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CAPITOLO 1
BREVE EXCURSUS STORICO
1.1 Trasformazione della partecipazione femminile nel mondo del lavoro
Crescita occupazionale delle donne dal dopoguerra ad oggi
In passato, in società in cui prevaleva l’agricoltura di sussistenza, il nesso tra
famiglia, lavoro ed economia non era così marcato: la divisione dell’attività
lavorativa avveniva all’interno del nucleo, ed il “padre di famiglia” era
considerato amministratore dell’impresa familiare. L’economia capitalistica
moderna, come sostiene Weber in Economia e società (1922), nasce dalla
separazione dell’economia domestica dalla economia dell’azienda di famiglia.
La famiglia borghese è la prima a vivere questa separazione, mentre nelle
famiglie delle classi lavoratrici questa scissione tra famiglia e lavoro avviene in
maniera più lenta e prolungata nel tempo.
Nel corso del Novecento, in Italia, l’andamento della partecipazione delle
donne al mondo del lavoro ha assunto la forma di U: all’inizio del secolo le
donne erano massicciamente presenti nel lavoro agricolo e nella manifattura
tessile. Negli anni Cinquanta, con l’avvento dell’industrializzazione e la
conseguente diminuzione di importanza del settore agricolo, si registra una
diminuzione di attività delle donne, attività che ricomincia a crescere negli anni
Sessanta. (Bozzon, 2008).
Da quegli anni si assiste alla crescita delle donne nel terziario, il cui livello di
occupazione non raggiunge però né i livelli quantitativi né i livelli qualitativi
propri di altri paesi ad alto sviluppo. Per spiegare questo fenomeno bisogna
guardare un’altra area del lavoro femminile: il lavoro domestico familiare.
Inoltre, negli anni del dopoguerra i consumi si differenziano: c’è più attenzione
al benessere, poiché per la prima volta le famiglie hanno la possibilità di
aumentare il proprio tenore di vita. Si assiste negli anni Sessanta ad una sempre
maggiore individualizzazione dei consumi all’interno della famiglia. Si creano
così, anche per le donne, modelli di consumo per attuare identità diverse, sul
piano del lavoro, nella definizione delle responsabilità familiari e della
professionalità della donna di casa.
Infatti solo a metà anni Sessanta aumentano i tassi di attività femminile nelle età
centrali, facendo diminuire la quota di donne casalinghe. In questo modo, cioè
con il rientro a lavoro di donne precedentemente occupate nel lavoro di cura, si
vengono a creare categorie di occupazioni prettamente femminilizzate, come le
infermiere o le insegnanti, tendenza che tende a riprodurre nel tempo e ad
accentuare il fenomeno della segregazione (Barile, 1984).
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Inoltre accadeva che le donne occupassero posti lasciati vacanti dagli uomini,
come era già successo nel caso dello scoppio della seconda guerra mondiale,
quando le donne andavano a lavorare nelle fabbriche al posto degli uomini
occupati sul fronte.
Negli anni del dopoguerra l’Italia gode di un relativo benessere, come più o
meno gli altri paesi dell’occidente industrializzato, e proprio in questo periodo
l’occupazione femminile tende a crescere. Tra il 1961 e il 1967 si assiste ad una
crisi dell’attività femminile, le cui cause sono diverse. Innanzitutto questo calo
di attività è legato alla perdita di importanza del settore agricolo e dell’industria
tessile, ed alla spinta dell’offerta di lavoratori uomini, eccedenti rispetto alle
donne. E poi sono da collegare a questo fenomeno anche cause di tipo socio-
culturale, quali la scarsa mobilità delle lavoratrici in determinate fasce d’età, la
mancanza di servizi dediti alla cura dell’infanzia e all’assistenza per gli
anziani, e, in ultimo l’insufficiente livello di istruzione delle donne. Inoltre in
questi anni il lavoro svolto da donne non viene considerato “essenziale”: il
Lavoro era uomo, non era necessario che la donna lavorasse, il compito della
donna era principalmente relativo alla sfera riproduttiva e di cura. Gli anni
Sessanta sono quindi caratterizzati dalla mentalità secondo cui ci sia una
distinzione tra lavori “da donna” e lavori “da uomo” (Fontana, 2002).
