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contratto di lavoro per prestazioni temporanee e con l’azienda utilizzatrice un contratto di fornitura
(contratto di natura commerciale). Attraverso la combinazione di due distinti rapporti di contrattuali
interagiscono tre soggetti titolari di diritto: la società di fornitura di lavoro temporaneo, che
rappresenta il datore di lavoro da cui dipende il lavoratore; l’impresa utilizzatrice, che esercita
esclusivamente il potere di controllo e direzione sulla prestazione di lavoro e il lavoratore, messo a
disposizione temporaneamente dalla società di fornitura alla azienda utilizzatrice.
Pertanto il contratto interinale si caratterizza per la scissione fra le figure di datore di lavoro “di
fatto” e di datore di lavoro “di diritto”.
Tale scissione tra soggetto titolare del contratto di lavoro e soggetto destinatario materiale della
prestazione di lavoro contrasta con il principio secondo cui chi esercita un’attività economica deve
assumersi i rischi e l’organizzazione della stessa anche sul piano dei rapporti di lavoro.
La legge prevede che vi possa essere un contratto sia a tempo determinato sia a tempo
indeterminato tra lavoratore e agenzia. In questo ultimo caso è previsto un indennizzo per i periodi
di disponibilità in cui il lavoratore rimane in attesa di assegnazione, tuttavia la realtà mostra che
sono pochissimi i lavoratori assunti dalle agenzie a tempo indeterminato da inviare in missione.
Solitamente la chiamata per un lavoratore arriva il giorno prima di incominciare una missione o
comunque con scarso preavviso e quindi richiesta la disponibilità immediata e la possibilità di
spostarsi agevolmente nelle varie regioni del paese, dove al momento del colloquio in Agenzia il
lavoratore non abbia specificato una zona di interesse che escludesse le altre.
Le società di fornitura di lavoro temporaneo aggiungono come costo del servizio un margine che
varia dal 15% al 30% al salario percepito dal lavoratore interinale, che è uguale a quello dei
lavoratori assunti a tempo indeterminato.
Quindi per l’azienda un’ora di lavoro interinale costa molto di più rispetto a quella tradizionale.
Cosa che come vedremo in seguito è un ostacolo interno di elevata portata per la diffusione in Italia
di questo particolare tipo di contratto, soprattutto, per giovani alle prime esperienze che, nei casi
previsti dalla legge, possono avvantaggiarsi di forme di incentivi fiscali.
Tuttavia il costo è compensato dal risparmio che l’azienda ha dal cercare e selezionare il specifiche
figure professionali da impiegare in breve tempo e dal risparmio sugli eventuali costi da affrontare a
seguito dell’arresto o della disorganizzazione del processo produttivo. Inoltre, i casi in cui le
prestazioni richieste siano brevi e le professionalità poco diffuse i vantaggi del ricorso all’agenzia di
fornitura appaiono ancora più evidenti.
La legge, oltre a definire nel dettaglio i requisiti essenziali che devono presentare le aziende di
fornitura per poter operare nel settore , regolamenta in modo specifico anche i contratti di fornitura
e i contratti per prestazione di lavoro temporaneo delineando i requisiti e gli elementi essenziali per
la validità di entrambi.
La legge inoltre, al fine di evitare l’uso improprio di tale strumento, individua chiaramente le ipotesi
in cui ne viene fatto divieto. La fornitura di lavoro temporaneo è vietata nei seguenti casi: per la
sostituzione di lavoratori in sciopero presso unità produttive che nei 12 mesi precedenti abbiano
fatto ricorso a licenziamenti collettivi, o a cassa integrazione; per imprese che non dimostrino di
aver effettuato la valutazione dei rischi, per lavori pericolosi; per determinate mansioni individuate
dai contratti di categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice, con particolare riguardo alle
mansioni il cui svolgimento può rappresentare maggiore pericolo per la sicurezza del prestatore o di
soggetti terzi. E’ prevista, inoltre, la possibilità, da parte della contrattazione di categoria delle
aziende utilizzatrici, di individuare ulteriori ipotesi di utilizzo e casi di divieto.
Il legislatore ha infatti attribuito un ruolo decisivo all’autonomia collettiva nella regolazione del
lavoro temporaneo, rimettendo a questa il completamento della disciplina legale di tale istituto per
alcuni aspetti essenziali. In quest’ottica, la contrattazione collettiva ha provveduto ad individuare
ulteriori vincoli inerenti le modalità di utilizzo del lavoro temporaneo: la disciplina dell’istituto
delle proroghe e del rinnovo dei contratti di fornitura e dei relativi contratti di prestazione e
individuazione dei limiti numerici, ovvero la definizione della quota percentuale massima di
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lavoratori interinali che possono essere impiegati in un’azienda in uno stesso semestre, in
proporzione al numero di lavoratori a tempo indeterminato presenti in azienda
L’accordo interconfederale per l’industria del 16 aprile 1998 riconosce la possibilità di ricorso al
lavoro temporaneo in caso di punte di attività cui non possa farsi fronte con il ricorso ai normali
assetti produttivi aziendali, connesse a richieste di mercato derivanti dall’acquisizione di commesse
o dal lancio di nuovi prodotti o anche indotte dall’attività di altri settore. Possono rientrare in questa
ipotesi gli incrementi di attività collegati ad eventi stagionali o ricorrenti in particolari periodi
dell’anno, come ad esempio l’aumento di commesse collegato a fattori climatici (ad esempio: i
condizionatori) o stagionali (industria conserviera).
