IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
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Scrive Celestini nel programma della rassegna:
Gli spettacoli di Bella Ciao vengono ad abitare il festival come le persone abitano questi
quartieri. Sono spettacoli periferici rispetto al teatro istituzionale. Ma non appartengono ad un
teatro marginale perché questi artisti sono scappati dei teatri e dagli spettatori che li
frequentano. Sono marginali perché emarginati. Messi ai margini di un teatro che preferisce
portare in scena opere dei secoli scorsi, un po’ per comodità, un po’ per amore un po’ per
abitudine. In Bella Ciao garantiamo che gli autori sono quasi tutti vivi… o almeno si tratta di
morti piuttosto recenti che hanno conosciuto le cose migliori della nostra epoca: la plastica, la
carne in scatola e la bomba atomica.
L’esperienza avuta all’interno della rassegna è confluita nella stesura del primo capitolo
Introduzione al teatro di narrazione, in cui ho cercato, non di proporre una trattazione
completa sulla situazione del teatro di narrazione, ma piuttosto di dare alcuni elementi, degli
input, per introdurre ed incuriosire il lettore verso questa nuova forma teatrale.
La mia attenzione si è concentrata sia sul padre fondatore di questo modo di concepire il
teatro, Dario Fo; su alcuni attori della prima generazione del teatro di narrazione negli anni
Novanta (Marco Paolini, Marco Baliani, Laura Curino), sia sull’esperienza avuta a contatto
con alcuni dei nuovi narratori dell’ultima generazione, che ho potuto osservare nell’ambito
della rassegna Bella Ciao. Il balsamo della memoria, da Mario Perrotta a Giuliana Musso, ma
anche sulle figure di Michele Sinisi e Michele Santeramo, Davide Enia, Nino Racco.
Il capitolo in questione si apre con un interrogativo: il teatro di narrazione può essere
considerato un genere teatrale? Ho affrontato il problema mettendo a confronto due differenti
prospettive: quella di Gerardo Guccini che sostiene l’esistenza di un genere teatrale, il teatro
di narrazione; e quella di Natale Filice che non racchiude il teatro di narrazione in nessuna
gabbia
1
.
Il secondo capitolo La ricerca sul campo: analisi del modo di lavorare di Ascanio Celestini
affronta il problema della raccolta e ricerca del materiale, utile per la costruzione di uno
spettacolo, in diversi lavori realizzati da Celestini. Qui si notano i contatti di Celestini con il
mondo antropologico, raccogliere le testimonianze dalle fonti orali.
Nel terzo capitolo La realizzazione – Le tappe del lavoro per Fabbrica: il primo studio, lo
spettacolo, il libro, il programma radiofonico propongo un’analisi della realizzazione del
progetto-spettacolo Fabbrica. Per sviluppare questo capitolo mi sono avvalsa della
1
Vedi oltre cap. 1, Introduzione al teatro di narrazione.
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
5
trascrizione del primo studio Il tempo del lavoro, e della schedatura del programma
radiofonico Bella ciao. Storie di operai e contadini, eseguite entrambe da me, durante la
ricerca del materiale sul lavoro di Celestini.
Con questo lavoro ho cercato di fornire degli elementi utili per aprire una finestra sul mondo
della narrazione teatrale, attraverso lo studio di un particolare modo di narrare, quello di
Ascanio Celestini.
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
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1. INTRODUZIONE AL TEATRO DI NARRAZIONE
Che cos'è il teatro di narrazione? Quali sono le sue caratteristiche? Esiste il genere teatrale:
teatro di narrazione? Dare una risposta a questi quesiti non è impresa facile.
Uno spettacolo di narrazione è formato da “un uomo che davanti al pubblico si produce in una
performance affabulatoria (più descrittiva che rappresentativa)
2
, di vario argomento”
3
. Sul
palco - il più delle volte è un luogo non teatrale come una piazza, una sala, un’aula ecc. - il
narr-attore, colui che attraverso il racconto apre le porte di un mondo costruito da immagini,
ha a disposizione solo le sue parole e il suo corpo; la scenografia è minima, essenziale, la
storia ha luogo nella immaginazione dello spettatore. Il teatro di narrazione è considerato,
dagli stessi appartenenti a questa forma teatrale, come un grande contenitore di soggetti
eterogenei, i narr-attori. Celestini sostiene che i narr-attori possono essere considerati dei
“solisti teatrali” piuttosto che gli appartenenti ad un genere chiamato teatro di narrazione,
perchè
il teatro di narrazione in realtà non esiste come un genere unico…perché non c’è una
tradizione direttamente legata al teatro e non c’è perché il teatro di narrazione nasce spesso
come un percorso individuale. E questa credo sia una delle poche cose che hanno in comune quelli
che fanno questo lavoro
4
.
