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riflessione al fine di evidenziare una particolare chiave di lettura e
contemporaneamente valutare possibili vie d’uscita.
Uno degli obiettivi di questo elaborato, pertanto, è di contribuire a leggere le
trasformazioni del lavoro in modo da concorrere al difficile processo di
interpretazione della società che cambia.
In una società post-industriale che può essere definita “androgina”, dove si
affermano attività intuitive e flessibili, le donne si pongono come figure
caratterizzanti in due direzioni.
All’interno della “società dei lavori”, in prima istanza, la donna è a livello
percentuale maggiormente presente tra le figure che caratterizzano il lavoro
flessibile.
Nel processo di transizione, invece, le donne sono in testa alle posizioni che
spostano verso la modernità in quanto propongono nuovi modelli anche di consumo
culturale.
Parallelamente a ciò l'elemento caratterizzante di questa nuova epoca è, senza ombra
di dubbio, la progressiva precarizzazione del lavoro che rischia di configurarsi come
una metafora regressiva della nostra società.
I sistemi di protezione che sono stati proposti fino ad ora sono caratterizzati più
dall’emergenzialità che dalla strutturalità e rischiano di non dare risposte indirizzate
verso il futuro a una intera generazione, o a più generazioni, di lavoratori.
All’interno delle suggestioni presentate, in definitiva, questo lavoro si propone di
fornire degli elementi di riflessione attorno ad una una particolare porzione di
lavoratori flessibili e precari, rappresentati dagli iscritti alla Gestione Separata Inps,
come si vedrà più approfonditamente nel secondo capitolo.
In tal senso le considerazioni qui presentate costituiscono un resoconto articolato che
fornisce dati e analisi affidabili su un universo di quasi 1,5 milioni di soggetti, in
maggioranza con rapporti di impiego instabili e precari.
Quello che cercherò di evidenziare all'interno della mia tesi è soprattutto l’impatto
problematico che sta producendo la diffusione di questa forma occupazionale sulle
condizioni di vita attuali e le prospettive future di alcuni gruppi sociali.
Quest’ultimi sono in misura consistente giovani adulti, prevalentemente trentenni,
che faticano a costruirsi percorsi di stabilità esistenziale e materiale.
Ciò che cercherò di far emergere è che la condizione prevalente per tutti è una forte
esposizione ai rischi del mercato, poiché la stragrande maggioranza permane in una
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condizione di incertezza, ma soprattutto non riesce a raggiungere redditi tali da
garantirsi né un’effettiva autonomia economica oggi, né a cautelarsi dai rischi di un
futuro incerto.
La forma occupazionale della collaborazione si diffonde in seguito all'approvazione
del cosiddetto “pacchetto Treu” e successivamente ridefinito, in alcune sue parti,
dalla legge 30 di cui tratterò nel secondo capitolo.
Certamente questo ha prodotto una forte diffusione del lavoro flessibile e della
ridefinizione delle forme di organizzazione delle attività all'interno delle imprese
stesse.
Questo spaccato del mondo del lavoro richiede quindi interventi specifici e, seppure
non si possa pensare di caricare le singole imprese del futuro dei lavoratori che
propriamente vengono utilizzati anche in funzione di una flessibilità imposta dal
cambiamento del paradigma produttivo, rimane il problema di come garantire un
futuro e una rete di protezione per tutti coloro i quali si collocano in queste nuove
forme di lavoro.
Per capire meglio i processi in corso cercherò di inquadrare le trasformazioni del
nostro modello produttivo all'interno del contesto economico globale per terminare
nell'ultimo capitolo con una lettura critica del fenomeno.
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1. Il lavoro che cambia :
flessibilità o precarietà ?
INTRODUZIONE
Questo capitolo ha come obiettivo quello di indagare i cambiamenti che hanno
interessato i modelli di produzione di tipo tradizionale.
Il contesto entro il quale tali cambiamenti sono avvenuti è quello postmoderno: un
contesto in cui si profilano profonde trasformazioni della condizione occupazionale
standard, cioè di quel sistema che prevedeva la centralità del lavoro salariato
dipendente a tempo pieno e indeterminato.
Le trasformazioni che hanno seguito il declino del fordismo, hanno prodotto un
nuovo modello di produzione ed una nuova gestione del lavoro che richiede sistemi
produttivi meno rigido, maggiormente flessibili e capaci di adattarsi alle fluttuazioni
della domanda e alle richieste dei consumatori.
I contenuti mutano insieme alla nuova organizzazione produttiva e alle forme
occupazionali ed irrompe il concetto di “flessibilità” che sembra non avere in sé un
significato definito e univoco: è simbolo e metafora delle attuali trasformazioni nel
mondo del lavoro.
Se per alcuni è sinonimo d’autonomia, adattabilità e mobilità, per altri è una
condizione generatrice d’incertezza e precarietà. Ciò che è certo è che crescono
forme di lavoro atipico, in risposta alla richiesta di flessibilità da parte delle
imprese, che operano in un contesto produttivo ed economico profondamente
diverso rispetto a quello dell’inizio del secolo.