E’ utile sottolineare come la legge finanziaria del 2000 abbia cancellato il divieto al ricorso al
lavoro interinale per le qualifiche di esiguo contenuto professionale. Tale norma era stata introdotta
per vincere le resistenze con le organizzazioni sindacali avevano posto all’atto dell’introduzione del
lavoro interinale, e si spiegava con la volontà di evitare che quest’ultimo si traducesse in un sistema
legalizzato per lo sfruttamento dei lavoratori più deboli. Da un lato, tuttavia, la norma veniva
aggirata inquadrando i lavoratori ad un livello superiore rispetto a quello che erano chiamati a
svolgere, dall’altro lato, alla fine, le pressioni delle aziende e delle agenzie di fornitura hanno avuto
la meglio dal momento che chiedevano un più ampio utilizzo del lavoro temporaneo. Le richieste
erano basate sulla tesi che il lavoro sommerso è proprio concentrato sulle categorie di lavoratori a
bassa specializzazione e di livello inferiore.
Lo stesso accordo interconfederale ha introdotto un limite massimo al numero di lavoratori
interinali in missione nella stessa impresa, pari all’ 8% trimestrale del numero di dipendenti a tempo
indeterminato presenti al suo interno.
Per ciò che concerne la disciplina dei fondamentali istituti economici e normativi inerenti il lavoro
interinale, la normativa nazionale si limita a sancire il diritto dei prestatori di lavoro temporaneo a
percepire un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto e a cui hanno diritto
i dipendenti di pari livello dell’azienda utilizzatrice. Infine per l’indennità di malattia, la situazione
dei lavoratori interinali dovrebbe essere in tutto e per tutto eguale a quella dei lavoratori a tempo
indeterminato. Secondo la legge, infatti, se un lavoratore interinale ha problemi di salute durante
una missione ha diritto alla conservazione del posto e all’indennità di malattia per un massimo di
180 giorni e nei limiti di scadenza del contratto di prestazione. In pratica, però, le cose vanno
diversamente, da un lato, infatti, le missioni sono generalmente brevi e vengono prorogate più volte
per cui il lavoratore che dovesse assentarsi per malattia ne potrebbe usufruire solo fino alla
conclusione della missione. Dall’altro lato, non è escluso che in caso di malattia l’agenzia provveda
a licenziare il lavoratore adducendo altre motivazioni. Data la natura precaria e transitoria del
rapporto stesso di lavoro episodi del genere sono difficilmente scoraggiabili dal punto di vista del
giusto modo di comportarsi e del rispetto reciproco.
Sul fronte della pensione non si può certo dire che i politici siano stati attenti in particolar modo alle
esigenze dei lavoratori atipici. La legge Biagi e la riforma delle pensioni si iscrivono, difatti,
nell’elenco dei provvedimenti di politica economica e sociali più significativi promossi dal
Governo. Eppure le due riforme non mostrano in maniera concreta delle sinergie tra loro. Quanto
più la legge Biagi si spinge a esplorare percorsi alternativi e innovativi sul fronte del lavoro, tanto
più la legge delega in materia previdenziale rimane ancorata ad un’idea tradizionale
dell’occupazione, sia essa dipendente o autonoma. Nello specifico la legge delega è carente
nell’individuare e regolare situazioni specifiche attinenti il lavoro atipico e in particolare
l’interinale.
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Le motivazioni degli imprenditori all’introduzione del lavoro flessibile
Il primo motivo addotto dagli imprenditori all’introduzione del lavoro flessibile in azienda è
l’esigenza di specifiche figure professionali, a cui segue quella di fronteggiare la variabilità del
mercato, e poi quella di ridurre i costi del personale. Fondamentale è il dato successivo relativo
all’introduzione del lavoro flessibile per provare il personale in vista di future assunzioni.
Sensazione che viene confermata, anche, come poi vedremo, dai racconti emersi dall’interviste
dirette effettuate.
Per ciascuna delle forme di contratto di lavoro flessibile adottate abbiamo poi le motivazioni che
hanno portato gli imprenditori a usare una delle forme flessibili previste dalla legge. I risultati sono
interessanti perché danno luogo ad una graduatoria specifica delle preferenze, talvolta addensate, su
una motivazione dominante, talaltra dispersa fra più motivazioni. In ogni caso, la formazione
rappresenta un fattore chiave per accedere alla possibilità di essere assunto.
Inoltre, le aziende pongono come vantaggio rispetto all’utilizzo di altre forme di contratti atipici, il
fatto che l’interinale è un rapporto lavorativo dal punto di vista formale esterno all’azienda, che
permette di non modificare la struttura del personale.
Un altro fattore che spinge le imprese a utilizzare un contratto di lavoro temporaneo piuttosto che
uno a tempo determinato, è costituito che la legge riconosce al primo maggiore libertà di proroga,
un massimo di quattro proroghe e per la durata complessiva di due anni.
Relativamente all’uso delle proroghe, inoltre, le interviste effettuate e i dati in nostro possesso
mostrano che la maggior parte delle aziende richiedono inizialmente missioni brevi per poi
rinnovarle, anche se già all’inizio si conosce il bisogno del lavoratore per più tempo. La prima
missione funziona, impropriamente, da periodo di prova. D’altronde lo stesso limite delle proroghe
può essere facilmente aggirato lasciando il lavoratore a casa per qualche giorno, magari durante le
ferie estive, cosi da non pagarle, e facendo iniziare allo stesso lavoratore una nuova missione con le
stesse mansioni.
Infine un vantaggio dall’uso dell’interinale è costituito dal poter testare il lavoratore e quindi di
usare il contratto temporaneo come periodo di prova vero e proprio per assumere poi il lavoratore al
termine delle missioni.
Ma la diffusione delle Agenzie di lavoro interinale deriva in gran parte dalla esigenza di favorire
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. La capillare presenza di alcune Agenzie sul territorio
nazionale ha permesso la selezione e l’invio di manodopera dalla zone ad alta disoccupazione del
paese a quelle dove era maggiore la richiesta. Del resto è facile pensare a tal proposito che la
riforma dei servizi per l’impiego sia partita dopo l’introduzione dell’interinale viste le sostanziali
inefficienze del settore pubblico.