I narr-attori, infatti, differiscono sia per le metodologie lavorative adottate, che per lo stile del
loro raccontare. L’elemento che li accomuna, però, è la voglia di comunicare e di condividere
la loro performance con il pubblico attivo. In realtà il problema è più complesso. Alcuni
osservatori, come Gerardo Guccini, hanno rintracciato elementi costanti nel lavoro teatrale dei
narr-attori; per esempio i narr-attori degli anni Novanta (Paolini, Baliani, Curino) iniziano il
loro percorso dalla narrazione per gli adolescenti o per i bambini, quindi in situazioni di
gruppo e operando nel sociale, per poi passare ad isolarsi nel loro mondo, scoprendo, ognuno,
il proprio modo di vivere il teatro. Tutti quanti questi attori fissano, però, nella narrazione il
valore su cui fondare il proprio teatro. Quindi Guccini teorizza la nascita di un nuovo
“genere” teatrale, il teatro di narrazione, analizzando il suo sviluppo cronologico. Afferma che
2
Intendo con ciò la tendenza di alcuni attori ad azzerare le loro azioni fisiche, per sottolineare la narrazione
rivolta al pubblico
3
N. Filice, Riti e ritmi in fabbrica di Ascanio Celestini, saggio inedito di prossima pubblicazione nella rivista
“Bilbioteca Teatrale”
4
A. Celestini, Laboratorio al CUT di Perugia, 23 febbraio 2005
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
7
“il ‘teatro di narrazione’ esplode negli anni Novanta con la forza di un"caso”
5
, ma le sue radici
sono da rintracciare negli anni Settanta con Dario Fo, per arrivare poi alla nuova generazione
dei giorni nostri, Celestini, Enia, eccetera. Aggiunge che l’atto del narrare è diventato una
forma autosufficiente di teatro, che trasmette le memorie culturali. Pur cercando di
sottolineare ciò che accomuna i diversi narr-attori, ammette che i modi e le forme differiscono
da attore ad attore, in quanto la narrazione trae il suo materiale dalla vita quotidiana,
dall’identità personale e dalle storie collettive.
Di altro parere è Natale Filice
6
che, pur ammettendo l’esistenza di una tendenza a fissare
tecniche e culture appartenenti ai vari narr-attori, sostiene l’impossibilità di stabilire limiti
precisi, fissi, definiti al teatro di narrazione. Per Filice la rinascita, la riscoperta
dell’affabulazione avvenuta negli anni Novanta è da imputare alla necessità di reagire al vuoto
formatosi negli anni Ottanta, al desiderio di comunicare un messaggio, e quindi alla necessità
che tutto diventi spiegabile e divulgabile. Gli attori, per Filice, sono ancora alla ricerca di
nuovi mezzi comunicativi; provano a rigenerare le varie tecniche teatrali. Filice sostiene che il
teatro di narrazione non può essere definito come un “genere” perché al suo interno si
compone di esperienze che in comune hanno pochi elementi, basti pensare al lavoro di
denuncia portato avanti di Paolini in I-TIGI canto per Ustica e quello di raccolta
antropologica delle fiabe di Celestini in Cecafumo, che in comune hanno, oltre all’atto del
raccontare, l’abbattimento della quarta parete, ovvero la possibilità di creare una
comunicazione diretta con gli spettatori; ma poi gli argomenti trattati differiscono sia nella
forma narrativa che nel modo di ‘agire’ la narrazione.
La mia prospettiva è vicina a questa seconda analisi, che non ingabbia in schemi predefiniti i
lavori sulla e con la narrazione. Penso che l’etichetta di “teatro di narrazione” possa essere
usata per comodità comunicativa
7
per indicare il campo d’azione di alcuni attori: la
5
G. Guccini, Teatro di narrazione, in “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C. Cannella, p. 3. Guccini
sta parlando della rappresentazione televisiva del Racconto del Vajont del 1997, di Marco Paolini su rai3 che
fece tremilioni di spettatori.
6
Natale Filice è laureato in Lettere presso l’Università della Calabria, specializzato in Storia della Lingua
Italiana, presso l’Università di Lovanio (Belgio). Svolge inoltre dal 1996 la sua attività di attore teatrale e
radiofonico. Ha pubblicato alcuni saggi e articoli su riviste teatrali e attualmente è docente di Dizione presso il
Centro Internazionale Formazione delle Arti e maestro di Espressione corporea presso il conservatorio S.
Giacomantonio di Cosenza.
7
Nelle pagine che seguiranno spesso utilizzerò questa espressione ‘teatro di narrazione, intesa nell’accezione da
qui esposta, un utili riferimento per la definizione dell’ambito espressivo di alcuni attori,
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
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narrazione. Allo stesso tempo bisogna essere consapevoli, nell’usare questa etichetta, che in
realtà essa è solo un contenitore di esperienze, anche molto diverse tra loro.
1.1 ALL’INIZIO ERA DARIO FO.
Il primo a percorrere la strada della narrazione e a portarla anche ad un pubblico non teatrale
fu, negli anni Settanta, Dario Fo. Fo coniuga la sua prima formazione, ricevuta dai narratori
popolari, fabulatori e cantastorie della Valtaglia (Varese) da cui apprende le tecniche della
narrazione orale, con la riscoperta della giullarata medioevale e le sue modalità performative,
riportate alla luce negli anni ’60 grazie al suo lavoro di ricerca storico–filologico.
