia e nel Regno Unito insieme a interviste e
colloqui con membri di F.o.E. e di altre associazioni non governative
Nel terzo si parla dell’ambiente come problema politico
d’ordine globale; non a caso, per molti ecologisti contemporanei,
“siamo appena entrati nel secolo dell’ambiente”.
7
La protesta
ecologica ha comunque radici filosofiche e storiche di lunga data.
Fin dalla prima metà del diciannovesimo secolo, in Europa, i
ceti conservatori, rifacendosi a Blake e a Goethe per elogiare la
purezza della natura, forza positiva romantica, fonte di rinascita
spirituale, condannavano l’industrializzazione. I lavoratori “alienati”
delle fabbriche accusavano i rischi sul lavoro, le pessime condizioni
igieniche e l’inquinamento delle zone periferiche delle città. Dalla
protesta dei ceti nobili e dal disagio degli operai nascevano gruppi
che lottavano contro i danni ambientali dell’industrializzazione ed è
proprio da essi che si è sviluppato il primo nucleo del movimento
ambientalista.
7
E. U. Von Weiszacker, Earth Politics, Zed Books Ltd, London, 1994, p.
9.
111
Secondo McCormick, uno studioso dell’ecologismo, è negli anni
’60 e ’70 del nostro secolo che il movimento ambientalista ha poi
assunto la forma che conserva tuttora.
8
Il suo sviluppo sembra essere
parallelo a quello della globalizzazione. Nell’ultimo quarto di secolo,
infatti, le ONG ambientaliste si sono moltiplicate e unite in reti che
comunicano da una parte all’altra del globo.
Il quarto capitolo si focalizza sulle campagne portate avanti da
Friends of the Earth Regno Unito e Amici della terra Italia per
esemplificare il modo in cui le due organizzazioni intendono il
legame tra locale e globale e come lo perseguono. La campagna
contro l’uso del fuoco nella foresta amazzonica è l’esempio di una
cooperazione fra vari attori sociali locali e internazionali, tra cui lo
stesso governo italiano e naturalmente Amici della Terra Italia.
Molto spesso la collaborazione tra ONG e governi o autorità locali
può garantire il successo di un progetto.
Concludendo, questo lavoro non aspira ad essere né
un’introduzione, né un’analisi approfondita della globalizzazione e
delle ONG. È piuttosto un elaborato che considera un fatto
importante l’emergere di movimenti transnazionali cresciuti in
risposta alle possibili disastrose conseguenze della globalizzazione,
movimenti in grado di restituire al “locale” la possibilità di
esprimersi ed essere compreso, movimenti che possono migliorare lo
“sviluppo” delle regioni degradate ed essere una valida alternativa o
un ottimo appoggio alle forme istituzionali tradizionali.
8
J. McCormick, The Global Environmental Movement, Belhaven Press,
London, 1989. McCormick parla di “new environmentalism”, passaggio da un
“conservatorismo” locale ad un ecologismo globale.
12
1. LE ONG E LA GLOBALIZZAZIONE
13
1.1 LE ONG E LA GLOBALIZZAZIONE
Molte organizzazioni non governative sono nate e si sono
sviluppate negli ultimi decenni del XX secolo. Il fattore
“globalizzazione” ha influito notevolmente sulla loro crescita. Molte
di queste organizzazioni sono state letteralmente plasmate dalla
mondializzazione dell’informazione, dalla cosiddetta “economia
globale”, dall’abbattimento dei confini nazionali. Ecco perché ci
sembra opportuno chiarire cosa si intende per “globalizzazione” o
“mondo globalizzato”.
L’uso del sostantivo “globalizzazione” si è affermato di recente,
dalla metà degli anni ’80 di questo secolo. La definizione di
“coscienza globale”, come ricettività e comprensione nei confronti di
culture diverse dalla propria, spesso parte di un atteggiamento di
interesse per i problemi ecologici e socioeconomici mondiali ha
preso piede con l’idea di “villaggio globale”
1
e con la “rivoluzione
espressiva” degli anni ’60.
2
Nell’ultimo ventennio i termini
“globalizzazione”, “globalità”, “globalismo” sono inevitabilmente
usati in ogni dichiarazione pubblica (in Francia il termine è
“mondialisation”, in Spagna e America Latina è “globalizaciòn”, in
Germania è “globalisierung”).
1 Vedi: M. McLuhan, War and peace in the global village, Bantam Books,
New York, 1968, (tr. it. a cura di T. Stanley e S. Bissi, Guerra e pace nel
villaggio globale, Apogeo, Milano, 1995). Vedi anche: M. McLuhan, B. R.
Powers, Il villaggio globale: 21° secolo, trasformazioni nella vita e nei media,
Sugarco, Milano, 1986.
2 Clifford Geertz ha ribattezzato l’espressione: “villaggio povero, “dal
momento che non ha un centro né confini, non conosce né solidarietà, né
tradizioni e manca completamente di integrità”; (C. Geertz, Mondo globale,
mondi locali, Il Mulino, Bologna, 1999 p.58). “Pillage”, anziché “village”,
(saccheggio anziché villaggio), lo chiama A. Giddens, riferendosi alle crescenti
differenze economico-ambientali tra Nord e Sud del mondo, (A. Giddens, Il
mondo che cambia, come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino,
Bologna, 2000, p.28). Su questa linea vedi: J. Brecher e T. Costello, Global
village or global pillage, Economic reconstruction from bottom-up, South End
Press, Cambridge, 1998.