Le lamentele portate dalle Agenzie sono che solitamente vengono richiesti lavoratori con
professionalità di difficile reperimento e la diffusa “infedeltà” delle aziende che si rivolgono a più
di un Agenzia. In alcuni casi, le filiali lamentano che i lavoratori rifiutino con troppa facilità le
missioni proposte, dovuta al fatto che nel frattempo il lavoratore ha trovato un’altra missione con
un’altra agenzia oppure ha già trovato un lavoro stabile.
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Ragioni della scelta, motivazioni e aspettative
I contratti interinali rappresentano, per i soggetti che non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro
o hanno trovato difficoltà a farlo, un canale privilegiato di accesso all’occupazione. Sebbene nel
nord-est la disoccupazione sia a livelli molto bassi il mercato del lavoro locale stenta a trovare la
giusta comunicazione tra domanda e offerta.
La difficoltà principale per chi intende proporsi all’azienda sta nel reperire i canali attraverso cui la
stessa opera le selezioni per l’assunzione. A volte si tratta proprio di conoscere l’indirizzo esatto.
Coloro che cercano un lavoro sono molto spesso disorientati dalle richieste dell’aziende e
mortificati dal non avere risposta dall’invio dei curriculum.
Analizzando i dati oggetto della ricerca risulta che quasi tutti gli intervistati indicano come ragione
della scelta di entrare in un agenzia interinale, la possibilità di trovare un impiego, anche se di
natura temporanea, senza doversi impegnare in interminabili invii di curriculum o di selezione delle
offerte nei vari annunci pubblicati sui quotidiani.
trovare un lavoro non è una cosa facile. Ho provato a iscrivermi alla liste di
collocamento ma non è mai successo niente. Ho inviato curriculum, ho fatto colloqui
ma sempre”vi faremo sapere, vi faremo sapere”. Ho speso un casino di soldi a
francobolli e giornali e niente. Alla fine sono andata da loro e dopo 2 settimane mi
hanno trovato una missione (Simona, 25 anni, estetista, in missione temporanea).
La possibilità di continuare e di trovare un lavoro di natura stabile e duratura rappresenta comunque
la volontà principale degli intervistati.
Chi dichiara di essere lavoratore interinale per necessità, in particolare, può trovarsi in tale
situazione perché aspira a un lavoro stabile e duraturo e non lo ha trovato e perché vede comunque
nel lavoro temporaneo uno strumento utile per guadagnarsi da vivere e per far parte del mondo del
lavoro.
mi sono detta come faccio a cercare lavoro? Ho mandato il mio curriculum e poi…è
uno dei modi per farsi conoscere. È uno dei modi per entrare nel mondo del lavoro.
(Francesca,32 anni, laureata in Scienze Politiche, al secondo rinnovo di missione come
centralinista
Le risposte, tuttavia, vanno analizzate con cautela in quanto potrebbero essere influenzate da
processi di razionalizzazione e probabilmente anche di auto-giustificazione. Non è sempre facile
rispondere con facilità sulla propria condizione lavorativa soprattutto per quei soggetti che si
trovano in una situazione non voluta o che aspirano da molto tempo a qualcosa di diverso. In questi
casi entra in funzione un meccanismo interiore che porta, appunto, ad accettare qualcosa che non si
voleva come se fosse sempre stato un obiettivo da raggiungere. Subentra un meccanismo di
autogiustificazione verso l’interlocutore che maschera una complessa situazione di fondo, che, in
alcuni casi, sfocia in un malessere celato dietro la maschera di soddisfacimento e accettazione per la
propria posizione.
Un’altra spinta interessante per chi si rivolge all’agenzie interinali viene per le persone in cerca
della prima occupazione che vedono la possibilità di entrare a far parte del mondo del lavoro e
maturare qualche esperienza, visto che in molte selezioni del personale viene richiesta un esperienza
specifica per il lavoro che si andrà a svolgere.
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Dovevo fare esperienza perché in quasi tutti gli annunci che mi piacevano cercavano
gente che aveva già avuto altri lavori. Cosi visto che avevo appena finito la scuola
l’unica possibilità che mi rimaneva era accettare qualcosa anche di temporaneo pur di
avere un curriculum (Antonella. 20 anni , assunta a tempo indeterminato dopo l'invio in
missione)
Discorso del tutto diverso è per gli studenti che nella pausa estiva allorché il periodo di studi va in
pausa sono disposti a lavorare stagionalmente per avere un’entrata di denaro per pagarsi gli studi
dell’anno a venire o le vacanze. In questo caso, in particolare, il lavoro interinale è visto come un
bene e la ricerca di un contratto a tempo indeterminato non è tra gli obiettivi degli interessati.
Almeno a breve scadenza.
Le agenzie interinali in questo senso, alla luce, anche, dei nuovi interventi legislativi, risultano
essere un valido strumento di incontro tra le esigenze del lavoratore, e le esigenze delle aziende, che
hanno delle difficoltà a selezionare e comunque trovare il personale adeguato ad un determinato
tipo di mansione.
vedo l’agenzia interinale come un posto che ti può far conoscere altri posti oltre a
quelli che puoi conoscere tu diciamo puoi ricevere proposte di negozi, aziende che
magari tu non conosci, una cosa in più. (Francesca,32 anni, laureata in Scienze
Politiche, al secondo rinnovo di missione come centralinista).