Durante gli anni Settanta, in seguito alla mobilitazione femminista, la
condizione femminile è divenuta oggetto di studio su due punti particolari: la
partecipazione delle donne al mercato del lavoro, e il lavoro domestico come
lavoro necessario e specifico delle donne adulte. All’inizio degli anni Settanta
un’analisi dell’occupazione femminile aveva messo in luce come gli uomini
“nel fiore degli anni” fossero tutti massicciamente impegnati nel mercato del
lavoro, mentre le donne “nel fiore degli anni” fossero tutte a lavorare a tempo
pieno nella famiglia.
Un’analisi di Del Boca e Turvani confermò poi questo andamento: dimostrò,
cioè, come la presenza di un uomo nel mondo del lavoro richiedeva che la
donna fosse pienamente impegnata nel lavoro di cura, almeno nelle fasi più
importanti per la formazione di un nuovo nucleo familiare, ovvero in presenza
di figli piccoli e in età prescolare (Naldini, Saraceno, 2007).
Per quanto riguarda la crescita occupazionale delle donne in questo decennio, la
maggior parte di esse trova impiego in un settore in crescita, il terziario, in
particolare le donne sono presenti nella pubblica amministrazione, nel
commercio, nei servizi, meno nei trasporti e nelle telecomunicazioni.
Il terziario inoltre presenta situazioni molto differenziate al suo interno: da un
lato può permettere alle donne di avere un posto stabile a orari poco
ingombranti, dall’altro può dare luogo a occupazioni precarie, come nel caso
del turismo, dell’insegnamento. È questa ambivalenza delle occupazioni che
prepara il terreno alle tipologie di “lavori atipici” degli anni più recenti
(Fontana, 2002).
Negli anni Ottanta l’occupazione femminile provoca, involontariamente,
disoccupazione femminile, in quanto donne che già lavorano invogliano altre
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donne a cercare anch’esse un’occupazione, soprattutto in ceti sociali e classi
d’età per cui il mercato del lavoro costituisce una novità.
In questi anni si delinea un nuovo modello di partecipazione delle donne al
mondo del lavoro, attraverso ingressi sempre meno condizionati dal
matrimonio o dalla nascita di un figlio, ingressi motivati dai crescenti livelli di
istruzione che spostano in avanti l’età media di ricerca di un impiego.
Gli anni Ottanta sono il decennio di affermazione delle donne, non solo dal
punto di vista professionale. Per interpretare tali cambiamenti però occorre
capire l’importanza dei processi di frammentazione e flessibilità dei lavori:
l’offerta di lavoro delle donne è più flessibile di quella degli uomini, e quindi
l’espansione di questi anni si potrebbe ipotizzare che sia dovuta proprio a
questo fattore.
Dal punto di vista legislativo in questo decennio si ottengono risultati concreti:
la legge 903/1977, denominata Parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro rappresenta un passo fondamentale per il raggiungimento
delle pari opportunità. In Italia vengono approvate alcune iniziative che
permettono l’avvicinamento a questo obiettivo: nel 1983 viene istituito il
Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento e
uguaglianza di opportunità tra lavoratori e lavoratrici; nel 1984 viene nominata
dalla Presidenza del Consiglio, la Commissione nazionale per la realizzazione
della parità tra uomo e donna; nel 1987 viene presentato il primo disegno di
legge atto a realizzare “azioni positive” per il conseguimento delle pari
opportunità, tramite iniziative che competono alle aziende, enti pubblici o
sindacati. Dal punto di vista dei progetti di vita familiare le giovani donne
hanno progetti diversi da quelli delle loro madri, poiché dedicano più tempo al
miglioramento delle loro collocazioni professionali; tuttavia, continua a
persistere la “doppia presenza”, ossia quella dinamica ricorrente per cui le
donne si trovano impegnate su due fronti: quello lavorativo, su cui sentono il
dovere di impegnarsi più degli uomini per colmare il gap, e quello familiare, di
cui sono responsabili volenti o nolenti, a causa della tradizione e delle norme
socio culturali ancora vigenti nella società.