.
14
Molti sociologi, economisti e studiosi della comunicazione
tentano di dare una definizione esaustiva di tali concetti.
Il sociologo Ulrich Beck propone una distinzione, a nostro
avviso molto utile, tra globalismo, globalità e globalizzazione. Il
globalismo è il punto di vista secondo il quale il mercato mondiale
rimuove o sostituisce l’azione politica, vale a dire l’ideologia del
neoliberismo, del dominio del mercato mondiale che predica la
“naturalezza” della nuova economia e quindi la sua desiderabilità.
3
Beck definisce la globalità come uno stato di fatto: “la società
mondiale (o meglio ‘orizzonte mondiale’) percepita, per cui la
rappresentazione di spazi chiusi diviene fittizia”.
4
Beck la chiama
“molteplicità senza unità, senza integrazione”; la globalità si
manifesta solo quando viene prodotta e conservata nella
comunicazione e nell’agire, è dunque “riflessiva”, non esiste nella
natura delle cose.
Infine, la globalizzazione, al contrario del globalismo che riduce
al solo fattore economico la complessità del mondo contemporaneo,
può essere definita come un processo multidimensionale (ancora in
corso), secondo il quale gli stati nazionali e la loro sovranità sono
condizionati da attori transnazionali, dai loro orientamenti, dalle loro
chances di potere. L’estensione geografica di tale processo, la
crescente interazione del commercio internazionale, la connessione
globale dei mercati finanziari e la crescita di potenza dei gruppi
transnazionali da un punto di vista economico, lo rendono
irreversibile.
La vita e l’agire quotidiano hanno oltrepassato i confini degli
stati nazionali in dense reti ad alta dipendenza reciproca: è forte
l’autopercezione di questa transnazionalità (nei massmedia, nel
3
U.Beck, Che cos’è la globalizzazione, rischi e prospettive della società
planetaria, Carocci, Roma, 1999, pp.21-27.
4
Beck, op. cit., p.23.
15
consumo, nel turismo, nella politica stessa); si è perso “il senso del
luogo”;
5
si è formata ed accresciuta la consapevolezza globale dei
pericoli ecologici e così le corrispondenti arene d’azione; si è
affermata l’ineliminabile percezione dell’Altro transculturale nella
propria vita; si è progressivamente consolidata una struttura statale
europea, sono aumentati il numero e il potere d’attori, istituzioni,
accordi internazionali e transnazionali.
Infine, è mutata la dimensione
della concentrazione economica, nonostante appaia frenata dalla
nuova concorrenza del mercato mondiale che travalica i confini e,
allo stesso tempo, ne disegna altri.
1.1 a) Teorie del globale
Esistono molte teorie che analizzano uno o più dei numerosi
aspetti della globalizzazione:
Immanuel Wallerstein, (che scrive negli anni ’70 e si occupa
principalmente del legame tra dimensione economica e politico-
culturale) ha introdotto il concetto di “sistema-mondo” (che richiama
quello di globalizzazione) per designare un sistema economico il cui
motore è il capitalismo.
6
Per lui esiste un unico “sistema mondo” nel
quale tutti (società, governi, imprese, culture, classi, individui,
movimenti) devono collocarsi e affermarsi in una divisione del
lavoro. Per Wallerstein “l’intero globo opera all’interno della
cornice e del sistema di regole di una divisione del lavoro vincolante,
totale, che noi chiamiamo economia mondiale”.
7
Secondo
5
Vedi: J. Meyrowitz, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna,1993.
6
Nel caso delle economie-mondo esiste un’unica struttura economica (di
tipo capitalistico), ma una molteplicità di unità politiche. Vedi I. Wallerstein, Il
sistema mondiale dell’economia moderna, Il Mulino, Bologna, 2 voll, 1978.
7
I. Wallerstein, Il sistema mondiale dell’economia moderna, Il Mulino,
Bologna, vol.1°, 1978, p.303, (citato da U. Beck, Che cos’è la globalizzazione:
rischi e prospettive della società planetaria, Carocci, Roma, 1999, p. 51).
16
Wallerstein, il capitalismo è necessariamente globale, per la sua
logica interna: si tratta di un mercato dominato dalla logica della
massimizzazione del profitto nel quale agiscono unità politiche
differenti (gli stati nazionali) in competizione. Inoltre nel sistema
mondo esiste un rapporto di sfruttamento basato su tre livelli: “spazi
centrali”, “semiperiferie” e “regioni periferiche”. L’“economia
mondiale” è un fenomeno tutt’altro che recente. Essa avrebbe avuto
origine nel quindicesimo secolo, con la scoperta di Colombo e con la
sottomissione del nuovo mondo. Ciò però non permette di
determinare l’elemento storicamente nuovo della realtà
transnazionale che chiamiamo “globalizzazione”; allo stesso tempo
l’argomentazione di Wallerstein è monocausale: la globalizzazione
viene considerata unicamente ed esclusivamente come
istituzionalizzazione del mercato mondiale.