Una volta entrati in azienda per il lavoratore potrebbe aprirsi l’opportunità di mettersi in luce e di
essere preso eventualmente in considerazione per un’assunzione:
All’inizio per far vedere quello che valevo ho dovuto lavorare come un pazzo, ma alla
fine sono stato premiato e mi hanno assunto. (Giorgio, 27 anni, diplomato, operaio
addetto macchina a controllo numerico).
Ma questo è il racconto di chi c’è l’ha fatta. Altro discorso è per chi è stato illuso ed alla fine è
rimasto disoccupato come prima.
All’inizio mi avevano promesso che sarei stato assunto senz’altro se andavo bene
perché l’azienda era in crescita e c’era bisogno di gente. Cosi mi sono rimboccato le
mani ed ho accettato di tutto. Turni di lavoro assurdi, straordinario sempre e
comunque. La mia ragazza andava di testa. Alla fine però mi hanno sfruttato come un
cane e poi mi hanno detto che siccome erano venute meno due grosse commesse non
sarei potuto rimanere, però hanno preso altri due in missione dall’agenzia (Paolo 29
anni, diploma elettrotecnico, in missione temporanea).
In questo caso, quello che rimane al lavoratore è l’aver fatto esperienza, un nuovo elemento per il
suo curriculum, la paga per il lavoro effettivamente svolto, ma è stato giocato nelle sue profonde
aspirazioni.
Bisogna, pertanto, fare delle distinzioni: per alcuni lavoratori interinali, infatti, le possibilità di
assunzione sono reali, mentre per altri sono molto ridotte se non inesistenti. Soprattutto nelle
mansioni in cui è difficile trovare lavoratori, le aziende usano l’interinale come periodo di prova in
vista di una futura assunzione. Questi casi, tuttavia, appaiono più rari se paragonati ai casi di chi
utilizza l’interinale nello spirito con cui nasce e cioè di un periodo di tempo limitato in cui l’azienda
si serve di un lavoratore per svolgere un determinato lavoro per poi rimandarlo a casa appena finito.
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La speranza del lavoratore di trovare un contratto a tempo indeterminato non viene mai meno.
Questo soprattutto nei grandi marchi dove le attese dei lavoratori sono più alte per il grado di
fiducia e di prestigio sociale che lo stesso marchio può avere nell’immaginario collettivo.
Ci sono buone possibilità di essere assunta a tempo indeterminato perché è una grossa
azienda,ha moltissimi dipendenti e comunque so che è un'azienda seria (Erica, 27 anni).
Infine, altri soggetti che possono trovare vantaggio nell’avvalersi dei servizi dell’agenzie interinali
sono i lavoratori con una certa età che in qualche modo non fanno più parte del mondo del lavoro e
vogliono riprendere se pur per breve periodo l’attività lavorativa.
Ho più di 60 anni. Sono in pensione. Mio figlio deve sposarsi e io a casa senza far
niente non ci so stare. Cosi mi sono detto provo in queste agenzie, che me ne ha parlato
il mio amico che gli hanno trovato un lavoro per suo figlio. E alla fine eccomi per
qualche mese a guadagnare qualcosa perché ormai con la pensione non ci fai più
niente. Nemmeno la carne riuscivamo a comprare (Ezio, 63 anni, in pensione).
Tuttavia, l’intervista precedente ci da l’opportunità di evidenziare come il fenomeno della precarietà
non è solo una condizione giovanile, ma, in alcuni casi, riguarda e colpisce anche le persone che
sono in età avanzata.
Le donne appaiono maggiormente penalizzate da questo sistema perché a volte i rinnovi dei
contratti potrebbero prorogarsi a lungo, mettendo in serio dubbio la capacità di programmare una
vita familiare certa fatta di matrimonio e quindi di gravidanze. Rimandando, di conseguenza, la
decisione di avere un figlio.
Mi hanno cacciato dopo 3 rinnovi perché alla fine dopo più di un anno e mezzo non c’è
l’ho fatta più ad aspettare e sono rimasta incinta e mi hanno aiutato i genitori di mio
marito, che volevano tanto essere nonni.
Appena finita la gravidanza l’agenzia mi ha mandato in missione da un’altra parte. Ma
nel frattempo non ho preso nemmeno un soldo e nemmeno un giorno di ferie (Simona,
25 anni, estetista, in missione temporanea).
Sul versante dell’imprenditoria è chiaro che non tutti possono essere imprenditori e che per mettersi
in proprio è necessario disporre di capitale, di idee o di un eventuale specializzazione competitiva.
Nella Regione oggetto della ricerca, di certo, gli stimoli e le possibilità di mercato non mancano, ma
inserirsi in tale contesto non è di sicuro facile (Diamanti, 1996). La maggiore barriera è
l’investimento iniziale necessario per avviare un’attività autonoma.
Ho iniziato perché mio zio che aveva un negozio si è gravemente ammalato, io ero
ancora a scuola, ho mollato la scuola e sono andata a gestire il negozio, quindi ho
iniziato così. Ma alla fine non ce l’abbiamo fatta (Erica, 27 anni, scuola media, in
missione temporanea)
Sto aspettando di mettere da parte un po di soldi perché con i miei amici vogliamo
aprire un bar (Monica, 22 anni, scuola media, commessa).
Non è facile partire da soli all’inizio devi avere qualche spinta oppure sei già figlio di
qualcuno importante perché altrimenti è difficile che ti fanno entrare. Vedi la loro è una
casta. Se non hai gli appoggi giusti ti segano fuori subito (Paolo 29 anni, diploma
elettrotecnico, in missione temporanea).
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A me non interessa mettermi in proprio perché sto bene cosi. Alla sera mi voglio andare
a dormire tranquillo che ho fatto quello che dovevo fare e non devo pensare ad altre
cose quando sono a casa. (Giorgio, 27 anni, diplomato, operaio addetto macchina a
controllo numerico).
