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Introduzione
Questo lavoro di ricerca si propone di analizzare le travagliate vicende di un
quotidiano genovese, “Il Lavoro”, nel difficile decennio che va dal 1975 ed arriva al
1985. Quegli anni risultano essere densi di avvenimenti e ricchi di contrasti; l’Italia
galleggia tra democrazia bloccata e pericolo eversivo, tra crisi economica e boom del
Made in Italy, tra affollate logge segrete, diffuso malaffare e magistrati che indagano,
per lo più in solitudine. È il Paese della Milano da bere, dove, girato l’angolo, ti
imbatti nelle fabbriche in liquidazione. Genova conosce soprattutto il secondo aspetto
e, volente o nolente, dovrà reinventare la sua identità.
La ricerca si apre con una sintetica storia delle origini de “Il Lavoro”, nato nel 1903
grazie ad una sottoscrizione dei portuali genovesi ed all’intraprendenza del socialista
Giuseppe Canepa. Sarà per decenni il giornale dei lavoratori, non solo quelli del
porto, manterrà orgogliosamente, fino al 1945, la sua autonomia dal PSI e sfiderà la
repressione fascista, arrivando ad essere, proprio negli anni trenta del Novecento, il
primo quotidiano cittadino per diffusione. Conclude il capitolo la figura di Sandro
Pertini, paladino e bandiera dell’antifascismo, colto qui in una delle sue imprese solo
apparentemente meno eroiche: la ventennale direzione de “Il Lavoro”. È proprio con
Pertini che per Salita Dinegro iniziano i problemi, difficoltà testimoniate dal sorpasso
de “Il Secolo XIX” in termini di copie vendute.
Il secondo capitolo apre una lunga parentesi sul Partito socialista italiano e sulla sua
ramificazione genovese: si è ritenuto indispensabile, infatti, tracciare i confini
ambientali entro cui “Il Lavoro” si muove. Il PSI conosce cambiamenti epocali, sia
dal punto di vista organizzativo, sia da quello dell’insediamento sociale, mentre il
segretario Bettino Craxi capovolge i tradizionali canoni della comunicazione politica.
A Genova, invece, il vento del cambiamento fatica ad affermarsi, vuoi per la
mancanza di una figura che sovrasti politicamente le altre, vuoi per una sensibilità
diversa degli elettori: il socialismo ligure risulta così bloccato in una perenne lotta
fratricida tra le diverse fazioni più ancorato al suo passato che al suo futuro.
5
I capitoli 3 e 4 sono interamente dedicati al racconto delle vicende de “Il Lavoro”; da
un punto di vista logico esse costituiscono un continuum, ma, per facilitarne la lettura,
si è preferito dividerle in due parti.
Il terzo capitolo si apre con un’indagine sulle caratteristiche socio-economiche dei
lettori de “Il Lavoro” sulla base di una ricerca condotta da Chito Guala nel 1976, per
poi arrivare fino al 1980. È questo il periodo in cui il giornale precipita in una grave
crisi finanziaria che lo porta a svincolarsi dalla Federazione genovese del PSI per
costituirsi in cooperativa, mentre al direttore Paolo Vittorelli succede Ugo Intini e poi
ancora Cesare Lanza. Proprio sotto la direzione di quest’ultimo inizia un progetto teso
a trasformare “Il Lavoro” in un quotidiano meno impegnato, di più semplice lettura, a
tutto danno di un’informazione seria e completa. Il tentativo subisce una brusca
interruzione a causa di un nuovo cambio di proprietà.