Dall’esibizione giullaresca Fo deriva la tendenza a costruire monologhi “semi-drammatici” in
cui il performer, dopo aver presentato i personaggi della vicenda, trapassa dalla narrazione
alla recitazione: la storia raccontata si trasforma in spettacolo “agito” e l’attore Fo interpreta
(secondo la tecnica dello straniamento Brechtiano) tutti i personaggi della vicenda,
caratterizzandoli esclusivamente attraverso variazioni della gestualità e della vocalità.
Dallo spettacolo giullaresco, Fo, trae la sua dimensione pantomimica e il suo stile
interpretativo grottesco basato su un elevato dinamismo e su una gestualità volutamente
eccessiva. Questa componente “fisico-corporea” marca la differenza tra il teatro di Fo e le
performances dei narr-attori più giovani, la cui gestualità è ridotta, quasi a grado zero per
enfatizzare il valore della parola detta e concentrare su di essa l’attenzione del pubblico.
Celestini, per esempio, recita stando seduto su una sedia. Se si scava nel passato di Celestini,
però, si scoprono punti di contatto con l’opera e l’attività di Fo: alla fine degli anni Novanta
Celestini debutta nel mondo del teatro con lo spettacolo Giullarata Dantesca insieme al
Teatro del Montevaso, con cui entra in contatto durante un laboratorio sulla commedia
dell’arte tenuto da Eugenio Allegri
8
.
Tornando a Dario Fo, i narratori popolari e le giullarate medioevali sono le basi su cui si
fonda e nasce lo spettacolo Mistero Buffo (1969) che diventa mezzo di aggregazione e
8
Proprio la figura di Eugenio Allegri sembrerebbe l’anello mancante tra Dario Fo e i giovani narr-attori.
Allegri, dopo aver studiato alla scuola di Jacque Lecoq (a sua volta maestro di mimo, negli anni ’50, di Dario
Fo), lavora a stretto contatto con Dario Fo. Negli anni Novanta si avvicina al Teatro Settimo Torinese, dove
collabora con Gabriele Vacis. Il Teatro Settimo è stato il punto di partenza di molti narr-attori, tra cui Marco
Paolini e Laura Curino (vedi il paragrafo successivo).
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
9
acculturazione politica, da eseguire in spazi e per un pubblico non teatrale. Fo inventa una
tipologia drammaturgica narrativa che gli permette di abbattere la quarta parete e trasmettere
il proprio messaggio al pubblico direttamente in sala. Questo nuovo schema drammaturgico,
sperimentato in Mistero Buffo, consiste nel Fo attore che racconta una storia per mezzo di un
“assolo”, il quale non è più, come nel teatro drammatico tradizionale, uno strumento di analisi
psicologica o caratteriale del personaggio; ma è piuttosto un “discorso” rivolto in prima
persona al pubblico, che diventa esplicitamente l’interlocutore scenico.
Dario Fo è quindi considerato il padre artistico di questa nuova forma teatrale, colui che ha
“fatto in modo che fosse riconosciuto anche questo come teatro”
9
. Lo stesso Fo ha più volte
dichiarato consapevolmente di aver aperto una strada e di aver favorito la nascita di un nuovo
modo di fare teatro fondato sull’affabulazione narrativa, riferendosi ai nuovi narr-attori come
Paolini, Baliani, Curino, Celestini... . Fo diventa importante anche e soprattutto per il suo
modo di concepire il teatro come impegno civile e politico, un teatro che sappia raccontare i
fatti del proprio tempo e sappia prendere posizione nei confronti dell’attualità.
Dice Fo nel Manuale minimo dell’attore:
[…] il nostro compito professionale, di autori, registi, gente di teatro, è riuscire a parlare della
realtà violando lo schema standard col reagente della fantasia, con l’ironia, con il cinismo
della ragione. Così andiamo contro il programma e la strategia che il potere cerca di portare
avanti: insegnare al pubblico a non usare mai il proprio senso critico - cervello piatto, fantasia
zero.
10
E’ certo che l’arte di Dario Fo non si può ridurre alla semplice presa di coscienza della realtà,
ma è chiaro che questo è sicuramente un aspetto forte che ritroviamo in forme nuove e varie
nei narr-attori più giovani. Paolini dice: “siamo tutti figli legittimi di Dario Fo…”
11
. Grazie
all’opera di Dario Fo il teatro di narrazione ha sedimentato la nozione che l’atto del raccontare
costituisce una forma autosufficiente di teatro, aprendo così la strada ad una molteplicità di
tentativi e percorsi, che sin dall’inizio degli anni Novanta disegnano nuove vie per il teatro di
narrazione in tutta la penisola italiana.
