7
Alcune persone hanno deciso di “puntare” su una giovane
professionista nel loro intento di organizzare un’èquipe
flessibile e creativa che si occupasse del lavoro con gli
“adolescenti delinquenti”
1
Dall’inizio del 2001, nell’area territoriale di Vimercate e
Trezzo è stata creata una micro èquipe “specialistica”
intendendo con questo termine “il ramo di un’attività, uno
studio, una professione in cui si è particolarmente esperti e
abili”
2
rispetto alla tutela dei minorenni indagati di reato, a
piede libero. In questo periodo ho mosso i primi passi
rispetto alla mia esperienza lavorativa: ho trovato persone
che hanno creduto soprattutto nella volontà di pensare,
mettersi in gioco, riflettere e desiderare di crescere
professionalmente.
Per la scarsa competenza pratica, per il fatto che il servizio
veniva creato ex novo si può dire che le mie capacità e
conoscenze professionali siano cresciute parallelamente alla
crescita all’Unità Operativa Penale Minorile, come in un
flusso circolare nel quale si dona e si riceve.
Con questo lavoro desidero da una parte narrare come e con
quali modalità e difficoltà si sta strutturando questa
esperienza lavorativa, dall’altra consegnare alle colleghe che
1
A. Maggiolini (a cura di), Adolescenti Delinquenti – L’intervento psicologico nei Servizi della Giustizia
Minorile, Franco Angeli, 2002
2
Dogliotti e Rosiello (a cura di), Lo Zingarelli 1998 – Vocabolario della Lingua Italiana, Zanichelli, 1998
8
iniziano questa professione, con ansie e a volte poche
conoscenze della reale organizzazione dei servizi, così
variegata e in continua evoluzione, un’esperienza diretta e
reale in tutte le sue sfaccettature.
Sono partita dalla voglia di sistematizzare, per quanto
possibile essendo ancora in una fase di crescita, questa
esperienza tentando di considerarne i differenti livelli:
organizzativo, giuridico, ma ponendo l’accento soprattutto su
quello metodologico e sul lavoro specifico dell’assistente
sociale, partendo dal concetto che sia un lavoro clinico e di
costruzioni di reti. Ho provato a scrivere un elaborato che
riuscisse a comunicare le emozioni che vissute e che vivo
tuttora quando incontro un ragazzo o i suoi genitori:
emozioni positive e negative; il modo trovato per analizzarle
e renderle risorse sia per il lavoro con gli adolescenti che
per me come professionista.
La tesi si divide in sei capitoli.
Nel primo viene delineato il contesto organizzativo nel quale
si inserisce e lavora l’èquipe, al fine di delineare la scelta
della creazione di un servizio specialistico in un quadro
generale.
Si prosegue, nel secondo capitolo, con l’analisi della
legislazione attualmente vigente in materia di penale
minorile, inevitabilmente connessa all’intervento
9
metodologico e clinico con i ragazzi, tentando di affrontarla
in modo critico.
Il terzo capitolo affronterà, non in maniera approfondita, le
ipotesi teoriche psicologiche e sociali sulle quali si basano gli
interventi con gli adolescenti autori di reato. Tenderò a
esplicitare un quadro teorico, facendo riferimento
soprattutto all’approccio socio-clinico, nel quale si inserisce
la metodologia sperimentata dall’èquipe, in particolare
rispetto al ruolo dell’assistente sociale.
Il quinto e il sesto capitolo hanno come obiettivo la
descrizione delle scelte organizzative e metodologiche, la
riflessione dell’èquipe sullo scopo a cui tendere, sulle
esigenze da porre come priorità, sul ruolo che ogni
professionista rivestirà per quel ragazzo e quella famiglia
nonché per la sua rete sociale.
