V
prospettiva infatti, la riflessione è stata condotta attraverso l’analisi della
relazione intercorrente tra il lavoro temporaneo ed il rapporto di lavoro
subordinato standard. Ciò che si è proposti, è stato di capire se il legislatore, al
momento dell’effettiva produzione dell’istituto, avesse voluto creare una
tipologia contrattuale esplicitamente riconducibile al normale rapporto di lavoro
subordinato oppure se al contrario, avesse voluto dar vita ad una nuova tipologia
contrattuale a se stante.
Nella seconda parte invece, la concentrazione si è spostata sull’analisi del
profilo giuridico dell’istituto, prestando un’oculata attenzione alla disciplina
legale che ne ha regolamentato l’attuazione, tenendo in considerazione anche le
successive disposizioni che ne hanno modificato il contenuto. Qui, la trattazione
ha affrontato prevalentemente gli aspetti giuridici della normativa; si è discusso
del “collegamento negoziale”, ovvero dello stretto legame intercorrente tra il
contratto di fornitura ed il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo sino a
giungere all’analisi dei più recenti interventi “diretti” ed “indiretti” sull’istituto,
contenuti nel Disegno di Legge Delega n.848/2001 presentato dal Governo
Berlusconi, aventi “finalità abrogative” delle residue rigidità giuridiche che
attualmente, impediscono il vigoroso decollo del lavoro temporaneo tramite
agenzia. Il capitolo si è così concluso con una breve panoramica sulla situazione
europea, al fine di una comparazione dottrinale dell’istituto.
VI
Nella terza parte è stato poi osservato l’importante ruolo che il nostro
legislatore ha affidato alla contrattazione collettiva, permettendo così alle parti
sociali, il raggiungimento di quel fondamentale punto di incontro dal quale ne è
derivata una maggiore definizione dell’istituto. Attenta riflessione è stata
condotta sul tema della “devoluzione di funzioni normative dalla legge alla
contrattazione collettiva” al fine di individuare i destinatari del contenuto degli
accordi; in altri termini, si è cercato di dare una risposta concreta al quesito:
“Efficacia erga omnes o inter partes del contratto collettivo ?”. Affrontata la
questione, sono stati in un secondo momento oggetto di analisi comparata, gli
Accordi interconfederali dell’industria, siglato il 16 aprile 1998, – il primo
Accordo intervenuto a distanza di oltre quattro mesi dalla data di entrata in
vigore della Legge 196/97 – delle imprese artigiane, siglato il 18 giugno 1998 e
delle cooperative, siglato il 23 luglio 1998 (questi ultimi due Accordi, risultano
essere elaborati sulla falsariga dell’Accordo della Confindustria). Un’analisi a
sé, è stata invece dedicata all’Accordo interconfederale per i dipendenti delle
aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, siglato il 27 maggio 1998,
a fronte dell’originalità delle soluzioni in esso proposte.
VII
Ha poi fatto seguito, una breve analisi della funzione estensiva e/o
restrittiva della contrattazione di categoria intervenuta ad eliminare ogni
dubbio interpretativo circa la liceità del ricorso a tale istituto.
Nel capitolo conclusivo, viene poi presentata una “radiografia
dell’istituto” realizzata attraverso lo studio minuzioso di dati forniti dall’Isfol
(Istituto per lo Sviluppo della Formazione dei Lavoratori) e dall’Osservatorio
del mercato del lavoro, al fine di ricostruire il quadro del lavoro interinale in
Italia. Il tutto si conclude con una valutazione comparata dei “benefici” che
l’adozione di tale istituto genera sia per i datori di lavoro che per i lavoratori,
con l’obiettivo preposto di capire se tale tipologia contrattuale, rappresenta o
meno un valido strumento di flessibilità capace di diffondersi nel prossimo
futuro.
1
Capitolo I
L’evoluzione dell’ordinamento italiano
verso forme flessibili di manodopera
1.1 L’evoluzione delle politiche occupazionali dagli anni’60 ai giorni nostri
Preliminarmente appare opportuno effettuare una breve analisi
dell’evoluzione delle politiche occupazionali a partire dagli anni ’60 fino a
giungere ai giorni nostri, in modo da poter meglio comprendere le ragioni
dell’introduzione del lavoro interinale anche nel nostro ordinamento.
Secondo una ricostruzione da tempo condivisa in dottrina, è possibile
riscontrare il susseguirsi di tre differenti stagioni della politica legislativa
1
.