Il quarto ed ultimo capitolo si intitola 1980-1985: il tracollo de “Il Lavoro”, è questa
una frase che può apparire troppo forte, eccessivamente azzardata. Ha, invece,
un’ottima ragion d’essere, determinata ancora una volta da uno dei tanti, troppi
contrasti di cui ha sempre vissuto Salita Dinegro: nel 1979 il quotidiano entra nella
galassia Rizzoli, florido e potente colosso editoriale e sorprendentemente entra in crisi
una seconda volta. Quella della Rizzoli, infatti, è una ricchezza di cartapesta,
destinata a crollare, che si regge su bilanci falsificati e losche amicizie. Nel momento
in cui scoppia lo scandalo P2 “Il Lavoro” ha una nuova e prestigiosa sede
amministrativa; Giuliano Zincone, direttore tra il 1979 ed il 1981, si è appena
dimesso, avendo appena saggiato lo stile Gelli in occasione del rapimento del giudice
D’Urso. Da quel momento il giornale viene abbandonato al suo destino, le
professionalità dei suoi lavoratori svilite. Il ritorno di Cesare Lanza, questa volta
anche editore oltre che direttore, provoca in redazione un vero e proprio conflitto,
caratterizzato da non pochi drammatici ed anche grotteschi episodi. Gli sforzi per
risollevare il quotidiano –concorsi a premi e feste, ma anche inedite aperture al
gossip- non danno esito ed “Il Lavoro” si avvia verso la scomparsa come testata
autonoma.
Chiude la ricerca un’appendice con una selezione di alcuni articoli tra i più
significativi pubblicati sul giornale nel decennio considerato.
Fatto singolare, la letteratura riguardante le più recenti vicende di Salita Dinegro è a
dir poco scarna, mentre i contributi più rilevanti hanno interessato il periodo 1903-
6
1945. La strada obbligata, allora, ha condotto ad un approfondito esame dell’edizione
genovese de “Il Lavoro”, reperita in forma cartacea.
L’ipotesi di partenza di questo lavoro intende dimostrare la progressiva divergenza
politica, ma anche culturale, tra i lettori de “Il Lavoro” e l’elettorato socialista
craxiano. È questa un’ipotesi che risulta confermata: non si spiega altrimenti il
fallimento del progetto di Lanza, craxiano dichiarato, teso a mutare geneticamente il
pubblico di riferimento del giornale, attraverso una massiccia iniezione di argomenti
“frivoli” in netta controtendenza alla tradizione del quotidiano. Il disegno non riesce,
in parte a causa della particolarità della società genovese, dominata dalla Democrazia
cristiana e dal Partito comunista, in parte perché il nuovo corso del PSI in Liguria si
arena di fronte al persistere di un’accesa lotta tra correnti e ad una serie ininterrotta di
scandali politici che falcidiano il partito.
7
1. “Il Lavoro” da Canepa a Pertini
1.1 L’impresa di un giornale
Il 1903 rappresenta una data fondamentale per Genova e per l'intero mondo del lavoro
cittadino. Si era sul finire della primavera e da quel 7 giugno sarebbe stato possibile
acquistare, a cinque centesimi la copia, un nuovo quotidiano. Era nato "Il Lavoro".
Il nuovo arrivato non è, però, come tutte le altre pubblicazioni. La stessa sua
redazione, in Salita Dinegro, testimonia la sua vocazione, la sua attenzione per il
cuore economico di Genova, il porto, ma soprattutto per la gente che lo anima. È una
sede ottima per immergersi profondamente in quel mondo di traffici, sangue e sudore
cui i fondatori de "Il Lavoro" volevano dar voce
1
. Trascorso più di un secolo, spostato
a ponente il traffico delle merci, mutata la iuta con il metallo, possiamo solo
immaginare i rumori e gli odori che da banchine e bastimenti si spandevano su per i
vicoli della città vecchia, fino alle stanze del "giornale dei camalli", con i redattori
chini sulle loro scrivanie, impegnati a riferire di lotte, sconfitte e progressi dei
lavoratori portuali.
Tre sono gli artefici di quell'iniziativa: Giuseppe Canepa, avvocato di Diano Marina e
futuro deputato socialista, Gino Murialdi, portuale, ed il marchese Raggio. Sono loro
che si assumono gli oneri organizzativi. I fondi arrivano soprattutto grazie alla gente
del porto: una sottoscrizione dei lavoratori del carbone e dei facchini, tramite la
neocostituita Unione Regionale Mutue, Leghe e Cooperative, assicura al giornale la
tranquillità economica necessaria per decollare
2
.