Nell’ultimo capitolo tenterò di delineare, in maniera critica,
la tensione dell’èquipe, le domande e i dubbi che gli operatori
si pongono ogni giorno, cercando di ipotizzare un percorso
possibile per la creazione di un servizio e della sua storia,
soprattutto dal punto di vista dei vissuti di un operatore, di
un professionista che prima di tutto è persona nella sua
complessità e unicità.
10
1.
IL CONTESTO ORGANIZZATIVO: L’EQUIPE
SPECIALISTICA SUL TERRITORIO
11
“Mentore
Devi perseverare, usare buona pazienza.
Ricordalo, se vuoi arrivare al punto di partenza.”
( Caproni)
PREMESSA
L’approvazione della Legge- quadro sull’assistenza 328/2000
costituisce una tappa fondamentale della riorganizzazione
dell’assetto globale dei servizi alla persona e dei relativi
interventi. Questa legge quadro per “ la realizzazione del
sistema integrato di interventi e servizi sociali” è andata
finalmente a coprire un vuoto normativo molto pesante, la
legge Crispi di regolamentazione del settore risaliva al 1890,
e nasce per: riordinare il settore dell’assistenza; dare regole
di cornice essenziali per rispondere ai bisogni sempre più
specifici e “raffinati” dei cittadini nell’ottica dell’
integrazione e del principio di sussidiarietà. La continua
evoluzione delle necessità delle persone, non più solo
economiche o di sterile compilazione burocratica ma
multidimensionali, chiamano i servizi sociali territoriali, nella
veste dei loro responsabili ma anche degli operatori e dei
politici, a porsi domande, quesiti sulle modalità più adatte
12
per organizzarsi al fine di rispondere al meglio alle esigenze
dei cittadini.
Per questo motivo mi sembra opportuno indicare
l’organizzazione scelta dall’area dei distretti sanitari n. 8 e 9
dell’ASL Milano 3 al fine di inserire l’Unità Operativa Penale
Minorile all’interno di un quadro organizzativo chiaro.
13
1.1 BREVE QUADRO ORGANIZZATIVO PRECEDENTE
ALLA LEGGE – QUADRO SULL’ASSISTENZA
La normativa regionale, es. L.R. 1/1986, ha per molti anni
sostituito la mancanza di indicazioni nazionali generali di
carattere settoriale.
Per quanto riguarda la regione Lombardia la Legge 1/1986 “
Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-
assistenziali della Regione Lombardia” ha dato impulso alla
rete dei servizi socio- assistenziali. Successivamente la
Legge Regionale 31/1997 “Norme per il riordino del servizio
sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei
servizi sociali” ha in un certo senso toccato l’assetto
organizzativo del settore istituendo il dipartimento ASSI
all’interno delle Aziende Sanitarie Locali. La legge Regionale
1/2000 “Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia”
da attuazione al D.lgs. 112/1998 “ Conferimento di funzioni e
compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli Enti
Locali” che definisce all’art. 128 i Servizi Sociali come
“attività relative alla predisposizione ed erogazione dei
servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche
destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e
difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua
vita….” e indica come principi quelli che saranno contenuti
14
anche nella 328/2000: il principio di integrazione tra i
servizi e di sussidiarietà.