La prima di queste, che segna il suo avvio negli anni ’60 e si protrae fino
alla metà degli anni 70, la possiamo definire come la “stagione della
regolamentazione vincolistica”. Questa fase è stata caratterizzata da una serie di
vincoli e limitazioni dei poteri datoriali in funzione di una maggiore tutela dei
lavoratori; così, in questo arco di tempo, il diritto del lavoro italiano si è
edificato attorno alla figura del lavoratore subordinato a tempo pieno ed
indeterminato nella convinzione che, il sistema economico, essendo in continua
espansione, sarebbe stato in grado di metabolizzare le rigidità crescenti sul
versante del lavoro.
1
Vedi LISO, CARABELLI “Il lavoro temporaneo:commento alla legge n.196/97”. – Milano – F. Angeli
Editore – 1999 – p.13 ss.
2
Emblematiche di questa stagione, sono perciò state le ben note leggi: sul divieto
di intermediazione nella prestazione di lavoro (Legge 1369/60, che impone una
necessaria coincidenza della figura del datore di lavoro con quella del soggetto
che utilizza “effettivamente” la prestazione lavorativa), sul contratto di lavoro a
tempo determinato (Legge 230/62, di particolare compressione del potere
datoriale attraverso la configurazione del lavoro a termine come eccezione alla
regola), sui licenziamenti individuali (Legge 604/66, che riduce sensibilmente la
facoltà di recesso del datore di lavoro) ed il cosiddetto “Statuto dei lavoratori”
(Legge 300/70), che rappresenta il punto più avanzato di questa fase.
La seconda stagione comincia invece, verso la metà degli anni ’70,
innescata da vicende che hanno modificato drasticamente il quadro economico a
livello mondiale, ovvero lo choc petrolifero successivo alla guerra del Kippur
del 1973. Di fatti, a partire da questa data, si cominciarono a registrare situazioni
di eccedenze di personale - dovute alle conseguenti crisi aziendali ed ai sempre
più frequenti processi di riconversione e riorganizzazione delle imprese – ed alti
livelli di disoccupazione giovanile. Il diritto del lavoro si è dunque trovato a
dover fare i conti con questa nuova realtà.
Si apre così, la “stagione della regolamentazione promozionale” dove
l’imprenditore comincia ad essere considerato in una dimensione più articolata;
viene giudicato soprattutto come un soggetto che fornisce il bene primario
dell’occupazione ovvero, il lavoro, e quindi può contribuire a dare risposte ai
3
problemi connessi al mantenimento di quel bene ed alla sua crescita. Si inaugura
una fase di interventi mirati ad incentivare il datore di lavoro affinché assuma
comportamenti orientati a fornire risposte ai problemi occupazionali. Si
dischiude, quindi, quella che si può chiamare la “stagione degli incentivi”, che
assume la forma sia di sconto economico sul costo del lavoro (caratterizzata
principalmente da una serie di sgravi contributivi), sia di sconto normativo, cioè
della sottrazione dell’imprenditore a determinati vincoli della legge, come
tributo pagato per orientarlo verso determinate decisioni. Infatti, gradualmente,
sotto la spinta dei fatti, cominciarono ad affermarsi esigenze di flessibilità
rispetto a quel rigido quadro normativo preesistente.
A riguardo va evidenziato come, grazie alle particolari caratteristiche del
nostro sistema politico sociale, la risposta alle esigenze di modificazione del
tradizionale sistema garantistico del diritto del lavoro, è stata data mediante
prudenti allentamenti della tradizionale disciplina garantistica, facendo ricorso
all’autonomia collettiva e quindi, al dialogo sociale. Altri Paesi invece, hanno
percorso una strada del tutto differente, vale a dire contrassegnata da una
semplice politica di abbattimento dei vincoli.
In questa nuova strategia, una tappa significativa è stata quella della
introduzione nel nostro ordinamento, del contratto di formazione e lavoro (legge
863/1984) con il quale veniva riconosciuta la possibilità alle imprese di
assumere giovani con contratti a termine, aventi finalità formative e quindi
4
anche obiettivi occupazionali. Questo istituto è stato accompagnato da una serie
di sgravi contributivi per i datori di lavoro che vi facevano ricorso ma, oltre a
questi benefici economici, l’incentivazione all’assunzione risiedeva proprio
nella stessa “natura” di “contratto a termine” del C.f.l.
Accanto a questa politica di sconti, si sono poi sviluppati i cosiddetti
“ammortizzatori sociali” cioè quegli strumenti ideati con l’obiettivo di prevenire
e contenere il conflitto sociale attraverso la semplice funzione di sostegno del
reddito (in particolare, il trattamento straordinario di integrazione salariale).
Anche questi, in fin dei conti, possono essere fatti rientrare tra gli incentivi
economici poiché la prevalente finalità del legislatore, è stata quella di
incentivare le imprese – soprattutto le medie e grandi – ad astenersi da scelte di
riduzione traumatica degli organici, socialmente costose nell’immediato e
generatrici di conflitto.