1
Salita Dinegro è una lunga e stretta via che, affrontando un forte dislivello, collega Salita di Santa
Caterina con Villetta Dinegro. Si trova nel cuore di Genova, a pochi passi da Piazza Corvetto, Via
Roma e Piazza De Ferrari.
2
Riguardo alla proprietà, alla struttura della redazione ed alla composizione del giornale in quel
periodo, cfr., ad esempio, L. BORZANI, Per una storia di un quotidiano singolare. Nacque con i soldi
dei portuali genovesi “Il Lavoro” riformista, in «Problemi dell’informazione», XIV (1989), pp.77-98 e
M. MILAN, Giornali e periodici a Genova tra Ottocento e Novecento, in Storia della cultura ligure,
vol. III, a cura di D. PUNCUH, Genova, 2004, pp.477-544.
8
"Il Lavoro" non è certo il primo foglio d'ispirazione socialista nato a Genova, ma è
sicuramente il primo di quell'area politica a presentarsi sotto una veste di assoluta
efficienza, lontana da ogni parvenza di artigianalità o di precarietà. Canepa ne fa una
testimonianza concreta della sua concezione politica: progresso sociale tramite un
cauto riformismo e rifiuto di qualsiasi avventura improvvisata. Realizzando un
giornale accurato, tecnicamente all'avanguardia, sembra voler comunicare ai
"carbonini" che è arrivato il momento di alzare la testa, di abbandonare qualsiasi
complesso di inferiorità verso i ceti padronali, ispiratori dei quotidiani concorrenti
3
.
Proprio perché il progetto di Canepa e del suo gruppo è quello di radicarsi nella realtà
genovese, di dare un sostegno non effimero alla causa dei lavoratori, la scelta
dell'indipendenza è un passo obbligato. Il Partito Socialista Italiano ha già, dal 1896,
un organo ufficiale, l'"Avanti!". Diventare un giornale di partito implicherebbe per "Il
Lavoro" una minore libertà ed il rischio di sovrapporsi inutilmente al quotidiano
milanese. Il giornale sarà socialista, ma con l'autonomia necessaria per svolgere la sua
quotidiana critica della realtà. Ed è questo un compito in cui la redazione s'impegna
sin dal primo giorno: assume particolare rilievo la polemica anticlericale
4
. È una
politica che viene premiata dai lettori, anche se attira l'ostilità dei settori cittadini più
conservatori. "Il Lavoro" non è, però, solo un foglio locale: affronta questioni
nazionali e perfino internazionali.
Canepa, ormai deputato, domina la scena ligure e la sua statura intellettuale, unita al
suo cauto riformismo, gli attira le simpatie anche degli elementi più progressisti della
piccola e media borghesia. Da qui le fruttuose collaborazioni, soprattutto in campo
culturale, con poeti ed artisti. Aumenta anche lo spazio dedicato alla cronaca locale
(tradizionalmente uno dei punti di forza del quotidiano di Salita Dinegro), così come
le pagine su usi e tradizioni genovesi.
3
I principali quotidiani editi a Genova erano, oltre a «Il Lavoro», «Il Secolo XIX», voce del gruppo
industriale posseduto dalla famiglia Perrone, il «Caffaro», destinato ad una drammatica fine in epoca
fascista, «Il Cittadino», organo della curia genovese ed «Il Corriere mercantile», espressione della
finanza mercantile. Cfr. M. MILAN, Giornali e periodici a Genova tra Ottocento e Novecento, cit.,
pp.515-525.
4
Il culmine viene raggiunto nel 1910, quando alcuni sacerdoti sono implicati in episodi definiti torbidi.
T. CICCIARELLI, Il Lavoro, 1903-1945 in ID., Poesia e politica, Genova, Pirella Editore, 1992,
p.101.
