“traslativo”. In tale indagine costituiscono indizi le caratteristiche del bene
locato, la qualità imprenditoriale o meno dell’utente ed ogni altro elemento
idoneo a rivelare la volontà delle parti.
Chi aveva sperato di poter trovare nelle parole del Supremo Collegio la
chiave di volta della nuova figura negoziale, è stato immediatamente costretto
a ricredersi. Tanto è vero che la Cassazione mette subito in evidenza che il
criterio discretivo non vale in assoluto poiché la previsione iniziale delle parti
può essere viziata da un errore di valutazione, che spoglia di ogni valenza
ermeneutica, al fine della ricostruzione della volontà negoziale, il rapporto tra
il valore finale residuo ed il prezzo di opzione pattuito. Trattasi comunque di
una quaestio voluntatis, la cui soluzione è compito specifico del giudice di
merito.
Parte della dottrina si è schierata apertamente a favore di una applicazione
dell’art. 1526 c.c. a tutte le ipotesi di leasing, sottolineando che proprio perché
l’elemento distintivo non è decisivo (la distinzione sarebbe rimessa ad una
quaestio voluntatis), non convince la tesi dell’inapplicabilità dell’art. 1526 al
leasing di godimento. L’art. 1526 si applica, per espressa previsione
dell’ultimo comma, alla ipotesi in cui la proprietà della cosa sia trasferita per
effetto del pagamento dei canoni pattuiti; l’ultimo comma, infatti, non precisa:
“sempre che il bene abbia un valore residuo superiore all’ultimo canone”. E,
dunque, non si vede perché sia assoggettato a detto articolo il leasing
traslativo e non anche quello di godimento.
In questo modo rischia di diventare protagonista un falso problema!
Insomma: la prognosi sulla “vita economica” di un macchinario (per
restare nel settore classico del leasing di beni mobili strumentali all’impresa)
sembra non essere felice. Tale impostazione viene condivisa anche dagli
economisti, posto che vi sono elementi che spingono a ritenere che la maggior
parte dei contratti di locazione finanziaria stipulati in Italia sia caratterizzata
da probabilità di non riscatto particolarmente ridotte. Questo viene ottenuto,
molto semplicemente, fissando prezzi di riscatto nettamente inferiori al
probabile valore dei beni al momento del riscatto stesso.
La soluzione al (falso?) problema potrebbe essere rappresentata attraverso
una applicazione generalizzata dell’art. 1526 c.c. a tutte le ipotesi di leasing, e
lasciare che le circostanze del caso di specie vengano valutate in sede di
determinazione dell’equo compenso.
Intanto, il legislatore sembra aver preso posizione in merito alla disputa:
dalla lettura dell’art. 72quater della legge fallimentare, e soprattutto con
l’eliminazione del riferimento al leasing traslativo (inizialmente inserito nel 4
comma) si ricava l’intenzione di superare la distinzione tra “leasing
traslativo” e “leasing di godimento”. Sulla base della terminologia usata,
emerge il chiaro ed indubitabile riconoscimento della sussistenza di un’unica
causa di finanziamento, coerentemente alla disciplina recata nel 1993 dal t.u.
leggi bancarie, che ha incluso espressamente il leasing finanziario tra le
attività finanziarie riservate in via esclusiva alle banche ed agli intermediari
3
finanziari. Sancendo per legge una ricostruzione della locazione finanziaria in
termini di contratto di durata con causa di finanziamento, per il quale è
divenuto inconciliabile un meccanismo analogo a quello contenuto nell’art.
1526 c.c., (dettato per la risoluzione della vendita con riserva della proprietà),
tale disposizione non potrà più trovare applicazione alla locazione finanziaria
non solo in sede fallimentare ma nemmeno in caso di semplice risoluzione del
contratto per inadempimento dell’utilizzatore.
Ho infine analizzato l’ultima decisione della Cassazione (sentenza n.