Indica in maniera precisa i compiti dei comuni e che “le
funzioni da loro esercitate adottando a livello territoriale gli
assetti più funzionali alla gestione, alla spesa, e al rapporto
con i cittadini, anche tramite associazioni intercomunali,
secondo le modalità previste dalle Leggi 142/1990 e
59/1997 e dal D.lgs. 112/1998. I comuni determinano
autonomamente le forme per la gestione associata ai sensi
della legislazione vigente. A livello distrettuale i titolari
delle funzioni devono assicurare l’integrazione delle loro
attività con quelle definite e programmate dall’ASL”
15
1.2 FINALMENTE LA LEGGE 328/2000
La riforma da finalmente dignità e autorevolezza al settore
sociale che fino ad oggi è stato confinato ad un ruolo
marginale rispetto ad altri settori e politiche ritenuti
prioritari: es. quello sanitario. Il welfare italiano assume
così anche veste sociale, non sarà più solo sanitario o della
previdenza ma quello delle famiglie e delle politiche sociali:
sarà in grado, almeno in teoria, di offrire sostegno ed aiuto
alle persone durante le diverse fasi della vita. Nell’ottica di
un miglioramento della qualità di vita delle persone la legge
quadro attua tre art. della Costituzione: 2, 3 e 38. In questo
quadro riemerge con forza la necessità di integrazione fra
settori differenti (sociale, sanitario), ritenuto per lungo
tempo poco perseguibile, e considerato attualmente l’unica
strada per affrontare in modo efficace alcuni problemi e per
fornire risposte adeguate ai bisogni. L’insieme della legge va
a definire un sistema che alcune norme di settore ( 285/97,
40/98) hanno in parte anticipato. Soprattutto la legge
285/97 con la sua carica innovativa viene recepita e
richiamata, come altre leggi di settore, dalla legge quadro
per quanto riguarda l’ottica di intervento non solo riparativo
ma anche e soprattutto preventivo del disagio e la richiesta
di mettere attorno ad uno stesso tavolo di lavoro più
16
soggetti sociali. La legge quadro recepisce anche il D.p.r.
448/88 esplicitando che il sistema integrato deve essere
realizzato secondo le “disposizioni sul processo penale a
carico di imputati minorenni, approvati con…”.
Viene riconosciuta la centralità dei Comuni sia singoli che
associati nell’identificare, progettare e programmare i
servizi e gli interventi. Ciò consentirà sì ad ogni realtà di
creare interventi specifici ma anche di avviare politiche
organiche nel settore assistenziale avendo come strumento
una cornice. La proposta della legge è di protezione sociale
attiva mettendo a disposizione le opportunità per un
progetto di inserimento partecipato delle persone nella
società, valorizzando tutte le capacità ed i talenti.
Inoltre all’art. 22 c.4 della legge quadro viene
espressamente ribadito che ogni ambito territoriale deve
prevedere l’erogazione di alcune prestazioni tra le quali un
servizio sociale professionale conferendo un ruolo
esplicitamente di rilievo agli operatori sociali e alla necessità
di porre attenzione all’organizzazione e alla formazione dei
servizi e degli assistenti sociali.
17
1.3 LA CONVENZIONE INTERCOMUNALE PER I
SERVIZI SOCIALI
Il ruolo conferito dalla Legge 328/2000 ai comuni posti al
centro del sistema dei servizi sociali come ente preposto a
tutte le politiche locali e la realtà che vede la nostra regione
formata prevalentemente da piccole municipalità (in
Lombardia su 1546 comuni 1334 hanno meno di 10.000
abitanti) invita le diverse situazioni a trovare gli assetti più
funzionali alla gestione dei servizi.
I 29 comuni del Vimercatese e Trezzese avevano già
precedentemente al 2000 avviato un pensiero sulla
definizione di una nuova forma di gestione. L’idea di un
organismo intercomunale sembra aver avuto differenti
ragioni: l’evoluzione normativa che ha visto interessata la
Pubblica Amministrazione (L.142/1990) con il riordino degli
Enti Locali codificando le possibili forme di collaborazione
fra Enti per la gestione dei servizi; il processo di
riorganizzazione del sistema sanitario nazionale e di
aziendalizzazione delle USSL che acquisiscono in questo
modo personalità giuridica propria; i territori, a seguito degli
accorpamenti delle USSL, vengono ampliati allentando il
legame tra territorio e Azienda USSL; viene istituita la
Conferenza dei Sindaci con funzione di indirizzo e di
18
controllo. Le distanze culturali e storiche tra territori
differenti non fa altro che aumentare la distanza tra Enti
Locali e ASL invece di creare l’ auspicata integrazione.