9
A. Celestini, laboratorio al CUT di Perugia, 26 febbraio 2005, dai miei appunti
10
D. Fo, Manuale minimo dell’attore, Einaudi, Torino 1997, p. 172
11
M. Paolini durante la rappresentazione televisiva in diretta su rai3 del Racconto del Vajont del 1997.
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
10
1.2 GLI ANNI DI PAOLINI, BALIANI E CURINO.
Nasce quindi all’inizio degli anni Novanta la prima generazione di narr-attori tra i quali
spiccano i nomi di Marco Paolini, di Marco Baliani e di Laura Curino.
La loro formazione appartiene agli anni Ottanta, anni contrassegnati dal riflusso nel privato
delle tensioni politiche degli anni Settanta. Per il teatro è un periodo abbastanza buio. Molti
teatranti cercano di uscire dai circuiti istituzionali, ma non trovano quella comunione d’intenti
e quella sensibilità che negli anni Settanta fecero di Dario Fo il “Giullare del Popolo”. I loro
percorsi producono un teatro che,come dice Baliani, “ritrova l’atto antico di portare poesia
alla gente usando la ‘popolarità’ dei mezzi di comunicazione vigenti”
12
.
Negli anni Ottanta sia Paolini, che Baliani, che la Curino sperimentano la narrazione con i
bambini e gli adolescenti, conducendo esperienze tra l’animazione, la formazione e il teatro
per ragazzi. Unendo le capacità acquisite, in questi primi lavori, con le innovazioni,
pervengono ognuno alla propria interpretazione del teatro di narrazione: teatro civile per
Paolini, teatro d’impronta epica per Baliani e teatro autobiografico per la Curino.
Marco Paolini
13
raggiunge la notorietà nel 1997 con la diretta televisiva del suo spettacolo Il
racconto del Vajont. 9 ottobre ‘63, lo spettacolo. Questo spettacolo, che è del 1994, diventerà
il manifesto del così detto Teatro Civile.
La formazione di Paolini passa attraverso la Commedia dell’Arte rivisitata dal Tag Teatro,
dove l’attore si scopre uno straordinario ‘Arlecchino naturale’. Approda poi, negli anni
Ottanta, al Teatro Settimo di Gabriele Vacis, che sarà suo collaboratore, come autore e
regista, nel Vajont.
Al Teatro Settimo portano in scena lavori su materiali non teatrali. Prima di Vajont, Paolini ha
lavorato per quasi dieci anni sui quattro monologhi raccolti nello spettacolo Album,
autobiografia di un alter ego immaginario, il piccolo Nicola. Nei quattro monologhi si
susseguono le vicende del protagonista-narratore dai primi anni Settanta fino al fatidico 1977.
Questa opera è un complesso lavoro sull’autobiografia individuale e sulla memoria collettiva,
sull’identità e sul racconto, sulla recente storia dell’Italia e sul suo rapporto col presente. Qui
12
G. Guccini, Teatro di narrazione, in “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C. Cannella, p. 6
13
M. Paolini nasce nel 1956 a Belluno e cresce a Treviso, vedi “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C.
Cannella, p. 22.
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
11
l’autore affinerà i suoi strumenti che gli permetteranno poi di affrontare una delle maggiori
tragedie collettive della storia Italiana: il cedimento della diga nel Vajont.
Paolini non è solo attore, ma è anche autore dei suoi testi. Sarà considerato come il portavoce
di una memoria collettiva che i mass-media hanno occultato o trascurato. La sua non è
soltanto memoria, ma è anche coscienza civile, infatti, lo spettacolo sul Vajont assume un
significato politico, evoca una diversa consapevolezza verso il passato più recente della nostra
Italia, e chiama all’azione.
L’autore ha seguito varie direzioni di ricerca. Da un lato ha approfondito il suo rapporto con
la lingua e con la musica intrecciandolo con la propria terra il Nord-Est, da cui nascono i vari
Bestiari. Dall’altro lato prosegue il lavoro “civile” di rivisitazione di pagine drammatiche del
nostro paese, ma questi spettacoli-denuncia saranno sempre centellinati per paura di essere
etichettato come il “poeta delle catastrofi”. Nel 2001 scrive e porta in giro per l’Italia I-TIGI
canto per Ustica, scritto con Daniele Del Giudice e con le musiche di Giovanna Marini. Lo
spettacolo debuttò a Bologna il giorno dell’anniversario della strage di piazza Fontana. Nel
2002 è alle prese col petrolchimico di Marghera Parlamento Chimico, e nel 2003 scrive
monologhi per la trasmissione Report su rai3.
Paolini, soprattutto con gli spettacoli di denuncia sopra citati, ci proietta nelle pagine
dolorose, malinconiche, feroci, del nostro e del suo passato. Alla fine di un suo racconto si
esce dallo spettacolo con gli occhi lucidi di chi ha sentito svelare un segreto struggente
intorno alla propria identità storica e politica, e sente l’irrazionale istinto di scavare ancora, e
di non dimenticare. Il suo teatro riproduce l’eterno istinto dell’uomo a raccontare. Il suo
lavoro, dopo circa venti anni di carriera, è sempre in evoluzione, è un lavoro che cambia con
il tempo. L’ultimo spettacolo, del 2004, è Il sergente, adattamento dell’autobiografico
Sergente nella neve di Mario Rigoni Stern.