9
L'avventura coloniale in Libia del 1911 offre a "Il Lavoro" l'occasione di
un'incessante azione di critica verso l'improvvisata spedizione giolittiana
5
. Carlo
Bordiga segue le operazioni belliche come inviato sul posto ed i suoi articoli
rimbalzano a Genova, suscitando un'eco profonda. Messa a nudo l'inutilità della
guerra e la disastrosa disorganizzazione delle truppe italiane, la situazione sfugge
rapidamente di mano: la redazione de "Il Lavoro" si ritrova assediata da una folla
inferocita che, al grido di "venduti!", lancia monetine. La voce messa in circolazione
era che Canepa ed i suoi avessero ricevuto finanziamenti dal governo turco. Notizia
falsa che, tuttavia, contribuisce alla crescente fama del foglio socialista.
Nel frattempo gli eventi incalzano inesorabili ed antiche e nuove tensioni incendiano
l'Europa. È la Grande Guerra. L'Italia si mantiene, per il momento, neutrale, mentre la
diplomazia tratta segretamente l'entrata nel conflitto al fianco della Triplice Intesa. Il
Paese si divide, le fazioni si scontrano: il popolo non vuole partecipare al conflitto,
teme un massacro ed un netto peggioramento delle condizioni di vita, le classi
dirigenti, per motivi diversi, si aspettano dallo sforzo bellico, e da una pace vittoriosa,
consistenti vantaggi.
"Il Lavoro" ed il suo direttore si schierano con la parte minoritaria dei socialisti, con
la frazione interventista. È una posizione scomoda, in aperto contrasto non solo con la
maggioranza massimalista del Partito Socialista Italiano, ma anche con la minoranza
riformista di Turati. Canepa stesso se ne fa esempio: lui, a cinquant'anni, segue i più
giovani, si arruola volontario in fanteria, è ferito e si guadagna una medaglia. Da
Salita Dinegro la copertura degli eventi bellici è capillare, le corrispondenze
trasudano patriottismo, anche se non mancano di rivelare, censura permettendo,
l'inferno delle trincee. Rimessosi dalle ferite, arriva per Canepa anche un incarico
istituzionale e con esso nuove critiche: per alcuni mesi, tra il 1916 ed il 1917, è
commissario ai consumi nel governo Boselli
6
.
5
Cfr., sul conflitto italo-turco del 1911-12, A. DEL BOCA, Gli italiani in Libia (2 voll.), Milano,
Mondadori, 1997 e S. ROMANO, La quarta sponda. La guerra di Libia: 1911-1912, Milano,
Longanesi, 2005.
6
"Il Lavoro", naturalmente, appoggia la scelta. Giuseppe Andrinelli commenta: "Per assumere una
responsabilità così grave occorreva un uomo schivo di quella falsa popolarità che è fatta di viltà di
fronte alle inframmettenze dei parlamentari e in genere dei politicanti, e di debolezze di fronte alla
gelosa dittatura della burocrazia: un uomo insomma che avesse veramente il senso della
responsabilità che fa tanto difetto alla generalità dei nostri governanti. [...]". T. CICCIARELLI, Il
Lavoro, 1903-1945, cit., p.112.
10
Il 1917 porta un vento nuovo in tutta Europa: il sostegno alla rivoluzione russa è in
teoria entusiastico, anche se persistono differenze interpretative e motivi di
perplessità. Il moto rivoluzionario fa a pugni con la linea riformista che "Il Lavoro"
porta avanti fin dalla fondazione. Sussistono, però, anche motivi più concreti: grazie
alla sua prudente politica ed al sostegno all'interventismo, il giornale ha saputo
consolidare ed estendere la sua influenza tra la piccola e media borghesia. Proprio
quei settori borghesi non esiterebbero a volgersi verso soluzioni reazionarie al
minimo "sentore di Soviet". Sente, quindi, il dovere di rassicurarli, mentre altrove i
socialisti italiani inneggiano a Lenin.
La pace è la fine delle illusioni dei socialisti interventisti: il conflitto del 15-18 non è
la guerra che pone fine a tutte le guerre. Nuove tensioni emergono più forti che mai e
l'Europa inizia a dibattersi tra insurrezioni popolari e repressioni sempre più violente.