A partire dal 1 gennaio 2000 i 29 comuni hanno gestito con lo
strumento della Convenzione Intercomunale ai sensi
dell’art.30 del T.U.E.L. 267/00 tutti i servizi che
precedentemente erano delegati alla ASL e alcuni nuovi
servizi istituiti nel frattempo. Questa scelta tocca anche le
funzioni relative la tutela e agli interventi con i minorenni
denunciati a piede libero, attività ripresa in carico dalla
Convenzione nel 2001. In questo periodo e con questa Legge
quadro si radicano alcuni principi auspicati da tempo: il
principio di sussidiarietà verticale e orizzontale tale per cui
il Comune diventa il regista del sistema integrato dei servizi,
non nell’idea quindi di un welfare residuale ma
corresponsabile, e quello della centralità sia degli Enti Locali
che dei cittadini. Necessario diventa riuscire ad integrare e
collegare risorse tra loro molto diverse per cultura ed
esigenze: non solo sociale e sanitario ma servizi educativi,
formativi, riferibili alle politiche dell’inserimento lavorativo
e della promozione dei diritti dei cittadini. Sembra difficile
che piccole realtà locali, a volte con meno di 2.000 abitanti,
possa riuscire a rispondere alle esigenze dei suoi cittadini
nell’ottica di collegamento e integrazione tra le risorse e i
19
servizi se non unendosi ad altre realtà simili anche allo scopo
di creare politiche sociali unitarie.
L’unione fa sì che i soggetti sociali possano identificare un
interlocutore unico, qualificato e rappresentativo delle
diverse volontà dei Comuni singoli. Sul territorio possono
essere letti i bisogni nel loro emergere e nella loro
specificità, sul territorio la comunità locale può vedersi
effettivamente riconosciuta dalla sua espressione
istituzionale se l’ottica di partecipazione e corresponsabilità
diventerà effettivamente bidirezionale e non contrapposta
nel descrivere la prima come creativa e l’altra come
burocratica.
Tutte leamministrazioni, indipendentemente dall’indirizzo
politico delle giunte che li governano, hanno compreso alcune
necessità: che per creare una politica sociale incisiva non è
più sufficiente la risposta della singola realtà ma
indispensabile sembra il collegamento tra risorse differenti
appartenenti a diverse realtà; che la tensione non può più
essere quella di offrire percorsi puramente assistenzialistici
ma la necessità di rendere l’utente cittadino partecipante
attivo e soggetto promotore della sua stessa emancipazione
“introducendolo in una rete differenziata di servizi che,
accogliendo e riconoscendo il bisogno, li riconduca in circuito
di opportunità che ne rafforzi potenzialità e capacità
20
autonome di risposta, coinvolgendo in questo processo tutte
le risorse della comunità”; ci si rende conto che la
differenziazione dei servizi non significa solo
contrapposizione tra sociale e sanitario ma interazione con il
volontariato, le scuole, le aziende, la formazione
professionale, la cooperazione, le famiglie……
All’interno della Convenzione Intercomunale per i Servizi
Sociali è stata prevista l’attivazione di un organismo tecnico
composto dagli operatori sociali dei comuni del territorio.
Nell’ambito della tutela minori è stata creata la Convenzione
Minori che ha lo scopo di approfondire dal punto di vista
tecnico, metodologico e organizzativo i temi di maggiore
interesse in modo che il Coordinatore tecnico possa portare
le proposte della Commissione agli organi politici e direzionali
della Convenzione. Più o meno da questo iter di pensiero è
passata l’ipotesi della creazione di un servizio specialistico di
penale minorile. La Convenzione Intercomunale non ha
personalità giuridica propria, che è quella del comune
capofila, in questo caso Vimercate, con conseguenti
difficoltà gestionali e finanziarie. Dal 2003 è stato
effettuato il passaggio da Convenzione ad Azienda Speciale
denominata “Offerta Sociale” con un’organizzazione diversa
dalla precedente rispetto agli organi direzionali es. è stato
introdotto il consiglio di amministrazione.