Dall’incontro con la televisione, con i libri, s’intuisce la capacità di Paolini, di reinventare una
forma di comunicazione antichissima e di adeguarla alle moderne tecnologie e modalità di
comunicazione, restituendo così efficacia ed immediatezza all’arte antica del raccontare.
Negli anni Ottanta, nel Laboratorio Teatro Settimo, oltre a Marco Paolini, incontriamo Laura
Curino. La Curino fa parte dei fondatori di questo laboratorio teatrale, insieme al regista
Gabriele Vacis.
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
12
Laura Curino
14
è autrice e attrice di molti spettacoli teatrali15. Dedica parte del suo tempo al
lavoro laboratoriale. Afferma che i suoi laboratori dovrebbero chiamarsi “Io faccio così!”
16
, e
aggiunge che il suo metodo di lavoro varia, non è sempre lo stesso. Altri narratori usano
metodi differenti e altrettanto validi. Laura invita gli allievi a studiarli e a trovare ognuno il
proprio. La Curino copia dal vero, trasferisce in teatro dei personaggi della vita reale, così da
arricchire lo spettacolo con una continua improvvisazione d’autore. Un labor limae esercitato
continuamente sia sull’interpretazione sia sul testo.
Gerardo Guccini afferma che la scrittura narrativa di Laura Curino nasce dalla drammaturgia
di gruppo degli spettacoli corali di Laboratorio Teatro Settimo. Il percorso per la costruzione
dello spettacolo si articola in tappe successive: dall’improvvisazione dell’attore si passa ad
una concezione aperta del testo come luogo abitato dai personaggi e poi al montaggio di
diverse fonti letterarie e verbali, per arrivare infine alla stesura del testo dello spettacolo, che è
effettuata da più menti, gli autori.
Il primo spettacolo di teatro narrazione di Laura Curino è Passione del 1992. E’ la storia di
una vocazione: racconta la giornata di una ragazzina di periferia che va a teatro per la prima
volta. Questo spettacolo nasce a seguito di un recital d’attrice dove l’autrice mette in fila, uno
dopo l’altro, tutti i personaggi dei precedenti spettacoli, tutte “madri sostitute”: la maestra
delle elementari, la segretaria del direttore, la baby-sitter, la serva veterana, la sorella
maggiore, per chiudere con la madre di tutte le madri, Maria. Con lo scopo di trasformare
questo recital in uno spettacolo, la Curino, costruisce una serie di relazioni e di rapporti tra i
diversi personaggi. La costruzione della trama è svolta come se ci si trovasse davanti ad una
compagnia formata da diversi attori. Gli autori di questa opera sono, insieme alla Curino,
Roberto Tarasco e Gabriele Vacis. Insieme decidono il luogo dell’azione comune ai
personaggi, Settimo Torinese, anche se per cambiare scenografia basta una parola: la
scenografia è verbale, la si nomina ed essa compare; quindi avremo il Municipio, la casa del
popolo, la villa abbandonata… . Sono tutti luoghi in cui i personaggi, interpretati da Laura,
14
L. Curino nasce a nel 1956 a Torino, vedi “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C. Cannella, p. 29.
15
tra i quali citiamo: Elementi di struttura del Sentimento tratto da Le affinità elettive di Goethe, nel 1985 vinse
il premio Ubu; Stabat Mater del 1989, vinse il premio Città Festival di Urbino e Premio Fringe di Edimburgo;
La storia di Romeo e Giulietta da Shakespeare premio Ubu nel 1992; Passione del 1992, vinse il premio
Milano’90 e il Contemporaneo nel 1993; nel 1996 e nel 1998 ha scritto con Vacis, e interpretato Olivetti –
Camillo alle radici del sogno e Adriano Olivetti – Il sogno possibile. Fino ad arrivare a L’età dell’oro scritta con
Michela Marelli nel 2002, insieme alla quale ha composto anche Una stanza tutta per me, ovvero: se
Shakespeare avesse avuto una sorella del 2004. Nel 2005 ha portato in giro per l’Italia Telai di Luca Scarlini.
16
M. Marelli, Una per tutti per una, in “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C. Cannella, p. 27
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
13
s’incontrano ed entrano in relazione. Ci si trova davanti scene con due o tre personaggi che
interagiscono tra loro. Da questa struttura drammaturgica nasce la caratteristica della Curino:
Il Monologo Dialogato. In Passione i dialoghi sono pochi e brevi, servono per descrivere
l’ambiente e i personaggi, anche se i monologhi delle “madri” sono parole rivolte ad un
ascoltatore dichiarato all’interno del testo.