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La flessibilità per sopravvivere o per morire
Il nuovo mercato mondiale è dominato da una serie di interconnessioni globali che non possono più
lasciare che uno Stato pensi di isolarsi per poter agire al suo interno secondo regole e leggi che non
tengano conto della specificità della concorrenza internazionale. Le opzioni tipiche per la
competizione internazionale sono essenzialmente due: quella sui costi (e sul prezzo) o quella sulla
qualità (Fiorentini, 2003).
A tal proposito le richieste del mondo imprenditoriale di un mercato del lavoro più flessibile
(Fumagalli, 2003) sono da iscriversi nella ricerca della riduzioni dei costi per raggiungere gli stessi
livelli dei paesi con un costo della manodopera notevolmente inferiore come quelli dell’est europeo
o dell’Asia (Confindustria). L’eccessivo costo e rigidità della manodopera con la sindacalizzazione
eccessiva delle aree più sviluppate sono i principali motivi che spingono le aziende ad andare a
produrre nell’aree asiatiche o dell’est (delocalizzare) (Montezemolo, 2004) o a ricercare dei terreni
greenfield (Vitale, 2001).
Nell'ambito della riduzione e dell'eccessiva rigidità del costo del lavoro si sta discutendo molto
negli ultimi tempi di lavoro flessibile. La questione è sotto gli occhi di tutti per gli aspetti cruciali
che lo stesso ha sulla ristrutturazione del mercato del lavoro. Eventi di cronaca, delitti come quello
di Marco Biagi, attentati a sedi delle agenzie di lavoro temporaneo e la costituzione di nuovi
movimenti che si rifanno alle lotte operaie dei decenni passati sono esempi di come “il mercato del
lavoro è il punto nevralgico che lega insieme i mutamenti dell’economia e la vita delle persone che
vivono nella nostra società.” (Magatti, 2003).
Le diverse parti in causa, portano vari argomenti per sostenere la tesi che la flessibilità sia
l’evoluzione del sistema di produzione per cercare di mantenere la competitività delle aziende,
perché produrre oggi vuol dire rispondere alla domanda, non farla dipendere dall’offerta di merci,
come era il caso dell’economia fordista (Marazzi, 2001) o, al contrario, che la flessibilità sia un
attacco generalizzato ai risultati ottenuti in materia di lavoro dopo gli anni di lotta passati da pochi
decenni (Gallino, 2001).
In generale, gli effetti diretti della flessibilità, favorevoli alle imprese sono chiari, mentre quelli
indiretti, di cui si dovrebbe avvantaggiare la collettività, sono più ambigui e incerti o comunque
sono derivati e mediati dalle scelte politiche e sociali della classe che detiene il potere economico. Il
vantaggio immediato delle aziende si traduce in una maggiore adattabilità alla volatilità della
domanda dei mercati mondiali, “ licenziare permette alle imprese di adeguare i costi all’andamento
generale dell’economia” e in una riduzione dell’attività di screening, vale a dire l’attività di
selezione del personale attraverso la verifica delle qualità e delle attitudini dei lavoratori neoassunti
(Accornero, 1999). La flessibilità, inoltre, dal punto di vista degli imprenditori ha il vantaggio di
ridurre i costi di monitoraggio dei lavoratori: il rischio di perdere il posto di lavoro ha la funzione di
attivare la disciplina e di aumentare la produttività (Rangone, 2003).
Molti fautori della flessibilità asseriscono, inoltre, che le imprese potrebbero assumere di più senza
avere il peso di doversi tenere un dipendente anche nelle condizioni economiche in cui non serve. In
pratica, più facilità di licenziamento vorrebbe dire più facilità di assunzioni o, anche, il part-time,
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“lavorare tutti, lavorare meno” è stato uno slogan molto usato negli anni passati (Giovanetti, 2000).
Gli aspetti descritti si rafforzano a vicenda, nella misura in cui le imprese godono di ottima salute
sono più disposte ad assumere.
In primo luogo, è evidente osservare che permettere alle aziende di adeguare la forza lavoro
necessaria alle richieste del mercato non può che essere un evidente vantaggio strategico e che
quindi rafforzi la posizione strategica nel mercato delle aziende interessate.
Poi nella particolare situazione di un mercato del lavoro complesso, come potrebbe essere quello
del nord-est, il lavoro atipico andrebbe a soddisfare, nel breve periodo, le esigenze di vita di un
giovane che studia e che vuole disporre di un po’ di soldi, il pensionato che vuole arrotondare il suo
reddito, la donna che vuole rendere il suo impegno familiare compatibile con un’attività lavorativa.
Tuttavia questi argomenti non devono essere un cavallo di troia per una deregolamentazione
complessiva del mercato del lavoro attraverso un’estensione dei principi e della pratica del lavoro
atipico. (Fullin, 2002); perché per avere una valutazione socialmente ed economicamente corretta è
necessario tenere presente tutti gli effetti della flessibilità, sia quelli positivi a vantaggio dei
produttori che quelli negativi che ricadono sui lavoratori. Diventa indispensabile a tal punto
costruire un quadro d'insieme di lungo periodo che tiene conto delle richieste e delle esigenze di
tutti gli attori sociali coinvolti.
Per i lavoratori la scelta di essere temporaneo riflette una condizione del pensiero che li porta a
prendere quel poco offerto per non rimanere totalmente senza reddito accettando forme di lavoro
instabili perché privi sostanzialmente di alternative o di opportunità migliori. Il lavoro temporaneo
oltre a essere uno strumento per non rimanere senza alcuna entrata economica nel breve periodo è
considerato, anche, come un tramite per la speranza, a volte, incoraggiata e sempre presente di
arrivare al tanto sospirato tempo indeterminato. Oramai, l’assunzione definitiva passa attraverso un
contratto a tempo determinato o ad un altro contratto di natura temporaneo. Una sorta di screening
delle qualità e delle attitudini del candidato. Concretamente, poi, in molti casi i contratti temporanei
sono utilizzati come periodo di prova e appunto di selezione tra i diversi candidati. Nella realtà
mostrataci dalla ricerca è quasi impossibile ottenere fin dal principio un’assunzione a tempo
indeterminato, se non per categorie di lavoratori con un elevato titolo di studio o provviste di un
elevata specializzazione e di esperienza, senza prima passare per una forma di contratto flessibile o
di uno stage.