Altri studiosi delle scienze politiche e sociali, come J. Rosenau,
insistono sui mutamenti politici arrecati dalla globalizzazione.
8
Essi
rompono con il pensiero nazional-statale, ma non pongono al posto
degli stati nazionali un unico sistema mondo del mercato mondiale.
Rosenau sostiene che si è giunti ad una fase di politica post-
internazionale nella quale gli attori nazional-statali devono dividersi
lo scenario complessivo ed il potere con organizzazioni
internazionali, gruppi industriali internazionali, nonché con
movimenti politici e sociali transnazionali.
Da un punto di vista
empirico, ciò è dimostrato dal fatto che il semplice numero delle
organizzazioni internazionali, comprese quelle “non governative”, ha
raggiunto un ordine di grandezza finora mai toccato.
9
Rosenau
attribuisce questa realtà policentrica allo sviluppo della tecnologia
informatica e della comunicazione, “una tecnologia che ha rafforzato
8
Vedi J. Rosenau, Turbulence in world politics, Princeton University
Press, Princeton, 1990.
9
U. Beck, definisce l’insieme delle organizzazioni non governative: “la
nuova Internazionale delle ONG”. (Beck, op. cit., p. 55).
17
l’interdipendenza tra le comunità locali, nazionali ed internazionali
in una misura che nessuna epoca storica ha mai conosciuto.”
10
L’avvento della società dell’informazione, per Rosenau, insieme al
superamento della distanza e dei confini prodotto dalla
moltiplicazione degli attori e delle organizzazioni transnazionali
contraddistinguono la situazione globale odierna.
C’è anche chi, come Robert Gilpin, rimane scettico di fronte
alla crescita delle organizzazioni transnazionali e sostiene che la
globalizzazione rimane prerogativa delle autorità stato nazionali e
per attuarsi deve presupporre una tacita autorizzazione da parte degli
stati. È dunque un fenomeno “contingente” dovuto alla
permissività/apertura dell’ordine stato-nazionale. Secondo Gilpin,
“l’espansione del mercato in reti integrate globali non sarebbe stata
possibile senza una potenza liberale egemonica (gli Stati Uniti) che
ha posto le condizioni e favorito questa espansione”.
11
Ma si deve obiettare a Gilpin, con David Held, che la perdita
di potere da parte dell’autorità stato-nazionale è un elemento
innegabile dell’epoca contemporanea.
12
Molto spesso il potere di
imprese multinazionali e di organizzazioni internazionali riduce la
sovranità politica di un paese, nel senso che la priva dei presupposti
necessari alla sua sopravvivenza, ad esempio il controllo dei flussi
finanziari e migratori. È questa la posizione di Held:
Sulla spinta della globalizzazione si crea una
complessa combinazione di condizioni e poteri che
riduce permanentemente la libertà d’azione di governi
e Stati, mentre vengono posti limiti ad una politica
indipendente, vengono cambiati radicalmente i
10
J. Rosenau, op. cit., p. 17.
11
R. Gilpin, The Political Economy of International Relations, Princeton
University Press, Princeton, 1987, p. 85 (citato da Beck, op. cit., p.57).
12
Vedi: D. Held, The global transformations reader: an introduction to the
globalization debate, Polity Press, Oxford, 2000.
18
presupposti istituzionali ed organizzativi e i contesti
della politica nazionale, mutano le condizioni
giuridiche generali per l’azione politica ed
amministrativa, e questo nel senso che non è più
possibile ascrivere alla politica nazional statale la
responsabilità di tali fenomeni[… ]. La stessa sovranità
deve essere pensata e studiata come un potere scisso
che viene percepito in modo frammentato da un’intera
serie d’attori – nazionali, regionali, internazionali – ed
è limitato e incatenato da quest’immanente pluralità.
13
Zygmunt Bauman esaspera il concetto di società policentrica di
Held fino ad affermare che la globalizzazione è completo disordine.
14
L’autore invita a non confondere il concetto di globalità con
“universalità” che è, invece, sinonimo d’ordine e linearità, idea
propria della “modernità”.
Con Bauman concorda Serge Latouche:
La deterritorializzazione economica e sociale fa
apparire non tanto un nuovo ordine internazionale, o
anche mondiale, quanto un disordine o un caos. Questo
disordine è già presente in molti dei paesi
semindustrializzati.
15
Latouche paragona il mondo ad “una pelle di leopardo” in cui
vengono meno la politica e la democrazia, mentre si rafforzano
l’amministrazione e gli apparati di polizia. “Gli stati nazione, anche i
più grandi ed i più forti, come una volta i sottoprefetti di provincia,
non fanno altro che dare esecuzione a decreti emanati altrove e in
13
Held, op. cit., p.160.
14
Z. Bauman, Globalization, the human consequences, Polity Press in
association with Blackwell Publishers Ltd., Oxford, 1998.
15
S. Latouche, L’occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri,
Torino, 1992, p. 117.