Negli spettacoli successivi la zona del dialogo si estende sempre di più e l’azione drammatica
si produce attraverso il confronto dei personaggi. Il montaggio sembra cinematografico con
continui cambi di set, descritti da numerose comparse. In Passione compaiono trenta
personaggi parlanti. Ognuno di questi personaggi è caratterizzato da una maschera fonica,
gestuale e verbale. Ciò che impressiona, non è il loro numero, ma la capacità di Laura di farli
esistere e dialogare; la capacità di passare da un personaggio all’altro rapidamente e un attento
uso della prossemica degli sguardi e degli atteggiamenti. Si notano somiglianze con il lavoro
di Dario Fo. “Il Monologo Dialogato di Laura Curino trasferisce di fatto in modalità narrativa
una drammaturgia compiuta e recupera il dramma come vicenda agita”
17
, sostiene Michela
Marelli. La costruzione narrativa del racconto si avvicina a quella di un romanzo, con i
dialoghi che s’intrecciano ai momenti di narrazione. Come autrice, la Curino, è sempre alla
ricerca del “solo verbo per dare vita e del solo aggettivo per descrivere”
18
.
Altro spettacolo pilastro della carriera artistica di Laura Curino è, indubbiamente, il lavoro
sulla famiglia Olivetti. Qui l’autrice decide di affrontare la vicenda di Camillo - padre
fondatore dell’azienda - e di Adriano - che la trasformerà in un’esperienza industriale,
artistica e culturale unica al mondo - attraverso le figure femminili che hanno circondato,
sostenuto, incoraggiato i due uomini-imprenditori. Il progetto era nato come un unico
spettacolo poi è stato diviso in due spettacoli distinti: Olivetti- Camillo: alle radici di un
sogno e Adriano Olivetti - Il sogno possibile
19
.
La Curino mira costantemente a perfezionare ciò che ha prodotto attraverso un continuo
lavoro creativo che si può definire un’improvvisazione d’autore
20
, dove si legano tra loro la
scrittura dell’autore, l’improvvisazione dell’attore e la drammaturgia. Il punto di partenza
17
M. Marelli, Una per tutti per una, in “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C. Cannella, p. 28
18
L. Curino, in M. Marelli, Una per tutti per una, in “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C. Cannella,
p. 28
19
Interpretato da Mariella Fabbris e Lucilla Giagnoni, che hanno contribuito all’adattamento del testo attraverso
le loro improvvisazioni attoriali durante le prove, in modo da trasformarlo in un testo abitato dai personaggi e
dalle attrici.
20
Definizione di Michela Marelli in Una per tutti per una, in “Hystrio”, anno XVIII, n. 1 (2005), a cura di C.
Cannella, p. 29
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
14
rimane lo studio. Laura Curino cerca tra le esperienze di vita vissuta, nella letteratura, al
cinema, elementi per ‘cucirsi addosso’ i suoi personaggi.
In un contesto differente da quello del Teatro Settimo (ma simile per collocazione geografica,
il Nord Italia) nasce un altro narr-attore: Marco Baliani
21
.
Baliani matura nell’ambito del teatro scuola, con i primi spettacoli, le prime esperienze
affabulatorie, come La strega Jumauba e Nino
22
. Dal 1998 inizia ad approfondire la ricerca
sulla narrazione orale, sia come interprete sia come autore. I primi spettacoli sono Storie del
1989; Kohlhaas del 1990 tratto da un racconto di Heinrich von Kleist, divenuto per molti
origine e modello di un nuovo modo di raccontare a teatro: il palco nudo, il narratore costretto
sulla sedia a una compressione creativa deflagrante nel succedersi di gesti e parole con cui si
materializzano i personaggi del racconto, l’utilizzo di micropartiture fisiche come catalizzatori
di suoni, quali lo scalpitio dei cavalli, la morte di Lisetta, la tensione della corda che si stringe
attorno al collo di Kohlhaas. Baliani è riuscito a trasportare la prosa del racconto di Kleist
nella lingua orale della narrazione, gestita da una voce epica che pervade tutto il racconto e
permette di aderire empaticamente alle emozioni e ai sentimenti dei personaggi.
Con lo spettacolo successivo, Tracce del 1998 tratto dall’omonima opera di Ernest Bloch, la
ricerca attorno alla narrazione ha un’evoluzione. L’autore tenta la strada del primo approccio
metanarrativo: un racconto che parli del senso profondo e del farsi stesso della narrazione. Col
procedere della storia s’intuisce come lo spettacolo si rifà all’idea della mappa, utile per
districarsi nei sentieri intricati dell’esperienza narrativa, la quale si confonde tra memoria e
autobiografia, eredità storico-culturale dell’Occidente e i mondi possibili dell’invenzione
artistica; il narratore vi si muove grazie alla sua capacita di stupirsi e incantarsi.
Questo modo di lavorare sulla narrazione s’infrange nel 1998 con lo spettacolo su Aldo Moro
Corpo di stato. Il delitto Moro, in cui ripercorre un pezzo di storia italiana in chiave
personale, intrecciando la vicenda Moro con la tragica uccisione da parte della mafia del
giornalista siciliano Peppino Impastato, il protagonista del film di Marcotullio Giordana I
cento passi.