Le difficoltà riscontrate nelle interviste ai lavoratori atipici dimostrano, difatti, che pressoché la
quasi totalità dei soggetti intervistati è alla ricerca di un lavoro sicuro e stabile per tutta la vita per
costruire un progetto di vita più ampio e di lungo termine come quello della famiglia e della casa o
più semplicemente dell’acquisto di un automobile, ma deve confrontarsi con una “realtà lavorativa a
breve” che non gli permette di prendere decisioni in tal senso che gli consentirebbero di transitare
dalla condizione di giovane precario a uomo certo nelle sue scelte.
Il mercato mondiale del lavoro sta imponendo qualcosa che i lavoratori non vogliono perché è
minata la base stessa della loro vita.
La condizione di temporaneità porta gli stessi soggetti a vivere una vita basata sull’insicurezza e su
un futuro senza certezze. L’incertezza è la forma dominante del lavoratore temporaneo, che è
tramutata in stress nel momento in cui si è alla scadenza della missione. La decisione se il rinnovo
della missione si concretizzi o meno avvenga con scarso anticipo rispetto alla fine della stessa lascia
molto perplessi e instaura un processo non facilmente individuabile a livello emotivo nella persona
interessata L’impatto sul mercato e sulle condizioni di vita delle moltitudini è tutto da osservare, ma
di certo la qualità della vita non può essere slegata da un adeguata e continua remunerazione per il
lavoro svolto.
Un individuo che non sia in grado di formare previsioni credibili sulla possibilità di realizzarsi
professionalmente, non sarà nemmeno in grado di formulare piani di investimento finanziari,
immobiliari o più semplicemente familiari. Gli effetti sul complesso sistema socioeconomico sono
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dirompenti sia a livello demografico, che sui mercati finanziari e dei beni, riducendo capacità di
crescita e stabilità (Chies, 2003).
Purtroppo, poi, in alcune aziende, le affermazioni dei lavoratori ci portano a credere che il lavoro
temporaneo sia usato in maniera abbastanza sistematica e programmata di anno in anno e che,
quindi, i motivi principali per cui è stato introdotto lo strumento dell’interinale dal legislatore
vengono totalmente stravolti e che lo stesso sia utilizzato per altri obiettivi dai datori di lavoro.
Nell'ampio panorama dei lavori temporanei, bisogna tener conto, anche, che le donne risultano
essere le più svantaggiate perché i contratti flessibili diventano un potente incentivo a non
assumerle a tempo indeterminato per non essere costretti a far ricadere sulla gestione aziendale
eventuali periodi di maternità. La scelta di partorire rappresenta un aspetto particolarmente
rischioso per le donne "atipiche" perché potrebbe compromettere la propria forza contrattuale in
vista di una futura missione interinale o contratto temporaneo.
Si stanno creando le condizioni perché cosi come la descrive Beck sorga una società del rischio
(Beck, 2000) a causa di una nuova sopraggiunta incertezza del modo di vivere. Intesa come
adattabilità, provvisorietà, vulnerabilità e cambiamento continuo. La flessibilità non è solo un
principio applicabile alla sfera economico-produttiva ma porta e distende i suoi effetti nella
strutturazione dei ritmi di vita dell’uomo moderno (Sennet, 1999).
Pertanto, alla luce delle interviste effettuate sembra che la condizione di temporaneità sia una
situazione subita che piuttosto scelta per la maggior parte dei casi e che assuma la veste di periodo
iniziale a cui sottoporsi per raggiungere nei casi fortunati il tanto desiderato contratto a tempo
indeterminato. L'evidenza di questi anni confermati dall'interviste effettuate dimostra che la
riduzione dei vincoli all’impiego del lavoro produce maggiori possibilità di inserimento nel mondo
del lavoro, per i giovani è più facile trovare lavoro, ma è al contempo divenuto relativamente
difficile e lungo giungere ad un’occupazione stabile, cioè al tipo di contratto di lavoro che è
richiesto nella maggior parte dei casi dai lavoratori. (Fullin, 2002). Per molti lavoratori instabili uno
degli obiettivi fondamentali è quello di evitare di rimanere intrappolati nei circoli viziosi della
precarietà (Magatti, 2002) . Nel mondo dei temporanei non è tanto importante la mansione svolta o
il riconoscimento sociale che ne deriva ma diventa fondamentale la proiezione della propria
condizione lavorativa e la possibilità di esistere nel mondo del lavoro anche nel futuro. La
precarietà dovrebbe essere una tappa del percorso lavorativo e non una trappola in cui rimanere
invischiati. Essere temporanei o venire espulsi da un mercato del lavoro strutturato in maniera
flessibile in età avanzata per i soggetti che non godono di particolari competenze o "paracaduti
sociali" può essere traumatico e potrebbe voler significare l’inizio di un percorso estremamente
arduo per tornare ad essere occupati. In questo i giovani disoccupati sono toccati positivamente, ma
solo nel breve periodo, dalla flessibilità al momento di un incarico di lavoro temporaneo per una
prospettiva, seppur limitata, di reddito (Fullin, 2002),ma nel lungo periodo si paga in maniera
sostenuta il vantaggio iniziale.