Ogni argomentazione sulle trasformazioni del lavoro non può fare a meno di
considerare che oggi la flessibilità sembra essere l’imperativo economico di tutte le
attività sociali, e al quale tutte le società devono saper rispondere.
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1.1 Il paradigma della flessibilità
I cambiamenti che hanno investito il mercato del lavoro (la globalizzazione dei
mercati, le tecnologie IC) hanno comportato una profonda ristrutturazione della
produzione, che si è tradotta, nei paesi occidentali, in un aumento della
disoccupazione e della precarietà del lavoro.
La prima nel 1960 era, in Europa, su livelli inferiori al 3% (Crouch, 2001), mentre
oggi si aggira tra il 7-8%, con il picco storico registrato nel 1994 dove ha toccato
punte del 10,5% . Ma ciò a cui stiamo assistendo è senza dubbio “l'irruzione della
precarietà all'interno dei bastioni della piena occupazione” (Beck, 1999, 3).
La ristrutturazione delle imprese, resa possibile dalle nuove tecnologie e stimolata
dalla concorrenza globale, sta dando vita a profonde trasformazioni del modello
fordista di regolazione del lavoro. La flessibilità intacca tutti gli aspetti della dottrina
taylorista : il contratto di lavoro subordinato, la relativa stabilità del rapporto,
l'orario di lavoro standard e a tempo pieno, l'ubicazione fissa del luogo di lavoro, la
copertura previdenziale.
Ciò che però rende ancor più problematica questa evoluzione e che ci troviamo di
fronte ad un mutamento dei termini dello scambio del modello fordista : in
passato si accettava la subordinazione in cambio della sicurezza sociale , oggi
nonostante questo sia venuto meno non sono ancora state definite nuove clausole
contrattuali.
Anche il mercato del lavoro è entrato quindi in una fase di turbolenza e forte
trasformazione soprattutto in ragione del fatto che il processo di individualizzazione
del rapporto di lavoro (Castells, 2003) altro non è che la principale causa del
crescente livello di flessibilità.
Esso ha dunque un doppio volto : di precarietà da un lato e di realizzazione di sé
dall'altro.
Come sottolinea Fullin :
L'individualizzazione del rapporto di lavoro...ha effetti contrastanti
sulle condizioni di vita delle persone : se da un lato aggrava i
rischi, dall'altro ampia le possibilità d'azione, libera dai vincoli e
offre maggiori opportunità d'azione sul mercato del lavoro.
Sentirsi liberi di cambiare lavoro, di scegliere nuove occupazioni,
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così come sentirsi imprenditori di se stessi, può essere un elemento
positivo dell'esperienza dell'instabilità. (Fullin, 2002 , 565-566)
E' necessario ricordare anche che in alcuni casi l'espansione dei posti di lavoro
atipici e precari hanno dato, in questi anni, a giovani e donne la possibilità di entrare
nel mercato del lavoro.
Ciò significa che se l'accesso al mercato del lavoro flessibile non diventa un
intrappolamento per la vita nella fascia del lavoro precario, ma costituisce un primo
passo per inserirsi nel mondo del lavoro, è possibile valutare positivamente queste
esperienze all'interno di un articolato processo di crescita dell'individuo
Ciò che si può rilevare da queste prime considerazioni è, quindi, che i cambiamenti
nel mercato del lavoro, non sono solo frutto di dinamiche macrostrutturali, ma
indicano, in alcuni casi, la ricerca da parte degli individui di una maggiore
autonomia e realizzazione di sé che determina inevitabilmente un aumento
dell'insicurezza e della precarietà lavorativa rispetto al precedente periodo storico.
Questi processi di trasformazione del mercato del lavoro determinano da un lato
l'affrancamento dei lavoratori da strutture aziendali fortemente gerarchizzate e da
una netta divisione tra chi ha un'occupazione e chi ne è privo; dall'altro comportano
una crescita della precarietà del lavoro e dell'insicurezza sociale.
Quando oggi si parla di flessibilità del lavoro si fa comunque riferimento a molte
cose, talvolta si fa riferimento all'orario di lavoro, altre volte si insiste sulla
flessibilità salariale intesa come rapporto tra salario e produttività, ma la flessibilità
che sollecita maggiormente l'attenzione ed il dibattito è quella cosiddetta numerica
intesa fondamentalmente come la maggiore libertà di licenziare.
Su questo tema vi è un dibattito molto acceso, alcuni economisti liberali (Ichino e
Boeri per citarne alcuni) ritengono il processo di flessibilizzazione assolutamente
necessario per permettere alle imprese di superare i limiti di una legislazione
fortemente garantista che rende le aziende assai prudenti nell'assumere nuova
manodopera favorendo in questo modo la riduzione della disoccupazione.
Dall'altro lato abbiamo gli economisti della “Rive Gauche” che non ritengono che
rendere più flessibile il mercato del lavoro, sia in entrata che in uscita, produca
necessariamente benefici, il rischio invece è che i lavoratori vengano lentamente
privati di diritti sociali inalienabili.
Le sperimentazioni che hanno avuto luogo in altri paesi europei hanno dimostrato