Lo spettacolo evidenzia, attraverso il racconto di un’infanzia intossicata dal male di vivere, il
conflitto irrisolto tra padri e figli che poi si trasforma negli anni di piombo. Baliani non
21
Baliani è nato a Verbania nel 1950 Nel 1975 fonda il gruppo “Ruotalibera” e nel 1991 la compagnia
Trickster-Bricconi Divini.
22
Sono spettacoli del 1986 e 1989
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
15
realizza un racconto civile, come quelli di denuncia di Marco Paolini, ma fa una lucida
ricostruzione della vicenda Moro con montaggio di documenti video legati alla morte del
presidente della D.C. e all’assassinio di Peppino Impastato, avvenuti nel medesimo giorno.
La ricostruzione degli accadimenti storici è interrotta dagli interventi di un narratore, Marco,
stupito e confuso dal precipitare così rapido degli eventi, dai sogni d’uguaglianza e giustizia
alla clandestinità della lotta armata.
Baliani ha firmato alcune regie di spettacoli teatrali
23
. All’attività teatrale affianca quella
didattica e d’animazione, intervenendo spesso in situazioni sociali difficili, come testimonia il
recente progetto Pinocchio Nero, allestito nella periferia di Nairobi, in collaborazione con
l’Amref
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, teso a togliere dalla strada i bambini abbandonati a loro stessi. Ha recitato in alcuni
film come: Teatro di Guerra di Mario Martone, Il più bel giorno della mia vita di Cristina
Comencini e Domani di Francesca Archibugi.
Ha pubblicato alcuni libri come: Francesco a testa in giù” (2000); con Mirto Baliani, il libro
per ragazzi Il signor Ventriglia (2002); Corpo di Stato. Il delitto Moro (2003) e il recente
romanzo, edito da Rizzoli, Il regno di Acilia (2004). Questo ultimo lavoro, oltre ad essere un
testo scritto con la lingua del teatro, è un tentativo di comunicare e conservare, attraverso la
scrittura, la sua arte del raccontare.
1.3 OGGI: I NUOVI NARR-ATTORI.
Alla fine degli anni Novanta lo scenario cambia: il teatro non è più suddiviso in tendenze né
segue modelli culturali egemoni, ma diventa un luogo dove tutto è possibile. Le strade che
intraprendono i nuovi narr-attori sono, fondamentalmente, di due tipi: alcuni acquisiscono le
modalità del teatro di narrazione dalla generazione precedente attraverso i laboratori tenuti da
Marco Baliani o da Laura Curino o attraverso l’insegnamento di Gabriele Vacis (alla scuola
Paolo Grassi di Milano). Altri nuovi narr-attori, come Ascanio Celestini, Davide Enia, ecc…,
seguono un propria via all’arte del racconto, che punta a rendere teatrali elementi della realtà
23
Tra questa regie ricordiamo: Corvi di luna del 1989 tratto da Calvino; per l’anniversario della strage di
Bologna Antigone della città del 1991, e Antigone delle terra del 1992; Peer Gynt di Ibsen del 1995; Migranti
collage di storie sul Mediterraneo del 1996; Giufà nel 1997; Il sole è un iguana gialla del 2003.
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un’organizzazione sanitaria non governativa
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
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che in origine non lo sono affatto. Nasce, quindi da questo secondo approccio, un teatro che
non richiede tanto capacità tecniche predeterminate, ma piuttosto una volontà di farsi teatro.
Per esempio, Celestini attinge, tra le altre cose, alla cultura magica attraverso i racconti sulle
streghe, ascoltati dalla nonna durante la sua infanzia, o ai racconti del padre sulla seconda
guerra mondiale, mentre Enia porta nei suoi spettacoli la sua città, Palermo, e la sua passione
calcistica.
Lo scenario teatrale di questi ultimi anni sta mutando continuamente, gli spettacoli ad
interprete unico si sono moltiplicati e suddivisi in innumerevoli vie differenti, che possiamo,
per comodità di analisi, inserire nel grande contenitore che è il teatro di narrazione. Qui
troviamo monologhi, monodrammi, spettacoli di comici, letture d’autore, letture
drammatizzate, ecc… .
Viaggiando attraverso il teatro di narrazione, metterò a fuoco cinque realtà di narratori
contemporanei: partendo dal Nord-Est, con l’attrice Giuliana Musso, arriveremo nell’Italia
meridionale, prima in Puglia, con il Teatro Minimo di Andria di Michele Sinisi e Michele
Santeramo e con il lavoro del leccese Mario Perrotta, insieme alla Compagnia Teatro
dell’Argine, e poi in Sicilia, con l’esperienza di Davide Enia e in Calabria, con la capacità
affabulatoria di Nino Racco.