L’incremento di instabilità dei flussi di reddito da lavoro è proprio l' effetto indiretto più temuto del
processo di precarizzazione del mercato del lavoro. La stessa flessibilità salariale e la politica dei
redditi hanno di fatto contribuito ad una dinamica del salario che non è riuscita a mantenere costante
il potere di acquisto, non consentendo di recuperare gli incrementi di produttività . (Fumagalli,
2003) contribuendo a innescare effetti economici disinflattivi estremamente importanti (Marazzi,
2001).
La precarietà del reddito è nei casi più fortunati gestita e sopportata tramite la famiglia d'origine, i
legami sentimentali o altri fattori sociali esterni che sono essenziali per essere usati come
paracadute di tipo economico per sopportare i periodi in cui non si hanno entrate economiche. Ma
non tutti i lavoratori sono in grado di gestire positivamente la sfida del reddito incostante che la
flessibilità richiede.
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Le prospettive temporali di lungo termine modificano, quindi, profondamente l’intera visione della
situazione. Nel caso in cui la congiuntura economica sia favorevole perdere il lavoro o il rinnovo
della missione a causa dell’andamento non brillante dell’azienda in cui si presta la propria opera
può non essere preoccupante; se però l’andamento dell’economia in generale è negativo la
probabilità di trovare un'altra sistemazione sono drasticamente poche (Rangone, 2003) Poiché per
natura, l’andamento dell’economia è ciclico (Galbraith, 1994), il tipo di contratto di lavoro offerto
in base a tale ipotesi non può che essere discontinuo perciò non definito o meglio non sicuro e certo
nel lungo periodo e cosi le prospettive di vita che si possono costruire su un mercato del lavoro,
strutturato sulla flessibilità, non possono che essere aleatorie ed incerte. L’acquisto di una casa, la
costruzione di una famiglia necessitano di una stabilità richiesta dai lavoratori che il sistema
strutturato in maniera flessibile e senza i dovuti accorgimenti non è in grado di garantire (Gallino,
2003). Entrano in gioco a questo punto le politiche sociali e la scelta sul tipo di organizzazione
sociale che viene creata dai governanti. Nello specifico caso italiano è evidente che le politiche
sociali attive in questo contesto risultano del tutto assenti ingiustificati. Le spese per le politiche
attive relative alla copertura dei rischio di disoccupazione sono tra le più basse d'Italia (12 miliardi)
al contrario degli ammortizzatori che si inquadrano nei sostegni passivi (20miliardi), (Il sole 24 ore
del 19 gennaio 2005- dati riferiti all'ultimo triennio). Contestualmente gli individui tendono a essere
strettamente dipendenti dalle risorse che le istituzioni mettono in campo per sostenere i problemi
generati dalla flessibilità. Le condizioni necessari perché la flessibilità non destrutturizi del tutto il
tessuto sociale sono dettate, pertanto, da una serie di scelte e condizioni istituzionali che non
possono essere prese o costruite dall'individuo da solo.
La particolare situazione del nord-est, per quel che riguarda, l’autopercezione dei soggetti porta,
comunque, i lavoratori più giovani a non preoccuparsi più di tanto del reddito da lavoro perché le
considerazioni circa il tessuto economico della zona portano alla convinzione che alla fine qualcosa
si trova sempre. Situazione che cambia radicalmente per chi non corrisponde all’identikit della
condizione giovanile temporanea ed ha necessità di una stabilità contrattuale per gestire le decisioni
di lungo tempo.
Altri aspetti della flessibilità, da tenere in considerazione e che se non direttamente imputabili ad
essa sono quantomeno correlati e ricercati dai sostenitori del dibattito, sono che la flessibilità può
essere un prezioso strumento di un attacco generalizzato al diritto del lavoro, contribuendo alla
frammentazioni delle classi lavoratrici e delle loro forme associative, e che può essere un ulteriore
contributo alla de-responsabilizzazione dell’impresa che nello stesso tempo incrementa e comporta
rilevanti oneri personali e sociali, a carico dell’individuo, della famiglia e della società (Gallino,
2003). A farne le spese è soprattutto lo strumento sindacale che viene visto dagli intervistati come
un soggetto necessario alla regolazione dei contratti di lavoro, ma che, tuttavia, nella realtà non
dimostrano di gradire o di volere contatti con le organizzazioni dei lavoratori.
La difficoltà rilevata in molti lavoratori e che l’esperienza individuale delle missioni non permette
di ricondursi facilmente ad un gruppo o ad una massa detentrici di diritti. Inoltre, molte volte, la
competizione tra i diversi temporanei per arrivare all’ottenimento del contratto a tempo
indeterminato, porta a non avvalersi dei propri diritti sindacali per paura di eventuali ritorsioni del
datore di lavoro. E’ abbastanza facile da capire che all’imprese interessano di più i lavoratori che
sono slegati da rivendicazioni di tipo sindacale o che sono più inclini ad accettare senza troppe
pretese le decisioni della direzione aziendale.
La prima preoccupazione dei temporanei è diventare a tempo indeterminato, poi vengono tutte le
altre necessità. La missione per chi ha interesse a rimanere è una vera e propria full immersion dove
dimostrare la fedeltà e l’attitudine per il lavoro che propone l’azienda. Quindi non c’è spazio per
rivendicazioni o situazioni che possono inficiare la fiducia verso la direzione.
Alla fine l’esperienza soggettiva tende a far venire meno l’identificazione con una mansione o una
categoria contrattuale definita che abbia un’effettiva dimensione aggregante. D'altronde la
competizione per raggiungere la meta desiderata porta in alcuni casi delle conflittualità
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difficilmente gestibili sul luogo di lavoro tra gli stessi temporanei che vedono il collega come colui
che può sottrarre una grande opportunità per la vita. Siamo ancora lontani dai tempi in cui tutti i
temporanei si sentano legati dagli stessi diritti, anche perché oltre la condizione stessa di
temporaneità vi subentra come detto quella di competizione per raggiungere l’obiettivo primario
della occupazione stabile.