23794/2007) in materia di leasing finanziario, con la quale sentenza la Corte
sancisce il principio in forza del quale l’utilizzatore è legittimato a far valere
direttamente verso il fornitore la pretesa all’esatto adempimento del contratto
di fornitura, a chiedere risarcimento del danno conseguentemente sofferto,
nonché a sentire accertare quale sia l’esatto corrispettivo spettante allo stesso
fornitore.
ANNO ACCADEMICO 2007/2008
4
Introduzione.
Sarebbe illusorio credere che l’imprenditore, per poter svolgere la
sua attività, possa e debba contare unicamente sui propri mezzi, nel
senso che unica regola di sana politica aziendale – come si legge in
qualche manuale del passato – sarebbe quella autoctona, consistente nel
reinvestimento delle risorse proprie. Anche un’impresa sana può avere
bisogno di ricorrere a finanziamento diverso da quello costituito da
mezzi propri. Per finanziamento è da intendere il complesso delle
operazioni mediante le quali l’impresa acquisisce i mezzi finanziari
necessari allo svolgimento della sua attività: esso si realizza con il
concorso di diverse fonti, interne ed esterne all’impresa, dalla cui
struttura dipende la solidità patrimoniale dell’azienda, la redditività
della gestione e la concreta possibilità di conseguire uno sviluppo
equilibrato.
Il leasing finanziario, nelle sue molteplici applicazioni, può
essere considerato una vera e propria originale tecnica di finanziamento
a medio e lungo termine degli investimenti, alternativo ai tradizionali
modi di acquisizione della disponibilità dei beni: da qui il relativo
inquadramento fra i contratti d’impresa.
9
L’area finanziaria assume, così, un’importanza notevole
all’interno di ogni impresa, dove il responsabile finanziario (o
l’imprenditore, se se ne occupa personalmente) è chiamato ad impostare
la struttura patrimoniale e finanziaria: capita spesso di osservare PMI
che presentano profili operativi (produttivi e commerciali) eccellenti,
ma che peccano nella gestione finanziaria mettendo a repentaglio
l’intera azienda. Infatti, il primo problema che si pone è quello di
reperire le risorse necessarie a finanziare le opportunità di investimento
dell’azienda, potendo attingere ai due macro-mercati del capitale di
rischio e del capitale di credito. Se, in passato, molto più diffuso
risultava il secondo canale, ossia il ricorso al settore bancario (qui,
indubbiamente, il responsabile finanziario ha anche un compito, per così
dire, di vetrina, dovendo presentare al meglio l’immagine dell’impresa
al mercato finanziario: in pratica si tratta di rendere appetibile il flusso
di remunerazione offerto convincendo la controparte che il rischio ad
esso connaturato è basso), oggi, nel nostro Paese si nota una diffusa
diffidenza ad instaurare rapporti esclusivi tra banche ed imprese, causa
l’eccessivo rischio avvertito dalle banche, da un lato, e l’atteggiamento
difensivo delle imprese dall’altro, che difficilmente tollerano
intromissioni nella propria gestione. Questo perchè vi è in Italia un
tessuto imprenditoriale rappresentato per il 99% circa da micro-imprese
10
che non hanno mezzi e capacità per ricorrervi. In secondo luogo, la
cultura del pubblico risparmio non è orientata a finanziare piccoli
progetti imprenditoriali e, comunque, necessiterebbero meccanismi di
raccolta e di controllo difficili da gestire.
Di fronte ad una realtà operativa in continuo sviluppo e pur
mancando di un riconoscimento da parte del nostro ordinamento
giuridico, il leasing da anni si è inserito con successo nella realtà
economica e finanziaria del nostro Paese.
È bene fare preliminarmente una precisazione: per descrivere i
tratti fondamentali del fenomeno – in ordine al quale, ribadisco,
l’ordinamento italiano non sembra aver ancora realizzato un’organica
disciplina – si utilizzerà prevalentemente il vocabolo leasing, preferibile
a quello di locazione finanziaria (più di frequente utilizzato) perché
mette subito in evidenza che si tratta di un contratto atipico, di
derivazione anglosassone e non di un sottotipo della locazione.