Interessante è la figura della giovane attrice del Nord-Est Giuliana Musso
25
. Giuliana ha
interpretato un monologo, scritto e diretto da Massimo Somaglino, intitolato Nati in Casa
(2002), in cui si narravano le vicende di una “commare”, un’ostetrica dei tempi che furono, in
un paesino sperduto del Nord-Est. Lo spettacolo ha lo scopo di denunciare il cinismo
dell’attuale politica sanitaria italiana in materia di parto.
Il secondo spettacolo, che vede nuovamente insieme la Musso e Somaglino, è SEX MACHINE.
9.000.000 di clienti (2005) portato in giro prevalentemente per l’Italia settentrionale; l’unica
data nel “Sud” d’Italia è stata quella nella Capitale, con la partecipazione alla rassegna teatrale
Bella Ciao organizzata da Ascanio Celestini e dal decimo municipio, Cinecittà, nella periferia
sud della città.
Questo secondo spettacolo è un viaggio attraverso il mondo delle prostitute, che indaga sia chi
vende sia chi compra il sesso. Giuliana Musso passa da un personaggio all’altro, due donne e
quattro uomini tutti del nord est, su un palco vuoto, solo una sedia e un chitarrista che
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G. Musso si è diplomata alla Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, e ha seguito
laboratori di Vacis, Solari, Allegri, Paolini…
IL LAVORO TEATRALE DI ASCANIO CELESTINI COSTRUIRE UNO SPETTACOLO
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l’accompagna, Igi Meggiorin. Lo spettacolo è bello, forte e non retorico. A differenze di
alcuni attori narratori, Giuliana si muove occupando tutto lo spazio scenico. La scena è
definita da pochi oggetti utili alla performance. Vive le storie che racconta usando spesso parti
dialogate.
Altra situazione è il Teatro Minimo
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di Andria, nato dall’incontro tra Michele Sinisi
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e
Michele Santeramo
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.
I due attori hanno in comune l’attenzione per la scrittura, per la parola, per il racconto, e una
presenza viva (ma di segno opposto) sulla scena. Sinisi si era fatto apprezzare con un energico
racconto su Otello o la gelosia di Jago (1998), in cui dà sfogo alla gelosia meridionale aiutato
da un unico oggetto di scena, un mazzo di carte; qui si alterna nel ruolo del narratore
distaccato e onnisciente e in quello dei personaggi, mettendone in evidenza vizi e virtù, tutto
attraverso l’uso del dialetto, che avvicina l’attore al pubblico. Santeramo ha portato in scena
un racconto dal taglio stralunato: quasi una ballata distaccata e ironica dal titolo Il barone dei
porci, in cui viene raccontata la vita di Gennaro de Gemmis, nobile pugliese che, a Terlizzi in
provincia di Bari nel 1963, crea, sperperando tutto il suo patrimonio, la più grande biblioteca
lì esistente ancora oggi.
Sinisi e Santeramo si sono incontrati e hanno intrapreso un percorso comune che li ha fatti
tornare, dalla Capitale, alle proprie origini: Andria e la Murgia. Con lo spettacolo intitolato
Konfine, gli autori trattano il tema dell’immigrazione clandestina; si alternano nel raccontare
la disgraziata storia di una famiglia “di là dal mare”, che perderà tutti i suoi componenti nella
folle fuga verso il benessere occidentale. Santeramo introduce, commenta, tesse le fila del
racconto. Sinisi dà vita ai personaggi che, “di qua dal mare”, hanno a che fare con gli
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Ciò che riporto in queste brevi righe è stato “preso in prestito” da internet, dal sito: www.delteatro.it ,
www.print.htm.
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Michele Sinisi (1976), attore e regista teatrale, segnalato come miglior attore under 30 in occasione del
PREMIO “UBU” per gli anni 2000 e 2001. Anche autore ed interprete dei suoi spettacoli, tra i quali: Otello o la
gelosia di Jago (1998), Ettore Carafa (2000), Li Mari Cunti (2001), Konfine (SELEZIONE ENZIMI TEATRO
2003), e Murgia (cartolina di un paesaggio lungo un quarto), spettacolo GENERAZIONE SCENARIO 2003, ultimo
atto della trilogia TRE VOCI sulla narrazione. Autore di studi per allestimento su: Macbeth e Moby Dick con gli
altri attori del gruppo.
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Michele Santeramo (1974), autore e attore. Comincia la sua esperienza frequentando laboratori e corsi di
scrittura e narrazione. E’ autore di spettacoli teatrali: Il Barone dei porci, Konfine (SELEZIONE ENZIMI TEATRO
2003), Radio Bunker (tratto dal romanzo il Visconte Dimezzato di Italo Calvino). Anche autore di sceneggiature
per cortometraggi, di racconti brevi editi, è vincitore di concorsi di scrittura. Fonda il gruppo ALMO, di cui cura
la direzione artistica. Tiene laboratori di scrittura e narrazione. Dirige il settore culturale di un progetto
finanziato dal Fondo Sociale Europeo. È autore di Murgia (cartolina di un paesaggio lungo un quarto) spettacolo
GENERAZIONE SCENARIO 2003.