Il PSI si riunisce a congresso alla fine del 1919, discute della situazione. I tempi
sembrano maturi per una svolta e, d'altra parte, le pressioni che arrivano dalla Russia
dei Soviet si fanno sempre più forti. La mozione Serrati, al grido di "rivoluzione!",
ottiene la maggioranza; i gruppi riformisti appoggiano la mozione massimalista
unitaria di Lazzari
7
.
Canepa, che fa dell'autonomia una bandiera, non accetta la quasi totalità delle tesi
vincitrici del congresso e continua per la strada del riformismo. La rivoluzione non è
affatto vicina, non è stato approntato alcun mezzo per attuarla ed il rischio concreto è
quello di attirare contro il mondo socialista la reazione dei ceti conservatori.
"Il Lavoro", intanto, si rinnova e si avvale di nuove collaborazioni, tra le altre quelle
di Claudio Treves, Rinaldo Rigola ed Adelchi Barotono, nel tentativo di fornire una
sempre più accurata analisi dei fatti che si susseguono incessanti. Sono i mesi dei
moti popolari e, immediatamente dopo, delle occupazioni delle fabbriche; da Salita
Dinegro arriva un appello alla calma, al realismo.
Con il 1921 arriva la scissione dell'ala più a sinistra del Partito Socialista che fonda a
Livorno il Partito Comunista d'Italia; Canepa continua sulla sua linea politica. Si
avvicina intanto la marcia su Roma: di fronte alla interminabile crisi parlamentare
Giolitti prova cautamente a portare i socialisti al governo, la maggioranza
massimalista rifiuta, si aspetta di trarre beneficio dalla situazione che precipita. Il
7
Per le vicende del PSI in quegli anni cfr. Z. CIUFFOLETTI, M. DEGL’INNOCENTI, G.
SABBATUCCI, Storia del PSI. Vol.I Le origini e l’età giolittiana, Roma-Bari, Editori Laterza, 1992.
11
gruppo riformista decide, invece, di trattare. I massimalisti vedono l'iniziativa come
fumo negli occhi, gridano al tradimento: il gruppo turatiano viene espulso.
Nel mentre emerge al "Lavoro" la figura di Giovanni Ansaldo, che affianca Giuseppe
Canepa
8
. È l'inizio di un sodalizio durato più di dieci anni.
Il fascismo non manca, lo stesso 28 ottobre 1922 giorno del colpo di Stato, di
prendere provvedimenti contro il quotidiano più rappresentativo della classe operaia
ligure: per la prima volta dalla fondazione "Il Lavoro" è costretto al silenzio.
Tutto tace fino al 10 novembre 1922, quando il giornale ricompare. Il giorno
precedente il fascista Giovanni Pala, inviando una lettera alla redazione, ha
autorizzato la riapertura
9
. Il numero de "Il Lavoro" del 10 novembre testimonia
perfettamente il dramma vissuto nei giorni appena trascorsi non solo dal quotidiano,
ma da un'intera città. Il tentativo è quello di normalizzare la situazione, ma traspare
anche un chiaro avvertimento per coloro i quali, criticando il nuovo Governo, non
risultassero "degni" della libertà di stampa. Non a caso si fa intendere che la
permanenza in redazione di alcuni elementi, in particolare Canepa ed Ansaldo,
sarebbe malvista.
La risposta di Canepa, ferma ed orgogliosa, non si fa attendere:
"Pubblicando questa lettera, crediamo superfluo esprimere il nostro dissenso su alcune affermazioni in
essa contenute e specie da quella intorno alla libertà di stampa i cui limiti non possono essere fissati
che dalla legge. Ci limitiamo a prendere atto volentieri del riconoscimento che – per vie diverse - si
può mirare al bene della patria comune dolendoci soltanto che questo riconoscimento si sia
manifestato soltanto oggi, perchè non da oggi il nostro giornale, che le fortune del proletariato non ha
mai disgiunte da quelle della nazione, segue le direttive che il segretario generale del Fascio proclama
nella sua lettera degne di massimo rispetto"
10
.