In quanto contratto atipico, il problema che si pone è quello di
individuare la disciplina applicabile: dall’atipicità del leasing, dalla sua
non subordinazione a ipotesi di vendita, di locazione, di finanziamento
con le modalità tipiche del credito all’impresa, emerge, in caso di
risoluzione, da una parte l’inapplicabilità della disciplina dell’art. 1526
c.c.; d’altra parte, l’applicabilità dell’art. 1458 c.c., 1 co., 2a ipotesi:
11
queste osservazioni hanno fatto da presupposto perché la Cassazione
potesse addivenire alla distinzione tra leasing di godimento e leasing
traslativo.
In questa nuova figura negoziale, il requisito causale tenderebbe
a mutare al punto da spingere parte della dottrina prima, la
giurisprudenza poi, a ritenere che la causa del contratto sarebbe di
finanziamento nel leasing di godimento, di scambio nel leasing
traslativo.
L’oggetto del contendere, approfondito nella mia tesi, è il
seguente: qualora l’utilizzatore non adempia completamente all’obbligo
di pagare i canoni di leasing e la locatrice rientri nella disponibilità dei
cespiti locati, si applica la normativa sulla risoluzione della locazione,
paradigma dei contratti di durata (art. 1458 c.c.), ovvero la disciplina
concernente la vendita a rate con riservato dominio (art. 1526 c.c.)?
Sembrerebbe che il leasing di godimento non sarebbe soggetto –
in quanto contratto ad esecuzione continuata – alla retroattività
dell’effetto risolutivo, mentre quello traslativo sarebbe disciplinato in
via analogica dalla normativa della vendita con patto di riservato
dominio. Inoltre, al primo non è applicabile l’art. 1526 c.c., al secondo
si: due diverse discipline applicabili al medesimo contratto, in forza
della differente causa negoziale.
12
Capitolo I
Profili generali del leasing
1.1 Origini storiche e sviluppo. Lo schema negoziale del leasing,
cui corrisponde un’omologa tecnica imprenditoriale di investimento, è
legato ad esperienze giuridiche ed economiche maturate in un ambiente
estraneo al nostro sistema nazionale; tant’è che la locazione finanziaria
si è affermata in Italia a partire dagli anni ‘60 come un importante
strumento di intermediazione bancaria rivolta soprattutto al
finanziamento delle iniziative industriali, con particolare riguardo alle
piccole e medie imprese.
Si tratta di un mercato particolare in cui le società di leasing
assolvono ad una necessità economico-finanziaria. Lo sviluppo di
questo mercato è stato segnato da diverse fasi: la prima, che va dal
1972, contraddistinta da uno sviluppo lento, faticoso, durante il quale gli
sforzi delle società di leasing sono indirizzati soprattutto a far conoscere
la tecnica agli operatori economici, ad affinare e migliorare le procedure
operative; il secondo momento comprende il periodo dal 1972 al 1976
durante il quale alle prime società di leasing se ne aggiungono altre che
13
rappresentano un panorama complesso e composto di oltre 30 iniziative,
alcune delle quali con campi di azione specifici (in tale fase, si assiste ai
primi tentativi di elevare a dignità legislativa la prassi negoziale, con
alcune proposte di legge); un terzo periodo giunge fino al 1980: la
locazione finanziaria ha compiuto un notevole salto di qualità e si avvia
ad assumere un peso rilevante come veicolo di finanziamento delle
strutture industriali del Paese.
Ciò è confermato dalla stessa giurisprudenza
1
la quale, nel
ribadire che il leasing “ha trovato il suo campo di operatività nel settore
industriale perché è quello più sensibile alle novità operative o
particolarmente bisognoso di trovare nuovi strumenti di
finanziamento”, afferma che la penetrazione dell’istituto “si sta
attuando anche tra i privati, i quali sebbene non sempre consci degli
effettivi vantaggi che il leasing può offrire e affascinati dal nuovo
strumento e da presunte agevolazioni fiscali, vi ricorrono sempre con
maggior frequenza...”, tanto da sostituire – ha sostenuto la Suprema
Corte
2
– “in molteplici occasioni il ricorso ai tradizionali contratti tipici
anche con funzione di finanziamento, quali la vendita con riserva di
proprietà e la locazione-vendita”.