Infine, la terza stagione della politica legislativa, si è dischiusa da poco
ovvero, con l’emanazione della legge 196/97 (cosiddetto “pacchetto Treu”),
nella quale i primi 11 articoli disciplinano il lavoro interinale.
Questa stagione, la potremmo definire come, la “stagione dei servizi”
poiché, essa esprime la particolare attenzione che il legislatore comincia a porre
alla necessità di servizi idonei ad avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro. Si
tratta di una stagione in cui risulta crescente la consapevolezza che, nello
scenario della competizione globale, la flessibilità di impiego del fattore lavoro è
5
un elemento essenziale del sistema. La politica di protezione del lavoratore, non
può più rimanere identica a quella del passato ma, occorrono invece, anche e
soprattutto meccanismi nuovi, idonei a concretizzare politiche del lavoro attive a
sostegno dei processi di mobilità. Il legislatore sta infatti dimostrando di aver
preso consapevolezza che l’attuale ordinamento giuridico del lavoro si limita a
realizzare unicamente la protezione degli occupati (insiders), a tutto discapito
dei disoccupati (outsiders)
2
, abbandonati a se stessi ed ai vecchi uffici di
collocamento ormai non più in grado di sopperire con efficienza alle esigenze
del mercato del lavoro sempre più in evoluzione e sempre più alla ricerca di
flessibilità
3
. Difatti, con l’emanazione della Legge 608/96 che prevede
l’assunzione diretta del lavoratore, con il solo obbligo dell’ iscrizione nelle
apposite liste, i Centri per l’impiego hanno visto ridursi notevolmente i loro
compiti, limitandosi così, a svolgere semplici funzioni burocratiche di gestione
delle liste. La bilancia risulta dunque pendere, verso una iper-tutela degli
occupati, rispetto ad una sottotutela dei disoccupati e ciò giustificherebbe il
mancato raggiungimento dei livelli di crescita occupazionale concordati in sede
europea
4
.
2
Cfr. per tutti ICHINO “Il lavoro e il mercato” - Mondadori – 1996.
3
Solo il 4% di chi trova lavoro passa attraverso i Centri per l’impiego (Fonte Isfol).
4
Per il 2010, il tasso di occupazione totale medio per i Paesi dell’Unione Europea è fissato al 70%.Considerato
che in Italia, nel 2001, il tasso di occupazione era ancora al 54,6%, per coprire il pesante ritardo che abbiamo
rispetto a tutti gli altri Paesi europei (che nel 2000 segnavano già una media del 63,3%), non sarà sufficiente
"assorbire" l'area della disoccupazione, bensì occorrerà "aggredire" anche l'area di coloro che, statisticamente,
vengono classificati come "non interessati al lavoro".
6
Così, la strategia fondamentale del legislatore diventa quella della
“occupabilità”, consistente in una rimodulazione della tutela accordata al
lavoratore occupato e contemporaneamente, ad una maggiore tutela dello stesso
nel mercato. Si avvia quindi, la creazione di un nuovo sistema di regole che
permetta al lavoratore di acquisire maggiori professionalità, attraverso il
passaggio da imprese diverse rendendolo di conseguenza più appetibile sul
mercato ed andando di riflesso, ad incrementare la sua forza contrattuale
(contrattualmente un operaio specializzato è più forte di un operaio generico!) .
Ed è in tale prospettiva che si pone l’istituto del lavoro temporaneo
5
,
considerato da qualcuno come fattispecie nella quale la flessibilità si presenta
nella sua versione più accentuata
6
. Il ricorso a questa peculiare tipologia
lavorativa, infatti, dovrebbe rendere più versatile la modalità d’impiego del
fattore lavoro, nel senso di consentire alle imprese utilizzatrici di avvalersi della
prestazione del lavoratore temporaneo per il tempo strettamente necessario alle
esigenze produttive, senza sostenere gli ingenti costi derivanti dall’assunzione
diretta e dalla stabilizzazione del rapporto di lavoro. Ne deriverebbero,
naturalmente, benefici anche per gli stessi lavoratori
7
.
5
Vedi SCIOTTI “Indagine critica sulla fattispecie del lavoro temporaneo”, in Dir. Lav. – 1999 – I – p.361.
6
VENEZIANI “La flessibilità del lavoro e i suoi antidoti. Un’analisi comparata”, in Dir. Lav. Rel. Ind. – 1993
–p.279.
7
Per una più approfondita analisi del tema riguardante i “benefici” derivanti dall’adozione di tale istituto, si
rinvia al paragrafo 4.8 del presente lavoro.