Giuseppe Canepa e Giovanni Ansaldo rassegnano le dimissioni: sanno perfettamente
8
Giovanni Ansaldo (Genova, 1895-Napoli, 1969) è il nipote del fondatore della società Ansaldo. Nel
1915 parte volontario per il fronte. Si laurea in legge ed inizia a collaborare al quotidiano nel 1919. Si
mette in luce durante la Conferenza internazionale di Genova del 1922 con i suoi pezzi che portano,
assieme a quelli di Canepa, "Il Lavoro" alla vendita di centomila copie giornaliere. Ricopre incarichi di
responsabilità, diventando prima capo-redatore, poi direttore del giornale stesso. [...]". (T.
CICCIARELLI, Il Lavoro, 1903-1945, cit., p.129).
9
Scrive il segretario generale del direttivo del fascio genovese: "La battaglia impegnata dal Fascismo
nell'interesse del Paese è finita: ed ora a tutti gli italiani non resta che concorrere, nell'ambito delle
proprie capacità, alla ricostruzione delle nostre fortune nazionali. Il Lavoro ispirando la sua condotta
a tali direttive sarà da noi considerato col massimo rispetto. Ossequienti al monito del Capo del
Governo -libertà per la stampa purché essa sia degna di tale libertà- considereremo l'azione del
vostro giornale con equanimità doverosa e col sentimento di rispetto dovuto a tutti coloro che mirano
sia pure per vie diverse al bene dell'Italia". (Ibidem, pp.135-136).
10
Ibidem, pp.121-122.
12
che la loro storia personale rischierebbe di attirare su "Il Lavoro" il pericolo del
sequestro o, peggio, della chiusura. È una decisione dolorosa, ma inevitabile.
Ludovico Calda va ad occupare il posto di direttore, sperando che ciò basti a calmare
le acque.
Rimane solo il tempo per un ultimo articolo di Canepa, un "fondo" non firmato (i
fascisti non lo avrebbero permesso) dal titolo Ripigliando il cammino, che in poche
righe rende al meglio l'amarezza, le illusioni e le speranze frustrate del mondo
antifascista, ma anche la volontà di non abbandonare una pure impari lotta:
"I lettori comprendono che noi non godiamo della libertà necessaria a commentare gli avvenimenti
che si sono svolti durante la forzata sospensione del nostro giornale. [...] Il presente periodo viene
caratterizzato da una esasperazione del sentimento nazionale. Ora qui bisogna intendersi
chiaramente. Non riconosciamo a nessuno il monopolio dell'amore della patria. Questo sentimento è
innato nel cuore di tutti anche perché risponde all'interesse morale e materiale di tutti. Se la patria è
misera, la miseria batte alle porte di tutti i cittadini, e più spietatamente a quella dei più poveri. [...]
Questo giornale non ha bisogno da nessuno di imparare il patriottismo [...]. Quanto al programma
economico dell'attuale Governo, noi lo esamineremo e ne seguiremo l'attuazione con animo libero.
[...] Si suppone di poter restaurare l'economia nazionale gettando la soma sulla spalle dei lavoratori,
liberando dai pesi fiscali i ceti plutocratici ed abbandonando i consumatori alla speculazione privata.
Ma questo gioco non può riuscire. La questione sociale s'imporrà più imperiosa che mai. [...]
L'emigrazione non potrà aumentare se non verso la Francia ed in proporzioni minime; il proletariato
costretto a restare entro i confini reclamerà lavoro e pane, ma l'impegno delle economie fino all'osso
farà diminuire i lavori pubblici e le bonifiche, né le industrie potranno intensificare la produzione
poichè l'esportazione è inceppata dai cambi e dalle barriere doganali di cui tutti gli Stati si sono cinti;
e intanto le trionfanti tendenze nazionalistiche ed imperialiste reclameranno aumento di spese militari.