1
Trib. Vicenza, 5 marzo 1984
2
Cass., 13 dicembre 1989, n. 5569
14
Il leasing piace sempre di più alle imprese italiane: questo è il
messaggio di alcuni articoli recentemente apparsi su un autorevole
quotidiano economico. La ragione di un tale successo nasce dal fatto
che esso rappresenta, per una società con una breve storia alle spalle o
di medio-piccola dimensione, un’alternativa rispetto alle forme
tradizionali di finanziamento, le quali richiedono “a copertura” garanzie
non sempre disponibili. Anche il superamento di radicati ostacoli
culturali ha dato una spinta in questa direzione: un rapporto ASSILEA
rileva un cambiamento nella mentalità di molti imprenditori italiani per i
quali, oggi, è più importante l’utilizzo dell’“asset” che non la sua
proprietà.
15
Ancora: il crescente utilizzo del leasing è confermato anche dal
trend del tasso di penetrazione di questo strumento sugli investimenti.
Dunque, di fronte ad una realtà operativa in continuo sviluppo e
pur mancando di un riconoscimento da parte del nostro ordinamento
giuridico, il leasing da anni si è inserito con successo nella realtà
economica e finanziaria del nostro Paese.
È bene fare preliminarmente una precisazione: per descrivere i
tratti fondamentali del fenomeno – in ordine al quale, ribadisco,
l’ordinamento italiano non sembra aver ancora realizzato un’organica
disciplina – si utilizzerà prevalentemente il vocabolo leasing, preferibile
a quello di locazione finanziaria, più di frequente utilizzato perché mette
subito in evidenza che si tratta di un contratto atipico, di derivazione
anglosassone e non di un sottotipo della locazione.
16
1.2 Il contratto di leasing tra atipicità e tipicità sociale. Proprio
perché importato dai Paesi di Common Law, sull’onda dei traffici
commerciali sempre più globalizzati, il leasing abbisogna di una
definizione che, peraltro, diviene legittima solo dopo aver appurato la
liceità del contratto in questione.
Nella maggior parte dei manuali di diritto, il leasing viene
definito come contratto atipico; e ciò in forza della considerazione
secondo la quale l’istituto in parola non rientra nell’elenco dei contratti
tipicamente previsti e disciplinati dalla legge.
La migliore dottrina italiana
3
rileva al riguardo che, perché un
contratto acquisti tipicità legale, è necessario che il legislatore gli
conferisca una disciplina organica, obbiettivamente non riscontrabile
nell’ordinamento italiano riguardo al leasing, nonostante il succedersi di
interventi che pure hanno toccato molteplici profili dell’istituto.
Al compito definitorio assolvono in primo luogo i principi
contabili internazionali. Significativo è lo IAS n. 17 (
4
), che definisce il
3
G. De Nova, M. R. La Torre, Manuale della locazione finanziaria, presentazione di V.
Buonocore, 2002, Giuffré, Milano, p. 114, sostengono la medesima posizione, pur attribuendo
alla definizione legislativa specifica rilevanza. Di contraria opinione è R. Clarizia, La
tipizzazione legislativa del contratto di locazione finanziaria, in Riv. it. leasing, 1993, 257,
che concorda in questa valutazione generale, ma ritiene che il leasing sia contratto tipico
perché, seppure con interventi sparsi e talvolta occasionali, ha ricevuto una disciplina
completa in ordine ai principali aspetti strutturali e funzionali.
4
Gli International Accounting Standards (principi contabili internazionali) emanati da un
gruppo di professionisti contabili fin dal 1973, sono stati il primo tentativo di
standardizzazione mondiale delle regole contabili. In particolare, nel n. 17 sono contenuti gli
17