Da sottolineare, tuttavia, la relativa giovane età dello strumento dell’interinale in Italia e che,
pertanto, in seno agli stessi sindacati non esistono, ancora, valide strutture organizzative che
permettano di gestire in maniera corretta la situazione .
In conclusione, “Il lavoro flessibile può non piacere, al lume di una concezione puramente
mercantile del lavoro, ma è qui per restare a lungo, poiché è strettamente connaturato con i modelli
organizzativi e le tecnologie delle imprese del XXI secolo. Si può contrastarne gli eccessi, cercare
di regolarlo, trovare i modi per renderlo più sopportabile. Ma v’è da temere che il ritorno a un
lavoro “normale” per tutti, vada ormai considerato una generosa illusione.” (Gallino, 2003).
“Le profonde mutazioni in corso dell’economia mondiale, la rivoluzione tecnologica e informatica,
la fine dell’epoca fordista della grande fabbrica e il ridimensionamento delle imprese, i costi del
welfare, la concorrenza internazionale, l’ingestibilità degli apparati pesanti e i desideri dei
consumatori hanno determinato la fine del posto fisso” (Giovanetti, 2000).
Si tratta, allo stato attuale, di cercare di discutere e confrontarsi attorno a quale idea di flessibilità si
intende lavorare. Perché non c’è una sola flessibilità ma ce ne sono tante. Alla luce di ciò è utile
cominciare a distinguere tra una flessibilità per sopravvivere e una flessibilità per morire. C’è una
flessibilità che “è quella capacità funzionale da cui le imprese non possono più prescindere se
vogliono resistere alle nuove sfide imposte dal regime di competizione globale (Marazzi, 2003) e
c’è una flessibilità che si rischia di tradursi in precarietà socialmente insopportabile. (Dell’Aringa,
2002).
Per evitare ciò è indispensabile che cambi il modo in cui è strutturata la produzione mondiale e cioè
che si riconfiguri il mercato secondo un ottica di tutela per tutti i lavoratori coinvolti cosi che
sopportare i costi della competizione globale non siano solo i lavoratori e le parti più deboli.
In un ottica globale delle spinte positive per il contrasto alle forme estreme di flessibilizzazione
potrebbero venire da masse coese di cittadini-consumatori che con il loro agire consapevole
riuscirebbero a condizionare in maniera profonda e incisiva le decisioni economiche delle aziende
attraverso forme di boicottaggio del consumo generalizzate.
Esempi di successo sono le campagne di boicottaggio lanciate contro delle famose multinazionali
dell’abbigliamento da Naomi Klein attraverso il libro No Logo, che sono state costrette a rivedere i
termini di alcune condizioni di produzioni nelle zone maggiormente sfruttate.
Il consumo rappresenta un’altra fantastica arma insieme ad un mercato globale del lavoro per
sanzionare i comportamenti delle aziende che non rispettano adeguatamente i diritti sociali di tutti,
contribuendo a realizzare una responsabilizzazione delle aziende per il territorio in cui si annidano.
Inoltre, potremmo riferirci ad una nuova lotta per i diritti del lavoro, combattuta su scala mondiale
che veda come attori tutti i soggetti interessati, quindi i lavoratori e cittadini di tutte le nazioni del
mondo. In pratica, anche se, ragionando in maniera alquanto improbabile, si tratta di creare un
mercato globale del lavoro che vede come controparte il già esistente mercato economico globale.
Perché bisogna tener presente che e’ estremamente difficile e quasi impossibile lottare su scala
locale quanto l’avversario dispone di tutto il mercato globale per controbattere.
In questo modo le giuste rivendicazioni dei lavoratori, non potranno più essere travalicate e non
accettate attraverso il semplice disimpegno in aree dove le richieste dei lavoratori sono
puntualmente annullate e messe da parte per evitare una disoccupazione di massa.
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Tenendo conto della situazione attuale non ci rimane che affermare che la flessibilità esiste già,
inutile concentrarsi su richieste pressoché tautologiche (Accornero, 1999) ma non si può di certo
dire dove la flessibilizzazione incontrerà ostacoli oggettivi di natura economica o limiti di natura
politica e sociale, né quali categorie professionali, settori e reparti saranno esclusi da essa.
In conclusione, in una società che sia giusta ed equa bisogna tenere conto delle richieste di tutti.
Non si può relegare ai margini quella parte di lavoratori che chiede i lavori offerti dall’agenzie di
lavoro temporaneo, ma nello stesso, ed è più difficile da affrontare, non si può, assolutamente,
lasciare che le nuove forme di flessibilità contrattuale lascino libero spazio a situazioni di
destabilizzazione della società e di attacco generalizzato ai diritti in materia di lavoro è, pertanto,
necessario individuare qual è “la misura in cui il bene della nazione, cioè, dei suoi cittadini, dipende
dal buon andamento delle sue imprese” (se le imprese vanno bene possono assumere di più) e
stabilire in maniera adeguata quali sono i meccanismi che regolano i trasferimenti di ricchezza da
un settore all’altro, cioè “come viene regolata l’effettiva possibilità che i sacrifici ottenuti dai
lavorati nel loro insieme si traducano prima o poi in aumenti di benessere”. (Rangone, 2003)
Quantomeno, bisogna ricercare quella flessibilità che è un incrocio tra le giuste esigenze degli
individui, per costruire una società vivibile e socialmente corretta, e che, nello stesso tempo,
coniughi le richieste di competitività sempre più imprescindibili del sistema economico mondiale.