Questa è la cruda realtà che succederà alle declamazioni di queste giornate. Ed allora, a lumi spenti,
gli stessi ceti che hanno incoraggiato il movimento oggi trionfante, s'avvedranno di aver sbagliato
strada"
11
.
La costruzione dello stato totalitario comincia in sordina, con lentezza. L'improvvisa
accelerazione avviene nel 1924: le elezioni con la nuova legge elettorale "Acerbo", i
brogli e le violenze, la denuncia di Giacomo Matteotti alla Camera, il rapimento e
l'assassinio dello stesso deputato socialista. Il fascismo sembra alle corde. Le
opposizioni abbandonano i lavori parlamentari.
Dopo quasi due anni di forzata lontananza, Canepa ed Ansaldo riprendono i loro posti
a "Il Lavoro" e non esitano a denunciare il comportamento criminale delle camicie
nere e la sistematica violazione del diritto. Sono mesi eccezionali, anche per l'inedito
successo del quotidiano: la diffusione supera le centocinquantamila copie, più di tutti
gli altri quotidiani genovesi messi assieme.
11
Ibidem, pp.140-146.
13
Mussolini sa, però, gestire al meglio le circostanze: il 3 gennaio 1925, durante un
discorso parlamentare, si assume tutta la responsabilità di quanto accaduto. Lo Stato
liberale, già alle corde, riceve il colpo di grazia. Il vecchio ordinamento è stravolto e
qualsiasi scampolo di libertà viene annullato.
Canepa non si rassegna. Cerca ogni possibile spiraglio di autonomia, nel tentativo
estremo di preservare in qualche modo il decennale lavoro delle organizzazioni
sindacali ed operaie. Sembra trovarne uno nella collaborazione con Rinaldo Rigola e
nella rivista "I problemi del lavoro". Per "Il Lavoro" inizia una nuova strana esistenza.
Da una parte si ritrova ad essere una delle poche voci non apertamente schierate a
favore del regime (pur naturalmente subendone le pressioni e l'assidua censura),
dall'altra attira su di sè le critiche dell'emigrazione antifascista, preoccupata di un suo
scivolamento tra le braccia della dittatura.
È difficile stabilire perché il Governo permetta a Salita Dinegro la continuazione del
suo lavoro, nonostante le insistenze dei fascisti locali. Pesano, probabilmente, il
passato interventista del giornale, che lo rende ben visto alla galassia degli ex-
combattenti, e la linea politica moderata, che ha conquistato non poche simpatie negli
ambienti borghesi. È possibile esista anche un lontano debito di riconoscenza di
Mussolini verso la testata genovese, originato dalla comune militanza socialista
interventista. La verità, probabilmente, è però ben diversa: una voce "fuori dal coro"
giova al regime, gli permette di dimostrare all'opinione pubblica estera che in Italia vi
è piena libertà e che, a dispetto della propaganda antifascista, un quotidiano operaio e
socialista può esistere in tutta tranquillità
12
.
La convivenza è, comunque, difficile. Il rigido controllo del regime obbliga allo
snaturamento il giornale, che, il più delle volte, sceglie per prudenza di evitare tutti
gli scritti passibili di critica da parte delle autorità
13
; nonostante sia una scelta
difficile, a cui si oppone quella parte della redazione che preferirebbe sospendere le
pubblicazioni, appare l'unica alternativa al silenzio.
A risolvere momentaneamente la questione ci pensa un ragazzo di quindici anni,
Anteo Zamboni, che, in un episodio ancor oggi oscuro, attenta alla vita del Duce e
12
Cfr. M. MASSA, Mussolini padrino de “Il Lavoro”. La storia inedita di un idillio condannato da
Pertini, Genova, Il Golfo, 1999.
13
Ecco che, ad esempio, alla morte di Giacinto Menotti Serrati il 10 maggio 1926 viene pubblicato un
necrologio che, in memoria dell'ex leader del Partito Socialista Italiano, evita accuratamente parole
come "socialismo, lotta di classe o proletariato". (T. CICCIARELLI, Il Lavoro, 1903-1945, cit., pp.
162-163).