I cambiamenti legislativi e “privati”, di vita familiare, hanno portato a
cambiamenti importanti nel mondo del lavoro: da un lato il lavoro femminile
invade settori fino a qualche tempo prima riservati a uomini, dall’altro le nuove
caratteristiche del mercato (la frammentazione e la flessibilità) più si addicono
all’offerta femminile, meno rigida di quella maschile (Fontana, 2002).
Gli anni Ottanta sono stati caratterizzati da un tratto distintivo, quindi: la
crescita occupazionale è da attribuire per la maggior parte all’attività delle
donne, infatti tra il 1979 e il 2003 l’incremento dell’occupazione femminile è
stato del 43%, quello maschile non è andato oltre il 2% (Contini, Trivellato,
2005).
Possiamo individuare, dal confronto dei Censimenti dell’Industria e Servizi del
1981 e del 1991, alcune significative differenze rispetto al passato: si conferma
la tendenza di crescita occupazionale femminile del terziario iniziata negli anni
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Sessanta, e si registrano cambiamenti importanti soprattutto per le donne.
Infatti le donne dirigenti sono raddoppiate in dieci anni, sono cresciute di un
quarto le professioniste e imprenditrici, e di due terzi le lavoratrici manuali dei
servizi. Si sfata, quindi, la convinzione che le donne lavoratrici siano per lo più
nel settore impiegatizio, ma d’altra parte non cambia l’aspetto di
femminilizzazione dei settori: il peso delle donne nell’industria è molto ridotto,
la maggioranza dei lavoratori sono uomini. Il decennio preso in considerazione
ha visto la diminuzione generalizzata di occupati nell’industria, ma in
particolare delle donne, ed è stato caratterizzato da un aumento delle posizioni
indipendenti, quali imprenditori, liberi professionisti, lavoratori autonomi: in
questo settore invece la crescita femminile è stata considerevole e superiore a
quella maschile (Bianco, 1997).
Per quanto riguarda i cambiamenti avvenuti negli anni Novanta, Fontana (2002)
pone l’attenzione sui limiti e rischi dell’espansione dell’occupazione femminile.
Secondo l’autore infatti è vero che le donne sono entrate in settori
tradizionalmente maschili, ma pur sempre in posizioni secondarie e limitate, ad
esempio tra i magistrati le donne sono impegnate soprattutto nei tribunali e
nelle procure per i minorenni, tra i medici sono più le donne specializzate in
pediatria piuttosto che in chirurgia. Questo decennio, con una maggiore
eterogeneità nella manodopera e variabilità nelle figure professionali, ha visto
un profondo cambiamento nel mercato del lavoro: per le donne c’è più spazio,
competono con gli uomini per titoli di studio, quindi i percorsi di vita tendono
essere meno differenziati (Fontana, 2002).
Nel 2003 le donne imprenditrici individuali o socie in società di persone o di
capitali sono il 29,2% e la quota è in costante crescita negli ultimi anni. La
crescita dell’occupazione femminile negli anni recenti è dovuta anche alla
positiva dinamica del settore dei servizi. Sono, infatti, i servizi il settore in cui è
presente la quota di gran lunga più rilevante di donne, in particolare come
dipendenti (50%), ma anche come indipendenti (quasi il 40%). Anche in
agricoltura la quota di donne, sia dipendenti, sia indipendenti, è elevata, mentre
la presenza femminile nell’industria è minore (Istat, Archivio Asia-Imprese,
2007).
Nonostante la crescita occupazionale femminile registratasi negli ultimi anni,
(pur sempre settoriale) l’Italia resta caratterizzata da bassi tassi di occupazione
femminile rispetto agli altri paesi europei, come possiamo notare dalla figura
1.1 nella pagina seguente.
Infatti, dalla figura notiamo che l’Italia è caratterizzata da una percentuale di
uomini occupati del 70.3% e da una percentuale di 47.2% per le lavoratrici.
L’occupazione femminile italiana risulta di poco più bassa rispetto a quella
greca (48.7%), ma lo è decisamente di più rispetto a quanto registrato in paesi
ad alta presenza femminile nel mercato del lavoro, come ad esempio in
Norvegia e Svezia (rispettivamente con 75.4% e 71.8%), oppure in Danimarca
(74.2%) e Finlandia (69%).